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Autore: Red Owl    14/04/2024    1 recensioni
NUOVA VERSIONE DI UNA STORIA GIA' PUBBLICATA, MA MAI FINITA
In un'epoca simile a quella della Roma Antica, Lidia, figlia di un senatore, viene data in sposa a un giovane germano. Quando deve trasferirsi in Germania, la sua vita viene sconvolta. A Roma non lascia solo la casa e le amicizie, ma anche Tito, il suo fidanzato, che è però determinato a non perderla.
Mentre aspetta che qualcuno venga a salvarla, Lidia deve imparare a convivere con la sua nuova famiglia e, soprattutto, con il suo nuovo marito. Tutto attorno a lei ci sono un villaggio che la guarda con sospetto, dei sacerdoti che parlano per enigmi e le ombre di un vecchio delitto che si allungano sempre di più sulla sua vita.
Genere: Avventura, Storico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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160 a.U.c. - Marzo

Roma

Lidia e Tito avevano fatto ritorno a casa dell'Avvocato Fusco sullo scadere dell'ora che Ottavia aveva concesso loro e non avevano quindi avuto modo di salutarsi come avrebbero desiderato. Lo sguardo severo della domestica li aveva costretti a dirsi addio in maniera formale e quasi asettica nonostante le lacrime che rigavano i loro volti.

La fanciulla aveva percorso la strada che conduceva a casa di suo padre accecata dalle lacrime e totalmente indifferente a tutto ciò che la circondava. Ricordava vagamente di avere incrociato qualcuno che aveva chiamato il suo nome - un'amica, Valeria o forse Augusta - ma non si era fermata per parlare o anche solo per rassicurarle.

All'improvviso tutto sembrava aver perso importanza: la sua mente non faceva altro che riproporle a ciclo continuo l'immagine degli occhi di Tito, del suo sguardo disperato quando Ottavia li aveva costretti a separarsi. Lidia lo conosceva troppo bene per non accorgersi che, nonostante la spavalderia che aveva mostrato in riva al Tevere, il ragazzo aveva paura. Paura di perderla, supponeva, paura di non riuscire a mettere a punto o a portare a termine quel suo piano appena abbozzato.

E come non capirlo? Quelle erano esattamente le stesse paure che aveva anche lei.

Quando era arrivata a casa aveva incontrato sua madre. Donna Aurelia aveva fatto per avvicinarsi a lei, ma Lidia aveva provato una specie di senso di rigetto all'idea di avere a che fare con i propri genitori. Era così corsa in camera sua senza una parola, salvo poi presentarsi a cena come richiesto da suo padre, perché al Senatore bisognava obbedire sempre e comunque.

Era stata una cena tesa e silenziosa, per una volta non accompagnata dalla presenza della servitù. Le due donne di casa avevano mangiato con gli occhi bassi, mentre il Senatore Claro le aveva ragguagliate su ciò che avrebbero trovato in Germania.

Non aveva offerto alcun dettaglio sulla famiglia di cui Lidia sarebbe entrata a far parte; e lei non ne aveva chiesti. Meno sapeva di ciò che l'attendeva a nord e meglio poteva illudersi che l'intera faccenda fosse solo uno di quei sogni tormentati che a volte faceva poco prima dell'alba.

Suo padre le aveva spiegato ciò che ci si aspettava da lei: che si adeguasse alle richieste di suo marito e dei suoi parenti, dimostrandosi una buona moglie, ma che al tempo stesso non rinnegasse mai le sue nobili origini romane.

E come dovrei fare? Aveva pensato Lidia, schiacciando stizzosamente tra le dita un pomodorino e facendone esplodere la polpa nel piatto. Quelli vivono nella sporcizia. Se mi impedissero di farmi un bagno per settimane, per esempio, come potrei mantenere il decoro che si addice a una matrona romana?

