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Autore: Cassidy_Redwyne    15/04/2023    0 recensioni
1988. L'estate è cominciata e per la quindicenne Cecilia e la cugina Wilhelmina "Mina" non esiste miglior posto dove trascorrerla del campo estivo del Gallant Ranch, in mezzo ai loro amati cavalli.
Mentre la vivace Mina cerca a tutti i costi di dimostrare il suo talento come amazzone, Cecilia si innamora a prima vista di Calcifer, un cavallino che nessuno vuole più montare, e cerca di riscattarlo nonostante tutti, al ranch, tentino di dissuaderla. Ma le due settimane trascorse lì potrebbero cambiare per sempre la vita dell'ingenua e timida ragazzina, cresciuta in un solitario ranch nel Nevada, nel bene e nel male. Imparerà a sue spese che molte persone del ranch non sono come appaiono, come un affascinante istruttore di surf che non vuole avere nulla a che fare con i cavalli, tantomeno con Calcifer...
[note: un bel po' di gergo equestre!]
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DAY I
 

But I can see you
Your brown skin shining in the sun
You got your hair combed back and your
Sunglasses on, baby
I can tell you, my love for you will still be strong
After the boys of summer have gone

(The Boys of Summer, Don Henley, 1984)

 

«Siamo quasi arrivati» la informò Mina, mentre trafficava con l'autoradio, cercando invano di cambiare stazione. 

Dalle casse partì all'improvviso un famoso pezzo dei Journey a tutto volume, ma nemmeno il vociare del cantante bastò a coprire le urla che provenivano dal sedile posteriore.

«NON VEDO L'ORA!»

«Cecilia, calmati!» protestò la zia, tutto sommato divertita dalla situazione.

Ma Celia non poteva calmarsi. Quella era la prima vera vacanza della sua vita, dopo quindici lunghi anni passati solo a immaginare di poter caricare una valigia in auto e partire alla volta del mondo.

La meta prevista, in realtà, era molto più precisa. Cecilia Jones era diretta al campo estivo, situato nella baia di Monterey, dove da tre anni la cugina Mina – Wilhelmina, per la precisione, ma lei preferiva di gran lunga il suo soprannome – era solita passare due settimane delle sue vacanze. Quell'anno aveva proposto a Celia di venire con sé e la risposta potete ben immaginarla. 

Il Gallant Ranch era solito organizzare centri estivi per i suoi soci e, per due appassionate d'equitazione come lo erano Celia e Mina, rappresentavano il modello di vacanza ideale.

In cuor suo, oltre alla grande emozione, Celia era un po' preoccupata. La cugina, al contrario di lei, aveva avuto modo di tenersi in allenamento l'intero inverno, montando in un maneggio che aveva trovato vicino alla sua nuova casa, dopo il trasferimento a Merced, avvenuto tre anni prima. Lei si era occupata come sempre di Currant, il vivace puledro della sua famiglia, ma si erano limitati a fare passeggiate nelle praterie, e Celia non montava all'inglese, in un vero campo di sabbia, da quasi cinque anni.

"Te la caverai", le aveva detto sua madre prima di lasciarla partire, notando la sua preoccupazione. Lei lo sperava davvero.

«Siamo arrivati!» annunciò la zia, interrompendo il corso dei suoi pensieri.

Entrambe le ragazze si precipitarono sui rispettivi finestrini per dare un'occhiata: di fianco a uno sconfinato campo di girasoli era piantato un cartello di legno, con su scritto Gallant Ranch in vernice verde.

In mezzo ai campi di fiori gialli sorgeva una stradina sterrata, che la zia imboccò con sicurezza. Mentre l'utilitaria dondolava al ritmo delle buche, Mina ripeté per l'ennesima volta alla cugina i consigli di sopravvivenza per frequentare il maneggio a cui erano dirette, ovvero che Ian, l'istruttore, era terribilmente burbero ed era solito sputare insulti e imprecazioni ai suoi allievi, anche se a fin di bene; che avrebbero dovuto dividere uno dei tre bungalow con molte altre ragazze; che il figlio della proprietaria era piuttosto carino; che nel tempo libero potevano andare in spiaggia con il resto del gruppo.

