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Autore: Hazel92    05/04/2024    0 recensioni
Violet Tilton ha tutto quello che si potrebbe desiderare nella vita. Vive a New York, è una scrittrice di successo, ha dei buoni amici e due genitori fantastici. Una telefonata inaspettata però cambierà ogni cosa e Violet sarà costretta a mettere in discussione se stessa e le sue origini. Divisa tra la grande mela e una piccola cittadina della Pennsylvania, Violet si troverà a dover scoprire vecchi segreti, fare nuovi incontri e fronteggiare pericolose rivelazioni.
Genere: Romantico, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9

Vi è mai capitato di avere un mal di testa talmente forte da percepirlo anche durante il sonno? Ecco, a me sì. Avevo sperato fosse solo frutto di un sogno, e invece no. La testa mi faceva così male che non riuscivo neanche rigirarmi nel letto. Che tra l’altro sembrava più duro del solido, ma probabilmente era solo un effetto collaterale del mal di testa.
Quand’era stata l’ultima volta che mi ero ridotta così? Ah, sì. Al liceo. Dopo quell’esperienza avevo giurato che non mi sarei mai più risvegliata in queste condizioni, e invece eccomi qua. Reduce da una sbronza, con un mal di testa insopportabile. Cercai di ricordare cosa avessi fatto la sera precedente, ma i miei ricordi finivano più o meno due drink dopo essere arrivata al Sinclair’s. Perché quel musone aveva lasciato che mi riducessi così? Ma infondo lui faceva solo il suo lavoro, che motivo aveva per preoccuparsi di me? Ero una cliente qualunque. Anzi, magari ci aveva pure preso gusto ad osservarmi mentre mi mettevo in ridicolo. Perché sicuramente mi ero messa in ridicolo.
Mi stiracchiai e lentamente aprii gli occhi. Un momento! Non appena lo feci mi accorsi subito che qualcosa non andava. Ero reduce da una sbronza, sì, ma non ero arrivata al punto di non riconoscere casa mia. Beh, casa di mia nonna. Dove diavolo ero finita?
Il mio primo istinto fu quello di controllare se avessi ancora i vestiti addosso. Bene, c’erano. Il che voleva dire che quantomeno non ero andata a letto con qualche sconosciuto, e dubitavo che in caso contrario si fosse preso la briga di rivestirmi. Adesso rimaneva da capire dove fossi. Dal colore delle pareti e dall’arredamento non c’erano dubbi che si trattasse della stanza di un ragazzo. Chi si sarebbe mai preso il disturbo però di accogliermi ubriaca in casa sua senza avere niente in cambio? Uno sconosciuto mi sembrava alquanto improbabile, perciò, se si trattava di qualcuno che invece conoscevo il campo si ristringeva di molto. Le persone che avevo conosciuto a Woodthon si contavano sulle dita di una mano, e se a queste sottraevo coloro che sicuramente non frequentavano il Sinclair’s mi rimanevano solo tre opzioni.
Il primo a cui pensai fu Bryan. Era stato fin da subito il più gentile nei miei confronti, perciò se c’era una persona disposta a portarsi a casa una specie di zombie, quello doveva essere lui. Poi però mi ricordai della battuta fatta da Eddy. Bryan aveva una fidanzata e da quanto avevo capito anche molto gelosa. Quindi non mi restava che escluderlo e passare alla mia seconda opzione: Eddy. Era simpatico e mi dava anche l’impressione di essere uno che non perdeva tempo con le ragazze, tuttavia avevamo scambiato si e no qualche parola, perciò, a meno che non fosse stato il suo amico a costringerlo a portarmi con se, neanche questa opzione mi sembrava valida.
A questo punto mi rimaneva solo un’opzione: Maxwell Sinclair.
No, no, no no. Oddio no! Nell’esatto momento in cui il mio cervello aveva preso in considerazione quella possibilità, era automaticamente andato nel pallone. Reset. Game over.
Iniziai a prendere in considerazione il fuggire dalla finestra. Insomma, magari sarei risultata maleducata, ma al diavolo! Non avevo nessuna intenzione di affrontare Maxwell Sinclair, farmi fare la radiografia dal suo sguardo e magari beccarmi pure una ramanzina. No, grazie.
In quel momento però cominciai a sentire delle voci. Una soprattutto, femminile, riuscivo a sentirla distintamente.
- E dai Max, devo solo prendere il carica batterie che ho lasciato in camera tua! – Accidenti! Pensai. Di chiunque si trattasse, stava venendo qui.
- Ti ho detto che non puoi entrare ora – ecco, burbero come sempre. Non avevo più alcun dubbio di essere in casa di quel barista musone. Tuttavia una volta tanto ero d’accordo con lui. L’idea di uscire dalla finestra diventava sempre più allettante. Mi avvicinai al davanzale e l’aprii. Fantastico! Non avevo pensato che potessi essere al secondo piano.
