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Autore: Cassidy_Redwyne    15/04/2024    0 recensioni
1988. L'estate è cominciata e per la quindicenne Cecilia e la cugina Wilhelmina "Mina" non esiste miglior posto dove trascorrerla del campo estivo del Gallant Ranch, in mezzo ai loro amati cavalli.
Mentre la vivace Mina cerca a tutti i costi di dimostrare il suo talento come amazzone, Cecilia si innamora a prima vista di Calcifer, un cavallino che nessuno vuole più montare, e cerca di riscattarlo nonostante tutti, al ranch, tentino di dissuaderla. Ma le due settimane trascorse lì potrebbero cambiare per sempre la vita dell'ingenua e timida ragazzina, cresciuta in un solitario ranch nel Nevada, nel bene e nel male. Imparerà a sue spese che molte persone del ranch non sono come appaiono, come un affascinante istruttore di surf che non vuole avere nulla a che fare con i cavalli, tantomeno con Calcifer...
[note: un bel po' di gergo equestre!]
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DAY II
 

Every breath you take and every move you make
Every bond you break, every step you take, I'll be watching you
Every single day and every word you say
Every game you play, every night you stay, I'll be watching you

(Every Breath You Take, The Police, 1983)
 

«Ehi, Cecilia.»

Mina osservò la cugina alzare gli occhi dai pancakes che quella mattina avevano per colazione e incrociare lo sguardo di Francine.

La donna le aveva raggiunte al tavolo, lasciato sgombro da Helen e Catherine, che erano tornate un attimo in camera. Dopo un momento, i suoi occhi si spostarono su di lei.

«Ciao anche a te, Mina. Posso sedermi un momento qui con voi?»

«Certo» si affrettò a dire lei, dopo un attimo di esitazione.

L'aveva notato di nuovo. A volte era più evidente, altre meno, e Mina si chiese distrattamente se anche Celia se ne fosse accorta.

C'era qualcosa sul fondo degli occhi di Francine, oltre la sua espressione boriosa e gentile. Come se quella non fosse che una maschera, una fragile maschera che di tanto in tanto s'incrinava e in guizzo lasciava intravedere cosa c'era al di sotto. E Mina per un attimo lo aveva scorto, quello che c'era al di sotto, e ne aveva avuto paura. Perché negli occhi vivaci di Francine sembrava celarsi un enorme dolore.

Celia intanto continuava a fissarla, visibilmente perplessa dalla sua richiesta di sedersi lì con loro. A Mina cadde l'occhio sul foglietto che la donna si stava stropicciando tra le mani e capì in un lampo.

«Ian mi ha detto che hai avuto problemi con Black Beauty, ieri» proruppe, fissando Celia dritta negli occhi.

Francine parlava sempre con franchezza, al pari di Ian, ma senza l'insolenza del padre. Mina l'aveva sempre ammirata, per quello e una dozzina di altri motivi.

La cugina boccheggiò e le sue gote si colorarono. Mina sapeva che quella era un'ingiustizia bella e buona, perché Ian aveva frainteso il comportamento di Celia mentre galoppava con Black Beauty, ma conosceva la cugina come le proprie tasche. Sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di ribattere e avrebbe incassato il colpo, come sempre.

«Per questo ho pensato di darti un cavallo un po' più tranquillo, oggi. Più adatto per chi è alle prime armi» proseguì la donna, penetrando il suo silenzio.

Quando vide la cugina abbassare gli occhi sui suoi pancakes, perché Francine non notasse le lacrime che avevano fatto capolino tra le sue ciglia, Mina non ci vide più.

«Celia non è alle prime armi» esclamò. Francine si voltò di colpo a guardarla. «A casa lei sta addestrando un puledro. Non è vero, Celia?»

La cugina alzò gli occhi e le rivolse un sorriso riconoscente. Mina sorrise a sua volta.

«Sì, è così» rispose Celia, il tono di voce più sicuro mentre ricambiava lo sguardo di Francine.

«A volte uno con un cavallo non ci si trova e basta» concluse Mina, facendo spallucce.

Lei e Miss ne erano l'esempio lampante, nonostante Francine avesse spesso la brillante idea di affibbiargliela. Quando era Ed ad assegnare i cavalli, non succedeva mai.

«Va bene, va bene» fece Francine, sorridendo. Sembrava aver intuito che alla base doveva esserci stato un malinteso con Ian. «Per oggi però rimaniamo così. Celia, tu con Goldrush, mentre a te, Mina, ho assegnato Countess. Va bene?»

Gli occhi di Mina si illuminarono. «Perfetto!» disse.

 

Non appena Francine le aveva dato quell'ottima notizia, Mina era corsa ai boxes, lasciando la cugina nelle mani di Helen e Catherine. Si sentiva vagamente in colpa al pensiero di averla completamente abbandonata a se stessa, ma si disse che alla cugina avrebbe fatto sicuramente un gran bene rimanere in compagnia delle due ragazze.

Celia si era sempre trovata molto più a suo agio con le cifre che con le persone e Mina era dell'idea che avesse davvero bisogno di sbloccarsi un po', timidissima com'era. Le loro compagne di bungalow, oltretutto, le erano parse davvero carine, Helen con quella parlantina che le ricordava un po' la sua e Catherine, più timida e riflessiva – proprio come Celia! – ma amichevole quanto l'altra. In un soffio, Mina ricordò di quel gioco di sguardi a cui aveva assistito il giorno prima e si domandò se lo avesse solo immaginato. Scrollò le spalle. Dopotutto, non è che le importasse granché. Diamine, stava per montare Countess!

Quando arrivò correndo nei boxes, scoprì da Ian che Countess era in paddock e si diresse a passo rapido verso l'uscita. Stava per incamminarsi lungo il sentiero, quando un movimento a destra del suo campo visivo attirò la sua attenzione, costringendola a voltarsi. Ed si stava allenando nel campo ostacoli.

Vinta dalla curiosità, si avvicinò piano alla staccionata e guardò al di là di essa, dove il ragazzo e un'imponente cavalla morella, dal manto lucido e una lista bianca sul muso, stavano affrontando un percorso ad ostacoli.

Ed montava in un modo davvero invidiabile, pensò Mina. Era sciolto sulla sella e assecondava con il bacino ogni – enorme – falcata della cavalla, come se fossero stati uniti da qualcosa di molto più profondo di un paio di redini.

Il ragazzo condusse la sua cavalcatura sul primo degli ostacoli, un oxer che ad occhio doveva essere sui centoventi centimetri, e i due lo superarono con un balzo, apparentemente senza alcuno sforzo. Ed si chinò con un gesto aggraziato sul collo dell'animale e l'attimo dopo era di nuovo seduto in sella, che indirizzava la cavalla sul prossimo ostacolo, il primo elemento di una doppia gabbia, con un lento galoppo cadenzato.

Dopo aver superato la combinazione come se si fosse trattata di un paio di barriere, Ed concluse il percorso volando sopra un verticale. Quando la cavalla tornò con tutt'e quattro le zampe a terra, Ed si congratulò con lei, dandole delle poderose carezze sul collo e fu a quel punto, passando in rassegna il campo con lo sguardo, che la vide.

«Ehi, Mina!»

Lei agitò una mano nella sua direzione. «Ciao!» Spostando lo sguardo sulla cavalla, aggiunse: «Quella chi è?»

I due si stavano avvicinando alla staccionata e, nel sentire la domanda, un'ombra di confusione attraversò per un attimo lo sguardo di Ed, subito sostituita da un lampo di consapevolezza.

«Ah, già!» esclamò. «È arrivata quest'inverno, tu non l'avevi ancora vista. È Barbara Ann.»

«Ed è tua?» si affrettò a chiedere Mina, osservando la magnifica cavalla.

«Certo» rispose lui, come se lei gli avesse appena chiesto se Francine era sua madre.

Mina si sforzò di ricacciare dentro di sé una fastidiosa sensazione che le si era affacciata alla bocca dello stomaco.

«Barbara Ann?» ripeté poi con aria meditabonda, sperando che lui non si fosse accorto di nulla. «Che razza di nome è?»

Ed scoppiò a ridere. «Porta un po' di rispetto per i Beach Boys, Wilhelmina.»

Mina levò gli occhi al cielo. Da quando Ed aveva scoperto che lei non aveva molta simpatia per il suo nome, si divertiva a punzecchiarla.

«Comunque puoi chiamarla Baba. Ho come il sospetto che anche lei preferisca il suo soprannome» proseguì lui, sogghignando. Dopo un momento, abbandonato il suo sorrisetto e scoccatole uno sguardo esitante, aggiunse: «Se vuoi puoi montarla, stamattina. Io ho finito, devo andare a dare una mano a Vera con il gruppo dei mounted games

Mina deglutì, osservando quella magnifica cavalla morella, che gridava soldi da ogni crine, il muso che era più lungo del suo braccio. Il tono quasi indifferente di Ed nel dire che era sua, come se stesse parlando di un paio di calzini.

«No, grazie» mormorò, chiedendosi se anche lei avrebbe mai provato quella sensazione.

 

«Sguardo fiero, mi raccomando, Celia» esclamò Helen, allungandole una gomitata, mentre entravano nei boxes. «Ian, non ti temiamo!»

Celia ridacchiò nervosamente. «Ci proverò.»

Quando Mina le aveva detto che si sarebbe avviata da sola ai boxes, dopo colazione, lei si era sentita raggelare. Era contenta che la cugina potesse montare quella che era da sempre la sua cavalla preferita del Gallant Ranch ed era comprensibile che volesse passarci quanto più tempo possibile, ma l'idea di rimanere sola con Helen e Catherine per Cecilia era una prospettiva da incubo. Certo, erano simpatiche e piuttosto gentili nei suoi confronti, ma avrebbe dovuto farci conversazione per tutto il tragitto fino ai boxes. Era quanto di più terribile riuscisse ad immaginare.