Celia ascoltava con attenzione, nonostante sapesse quelle informazioni ormai a memoria, da quante volte la cugina gliele aveva ripetute.

Dopo qualche altro minuto di sballottamenti a suon di sassi e buche, la macchina inchiodò in quello che doveva essere il parcheggio del Gallant Ranch.

«Forza, si scende» le spronò la zia, smontando di macchina.

Le due ragazze la imitarono e si affrettarono a prendere i propri bagagli dal retro dell'auto. Mina aveva una valigia molto più comoda e leggera della sua, pensò Celia con un sospiro; ma dopotutto era anche molto più esperta in fatto di vacanze e lei, non sapendo bene cosa aspettarsi, aveva preferito mettere una cosa in più che una in meno.

Entrambe afferrarono l'impugnatura delle proprie valigie e si caricarono gli zaini in spalla, incamminandosi lungo il vialetto.

La strada conduceva a una piccola costruzione in legno, con sopra disegnato il logo del ranch: doveva trattarsi senza dubbio del Club House. Dietro di esso c'era una grande casa dal tetto spiovente, confinante con altre tre abitazioni, dipinte di colori sgargianti: rispettivamente rosso, giallo e blu. I bungalow.

«Wilhelmina? Finalmente!»

Dal Club House uscì una donna alta e magra, dai corti capelli grigi, che inforcò un paio di occhiali e si diresse correndo verso le nuove arrivate, dando un rapido abbraccio a Mina per poi stringere la mano di sua madre.

«È un piacere rivederla» disse, facendo poi un amichevole cenno di saluto a Celia.

«Tu devi essere la nuova arrivata. Cecilia, giusto? Io sono Francine» aggiunse con un sorriso, tendendole una mano.

Celia annuì, ricambiando la stretta. A primo impatto le parve una persona davvero simpatica.

«Le ragazze sono tutte in spiaggia, adesso. Se volete potete raggiungerle, dopo aver disfatto le valige. Tra un'oretta dovremmo metterci a tavola e nel pomeriggio ci dedicheremo ai cavalli» spiegò, in tono pratico. «Siete entrambe nella casa blu: penso non abbiate problemi a capire di quale si tratti» continuò, ammiccando.

Sua zia rise e Celia tirò un sospiro di sollievo. Mina si voltò per lanciarle uno sguardo d'intesa: sapeva bene quanto significasse per la cugina essere nello stesso bungalow.

Celia era sempre stata molto timida e trovarsi da sola in una casa con ragazze mai viste e conosciute sarebbe stato traumatico. Mina era sempre stata disposta a farle da salvagente, aiutandola a sbloccarsi e a farsi nuove amicizie.

«Se avete bisogno di me, mi trovate qui. A più tardi!» fece Francine, congedandosi in tutta fretta. Dava l'impressione di non stare un attimo ferma e forse era davvero così.

La zia abbracciò prima Mina e poi lei, augurando loro di passare delle belle settimane, e poi tornò alla macchina passando attraverso il vialetto.

«Francine ti sembra simpatica?» domandò Mina, mentre si incamminavano verso la costruzione di colore blu.

Man mano che si avvicinavano, Celia poté osservarla con più attenzione: le rifiniture erano bianche e ai davanzali delle finestre c'erano numerosi vasi di rigogliosi gerani rossi.

«Molto!» rispose lei.

«Lo è. Vedrai che ti troverai benissimo» le assicurò Mina.

L'interno della casa era molto accogliente e i vestiti sparsi un po' dappertutto lasciavano intendere che le ragazze a cui appartenevano dovessero essere state lì fino a poco tempo prima.

Gli interni erano color crema, lo stile minimale e semplice, anche se Celia notò una certa ricercatezza nell'arredamento, che a prima vista sembrava essere sistemato un po' per caso.

«Le ragazze hanno lasciato una stanza matrimoniale tutta per noi» annunciò Mina, dopo un breve giro di ricognizione per la casa. «Anche l'anno scorso ero qui! Che bello vedere che le cose non sono cambiate per niente.»