Erano stati proprio i dettagli che il Senatore le aveva fornito a proposito di alcune differenze tra la sua domus e la casa in cui avrebbe abitato in Germania a sconvolgerla. Se era vero ciò che diceva suo padre, a Erding non c'era un acquedotto come a Roma, il che significava che nelle case non c'era acqua corrente.

«E se uno deve andare in bagno, come fa?» aveva osato chiedere lei.

«C'è una baracca apposita sul retro della casa, oppure su uno dei terrazzi. Tutto finisce poi in una buca nel terreno.»

Lidia non aveva osato chiedere altro, ma la carrellata di informazioni snocciolate dal Senatore l'aveva fatta inorridire: in Germania non c'era corrente elettrica se non nelle case dei dignitari romani, attrezzate con dei pannelli solari, e l'illuminazione era garantita dalle lanterne a olio. Non c'erano i costosissimi fornelli elettrici alimentati dalla luce del sole, e naturalmente non c'erano nemmeno i carri automatici: se la gente doveva spostarsi, lo faceva in sella a un cavallo o su un carretto trainato da qualche altra bestia. Non c'era il riscaldamento, ma solo il fuoco, che Lidia avrebbe avuto il compito di alimentare. Niente musica, ovviamente, niente teatro, niente sartorie nelle quali rifornirsi di abiti alla moda: in Germania, le donne si tessevano gli abiti da sé. Lidia era brava a ricamare e di tanto in tanto amava dilettarsi al telaio, ma dubitava di essere in grado di confezionarsi alcunché.

Quando quella cena infinita era giunta al termine, era tornata nella propria camera e si era gettata sul letto, sfinita e spaesata.

Ed era nella sua camera che aveva passato la maggior parte del tempo nei giorni successivi. Anche se la data in cui avrebbe dovuto lasciare Roma si avvicinava allo stesso tempo lenta e fin troppo veloce, la ragazza sentiva di non avere l'energia necessaria per affrontare il mondo al di fuori di quelle quattro mura famigliari.

Una volta che le aveva detto tutto ciò che le doveva dire, il Senatore era tornato a ignorarla come di consueto. Donna Aurelia aveva invece cercato più volte di parlarle, di incoraggiarla. Le aveva detto che nemmeno lei a suo tempo avrebbe voluto sposare quello che sarebbe poi diventato il Senatore Claro, ma che alla fine le cose erano andate abbastanza bene. Lidia aveva scosso la testa e aveva guardato fuori dalla finestra, chiedendosi, non per la prima volta, se sua madre fosse felice e soddisfatta della sua vita.

Le aveva anche detto che le cose le sarebbero sembrate meno terribili una volta che sarebbe arrivata in Germania e che avrebbe visto con i suoi stessi occhi che la vita lì non era poi tanto diversa che a Roma. Ma cosa accidenti ne sapeva sua madre? Lei non aveva mai lasciato l'Urbe, quindi Lidia dubitava che il suo parere fosse affidabile.

Sprofondata in un isolamento quasi totale, Lidia si rifiutava di ricevere visite. Qualcuno aveva provato ad andare da lei, nei giorni precedenti, ma la fanciulla si era rifiutata di ricevere gli amici e i parenti che intendevano farle visita per confortarla un po'. La voce doveva essersi sparsa, perché dopo i primi giorni, nessuno era più andato a trovarla.

Lidia fu quindi piuttosto sorpresa quando, a due giorni dalla sua partenza per Erding, un'ancella venne a dirle che c'era una visita per lei.

«Non mi va di parlare con nessuno» borbottò senza distogliere lo sguardo dalla trama regolare del copriletto sul quale era seduta.

Ferma sulla soglia, l'altra ragazza incrociò nervosamente le braccia. «Lo so, ma Donna Lucilla mi ha già detto che non intende andarsene senza averti prima parlato.»

Lidia gemette. Lucilla era la sua migliore amica. Si conoscevano praticamente da sempre e aveva ormai capito che quando si metteva in testa una cosa, farle cambiare idea era un'impresa impossibile. Ciononostante, si chiese per un attimo se non potesse semplicemente ordinare ai servi di lasciarla in strada. Lucilla era persistente, ma prima o poi si sarebbe stancata anche lei.