«Guarda che non ti mangiano mica» le aveva detto Mina, prima di sparire.

E no, effettivamente non l'avevano mangiata.

Anzi, Celia si scoprì ad apprezzare la compagnia delle due ragazze. Avevano stilato con lei una serie di tattiche con cui far fronte ad Ian – lo sguardo fiero rientrava tra di esse – ed erano vivaci, scherzose e riuscivano incredibilmente a mettere Celia a suo agio. Non aveva bisogno di arrovellarsi nel pensare a qualcosa da dire per non fare la figura dell'idiota: in loro presenza si sentiva spontanea e le parole le uscivano di bocca senza che avesse bisogno di pensarci su.

«Ieri hai montato Goldrush, giusto?» chiese Celia a Catherine.

«Sì» fece lei, a cui quel giorno era stato assegnato proprio Black Beauty. «È molto bravo, anche se un po' vecchiotto.»

«Sai che era il cavallo da salto di Ian?» intervenne Helen.

Celia sgranò gli occhi. «Sul serio?»

«Già. Gli è molto affezionato.»

Celia deglutì. Aveva come il sospetto che quella lezione non sarebbe stata diversa dalla precedente.

All'altezza del decimo box, le ragazze si separarono. Quella mattina, infatti, Goldrush si trovava nei boxes, mentre Black Beauty e Eagle erano fuori nei paddock.

Celia era sul punto di entrare nel box di Goldrush – l'ottavo – quando uno scalpiccio di zoccoli e un grido attirarono la sua attenzione.

«Merda!»

Il box accanto al suo venne aperto di schianto e ne uscì Alice, trafelata, trascinandosi dietro Zar per la capezza. In mano, Celia notò che aveva una lunghina rosa arrotolata fra le dita, il moschettone chiuso nel palmo.

Guardandosi freneticamente intorno, lo sguardo della ragazza si posò su di lei.

«Cecilia!» esclamò, illuminandosi.

Celia, dal canto suo, corrugò la fronte. Non credeva neanche che Alice si ricordasse il suo nome.

«Puoi tenermi Zar un attimo? Mi si è rotto il moschettone della lunghina, devo andare a prenderne un'altra.»

«Certo» mormorò lei, afferrando la corda che Alice le stava porgendo.

Celia osservò la figura slanciata della ragazza attraversare il corridoio tra le due file di box, per poi sparire in selleria, e si ritrovò a pensare quanto fosse bella, con i ricci mori che le ondeggiavano sulle spalle e il fisico magro e longilineo. Sembrava uscita da una rivista pubblicitaria.

«Grazie mille per l'aiuto» le disse sorridendo, quando fu di ritorno, almeno una decina di minuti dopo.

«Figurati» rispose Celia. Sentì che anche i suoi lineamenti si stavano distendendo in un sorriso. «È così bello» aggiunse, lanciando un'occhiata al meraviglioso pony grigio.

«Da quanto ce l'hai?» domandò, dopo aver riflettuto un attimo se porre quella domanda o meno.

«Da due anni» rispose Alice. «Vedi...»

«Celia!»

La voce di Mina la riscosse bruscamente e Celia si voltò in direzione dell'uscita, dal quale era appena spuntata la cugina, con Countess al fianco.

Dopo essersi scusata con Alice, la ragazza si avviò verso di lei, avendo percepito una nota d'urgenza nella sua voce.

«Che c'è?» le chiese, perplessa, vedendo che Mina aveva cominciato a legare Countess alla stessa staccionata dove avevano sistemato i cavalli, il giorno prima, e non sembrava avere alcun bisogno d'aiuto.

«Ma che stai facendo?!» l'aggredì la cugina, voltandosi di colpo verso di lei. Si sforzava di parlare a bassa voce, mentre lanciava delle occhiate in direzione di Alice.

Celia inarcò le sopracciglia, presa in contropiede da quella reazione. In presenza di quelle ragazze, Mina diventava un'altra persona e lei stentava a riconoscerla.

«Le stavo solo dando una mano» rispose, perplessa.

«Non dare confidenza a quella lì» mormorò Mina, continuando a guardare storto la ragazza, che nel frattempo aveva iniziato a strigliare Zar. «Fidati di me.»

Celia annuì distrattamente, ma in cuor suo credeva che sua cugina stesse esagerando. A dirla tutta, Alice era stata gentile con lei, sicuramente più di quanto lo erano state le gemelle.

«E poi, cosa stai aspettando a prendere Goldrush?» riprese Mina, inchiodandola con lo sguardo. «Se Ian ti becca a non fare nulla sono guai!»

«Sì, giusto!» rispose Celia, riscuotendosi di colpo.

Almeno su quello sua cugina aveva dannatamente ragione, pensò, mentre si dirigeva correndo verso il box del sauro.

 

Mina lasciò che Countess allungasse il muso verso Dragon, il quale aveva proteso a sua volta il capo verso di lei per poterla annusare meglio.

«Si piacciono!» commentò Joan, ridacchiando.

Mina annuì, pensierosa. Countess era solita comportarsi come una vera primadonna con gli altri cavalli ed era una rarità che si mostrasse così socievole.

«Direi che possiamo rimandare le effusioni a più tardi» fece Ian, spuntando tra i due bai. Allontanò piuttosto sgarbatamente le teste dei due animali e Mina scosse la testa, rassegnata e divertita al tempo stesso. Dubitava che Ian sarebbe mai cambiato.

Quella mattina l'istruttore aveva annunciato loro che avrebbero fatto salto ostacoli. Mina aveva subito lanciato un'occhiata in direzione di Celia, alla quale sembrava fosse stato annunciata una morte particolarmente dolorosa, e sospirò rumorosamente, sperando che se la cavasse. Era da quando aveva nove anni che non saltava un ostacolo, se si escludevano i tronchi d'albero e i fossati della sua campagna, ma poteva sempre contare sull'esperienza di Goldrush. Così, almeno, sperava Mina.

Ian collocò lei e Countess in seconda posizione, dietro Zar, alla cui padrona Mina scoccò un'occhiata d'odio, anche se lei, voltata di spalle, non poteva certo vederla. Se ripensava a come aveva adescato sua cugina, poco prima, le ribolliva il sangue. Era lampante che le stesse tendendo una trappola e non riusciva a capire come Celia non potesse rendersene conto. Geniale sì, ma a volte sua cugina era ingenua come una bambina.

Dopo averle fatte riscaldare con svariati giri di trotto e galoppo – e aver lanciato loro qualche improperio, perlopiù rivolto a Celia – Ian posizionò delle barriere a terra e disse loro di passarci sopra stando sollevati sulla sella.

L'ordine dei cavalli era lo stesso di prima e Mina attese con un velo di impazienza che Alice e il suo grigio fossero passate sopra le barriere, per poi condurvi Countess al piccolo trotto.

Quando qualcuno svolgeva un esercizio correttamente, Ian non si sperticava mai di lodi né diceva alcunché. Ma il «mpf» (il massimo del suo apprezzamento) che gli sfuggì dalle labbra quando lei e Countess ebbero concluso l'esercizio fu musica per le orecchie di Mina.

Fin da quando aveva ricordo, Mina aveva sempre dovuto farsi un gran culo, nel mondo dell'equitazione. Nessuno le aveva mai regalato niente.

Era cresciuta insieme alla cugina nel ranch di famiglia, tra le montagne della Sierra Nevada, e lì aveva appreso i primi rudimenti dell'equitazione, insegnati loro da suo zio, il padre di Celia. Ma poi, tre anni prima, era cambiato tutto.

Sua madre aveva deciso di darci un taglio con quella vita, fatta di grandi sacrifici e ben poche soddisfazioni, e si era trasferita al sud con il papà, portandola via dal ranch, da quella cugina che per lei era come una sorella. Era ancora una ferita aperta nel cuore di Mina.

Aveva continuato ad andare a cavallo, perché non poteva farne a meno, ma aveva dovuto fare i conti con quel mondo dell'equitazione lussuoso e patinato che le era del tutto estraneo, in cui tutto ciò che contava era l'apparenza. Solo che lei non aveva alcuna intenzione di piegarsi a loro.

Aveva perso il conto dei maneggi che le avevano sbattuto la porta in faccia, dicendole che non le avrebbero più permesso di fare lezione se non avesse iniziato a indossare dei veri pantaloni di equitazione al posto dei jeans, se non si fosse messa gli speroni come tutti gli altri, ma soprattutto le ghette, che per lei erano quanto di più scomodo ci fosse al mondo. Per non parlare di sua madre, che non riusciva a capire come mai sua figlia non si fosse adeguata alla loro nuova vita di città, come mai fosse rimasta una ragazzotta di campagna un po' rozza, come se la faccenda dell'equitazione fosse solo un capriccio, e non fondamentale quanto l'aria che respirava.

Era sempre stata una strada in salita per Mina. Non aveva le ghette, l'eleganza, i soldi, figurarsi un cavallo. Ma aveva il talento.

E Ian, del Gallant Ranch, era stato il primo a notarlo.

Per questo Mina non poteva che volergli bene, malgrado il suo pessimo carattere. Sapeva che lui andava oltre certe cose, lacerava l'apparenza come se la prendesse a scudisciate. Sapeva che per lui non era il soldo a renderli cavalieri: ai suoi occhi erano tutti uguali. Lei ed Alice potevano essere come il giorno e la notte, una figlia di una contadina che aveva invano tentato di riscattarsi e l'altra figlia di un ricco allenatore di cavalli da salto, ma in quel campo erano esattamente alla pari. Quel campo, forse, era l'unico posto in cui Mina avrebbe potuto batterla.