Celia si affrettò a seguire la cugina lungo le scale, che dovevano portare alla loro camera. «Quante siamo qui, lo sai?»

«Dai letti occupati, direi quattro» rispose Mina, facendosi di lato per farla entrare nella loro camera da letto.

La stanza era molto piccola: il letto a due piazze la occupava interamente e lasciava giusto uno stretto corridoio che rasentava la parete per poter passare; annesso alla camera c'era anche un piccolo bagno con doccia, e sopra la testiera del letto, sullo sfondo salmone della carta da parati, era appeso un lungo quadro raffigurante due angioletti che Celia a primo impatto trovò piuttosto inquietanti.

«Sì, quei cosi fanno paura» commentò Mina, che doveva aver seguito il suo sguardo.

Celia scoppiò a ridere. «Angioletti a parte, è carina» disse poi, registrando ogni particolare che trovava mentre passava la stanza in rassegna con lo sguardo.

«Già!»

Mina depositò le loro valigie sul letto e quindi si accinse a disfare la sua, subito seguita da Celia.

Dopo che i loro vestiti furono ordinatamente sistemati nell'armadio, gli asciugamani appesi ai ganci nel bagno e i propri comodini riempiti fino all'inverosimile, le due ragazze poterono ritenersi soddisfatte.

«Raggiungiamo le altre ragazze in spiaggia?» propose Mina, che aveva lasciato fuori un costume per quell'evenienza.

Celia annuì, mentre cercava rapidamente nell'armadio un costume da mettere, tra quelli che aveva portato con sé. Alla fine optò per un costume intero con una fantasia a righe blu e bianche ma, mentre stringeva la stoffa fra le dita, non si sentiva convinta. Era abituata a fare il bagno a lago, in solitudine – a volte anche senza costume, quando se lo scordava al ranch – ma l'idea di spogliarsi di fronte a degli sconosciuti la metteva vagamente a disagio.

Al ranch non si era mai posta problemi sul suo corpo e, d'altronde, non ne aveva motivo. A lei bastava che potesse sostenerla mentre compiva le faccende, che le permettesse di correre nei paddock insieme a Currant o di tornare in superficie quand'era sul fondo del lago e si scopriva ad aver bisogno d'ossigeno. A che altro serviva un corpo, sennò? Ma, di fronte ad altre persone, cambiava tutto. Non era come al ranch, dove la sua più fedele compagna, dopo la partenza di Mina, era stata la solitudine. Di fronte agli sguardi degli estranei, di colpo quel corpo che occupava un sacco di spazio, al punto che spesso doveva chinarsi per passare sotto le porticine più anguste, che tirava le magliette in corrispondenza del petto, dandole un sacco di fastidio, era un problema. Un problema che non voleva mostrare agli altri.

Si voltò verso la cugina, sforzandosi di soffocare quel pensiero. «Tu sai dov'è la spiaggia?»

«Certo, ci andiamo tutti gli anni! Non vedo l'ora di presentarti qualcuno!»

Mina afferrò il suo costume e, in uno slancio improvviso dato dall'allegria, piroettò su se stessa, facendo ondeggiare i lunghi capelli bruni, prima di chiudersi nel bagno.

Una volta dentro, Celia la sentì ridere. Doveva essere stata una scena abbastanza comica, in effetti, ma la ragazza l'aveva vista senza guardarla davvero.

Il pensiero che di lì a poco avrebbe conosciuto tutte le ragazze dei bungalow, infatti, aveva monopolizzato la sua mente, lasciandola senza fiato per un solo, lunghissimo attimo.

 

Come tutte le spiagge californiane che si rispettino, anche Santa Cruz, confinante con il Gallant Ranch, era sconfinata, rumorosa, e pullulava di bagnanti come un formicaio, nonostante l'ora di punta fosse passata da un pezzo.

Era lunga un chilometro e mezzo – forse qualcosina di più – calcolò Celia guardandosi intorno. Ovunque posasse lo sguardo, sul bagnasciuga come nell'acqua, c'erano persone. 

Abituata com'era ai laghi semideserti in cui era solita imbattersi, nella Sierra Nevada, la prima cosa a cui pensò fu la ritirata. 