- Oh, avanti Maxy! Mi serve! – Maxy? Chi era che lo chiamava così? Una fidanzata? Mi sembrava strano. Se io fossi stata la sua fidanzata e lui mi avesse impedito di entrare nella sua camera mi sarei imbestialita, altro che Maxy!
Poi i passi diventarono più veloci e più vicini e prima che Maxwell Sinclair potesse dire o fare qualcosa, la porta si aprì. Io rimasi imbambolata ancora in parte affacciata alla finestra, e la ragazza di fronte a me fece altrettanto, rimanendo a fissarmi. Ci riprendemmo nello stesso momento.
- Violet? –
- Mary? – ero sorpresa di essermi ricordata il suo nome.
- Voi due vi conoscete? – sulla porta era comparso Max che ci osservava con uno sguardo dubbioso. – Che stai facendo? – mi domandò poi vedendomi alla finestra.
- Volevo suicidarmi – replicai ironicamente guadagnandomi una sua occhiataccia.
- Oh mio Dio! – esclamò a quel punto Mary che ovviamente non aveva prestato attenzione al nostro breve scambio di battute e continuava a fissarmi come se avesse appena visto un fantasma.
- Mio fratello esce con la mia scrittrice preferita! –
- Scrittrice? –
- Fratello? – domandammo in contemporanea.
- Devo subito raccontarlo ad Ivy! Chissà come mi invidierà! –
- NO! – urlammo insieme io e Maxwell. Mary si girò a guardarci come se avessimo appena fatto chissà che cosa.
- Ooook – disse. – Niente Ivy, ma posso sapere almeno che succede? –
- Niente, non succede niente – rispose brusco suo fratello. Lo guardai aggrottando le sopracciglia. Se pensava che rispondendo in modo brusco sarebbe riuscito a frenare la curiosità di una diciassettenne, si sbagliava di grosso.
- Ieri sera ho bevuto un po’ troppo, così tuo fratello mi ha gentilmente scortata fin qui –
- E non poteva scortarti a casa tua? – Mary ci osservava tenendo le braccia conserte, come se fosse una poliziotta.
- Ho perso le chiavi al locale – suo fratello aveva assunto la stessa posa, ma la sua espressione era più un “voglio proprio vedere cosa ti inventi”.
- Ed ora come farai ad aprire la porta di casa tua? – Oddio. Quando l’avevo incontrata per strada sembrava più simpatica.
- La mia vicina di casa ne ha una copia, ma ieri sera era troppo tardi per andarla a disturbare – Mary mi osservò qualche secondo poi decise di smetterla con l’interrogatorio. Quasi sicuramente ancora era convinta che io e suo fratello andassimo a letto insieme o qualcosa del genere, ma decise di lasciarci perdere o più probabilmente di farci credere che se la fosse bevuta. Qualcosa del tipo: “Poveri scemi. Farò finta di avergli creduto, ma mica me la sono bevuta. Ormai ho diciassette anni!”.
- Beh, direi che adesso posso prendere il mio caricabatterie. Però Violet, ti ricordo che hai promesso di autografarmi il libro, e visto che ora non ce l’ho qui dovremo rivederci – feci per risponderle, ma lei non me ne diede il tempo, passando a parlare con il fratello – Dirò alla mamma di organizzare qualcosa. Ciaoooo – la ragazzina schizzò via appena recuperato quel dannatissimo caricabatterie, lasciando me e quel musone di suo fratello senza parole e in pieno imbarazzo.
- Ehm – dissi schiarendomi la voce – cosa intendeva esattamente con “dirò alla mamma di organizzare qualcosa”? –
- Niente di piacevole, sicuramente. Ma in ogni caso non sei obbligata a venire – annuii abbassando la testa. Avrei voluto chiedergli cosa fosse successo la sera precedente, come ero finita lì, se avevo detto o fatto qualcosa di imbarazzante, invece non dissi nulla.
- Mi dispiace per mia sorella – alzai lo sguardo - Sa essere una rompiscatole a volte –
- Figurati – risposi -  Almeno lei non da perennemente l’impressione che le sia appena morto il gatto – lo presi in giro.
- Non mi piacciono i gatti – sul suo viso era spuntato un accenno di sorriso.
- Ma dai, chi lo avrebbe mai detto – risposi ironicamente. Lui mi guardò alzando un sopracciglio.
- Ti davo l’impressione di essere uno a cui piacciono i gatti? –
- No, per niente. È proprio questo il punto. A me piacciono i gatti, e parecchio anche. A te no – gli spiegai. – Chissà quante cose non abbiamo in comune Maxwell Sinclair – lui scosse la testa.
- Meno di quante immagini  -
   
 
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