Per questo non aveva dubbi. Potevano non essere partiti con il piede giusto, ma Mina sentiva che presto o tardi Ian avrebbe capito di che pasta era fatta Celia, e l'avrebbe apprezzata tanto quanto lei.

 

Ian adocchiò subito Celia quando lei e gli altri si fermarono al centro del campo, dopo essere passati sulle barriere al trotto sollevato.

«Ehi jockey, come andiamo oggi?»

Celia non replicò, limitandosi ad abbassare gli occhi sulle proprie mani che, tremanti, impugnavano le redini di Goldrush. Le sue guance erano bollenti.

«Le staffe sono giuste, stamattina?» riprese Ian, lungi dal lasciarla in pace.

«Sì» bofonchiò lei, senza guardarlo.

Sentiva su di sé gli sguardi a metà tra il divertito e il compassionevole degli altri e quello, insieme alla prospettiva che da quella mattina si sarebbero dedicati al salto ostacoli, la turbava non poco. In compenso, però, fino a quel momento si era trovata piuttosto bene con Goldrush. Era molto tranquillo e, anzi, lo aveva dovuto "svegliare" diverse volte con le gambe, fino a che Ian non le aveva consegnato un frustino. Con la sua mole e il suo atteggiamento placido, trasmetteva a Celia un grande senso di sicurezza. Sicurezza che, in ogni caso, vacillò quando Ian iniziò a montare gli ostacoli del piccolo percorso.

«Partiremo dalle basi» stava dicendo, mentre sollevava le barriere a formare una crocetta. «L'obbiettivo è portarvi, entro la fine della settimana, a completare un percorso piuttosto complicato, come quello che fareste in un concorso. Tra di voi c'è già chi è in grado di farlo e chi no...» Celia pregò di essersi solo immaginata l'occhiata rivolta a lei che Ian fece seguire a quelle parole. «...ma il mio compito è portarvi pressappoco tutti allo stesso livello.» Dopo una pausa, aggiunse, sospirando: «Il che sarà dannatamente difficile.»

Celia si era già psicologicamente preparata all'essere scelta come cavia del piccolo percorso – composto da quattro ostacoli, rispettivamente due crocette e due verticali – ma, con suo enorme sollievo, Ian chiamò Summer per prima sulla pista.

La ragazza era in sella alla pony palomina che aveva montato anche il giorno precedente e che Celia aveva scoperto essere di sua proprietà. Il suo nome era Bumblebee, anche se Summer si riferiva sempre a lei chiamandola affettuosamente Bee.

Il binomio affrontò il basilare percorso senza alcuna difficoltà e, al termine di esso, Ian non disse nulla: Celia sapeva dalla cugina che, se il burbero istruttore non apriva bocca alla fine di un esercizio, era perché non aveva nulla da ridire al riguardo. In conclusione, un ottimo segno.

Dopo fu il turno di Helen e Eagle, anch'esse impeccabili, poi Chris con Pepper, che planò sui piccoli ostacoli come se fossero stati di centotrenta centimetri ciascuno, infine... lei.

Quando udì Ian urlare "Goldrush!" lo stomaco le sprofondò negli stivali e fu con autentico terrore che indirizzò il grosso sauro lungo la pista, il quale, dal canto suo, sembrava tranquillo come suo solito. Celia cercava di non farsi prendere dal panico, ripetendosi come in una nenia che dopotutto saltare per i cavalli era un gesto naturale e lei non avrebbe dovuto fare altro che assecondare i movimenti di Goldrush. Al resto avrebbe pensato lui.

Spronò il sauro al galoppo nell'angolo e lo indirizzò verso la prima delle crocette, che svettava dritta di fronte a loro. Malgrado fosse alta una cinquantina di centimetri appena e la stazza di Goldrush non fosse indifferente, a Celia parve comunque piuttosto imponente.

«Meno rigida in sella!» le gridò Ian.

Lei cercò di obbedire, ma la paura le irrigidiva le membra e le pareva di essere fatta di legno, mentre seguiva con difficoltà i movimenti di ricezione di Goldrush. Quando percepì gli arti del sauro raccogliersi in prossimità del salto, si sollevò sulle staffe e accompagnò il movimento dell'animale sulla crocetta.

Atterrarono senza intoppi e Celia riprese in fretta la sua posizione in sella, affrettandosi a recuperare le redini, che aveva allentato appena perché Goldrush potesse distendere l'incollatura sul salto.

Il cavallo aveva già percorso un paio delle sue ampie falcate prima che Celia si ricordasse che il verticale che dovevano affrontare dopo si trovava alla loro destra. Fece bruscamente girare Goldrush in quella direzione e si diressero galoppando verso l'ostacolo in un modo che, non poté fare a meno di notare Celia, era pericolosamente storto.

Con tutta probabilità, anche Goldrush aveva notato la stessa cosa. A pochi passi dalla battuta, infatti, piantò gli zoccoli nel terreno e si fermò di botto.

Celia volò dall'altra parte dell'ostacolo, dritta sulla sabbia del campo.

 

«Ti fa ancora male?» domandò Joan circa una mezz'ora dopo, mentre facevano pascolare i cavalli nel prato antistante i boxes, dopo aver fatto loro una rapida doccia. Dragon si era appena rotolato e il suo mantello baio scuro era cosparso di fili d'erba e terriccio, con grande felicità di Joan, che dopo avrebbe dovuto pulirlo.

«No, per niente» rispose Celia, alzando le spalle. A dire la verità si sentiva ancora un po' dolorante, anche se la vergogna, come al solito, bruciava più della botta.

Tutti l'avevano fissata come se il suo fosse stato un esilarante numero da circo, e le risatine delle gemelle e di Sharleen avevano amplificato quella sensazione. Ian stranamente non aveva infierito, ma Celia si sentiva così abbattuta e umiliata che si era rifiutata di riprovare il percorso.

«L'anno scorso, in passeggiata, sono caduta da Shiraz e sono finita nel fiume» intervenne Mina, suscitando le risate delle altre ragazze. «Te lo ricordi, Joan?»

«Oddio, sì!» fece l'altra, sghignazzando. «La caduta più epica della scorsa estate!»

«Avrei voluto vederla» commentò Catherine, ridendo.

Celia, che stava osservando Goldrush brucare, sorrise leggermente, contagiata dal divertimento delle altre.

In quel momento, una risata più acuta delle loro attirò la sua attenzione.

Alzando lo sguardo, vide che al margine del campo si erano radunati i ragazzi del mounted games, anch'essi intenti a far pascolare un po' i loro cavalli dopo la doccia. Tra tutti loro spiccava una ragazza dai lunghi capelli bruni, la stessa che Celia aveva notato a pranzo, che in quel momento stava tentando di scivolare lungo il posteriore del pony grigio chiaro che teneva alla lunghina, tra le risate degli altri.

«Ma che problemi hanno?» udì Sharleen commentare, gli occhi fissi su di loro e un'espressione vagamente disgustata sul volto.

«Vera è matta, lo sai» mormorò Alice, accanto a lei, scuotendo la testa.

Celia ipotizzò che si riferisse alla ragazza più grande degli altri, che nel frattempo era riuscita nella sua impresa dello scivolo e si stava esibendo in una serie di esagerati inchini di fronte agli altri ragazzini, che applaudivano divertiti.

«Ma loro non fanno mai lezione con noi?» domandò Celia, voltandosi verso le altre.

Joan scosse la testa. «No, mai.»

Tornata a guardarli, Celia incrociò per una frazione di secondo lo sguardo della ragazza castana, che forse si era accorta di aver attirato la loro attenzione. Colta in flagrante, Celia stava già per distogliere lo sguardo quando, contro ogni sua previsione, sul volto della ragazza comparve l'ombra di un sorriso e, dopo un attimo, sollevò una mano in un'inequivocabile cenno di saluto.

«Stanno sempre per conto loro...» proseguì Joan.

«Ma che cazzo vuole quella lì?» commentò Olga, a cui la scena non doveva essere sfuggita.

Celia ricambiò timidamente il suo cenno, gli occhi fissi in quelli della ragazza castana.

Joan scoccò un'occhiata ad Olga e sospirò. «Come dare loro torto, dopotutto?»

 

Celia allungò i piedi sulla sabbia, lasciando che i friabili granelli le si infilassero fra le dita. Accanto a lei, sotto il padiglione del Gallant Ranch, Catherine ed Helen si stavano spalmando la crema solare, Sharleen stava leggendo un libro ed Alice era stesa a prendere il sole. Mina e Joan erano andate a fare il bagno insieme a Chris, mentre le gemelle quel giorno erano state reclutate da Kate per preparare il pranzo.

Avevano portato i cavalli in paddock e si erano recate a fare un rapido tuffo prima di andare a mangiare. La spiaggia era sempre gremita e, pur trattandosi dell'ora più calda, a Celia parve affollata quanto il giorno prima. Nelle orecchie aveva il rimbombo assordante delle musichette provenienti dal luna-park.

Celia lanciò un'occhiata diffidente al mare, dritto davanti a lei. Non ne era una grande amante, oltre al fatto che, se fosse uscita sotto il sole a quell'ora, si sarebbe sicuramente beccata un'ustione. A volte si chiedeva come facessero lei e Mina ad essere imparentate, visto che la ragazza aveva già una discreta abbronzatura e sarebbe diventata bronzea verso la fine dell'estate; lei, al contrario, sarebbe rimasta sempre pallida come una morta.

«Potete prestarmi la crema solare?» chiese, rivolta ad Helen e Catherine.

Era all'ombra del padiglione, ma il sole picchiava forte anche lì e non aveva alcuna intenzione di diventare un gambero.