Il pensiero fu però sufficiente per farla inorridire. Non importava quanto fosse triste e giù di morale: la sua amica non aveva mai fatto nulla per meritarsi un trattamento del genere.

Questa sarà sicuramente l'ultima volta che la vedo, realizzò all'improvviso. Un velo di lacrime le offuscò gli occhi. Tra due giorni partirò, e una volta che poi Tito verrà per portarmi via non potrò certo tornare a Roma e visitare i miei vecchi amici.

«Donna Lidia?» fece l'ancella, richiamando la sua attenzione. «Cosa devo fare?»

La fanciulla si passò velocemente una mano sugli occhi. «Falla entrare» rispose con voce tremula. «Chiedile di venire qui in camera, però. Non ho nessuna voglia di scendere di sotto e magari trovare i miei.»

L'ancella annuì e si allontanò in silenzio, ma dopo pochi minuti qualcuno bussò di nuovo alla porta della sua camera. Come faceva sempre, Lucilla non attese che Lidia le desse il permesso di entrare: spalancò la porta e poi se la richiuse alle spalle con un tonfo, marciando decisa verso il letto sul quale sedeva la sua amica.

«Non dirmi che sei stata davvero chiusa in camera per una settimana!» esordì, puntando gli occhi azzurri in quelli scuri di Lidia.

«Non per una settimana» borbottò lei di rimando. «Solo per qualche giorno.»

Lucilla sospirò in modo decisamente esagerato e poi si gettò i lunghi ricci biondi e indomabili dietro a una spalla. «Quanta pateticità» sbottò levando gli occhi al cielo.

Lidia le rivolse un'occhiata piccata. «Come, scusa? Ma lo sai cosa mi è successo?»

L'altra ragazza si lasciò cadere sul letto. «Ti spediscono in Germania.»

Lidia incrociò le braccia, la sua tristezza momentaneamente dimenticata in favore dell'indignazione che provava di fronte al tono sbrigativo dell'amica. «E ti pare poco?»

Il volto di Lucilla assunse un'espressione più gentile. «Non mi pare poco, però non mi pare nemmeno una tragedia. Ogni fine è un nuovo inizio, o qualcosa del genere.»

Lidia rimase senza parole per qualche secondo. «Ma io mica lo volevo, un nuovo inizio. La... la storia che avevo mi andava benissimo.»

Lucilla fece le spallucce. «Io invece sono convinta che ci farà bene.»

«Ci farà bene?» ripeté Lidia, calcando sulla prima parola. «Quindi anche tu...?»

La fanciulla bionda annuì. «Esattamente. Parto anch'io. Non subito, ma tra due settimane. Tra l'altro io vado nella Germania vera, mica sul confine come fai tu.»

«Vai al nord?» chiese Lidia preoccupata, ricordando ciò che suo padre le aveva detto a proposito dei popoli che vivevano nelle regioni più settentrionali della Germania.

Lucilla scosse la testa. «No, non proprio al nord, ma sulle montagne. Ad Afen, per la precisione. Mi sono informata un po', ma non ho trovato molte notizie. Sembra un posticino carino, comunque. Bello tranquillo, infatti non mi è chiaro perché abbiano deciso di farmi sposare proprio un tizio che vive lì.»

Lidia ne capiva troppo poco di politica per poterle dare una risposta: il padre di Lucilla non era un Senatore, ma un Generale in pensione, e lei non sapeva immaginare perché a un germano avrebbe dovuto far piacere averlo come suocero. E nemmeno le interessava capirlo, a dire il vero: tutta quella faccenda era un'autentica mostruosità.

«Non saprei proprio» mormorò allora. «Non sono nemmeno certa che ci sia una logica.»