«Certo!» rispose Helen, lanciandogliela.

Celia la afferrò al volo con non poche difficoltà ed iniziò a spalmarsela sulle spalle, gli occhi fissi sulla linea dell'orizzonte.

La prima cosa che aveva fatto, non appena avevano messo piede in spiaggia, era stato puntare lo sguardo sulla scuola di surf, sperando di intravedervi Logan almeno per un attimo. Ma, con una punta di delusione, aveva realizzato che non c'era traccia dell'affascinante istruttore.

Si stava ormai rassegnando all'idea che fosse già andato in pausa e che non l'avrebbe visto quando, spostando lo sguardo sul mare, aveva riconosciuto un familiare costume a righe e il suo cuore aveva perso un battito.

Celia non aveva potuto fare altro che rimanere a fissare imbambolata la figura di Logan in lontananza, incurante dello scorrere del tempo e delle ragazze intorno a sé, sperando in cuor suo che loro non avessero notato cosa – o meglio, chi – aveva calamitato tutta la sua attenzione.

Logan stava facendo una lezione a due ragazze, che dall'altezza sembravano avere pressappoco la sua età e, a giudicare dai loro numerosi tuffi in acqua mentre tentavano con scarso successo di issarsi sulla tavola, dovevano essere alle prime armi.

Travolta da una sottile invidia, Celia provò un'istintiva antipatia nei loro confronti, ma ben presto la loro goffaggine suscitò la sua solidarietà. Goffaggine che non faceva che mettere in risalto l'agilità di Logan, che in quell'istante stava mostrando loro la postura corretta da assumere una volta saliti sulla tavola: il ragazzo vi si dondolava senza sforzo, come se avesse avuto i piedi incollati.

Approfittando di un'onda comparsa all'orizzonte, Logan si chinò giù, si stese sulla tavola e prese a pagaiare in quella direzione. Sotto gli occhi attenti delle due allieve, sedute a cavalcioni sulle loro tavole, e quelli altrettanto attenti di Celia, al sicuro sotto il padiglione, Logan si sospinse a forza di bracciate fino a che non raggiunse l'onda, sempre più imponente man mano che prendeva forma. A quel punto il ragazzo drizzò la schiena, si mise a sedere e girò con un rapido movimento la tavola verso il bagnasciuga.

Nel frattempo, l'onda aveva attirato l'attenzione di altri surfisti solitari, i più esperti dei quali avevano già iniziato a pagaiare a loro volta, nel tentativo di raggiungerla prima che si infrangesse.

Logan si issò in piedi sulla tavola e Celia vide che aveva gli occhi fissi sulle due ragazze, la bocca che si apriva e si chiudeva nel fare una spiegazione che lei, da quella distanza, non poteva udire. Mentre continuava a gesticolare in direzione delle sue allieve, il ragazzo si lasciò trascinare in linea retta dalla forza dell'onda, cavalcandola come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.

Celia era pietrificata dalla sua bravura. Osservandolo da quella distanza di sicurezza, compiuto da Logan con quei movimenti sicuri, quasi indifferenti, sembrava che il surf fosse davvero una bazzecola. Ma Celia era pronta a scommettere che non lo fosse affatto. Quelle due ragazze e i loro capitomboli, dopotutto, ne erano la prova lampante. Si ritrovò a pensare che, in un certo senso, fosse simile all'equitazione.

Quando cavallo e cavaliere si muovevano in sincronia, in campo, sembrava tutto così semplice, così naturale. L'animale sembrava completamente piegato al volere di chi vi era sopra.

Tutto era perfetto, alla stregua di un sogno. Eppure nessuno conosceva il prezzo di quel sogno. Quanti sacrifici, quanti pianti e quante rovinose cadute vi fossero dietro quell'apparente semplicità. Il rischio corso dal cavaliere nel riporre la propria vita nel suo cavallo ogni volta che si sedeva sulla sella e si affidava a lui, un animale che, per quanto addestrato, rimaneva sempre imprevedibile, come se non avesse mai del tutto rinunciato al suo essere libero.

E non era forse lo stesso per il mare? Selvaggio ed incontrollabile, nessun surfista poteva prevedere come si sarebbe comportato nei suoi confronti. Celia osservò Logan raggiungere la riva, gli occhiali da sole calcati sul viso e un sorriso che gli andava spuntando sul volto abbronzato, e si chiese quante ore di allenamento ci fossero dietro quei gesti esperti, quanti sacrifici e graffi sulla pelle avessero consacrato la sua bravura e la sua qualifica di istruttore.

Imprimendosi nella mente il sorriso sghembo di lui, che sembrava essere esattamente nel suo elemento, Celia si disse che, per quanti fossero stati, di certo ne doveva essere valsa la pena.

 

Celia, Mina, Helen, Catherine e Joan stavano pranzando, poco più tardi, gli occhi fissi sul loro croccante pollo fritto e la mente annebbiata dalla fame, quando un piatto lasciato rumorosamente cadere sul loro tavolo, di fronte all'ultimo posto libero rimasto, le fece trasalire di colpo.

Tutte e cinque alzarono all'unisono gli occhi sulla nuova arrivata.

«Ciao» disse Vera mettendosi a sedere, sotto gli sguardi esterrefatti delle altre.

«Ciao..?» rispose Mina, incerta.

Celia osservò con viva curiosità la ragazza, che intanto aveva preso a mangiare come se nulla fosse, uno sguardo del tutto indifferente negli occhi. Il tavolo dei mounted games, al contrario, non doveva essere preparato a quell'azione da parte della loro leader, a giudicare dalle loro espressioni stralunate. Quanto ad Alice, Sharleen e le gemelle, non si erano accorte di nulla e continuavano a chiacchierare tra loro; Chris quel giorno si era unito a loro e sedeva vicino a Sharleen, gli occhi bruni scintillanti di divertimento, mentre rideva e scherzava con la ragazza.

«Non guardatemi così» biascicò Vera, dopo un momento.

Probabilmente anche le loro facce dovevano essere il ritratto dello sbalordimento, al pari di quelle dei suoi amici.

«Ho visto che mi stavate fissando, stamattina» spiegò, facendo spallucce. Di fronte alla sua schiettezza, Celia sussultò leggermente. «Volevo solo presentarmi. Sembrate a posto, voi

Aveva pronunciato quella frase calcando molto sull'ultima parola e poi aveva lanciato una significativa occhiata al tavolo che avevano alle spalle, quello di Alice.

In quel momento Ed fece la sua comparsa dalla cucina, il suo piatto fra le mani e gli occhi speranzosi fissi sul loro tavolo. Dopo aver visto che anche quel giorno era al completo, il ragazzo si rabbuiò e, mogio mogio, andò a sedersi a quello della sopracitata.

Kate, che veniva dietro di lui, si sedette invece con Francine sul suo ormai conclamato posto sui gradini dell'ingresso.

«Lo siamo» assicurò Helen a Vera, strizzandole l'occhio. «Io sono Helen, comunque.»

«Io Veronica» rispose l'altra, accennando un vago sorriso. «Ma potete chiamarmi Vera.»

«Io sono Mina» si presentò sua cugina.

Vera assottigliò le palpebre. Sembrava stesse riflettendo. «Tu c'eri anche l'anno scorso, vero?»

Mina annuì. «Questo è il mio terzo campo estivo al ranch.»

«Mi ricordo. Monti bene» osservò lei, accentuando il sorriso.

Sua cugina sorrise di rimando e, dopo che anche Celia e Catherine si furono presentate – Joan si limitò ad osservare la scena con genuina sorpresa, come se non sapesse cosa aspettarsi – ripresero a mangiare, chiacchierando del più e del meno tra un boccone e l'altro.

«Quanti anni avete?» chiese Vera dopo un po'. Le fissava con due occhi verdi sinceramente curiosi, come se l'espressione un po' sostenuta con la quale si era seduta fosse una maschera di cui non vedeva l'ora di sbarazzarsi. «Io quattordici!»

«Quattordici?» ripeté Catherine, strabuzzando gli occhi. «Sembri molto più grande!»

«Io e Cathy ne abbiamo sedici» mormorò Helen. «Io sedici e mezzo, per la precisione.»

«Io quindici» rispose Celia, ricambiando lo sguardo di Vera.

«Diciotto» esclamò Mina in tono solenne.

Il silenzio calò per un attimo tra le ragazze.

«Mina» proruppe Helen, fissandola con tanto d'occhi. «Aspetta, hai seriamente diciotto anni?»

La cugina di Celia scoppiò a ridere fragorosamente. «Sì, come Joan!»

«No, non ci credo. Stai mentendo.»

Mina rise e levò scherzosamente gli occhi al cielo. «Me lo dicono tutti. Sembra Celia la più grande, eh?» Senza attendere risposta, aggiunse: «Dopotutto tra noi è lei quella tranquilla, pacata, coscienziosa, affidabile, responsabile...»

Celia ridacchiò. Erano esattamente i commenti che faceva sua zia quando faceva le faceva una ramanzina e metteva le due cugine a confronto, portando Celia come modello.

«Quindi vai al college, come Joan?» domandò Helen.

«Già» rispose Mina, sogghignando. «Studio pedagogia.»

«Sul serio?» esclamò Vera, fissandola. «Anche io voglio farla!»

«Sai già cosa fare all'università?» domandò Joan, divertita. «A quattordici anni?»

«Io non ne ho la più pallida idea... e ne ho sedici» borbottò Helen, contrita.

«E mezzo» fece Catherine di rimando, guadagnandosi uno spintone da parte dell'amica.

«E tu, Celia?» Gli occhi incuriositi di Vera si erano d'un tratto spostati su di lei.

Celia si sentì di colpo la bocca asciutta. Avvertiva su di sé lo sguardo penetrante di Mina, come un invito a parlare. Il cuore aveva preso a batterle all'impazzata. Poteva dirglielo? O avrebbero pensato che, visto tutto l'esercizio che faceva, era una un po' strana?

«Non lo so ancora» disse infine, abbassando gli occhi sul piatto.

 

«Non ho mai visto Vera comportarsi così» mormorò Joan mentre lei, Mina e Celia si incamminavano verso il Club House, poco dopo pranzo.

Dalla casupola proveniva musica a tutto volume e, avvicinandosi, le tre ragazze videro che, seduti sulle travi di legno, ad armeggiare con uno stereo e una dozzina di cassette – sedici, si corresse Celia, dopo un'occhiata – c'erano Ed, Alice, Sharleen, Chris, le gemelle, Catherine e... Logan, realizzò con un sussulto.

Il ragazzo era seduto vicino a Sharleen, gli occhiali da sole calcati sui capelli ancora un po' umidi. Indossava una maglia rossa sbiadita sopra il solito costume a righe e, solo nello scorgerlo, il cuore di Celia aveva preso a battere un po' più forte. Al pari degli altri, lo sguardo di Logan era fisso sulla figura che troneggiava fra tutti loro.

Helen sedeva a gambe incrociare su una delle sedie di vimini della veranda, con una benda intorno agli occhi, e gli altri la guardavano come se si aspettassero che si librasse in volo da un momento all'altro.

«Che stanno facendo?» chiese Celia, voltandosi verso Mina e Joan ma, a giudicare dalle loro espressioni perplesse, dovevano saperne quanto lei.

Gli occhi di Mina erano fissi sull'enorme radioregistratore nelle mani dei ragazzi. «Quello è il boombox di Ed» disse, a bocca aperta. «Ieri sera mi aveva detto di averlo comprato. Diamine, è gigantesco.»

In quel momento la voce squillante di Helen si sovrappose per un attimo alla musica, le prime note di un pezzo recente che Celia aveva sentito qualche volta alla radio, ma di cui non si ricordava assolutamente il nome. «Questa è facile» stava dicendo, la bocca imbronciata. «You Spin Me Round. Dead or Alive.»

«Sì, è vero, ti abbiamo aiutato un po'» ammise Ed, sogghignando, tra le risate degli altri. Premette un tasto sul radioregistratore e quello sputò fuori la musicassetta, che il ragazzo si affrettò a sostituire con un'altra.

Logan osservava la scena con attenzione, gli occhi fissi su Helen, e Celia si scoprì a provare un'emozione indefinibile, eppure molto fastidiosa, nel vederlo fissare così la ragazza. D'un tratto l'istruttore di surf inclinò appena il capo per rimettere al loro posto gli occhiali da sole, che gli erano caduti in avanti, e i suoi occhi si posarono su di loro, rimaste immobili a pochi metri dal Club House.

Incrociando per la prima volta quello sguardo senza barriere, Celia percepì il suo stomaco attorcigliarsi su se stesso. Gli occhi di Logan erano bruni, ma c'era qualcosa in essi, a cui Celia non avrebbe saputo dare un nome, qualcosa di riflessivo e profondo che non sembrava appartenere ad uno spensierato ragazzo di vent'anni. Qualcosa che la travolse, la spogliò di ogni difesa e le fece franare la terra sotto le scarpe. Qualcosa che la spazzò via come se fosse stata colpita da un uragano, lasciandola nuda, inerme e tremante. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, le guance in fiamme. Non ricordava di aver mai provato delle sensazioni tanto forti ed intense, quasi dolorose. Di certo non se le ricordava in quel modo, le cotte.

Malgrado la sua timidezza cronica le impedisse di vivere come una qualsiasi quindicenne, infatti, Celia non era del tutto estranea ai misteri dell'amore. Certo, per i motivi sopracitati non aveva avuto alcuna esperienza pratica, ma aveva già sperimentato il batticuore in precedenza, suscitatole, per la precisione, da un bel giovanotto di nome Tony, che aveva lavorato per anni come bracciante nel ranch della sua famiglia. Ovviamente la vergogna le aveva impedito di confidarsi con qualcuno, tantomeno di avvicinarlo, provocandole un rossore incontrollato le sporadiche volte in cui lui rivolgeva la parola, principalmente per chiederle dove potesse trovare suo padre.

Aveva così passato mesi a crogiolarsi nell'immaginazione di come le cose sarebbero potute andare fra loro due, se solo lei avesse trovato il coraggio di lasciarsi un po' andare, finché, un pomeriggio in cui erano uscite a cavallo, Mina non le aveva confidato con una vena di malizia che lei e Tony avevano fatto sesso nel fienile, la sera prima. A quella notizia, i sogni d'amore di Celia si erano frantumati in mille pezzi e potete solo immaginare il senso di colpa di Mina, nello scoprire che colui con cui aveva condiviso una breve avventura era in realtà l'amore di una vita di sua cugina.

In ogni caso, era stata una grande – e dolorosa – lezione di vita per Celia. Sua zia poteva forse mettere le due cugine a confronto, lamentandosi del perché Mina non avesse preso un po' più da lei, ma in realtà Celia si chiedeva spesso perché non fosse accaduto il contrario. Sua cugina era così diversa da lei: se Mina voleva qualcosa, se lo andava semplicemente a prendere. Sapeva esattamente quel che desiderava, non si faceva alcun problema ad ammetterlo e la maggior parte delle volte riusciva ad ottenerlo. Perché lo stesso non poteva riuscire anche a lei?

Celia alzò esitante lo sguardo sul Club House e, nel vedere che Logan aveva voltato la testa ed era tornato a guardare Helen come tutti gli altri, le parve di poter tornare a respirare. Nel frattempo la musicassetta di Ed era partita al massimo volume e la canzone non fece in tempo a partire che la ragazza era trasalita.

«Facilissima!» esclamò. «Karma Charmeleon

«Di chi?» chiese Chris, additandola.

Helen inarcò un sopracciglio e arricciò le labbra. Anche se i suoi occhi erano coperti dalla benda, era chiaro che avesse assunto un'espressione offesa. «E me lo chiedi anche? I Culture Club.»

Risate e commenti ammirati esplosero tra i ragazzi, mentre Helen si dondolava sulla sedia, un sorriso furbetto sulle labbra. Sembrava proprio a suo agio al centro dell'attenzione, pensò Celia.

«È peggio di un juke-box» commentò Joan, in tono d'ammirazione.

Olga intanto si era sporta per mandare avanti la cassetta.

«E questa?»

Due note esplosero dalla radio e Helen aveva già sorriso, annuendo tra sé e sé. «Super Trouper. Amo gli ABBA!»

Mentre i ragazzi ridevano, in visibilio, Celia scosse piano la testa, divertita dai talenti di Helen. Lei non ne sarebbe mai stata in grado: non era una patita delle hit parade e di quel mondo commerciale che andava a braccetto con i musicisti. Eppure c'era da dire che la musica le piaceva, la rilassava enormemente. C'era chi pensava che non fosse nient'altro che caos e confusione, ma per Celia c'era un certo ordine nella musica, un dolcissimo equilibrio, e le piaceva da matti mettere qualche compositore classico di sottofondo, mentre faceva i suoi esercizi. Pensando cos'avrebbero pensato gli altri, che ascoltavano gli ABBA e Cindy Lauper e George Michael e chissà chi altri, se lo avessero saputo, si sentì avvampare.

«Andiamo?» fece Joan ad un certo punto, mettendosi a camminare.

I ragazzi stavano continuando a sfidare Helen, ma Celia si sentiva un po' a disagio, sia all'idea di rimanere lì come un'allocca, sia di unirsi a loro, che sembravano così uniti gli uni con gli altri; la sua apparizione sarebbe apparsa come nient'altro che una fastidiosa intrusione e fu grata dell'appiglio che Joan le diede.

«Va bene» rispose quindi, incamminandosi dietro alla ragazza

«Comunque, tornando a Vera» proruppe Mina, che in tre falcate le aveva superate e stava saltellando come suo solito. «Sembra simpatica, però in tre anni è la prima volta che mi rivolge la parola.»

«Te l'ho detto, non me l'aspettavo da parte sua» mormorò l'altra.

Celia aggrottò la fronte e poi chiese, rivolta a Joan: «Perché, con te come si comporta?»

L'alta ragazza castana scrollò le spalle. «Non familiarizza con nessuno, se non con quei bambini molto più piccoli di lei. Insomma, dai, è un po' strana...»

«Anche tu pensi che sia un po' mezza matta?» domandò Celia di getto, ripensando alle parole con cui l'aveva apostrofata Alice.

Rendendosi conto di com'era suonata indelicata, arrossì di botto e fece per scusarsi con Joan ma, a giudicare dal colorito paonazzo che avevano assunto le sue gote, in quella domanda posta a bruciapelo doveva esserci un fondo di verità.

«Non lo so» ammise infine lei. «In realtà mi sembra gentile, ma non abbiamo mai davvero avuto una conversazione prima di oggi. Non sono mai riuscita a spiegarmelo. Io parlerei pure con i sassi» mormorò, facendo scoppiare a ridere Celia, che si ritrovò a pensare a quanto fossero simili lei e sua cugina. « E poi, mi sembrerebbe normale allearsi, vista la nostra situazione.»

Di fronte allo sguardo sbigottito di Celia, Joan si affrettò a spiegare: «Sia io che lei siamo un po' diverse dallo standard di ragazza che frequenta il Gallant Ranch. Ora sono partite per le vacanze, ma sappi che le ragazze che vengono qui a cavalcare potrebbero essere sorelle di Alice.»