«Una logica c'è di sicuro», la contraddisse la sua amica, «ma come al solito nessuno si degna di spiegarci niente. Siamo donne, del resto. Non vorrai mica che il nostro povero cervellino si surriscaldi pensando a queste faccende così complicate, no?»

Lidia sorrise a suo malgrado. Poi si schiarì la voce. «In realtà mio padre qualcosa me l'ha spiegato. Io devo andare proprio a Erding perché pare che sia un posto piuttosto importante...»

«... postaccio orribile, da quanto ho letto, ma effettivamente importante» si intromise Lucilla.

«Grazie per l'incoraggiamento» sbottò sarcastica Lidia. «Dicevo: visto che è così importante, il figlio del capo villaggio sposerà Camilla Fabiana e...»

Lucilla sgranò gli occhi. «Camilla Fabiana?» sibilò incredula.

Lidia sbiancò. Quella era forse un'informazione che avrebbe fatto meglio a tenere per sé: la sua amica era una ragazza adorabile, ma non era esattamente famosa per la sua capacità di mantenere i segreti. «Sì, ma non dirlo a nessuno, ti prego!» pigolò giungendo istintivamente le mani in un gesto di supplica. «Se tu non ne sapevi niente, è probabile che non vogliono che si sappia in giro.»

La ragazza bionda annuì con aria risoluta. «Non lo dico a nessuno, promesso. Mi piace spettegolare, ma sono capace di tenermi per me le cose davvero importanti.»

Lidia tirò un sospiro di sollievo. «Grazie.»

Lucilla fece un saltello eccitato e le afferrò le mani. «Però, davvero, Camilla Fabiana! Questa è una cosa grossa, Lidia! Oh, cosa darei per poter vedere la sua faccia nel momento in cui le dicono che dovrà sposare un germano! Credi che lo sappia già?»

«Non ne ho idea» sbuffò Lidia.

Lucilla parve rendersi conto di avere nuovamente dirottato il discorso. «E tu?» chiese, tornando a concentrarsi sull'amica. «Cosa c'entri tu in tutto questo?»

«Eh, pare che prima vogliano fare una prova con me. Mi fanno sposare il figlio di uno degli uomini di questo capo villaggio, e se va tutto bene dopo un po' mandano su anche Camilla.»

Lucilla annuì. «Be', sembra una cosa importante. È bello che abbiano pensato a te, no?»

Lidia strabuzzò gli occhi. «Bello?!»

«Non bello-bello!» si affrettò a specificare Lucilla. «Cioè, ovviamente è uno schifo che ci spostino da una parte all'altra dell'impero come se fossimo vacche, però è comunque un riconoscimento per te e per la tua famiglia che abbiano scelto proprio te, tra tutte le ragazze nobili di Roma. In un certo senso è un onore, no?»

«In effetti mio padre sembrava piuttosto onorato da questa faccenda» riconobbe amaramente Lidia.

«E tu non lo sei?» chiese cautamente Lucilla.

«A me non me ne importa niente dell'onore o della politica o dell'argento che c'è a Erding!» sbottò la ragazza bruna, sentendo di nuovo la disperazione montarle nel petto. «Io volevo solo sposare Tito!»

L'altra ragazza sospirò e le passò affettuosamente un braccio attorno alle spalle. «Ah, già. Scusami. Tendo sempre a dimenticarmi che tu avevi Tito.»

«Io ho Tito» la corresse istintivamente Lidia.

Lucilla corrugò la fronte. «Non più. Sei ancora a Roma, è vero, ma non si può disobbedire a un ordine dell'Imperatore.»

Questo lo dici tu, pensò Lidia, ma non osò dirlo. Non ancora. «Be', non sono ancora sposata, quindi mi piace pensare che il mio fidanzamento sia ancora valido.»

La sua amica storse le labbra. «Non sono sicura che questo sia il modo migliore per affrontare la cosa» mormorò. «Io non sono mai stata fidanzata, quindi è probabile che non sappia quello che stai provando tu, ma secondo me prima accetti la realtà e meglio è.»

«Cosa vuoi dire?»