Celia abbassò gli occhi, capendo cosa intendeva la ragazza. E Joan, indubbiamente, era diversa dalla tipica cavallerizza elegante e inamidata, con i suoi pantaloni laceri, la polo rosa coperta di polvere e i capelli sudati legati in una treccia sfatta. Così come lo erano loro, del resto. Solo che né Celia né Mina frequentavano abitualmente il Gallant Ranch, al contrario di Vera che, con tutte le sue bizzarrie, rientrava a pieno titolo tra le sovversive.

Osservando di sottecchi il profilo squadrato di Joan, su cui era dipinta un'espressione a metà tra il rammarico e la rassegnazione, Celia realizzò che dovesse sentirsi molto sola.

 

Quel pomeriggio sarebbero andate in passeggiata con Francine.

Nell'udire quella notizia, il cuore di Celia si era svuotato di un macigno. Niente lezione in campo, niente Ian. Per la prima volta dal suo arrivo, si era sentita al settimo cielo all'idea di cavalcare.

Prima che Francine le chiamasse per comunicare loro quali cavalli avrebbero montato, Mina e Celia, separatesi da Joan, erano tornate nel bungalow per un po'. Nessuna delle due aveva particolarmente voglia di percorrere il – seppur breve – tragitto che portava alla spiaggia per rinfrescarsi, ma volevano a tutti i costi sfuggire a quel caldo torrido.

Mina si era messa a guardare un po' di televisione in soggiorno, Celia a fare qualche esercizio sul blocco, seduta a tavola. Poi, la domanda che Celia temeva con tutta se stessa era arrivata.

«Perché non hai detto la verità, a pranzo?»

Celia si bloccò dallo scrivere, il fastidio che le cresceva nel petto nel percepire il peso dello sguardo di Mina su di sé. Alzò titubante lo sguardo sulla cugina, stravaccata sul divano, con il telecomando tra le mani e gli occhi severi fissi su di lei.

«Io...» Celia sospirò. «Non lo so. Mi vergognavo.»

Mina sbuffò, roteando gli occhi. «Celia, tu ti vergogni sempre di tutto, è questo il punto. Oltretutto, spiegami cosa ci sarebbe di male!» Fece una pausa e, quando riprese a parlare, il suo tono si era addolcito. «Joan è un tesoro e, quanto alle altre, nessuna di loro mi sembra incline a giudicare. Figurati, poi, se sono...»

Mina sembrò sul punto di aggiungere qualcosa ma, sotto gli occhi perplessi della cugina, scosse la testa e cambiò discorso. «Tra poco andiamo, che dici? Francine potrebbe avere bisogno di una mano.»

 

Per la passeggiata, a Celia fu assegnato un massiccio sauro bruciato di nome Admiral che, a detta di Francine, era un ottimo cavallo per i trekking ed era molto tranquillo, tant'è che spesso lo usavano anche i bambini. La notizia del capitombolo di quella mattina in sella a Goldrush doveva esserle arrivato all'orecchio, probabilmente alimentando la sua convinzione che Celia fosse un'incapace.

Nei boxes, la ragazza fissò con una punta d'invidia sua cugina mentre sellava Shiraz, il meraviglioso arabo grigio ticchiolato da cui Mina era caduta, l'estate prima. Le venne da sorridere al pensiero che quel particolare tipo di manto grigio, coperto di macchioline marroni simili a lentiggini, veniva associato ai morsi delle pulci.

«Lo hanno comprato in un allevamento insieme a Sherazade, quella lì» le stava spiegando Mina, indicando un'altra piccola araba baia, che veniva condotta alla lunghina da Sharleen lungo la fila dei boxes. «Sono divertentissimi da montare!»

Celia lanciò un'occhiata di sbieco ad Admiral, immobile, con le palpebre socchiuse, che diede un rapido cenno di vita solo per sbadigliare, e sospirò rumorosamente.

«Ci credo...»

 

La passeggiata fu magnifica.

Abituata ai terreni brulli della Sierra Nevada, orlati da montagne e creste di roccia ricoperte da nient'altro che rada vegetazione, cavalcare in mezzo ai campi fioriti che confinavano con il Gallant Ranch, per Celia fu come avventurarsi in un giardino incantato.

Al contrario degli arabi – e come lei, del resto, aveva immaginato – Admiral non era affatto divertente da montare, con un passo lento e stanco che Celia trovò fin da subito avvilente, ma su una cosa Francine era stata di parola: il grosso sauro era tranquillissimo ed in questo modo Celia poté godersi il meraviglioso paesaggio.

Salirono in sella nel campo ostacoli, dove strinsero i sottopancia e regolarono le staffe, per poi disporsi in formazione dietro a Francine, che montava Miss.

Celia ed Admiral si posizionarono quasi in testa, dietro Sharleen e l'araba baia che Mina le aveva detto chiamarsi Sherazade, subito dietro Francine e la cavalla saura. Voltandosi, Celia vide che a seguirla era Helen, la quale le fece un cenno di saluto da sopra Eagle. La pony grigia appariva minuscola in confronto ad Admiral.

«Complimenti per i tuoi talenti musicali» mormorò Celia dopo un momento, facendola scoppiare a ridere.

Mina e Shiraz venivano dietro Helen, a sua volta seguiti da Chris e Pepper; con un certo stupore Celia vide che Alice si trovava in fondo alla fila, a debita distanza da Olga e Black Beauty, i penultimi della fila.

«Zar è un cavallo da concorso» mormorò Helen con un velo di disprezzo. La ragazza doveva aver seguito il suo sguardo. «Non è abituato alle passeggiate.»

In quel momento Francine richiamò la loro attenzione e diede l'ordine di spronare i cavalli. Uscirono dal campo in fila indiana e, mentre attraversavano l'ampio spiazzo tra i boxes e i paddock, Celia intravide Ed intento a montare una cavalla morella, talmente alta che persino lui, mentre gli sistemava la sella sul garrese, a confronto sembrava minuto. Aveva capito da spezzoni di frasi che il figlio di Francine si allenava da solo e, quando non aiutava Ian a preparare i cavalli per le lezioni, portava i ragazzi in passeggiata al posto della madre. Mina le aveva detto che le passeggiate di Ed erano di gran lunga più divertenti, anche se un po' più spericolate.

Costeggiarono i paddock, inerpicandosi lungo il sentiero che Celia aveva percorso già svariate volte, in quel giorno e mezzo. Man mano che salivano, dalla posizione privilegiata che le dava essere in sella ad un cavallo robusto quanto Admiral, poteva vedere fin dove si estendevano i paddock e ancora una volta si stupì nel vedere quanto fossero vasti. Arrivavano fino al cuore del boschetto che vi era dietro i boxes e il filo elettrico, disposto tra gli arbusti, da lì era appena visibile. I cavalli all'interno dei paddock sembravano davvero sereni, mentre pascolavano in solitudine tra l'erba tagliata fine o si grattavano l'un l'altro.

E poi Celia lo vide di nuovo.

Il cavallino nero del giorno prima, quello da cui Ed le aveva detto di guardarsi. Nello scrutarlo, Celia si chiese perché lui le avesse detto una cosa del genere, quando quell'animale sembrava totalmente innocuo. Solo molto, molto solo.

Il cavallo nitrì debolmente quando vide passare i suoi simili e trotterellò fino allo steccato, dal quale si sporse spasmodicamente per annusarli, gli occhi sgranati per la curiosità. Francine e Sharleen lo ignorarono, le teste fisse sul sentiero che si snodava davanti a loro, mentre Celia allungò una mano e gli accarezzò il ciuffo ispido, scoprendosi a sentirne la mancanza quando Admiral lo ebbe superato e i crini le furono sfuggiti dalle dita.

Trotterellando, il cavallino seguì la carovana fin dove glielo consentiva la staccionata e, quando non fu più in vista, Celia si voltò verso di lui sulla sella, conscia dell'imprudenza che stava compiendo ma altrettanto consapevole che Admiral non si sarebbe scomposto più di tanto.

Il piccolo morello era immobile contro la palizzata, gli occhi fissi su di loro, nessuno che faceva caso a lui. Celia si sentiva oltremodo attratta da quell'animale così trasandato. Era come se riuscisse a scorgere qualcosa che brillava sotto quel suo mantello sudicio e sporco, un diamante grezzo che la attirava a sé. Le inspiegabili parole che Ed le aveva rivolto, il giorno prima, non facevano che rafforzare quell'attrazione. Avrebbe voluto chiedere qualche notizia del cavallo a Francine, ma si vergognava a chiamarla in quel momento e si ripropose di farlo più tardi, quella sera.

Tornata a malincuore a guardare il sentiero, Celia si lasciò avvolgere dai rumori della campagna intorno a lei, il clop-clop degli zoccoli di Admiral sullo sterrato, gli uccellini che passavano loro davanti in un frullio d'ali, i girasoli che si piegavano al passaggio del vento come se si stessero inchinando al suo cospetto.

Celia si guardava intorno, bevendo ettari ed ettari di campi in fiore con gli occhi, con il cuore sazio di quello spettacolo. Aveva sempre adorato le passeggiate: le aveva sempre preferite alle lezioni in campo, perché più dinamiche, più rilassanti, ognuna diversa l'una dall'altra.

Francine non li fece mai galoppare, tenendoli al passo per tutta la durata della passeggiata finché, quando furono giunti in un ampio sentiero di sabbia, non propose loro di fare un po' di trotto, idea che venne accolta da tutti con grande entusiasmo.

Trottarono per un lungo tratto, Celia che andava pian piano abituandosi alle scomode battute di Admiral. Alla biforcazione che ben presto raggiunsero il gruppo prese la strada di sinistra, che da un lato costeggiava un piccolo boschetto diviso dal sentiero da una vecchia recinzione di filo spinato, dall'altro un campo arato da poco.