«Capisco che tu vuoi bene a Tito, ma devi sforzarti di guardare avanti. In fin dei conti non avevi comunque scelto tu di sposarlo, no?»

«No, ma che importa?» ribatté Lidia. «Alla fine mi sono innamorata di lui, quindi il fatto che sia stato mio padre a sceglierlo per me è irrilevante.»

«Non ti dico che devi dimenticare Tito da un giorno all'altro», replicò Lucilla, «però credo che dovresti prendere in considerazione il fatto che magari col tempo potresti innamorarti anche del tuo nuovo marito. Se ti è successo una volta potrebbe succedere anche una seconda, no?»

«Anche mio padre mi ha detto una cosa del genere» disse sarcastica Lidia.

Lucilla levò gli occhi al cielo. «Oh, Dei, lungi da me essere d'accordo con il Senatore, però questa volta un po' di ragione ce l'ha. Anche se è ingiusto, in questa faccenda non abbiamo voce in capitolo. L'unica cosa che possiamo fare è cercare di non partire prevenute.»

Lidia inarcò le sopracciglia. «Tu non hai pregiudizi?»

La ragazza bionda le rivolse un mezzo sorriso. «Cerco di non averne e di vedere piuttosto il tutto come un'opportunità. Non ti nego che Roma iniziava a starmi stretta.»

«E credi che un minuscolo villaggio in mezzo alle montagne non ti starà stretto?»

Lucilla si strinse nelle spalle. «Non lo so. Non sto parlando di spazi fisici, ma di possibilità. Cosa mi aspettava a Roma? Sarei diventata la moglie di qualche vecchio soldato, esattamente come mia madre. Io voglio bene a mio padre, ma gli uomini come lui scarseggiano nell'esercito. Le possibilità che mi avrebbero fatto sposare esattamente il tipo di uomo che detesto erano concrete. Invece la Germania è l'ignoto. L'imprevisto. Una specie di sorpresa da scoprire.»

«Potrebbe rivelarsi una pessima sorpresa» commentò Lidia.

«O magari potrebbe essere una sorpresa bellissima.»

Lidia sorrise appena, stupita per l'ennesima volta dal fatto che lei e Lucilla fossero così amiche pur essendo così innegabilmente diverse.

La loro non era una semplice diversità fisica, benché Lucilla fosse bionda e luminosa come un raggio di sole e Lidia piccola e scura: ciò che le rendeva diametralmente opposte era il loro carattere. Se Lucilla era infatti in grado di trovare un aspetto positivo anche nelle situazioni più difficili, Lidia era perennemente avvolta da un'aura di pessimismo. Lucilla era tanto estroversa quanto Lidia era riservata, e se la ragazza bruna tendeva a tenersi dentro paure e risentimenti, covandoli fino a quando questi non rischiavano di soffocarla, gli umori della bionda erano esplosivi: Lucilla era in grado di passare dalla gioia alla rabbia in un battito di ciglia, salvo poi tornare a sorridere pochi minuti più tardi.

Lidia la invidiava: aveva il sospetto che la sua amica non avesse la sua stessa tendenza a complicarsi inutilmente la vita. Ciononostante, l'atteggiamento disinvolto di Lucilla le sembrava un po' eccessivo.

«Spero che tu abbia ragione» mormorò senza incontrare il suo sguardo. Lo spero per te, aggiunse poi silenziosamente. Perché la cosa non la riguardava più di tanto, dal momento che in Germania lei ci sarebbe rimasta poco: più si avvicinava la data della partenza e più il piano di Tito le sembrava attraente.

«Be', se non altro il mio futuro marito non sarà un soldato» commentò Lucilla arrotolandosi attorno all'indice un ricciolo biondo. «Ho chiesto a mio padre di raccontarmi qualcosa di lui, ma in realtà non è stato in grado di dirmi un granché. So solo che ha un paio di anni in più di noi e che fa il pastore, il che pare che da quelle parti sia una cosa positiva.»

Lidia inarcò le sopracciglia. «Il pastore» ripeté. Non aveva una grande esperienza in materia di animali da fattoria, ma di una cosa era sicura: non sarebbe mai stata in grado di sopportare un marito che puzzava di sterco di vacca, lei.

«Eh, già. Ha qualche centinaio di capre» confermò Lucilla con una smorfietta.

Lidia non riuscì a trattenere una risata. «Una vera fortuna, Lù. E come funzionerà il vostro matrimonio? Dovrai anche tu mungere le capre? Fare il formaggio? Spazzare la stalla?»

Anche la ragazza bionda ridacchiò. «E chi lo sa! Se non altro potrò coccolare i capretti, però.»

«Certo. Prima che il germano li faccia allo spiedo, s'intende.»

Lucilla sbuffò rumorosamente. «Mamma mia, come sei noiosa!» Poi sorrise. «E comunque lo sai qual è la cosa più divertente?»

Il buon umore dell'amica stava alleviando un po' il suo turbamento, quindi Lidia le rivolse un sorriso complice. «No. Qual è?»

«Il suo nome. Senti un po': si chiama Ekbert. Ekbert! Non sembra uno starnuto?»

Lidia si rigirò quella parola in bocca, assaporandone il suono. «Ek-bert. Sì, un pochino sì, in effetti.»

Lucilla sospirò in modo teatrale e poi si lasciò ricadere sul letto. «E va be'. Prima o poi ci farò l'abitudine. Il tuo invece come si chiama?»

Sulle prime Lidia non capì. «Il... mio?»

La sua amica alzò gli occhi al cielo. «Ma sì, il tuo fidanzato! Come si chiama il tuo, di germano?»

Lidia si incupì e abbassò gli occhi sulle proprie ginocchia. «A parte che non è il mio germano», mugugnò, «di lui non so nulla se non il fatto che è il figlio di uno degli uomini vicini al capo villaggio. Mio padre non mi ha spiegato altro.»

Lucilla si rimise a sedere. «Ma è assurdo!» sbottò. «Il Senatore ha sicuramente qualche informazione in più. D'accordo, non può rifiutarsi di mandarti a Erding, ma almeno che ti spieghi qualcosina in più, no?»

Lidia fece le spallucce. «In realtà non mi interessa sapere niente di più.»

«In che senso?» fece la sua amica corrugando la fronte.

La ragazza bruna si mordicchiò le labbra. «Non lo so. Probabilmente è una cosa stupida, ma meno ne so e meno questa faccenda mi sembra reale.»

«Confermo: è una cosa stupida» fece Lucilla.

Lidia si strinse di nuovo nelle spalle. «Be', comunque a me del germano e della Germania non me ne frega niente. Non mi interessa farmelo amico e non mi interessa sapere niente di lui.»

Lucilla sospirò e le prese una mano nelle sue. «Sì, però così ti complichi la vita, Lidia. Non vuoi andare in Germania, l'abbiamo capito. Però non puoi nemmeno evitarlo. Non è giusto, ma è così. Prima ti rassegni all'idea e prima ti convinci a creare un rapporto quantomeno decente con lui, e prima la smetterai di stare così male.»

Lidia strinse i denti, resistendo all'impulso di mordersi la lingua. Sì, lo sapeva, che avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa, ma quella era Lucilla, la sua migliore amica. Non ce la faceva a trattenersi. «Posso dirti una cosa?» chiese, abbassando istintivamente la voce.

Negli occhi azzurri di Lucilla si accese una luce di eccitazione. «Ovvio.»

Lidia deglutì e lanciò un'occhiata nervosa alla porta, temendo che qualcuno fosse in ascolto dall'altra parte. Non udendo nessun rumore, sussurrò: «Tito ha detto che verrà a prendermi.»

La sua amica la guardò senza capire. «Eh?»

«Verrà a prendermi» ripeté Lidia a voce appena un po' più alta.