A quel punto rallentarono al passo e, alzando gli occhi dalle orecchie del sauro, Celia vide in lontananza i tetti dei bungalow e dei boxes, davanti a sé, e capì che stavano facendo ritorno al maneggio.

«Tutto bene, Cecilia?»

Celia si riscosse e vide che Francine si era voltata verso di lei, mentre Miss proseguiva spedita, la sua figura che compariva e spariva nel campo visivo della ragazza ad ogni oscillazione di Sharleen e Sherazade.

«Certo» mormorò, corrugando la fronte.

Si sentiva un po' a disagio all'idea che la donna continuasse a considerarla una cavallerizza alle prime armi, ma alla fine, intuendo che glielo stesse chiedendo con genuino interesse, accompagnò un sorriso alla sua risposta.

Francine sorrise di rimando e tornò a guardare la strada. Seguendo i movimenti della donna, l'attenzione di Celia fu attirata da uno scintillio in un angolo del campo arato, sulla destra. Voltando il capo, vide che si trattava di un sacchetto di plastica verde, che rotolava mollemente, trasportato dal vento. Probabilmente doveva essere sfuggito dalle mani del contadino che stava lavorando il campo, poco lontano.

Celia strinse istintivamente le redini di Admiral ma, se anche il sauro aveva notato lo strano oggetto, non diede segno di esserne spaventato. Al contrario di Sherazade.

La cavalla baia scartò, facendo quasi perdere l'equilibrio a Sharleen, e poi si immobilizzò, gli occhi fissi sul sacchetto, che continuava ad incedere gonfiato dal vento. Sharleen la spronò più e più volte, ma l'araba rimase immobile.

«È spaventata dal sacchetto» disse Celia timidamente, ma Sharleen la ignorò.

«Avanti!» le ordinò in tono perentorio, dandole di gambe.

«Ehi, che succede?» Francine si era voltata di nuovo, allarmata dal tono di Sharleen.

Celia si voltò un momento verso il resto del gruppo, immobile perché Sherazade aveva bloccato la fila, e poi tornò a guardare il sacchetto e l'uomo che zappava poco più avanti e che non sembrava essersi accorto di nulla.

«Possiamo chiedere al contadino di recuperarlo» mormorò Celia, stavolta a voce un po' più forte ma, ancora una volta, Sharleen la ignorò.

Piantò i talloni nel costato di Sherazade, che fece uno scatto in avanti, talmente poderoso che le due quasi affiancarono Francine e Miss. Vedendo che la situazione sembrava essersi risolta per il meglio, la donna incitò la saura ad avanzare, la quale, al pari di Admiral, non sembrava essere granché colpita dal sacchetto.

A quel punto la ragazza dai ricci capelli bruni si voltò un'unica volta verso Celia, un'espressione di sfida dipinta sul volto.

«Visto?» mormorò trionfante, raddrizzando le spalle.

In quel momento Sherazade scartò di nuovo, facendo ondeggiare pericolosamente Sharleen, che si affrettò a voltarsi per calmarla.

Celia non replicò, limitandosi ad inarcare un sopracciglio. In quel momento, la voce squillante di Mina si levò dal fondo della fila.

«Mi scusi signore, potrebbe riprendere quel sacchetto? Sta spaventando i cavalli!»

 

Più tardi, a cena, non si parlò d'altro che della festicciola di Ed che si sarebbe tenuta quella sera.

Tutti cercavano di mantenere un tono di voce basso, nel tentativo di non far insospettire Francine e Ian, ma Celia pensò che dovevano essere davvero duri d'orecchio per non cogliere il principale argomento di conversazione.

Ed era solito organizzare i suoi festini in spiaggia, sotto il padiglione del Gallant Ranch, ma più spesso nel fitto boschetto dietro i boxes, come quella sera, dove potevano stare al riparo da occhi indiscreti.

Quando lei e Mina entrarono nella sala da pranzo – un po' in ritardo, come loro solito – Celia non si era certo scordata dei suoi propositi, ma ogni sua intenzione vacillò pericolosamente quando vide che, seduto al tavolo di Alice, c'era anche Logan.

Il ragazzo era seduto vicino a Ed e pareva immerso in una conversazione molto divertente, a giudicare dalle risatine che provenivano dal loro tavolo. Non alzò mai gli occhi dalle ragazze che aveva attorno ma, nonostante ciò, Celia si sentì un blocco di ghiaccio mentre si sedeva al solito tavolo con la cugina, al quale si erano già accomodati Helen, Catherine e Chris. Vera era al tavolo dei mounted games ma, quando le vide, si illuminò in volto e rivolse loro un festoso saluto.

«Voleva venire qui, ma le ho fregato il posto» disse Chris a mo' di spiegazione, fissando a sua volta la ragazza castana.

Helen lanciò un'occhiata di sbieco al tavolo a cui era seduto Logan. «Sei stato spodestato?»

Chris si rabbuiò. «Lasciamo perdere.»

Guardandosi intorno, mentre Kate e Joan distribuivano la cena, Celia adocchiò la figura magra di Francine, che stava attraversando la sala per andarsi a mettere nel suo posto di rito, e si ricordò che voleva parlarle.

Chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata furtiva a Logan – che continuava a chiacchierare con Ed e le ragazze – e aver recuperato il suo sandwich dalle tozze mani di Kate, raggiunse Francine sull'ingresso.

Mentre si alzava in piedi dal tavolo, tremante, Mina le lanciò uno sguardo confuso e lei le fece un cenno, come a dire che più tardi le avrebbe spiegato ogni cosa.

Francine aveva il piatto con il suo panino in grembo, ma non l'aveva ancora toccato, e teneva lo sguardo fisso davanti a sé. Trasalì appena quando Celia le si sedette accanto.

«Ehi, Cecilia» esclamò, lanciandole una breve occhiata prima di tornare a guardare l'esterno, con il Club House e i tre bungalow, su cui stavano calando le prime ombre del crepuscolo.

«Ciao Francine» rispose Celia, incerta su come proseguire.

Le pareva di essersi intromessa in un momento molto privato e di averla disturbata, ma fortunatamente ci pensò lei a rompere il silenzio.

«Sei stata brava oggi, in passeggiata.»

«Grazie» rispose Celia, sorridendo. Fece un respiro profondo. «Volevo...» esitò. «Volevo chiederti una cosa.»

Francine si voltò per scrutarla, lo sguardo di colpo attento. «Dimmi tutto.»

Celia tormentò con le dita il bordo del piatto di plastica, sovrappensiero. «Quel cavallo nero... quello che c'era in paddock oggi e che ci ha seguiti per un bel pezzo, chi è?»

«Ah.» Francine abbassò un attimo gli occhi sugli scalini prima di tornare a guardarla. Un'ombra le aveva attraversato lo sguardo. «Intendi Calcifer.»

«Calcifer» ripeté Celia lentamente, come per imprimersi meglio il nome nella testa, sentire che effetto faceva pronunciarlo. Calcifer. Decise che le piaceva.

«È il fratello di Black Beauty» spiegò Francine, dopo un lungo silenzio. Era tornata a guardare il paesaggio che sprofondava nelle tenebre, lo sguardo lontano.

«Ecco perché si somigliano così tanto» disse Celia più a se stessa che a lei, capendo la causa del malinteso del giorno prima.

Sul volto scavato di Francine comparve l'ombra di un sorriso. «Già.»

«Lo usate per la scuola?» le chiese Celia, rafforzata da quella reazione.

L'ombra che era stata un sorriso morì sulle labbra di Francine, lasciando spazio ad un'espressione cupa. «No» rispose in un soffio. «A dire il vero, è meglio se lo lasci perdere, Cecilia.»

Si alzò bruscamente in piedi e rientrò dentro l'edificio, nella confusione che regnava all'interno, lasciando Celia da sola, in compagnia delle cicale e di un venticello fresco che d'un tratto le parve freddo ed ostile.

Si chiese se si fosse solo immaginata le lacrime che avevano fatto capolino dagli occhi di Francine, un attimo prima che rientrasse in casa.

 

«Ti divertirai da matti» assicurò Mina a Celia mentre, in compagnia di Helen e Catherine, si dirigevano verso il boschetto.

Joan e Vera avevano dato forfait, dicendo di essere troppo stanche per fare baldoria. Nessuna delle due sembrava essere un animale da festa e Celia aveva come l'impressione che neanche lei avrebbe dimostrato di esserlo.

Annuì alle parole di Mina – peraltro poco convinta – ma aveva la testa da tutt'altra parte. Aveva provato a parlarle di Calcifer, ma la cugina, così come le altre ragazze del suo tavolo, ne sapevano tanto quanto lei.

«È sempre in paddock, nessuno lo monta mai» le aveva detto, con un'alzata di spalle. «Perché ti interessa tanto?»

Celia aveva sospirato. «Non so, mi piace. Non trovi che sia bello?»

«Eh? Bello?» Mina l'aveva guardata come se stentasse a credere alle sue orecchie. «Quella bestiolina lì?»

Per tutta risposta Celia l'aveva fulminata con lo sguardo, facendola scoppiare a ridere.

«Giusto, si sa che tu hai dei gusti discutibili» l'aveva presa in giro la cugina. «Come con il surfista.»

«Abbassa la voce!»

«Ah ah» aveva sghignazzato Mina, per poi farsi improvvisamente seria. «No, mi duole ammetterlo, ma Logan è davvero un gran figo. Lo è sempre stato. E non sei l'unica ad averlo puntato...»

Mina aveva ragione. Le gemelle, ma soprattutto Sharleen, non gli toglievano mai gli occhi di dosso e persino Alice, che Celia aveva saputo essere fidanzata, faceva spesso la stupida in sua presenza. Anche in quel momento, mentre il loro gruppetto li precedeva di qualche metro sul sentiero che conduceva al bosco, le ragazze continuavano a stargli attaccato, spintonandolo scherzosamente. Celia le fissava con uno strano senso di nausea alla bocca dello stomaco, rimpiangendo amaramente di non avere il loro carattere intraprendente.

Anche quando ebbero raggiunto la piccola radura dove, a detta di Ed, si radunavano di solito e si furono messi a sedere, chi per terra e chi su dei tronchi d'albero rovesciati, Sharleen, Olga e Summer accerchiarono Logan, che sedeva a gambe incrociate su un tappeto di foglie, la schiena mollemente poggiata contro un tronco. Li avevano raggiunti altri amici di Ed, tra cui un alto ragazzo dai corti capelli neri a spazzola e marcati tratti asiatici che si presentò come Mike.

«Si può sapere dov'eri?!» gli domandò Mina in tono scherzoso, quando lo vide, salutandolo con un abbraccio. Celia notò che sembravano piuttosto in confidenza.

«Sono arrivato oggi» spiegò lui. «Avevo un torneo di surf.»

Ad esclusione del frinire dei grilli, la radura era immersa in un religioso silenzio e avvolta dalle tenebre. I rami degli alberi si intrecciavano sulle loro teste a formare una cupola e i pochi raggi lunari che riuscivano a penetrarvi attraverso disegnavano dei giochi di luce sul terreno, dove Celia intravide i resti di un falò, proprio al centro di un ampio cerchio fatto dai tronchi, su cui i ragazzi si stavano sparpagliando.

Celia si sedette su uno di essi, dalla parte opposta rispetto a Logan, in compagnia di Helen e Catherine, lo stomaco stretto in una morsa. Mina era andata a prendere da bere e Celia la osservò chinarsi a terra insieme a Mike, di fronte alla cavità rotonda di un tronco, dal quale estrassero una, due, tre confezioni di birre.

«Non è geniale?» fece Helen accanto a lei, dandole di gomito.

Celia annuì, non troppo convinta.

Mina fu ben presto di ritorno con quattro lattine tra le braccia, che si affrettò a distribuire fra le ragazze.

«Tu bevi, Celia?» domandò Catherine, facendosi in avanti per poterla guardare in faccia.

«Certo che beve» rispose Mina, schiaffandole in mano una lattina.

Celia non disse nulla, limitandosi a scuotere leggermente la testa. Il tono di Catherine era giustamente curioso e stupito insieme, e come poteva biasimarla? Anche se di tanto in tanto suo padre le riempiva il bicchiere di vino, al ranch, aveva quindici anni. Su certe cose sua cugina era fin troppo iperprotettiva con lei, ma su altre era inspiegabilmente libertina.

La osservò di sottecchi. Mina era rimasta in piedi e stava giocherellando con la sua lattina, uno scintillio furbetto nello sguardo. Anche gli altri ragazzi avevano le loro birre in mano e, come Celia notò corrugando la fronte, le stavano incidendo con dei coltelli, tirati fuori dalle loro tasche. Dalle incisioni ben presto iniziò a sgorgare birra a fiotti, alle quali i ragazzi si attaccarono con un gesto repentino, per non farla cadere a terra. Celia osservò Logan portarsi la lattina alla bocca, il pomo d'Adamo che faceva rapido su e giù, il suono della sua risata quando Sharleen si sbrodolò tutta nel tentativo.

Nel distogliere lo sguardo da quella scena, Celia si accorse di un'altra cosa. Mike era in piedi, con la lattina finita tra le mani, la birra che gli gocciolava fra le dita, e il suo sguardo era fisso su di loro. Si sentì di colpo la gola secca.

«Ehi, Mike» esclamò di colpo Mina, che se ne doveva essere accorta. «Ci presti il tuo coltellino svizzero?»

Il ragazzo non pareva aspettare altro che avvicinarsi. Si cacciò la mano in tasca e allungò il coltellino a Mina, per poi lasciarsi cadere a terra, proprio di fronte al loro tronco. Accartocciò la lattina con la mano e poi alzò improvvisamente lo sguardo. I suoi occhi rilucevano alla luce della luna come quelli di un predatore.

«Ciao ragazze» mormorò. «Siete del campo estivo?»

«Già» rispose Catherine, in un tono che a Celia parve insolitamente neutro. «Piacere, Catherine.»

«Helen» fece l'altra, inclinando appena il capo. I suoi lunghi capelli biondi le finirono sulla faccia e lei si affrettò a sistemarseli dietro le orecchie, in un gesto affettato che Mike seguì senza toglierle un attimo gli occhi di dosso.

Dopo un lungo momento, il suo sguardo si posò su Celia, come se si fosse ricordato di lei solo in quell'istante.

«Io sono Cecilia» mormorò lei, stringendo convulsamente la lattina di birra, ancora intatta.

Percepiva una strana tensione salire lì intorno ed era una sensazione che non le piaceva affatto. Di colpo provò l'istinto di fuggire.

Mentre Mike riattaccava a parlare, lei prese a guardarsi freneticamente attorno, alla ricerca di una via di fuga, ma sembravano tutti divertirsi un mondo. Mina aveva finito la sua birra senza rovesciare neanche una goccia, aveva passato il coltellino a Catherine e si stava facendo servire un'altra lattina da Ed; Kate, Alice e dei ragazzi che non conosceva stavano fumando a cavalcioni di un tronco, mentre Logan e le ragazze continuavano a sghignazzare, come se fossero a conoscenza di qualche scabroso segreto che non volevano condividere con nessun altro.

Quando i suoi occhi si posarono su Chris, però, il suo cuore ebbe un fremito.

Il ragazzo biondo sedeva in disparte su un tronco, sulla destra, gli occhi fissi sul gruppetto di Logan, l'espressione contrita. I suoi pugni erano serrati e la lattina che aveva ai piedi era intonsa.

I suoi piedi si mossero istintivamente nella sua direzione, ma nessuno fece caso a lei. Mina era già alla terza birra, Mike continuava a parlare con Helen. Celia si avvicinò piano a Chris, le sue scarpe che scricchiolavano sulle foglie, e si lasciò cadere accanto a lui, sul tronco.

«Ehi» mormorò il biondo, senza neanche voltarsi. Pareva calamitato a quei ragazzi che pure lei quella sera non aveva perso d'occhio un istante e, seguendo il suo sguardo, Celia si chiese chi fosse dei quattro ad attirare in quel modo il suo attenzione.

Ai piedi dei ragazzi giacevano decine di carcasse di birre. Di colpo Sharleen allungò una mano e, quasi distrattamente, sfiorò l'avambraccio di Logan, che il ragazzo teneva disteso sul tronco al quale si era appoggiato. Chris e Celia trasalirono all'unisono.

Logan si irrigidì di colpo e lanciò un'occhiata significativa a Sharleen che, dal canto suo, scoppiò a ridere. Una risata argentina su un sorriso bellissimo, fu costretta ad ammettere Celia, che le fece apparire due deliziose fossette sulle guance. Di fronte a quel suono così contagioso, le membra di Logan si rilassarono e Celia lo vide rivolgere alla ragazza un sorriso altrettanto largo, il brillio dell'alcol che si agitava nei suoi profondi occhi scuri.

Celia abbassò gli occhi sulle sue scarpe, sentendosi di colpo accartocciata come le lattine di birra che i ragazzi avevano ai loro piedi.

«Non è bellissima?»

Celia alzò di colpo gli occhi su Chris. «Eh?»

«Solo a lui sorride in quel modo.» La voce del ragazzo era carica di rammarico.

Fu lì che Celia capì e si diede della deficiente. Capì che il biondo doveva aver notato a sua volta le deliziose fossette di Sharleen, che forse avevano provocato in lui quello che a lei suscitava incrociare lo sguardo di Logan anche solo per una frazione di secondo.

«È bellissima» ripeté Chris, l'aria sognante.

Celia ripensò al comportamento di Sharleen di quel pomeriggio e realizzò che molto probabilmente "bellissima" non sarebbe stato il primo aggettivo che avrebbe usato per descriverla. Però bella lo era sul serio, quello doveva ammetterlo: piccola e graziosa, con quel visetto angelico e i boccoli bruni che le scendevano come onde sulle spalle. Era più o meno alta quanto Mina ma, se una pareva un piccolo terremoto, l'altra era la quintessenza della grazia e della femminilità.

«Sì» fece Celia, incerta se proseguire o meno. Dopo un attimo, si decise ad aggiungere, timidamente: «Io però preferisco Logan.»

Chris si voltò di scatto a guardarla, un sorriso divertito che andava sostituendosi alla sua espressione malinconica. «Ti piace Logan?»

Sentendosi addosso quello sguardo così insistente, Celia arrossì fino alla radice dei capelli. «Un po'» bofonchiò infine, evitando il suo sguardo.

Chris rise di gusto. Quando il suono della sua risata si fu spento, fuso insieme a quelle di tutti gli altri ragazzi, tra i quali gli effetti dell'alcol iniziavano a farsi sentire, i due tornarono in silenzio ad osservare il loro gruppetto, le fonti dei loro batticuori.

Chris recuperò la sua lattina dal terreno e la aprì con uno schiocco.

«Riusciremo a conquistarli» lo sentì dire in tono solenne.

Celia ridacchiò e scosse piano la testa. «Chissà.»

Non ne era granché convinta, ma aprì a sua volta la lattina. Niente coltelli, niente incisioni, niente tagli sulla bocca nel tentativo di bere senza fare disastri. Senza dare spettacolo, come piaceva a lei.

Celia sbatté rumorosamente la sua birra contro quella di Chris e, gli occhi fissi su Logan, la bevve fino all'ultima goccia.

  
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