Lucilla sbatté un paio di volte gli occhi. «Ti prego, dimmi che stai scherzando.»

Lidia si accigliò. «Ma no. Ti sembra un argomento su cui scherzare?»

L'altra ragazza gemette e si nascose il volto tra le mani. «Voi siete pazzi! Completamente fuori di testa. Come accidenti pensi che possa fare Tito, che per quanto ne so non è mai uscito da Roma, a venire in Germania e a portarti via da un marito che verosimilmente non avrà nessuna intenzione di lasciarti andare? Sfidando un ordine dell'Imperatore, oltretutto!»

Lidia si torse le mani. Lucilla aveva ragione, eppure... «Lo so, è quello che gli ho detto anch'io, ma lui sembra davvero convinto. Dice che ha degli amici legionari che sono di stanza a Erding, e secondo lui sarebbero disposti ad aiutarlo.»

«Ma aiutarlo a fare che!» sbottò Lucilla. «Anche ammesso che riuscisse a portarti via, non potreste mica tornare a Roma.»

«Lo so, lo so», sospirò Lidia, «ma Tito ha detto che ci pensa lui. Gli servono un paio di mesi per organizzare il tutto, ma quest'estate mi raggiungerà a Erding e scapperemo via.»

Lucilla la guardò dritta negli occhi. «Mi sembra un perfetto modo per farsi ammazzare» commentò. «Questo è il genere di cose che funziona nei libri, non nella vita reale.»

«Non eri tu quella che fino a un attimo fa decantava le avventure che potremo vivere in Germania?» la rimbeccò Lidia. «Anche quella che propone Tito sarebbe una fantastica avventura.»

Lucilla però non si lasciò sviare. «Lidia. . Tu pensi davvero che tu e lui, due ragazzini, possiate fare una roba del genere e vivere per sempre in clandestinità, lontani da tutto e da tutti?»

Lidia deglutì. «No» ammise dopo un po'. Se la metteva così, la cosa suonava davvero assurda. Ma era ovvio che parecchi dettagli dovessero essere ancora definiti, no? Una volta perfezionato, il piano di Tito sarebbe risultato fattibile. Forse.

«Ecco» annuì Lucilla. «E allora lascia perdere Tito e le sue farneticazioni e concentrati sull'ambientarti al meglio in Germania e a ottenere qualcosa di positivo da una situazione antipatica. Dimostriamo alle nostre famiglie e all'Imperatore che possiamo essere felici anche là, nonostante tutto.»

Anche se avrebbe voluto ribattere, Lidia vi rinunciò: era chiaro che l'amica non l'avrebbe sostenuta nei suoi progetti di fuga. «Forse hai ragione» disse allora, anche se in realtà non era affatto convinta che fosse così. «Però non parlerai a nessuno dei progetti di Tito, vero?»

«Ma certo che no» sbuffò Lucilla. «Voglio solo che ti lasci in pace e che non ti coinvolga nei suoi stupidi piani: non lo voglio vedere in prigione o morto.»

«Hm, grazie» annuì Lidia. Aveva sempre avuto l'impressione che Lucilla non fosse una grande estimatrice di Tito, e quella conversazione stava confermando i suoi sospetti.

Balzando improvvisamente in piedi, Lucilla allungò una mano a Lidia, che l'afferrò d'istinto.

«Benissimo» disse la ragazza bionda. «Detto questo, direi che sei rimasta fin troppo tempo in questa stanza.»

Lidia gemette. «Non ho voglia di uscire.»

«E invece esci lo stesso» ribatté la sua amica, irremovibile. «Sono gli ultimi giorni che possiamo goderci il clima romano: ho come l'impressione che in Germania ce lo sogneremo, questo sole. Coraggio: andiamo almeno in giardino.»

Lidia accennò una mezza protesta, pensando che in giardino avrebbe corso il rischio di incrociare i suoi genitori. Ma prima che potesse articolare una frase di senso compiuto, Lucilla l'aveva già trascinata fuori dalla stanza.

   
 
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