Fu travolta dalle risate dei bambini, dagli strilli di chi veniva schizzato dall'acqua, dalle chiacchiere e dai pianti e rimase spiazzata, mentre si guardava intorno con aria spaesata.

Fortunatamente ci pensò Mina, ben più abituata di lei al caos delle spiagge, a trascinarla senza tanti complimenti nella mischia.

«M-ma quello è un luna-park?» balbettò Celia, gli occhi strabuzzati. Da dove si trovava poteva intravedere la cima di un'enorme ruota panoramica, dal quale proveniva una musica circense sparata a tutto volume.

«Proprio un luna-park» replicò Mina, senza neanche voltarsi. «Ci siamo andati un paio di volte, è divertente.»

Attraversati una dozzina di stabilimenti balneari gremiti di persone, il caotico luna-park in questione, con le musiche e gli sgargianti colori delle montagne russe che scintillavano sotto i raggi del sole e tanti, tanti ombrelloni sparsi qua e là sulla sabbia, le due cugine si fermarono.

Davanti a loro si stagliava un padiglione di tela verde a quattro lati aperti, con sopra il logo del ranch, collocato nell'angolo della spiaggia più lontano dall'ingresso dal quale erano arrivate. Lì vicino c'era un cancello, dal quale si snodava una stradina che si inerpicava tra le dune e che la cugina le rivelò essere l'accesso alla spiaggia riservato ai clienti del ranch.

«E perché diamine non siamo passate di lì?» sbottò Celia, con il cuore che ancora le batteva forte nel petto.

«Perché volevo mostrarti la spiaggia» spiegò la cugina, scoccandole un sorrisino innocente.

Celia sbuffò, guardandosi intorno con malcelata curiosità. 

In quel tratto di spiaggia libera, nonostante la confusione ci fosse sempre, si poteva avere un attimo di respiro: gli ombrelloni non erano accavallati gli uni agli altri e lasciavano un comodo passaggio per i bagnanti; in acqua la situazione non poi era così disperata come nelle vicinanze e la differenza con il gigantesco stabilimento balneare che sorgeva lì accanto, con annesso un affollato bar – e, come Celia lesse sull'insegna, una scuola di surf – era abbastanza evidente.

«Siamo arrivati!» annunciò Mina, lasciando finalmente la presa su Celia, che tirò un sospiro di sollievo. Per un attimo aveva seriamente temuto di non farcela.

Notando la sua espressione distrutta, la cugina ridacchiò. «Sarà meglio che tu ci faccia l'abitudine, Celia. Per fortuna questa parte della spiaggia è sempre stata la meno affollata.»

Avvicinandosi al padiglione verde, Celia notò una decina di ragazze sdraiate sugli asciugamani all'ombra, che chiacchieravano animatamente, e qualcosa le si mosse in fondo allo stomaco.

Vedendole, le ragazze ammutolirono all'istante, finché qualcuna non domandò: «Mina, sei tu?»

«Ehi, salve a tutte!»

Mina divorò i pochi metri che la dividevano dal padiglione e Celia la seguì con trepidazione. La cugina aveva già iniziato ad abbracciare e a salutare persone a destra e a manca e lei rimase immobile, incerta sul da farsi.

«Tu sei la cugina di Mina?»

Una ragazza le era comparsa davanti, la mano tesa affinché lei potesse stringerla. Era tutta sorridente, con due brillanti occhi castani che la scrutavano amichevolmente da sotto una matassa di capelli scuri. La sua pelle era olivastra, costellata di lentiggini, e copriva un volto squadrato e un po' spigoloso, che Celia trovò bello e bizzarro insieme. Era alta e molto magra, senza forme, il fisico androgino fasciato da un costume a due pezzi con la vita alta.

«Io sono Joan. Mina mi ha parlato un sacco di te, l'anno scorso!»

Celia ricambiò la stretta annuendo, appena rincuorata dal fatto che almeno la prima ragazza a cui si presentava sembrasse simpatica.

«Piacere. Io sono Cecilia» disse lei, abbozzando un sorriso.

«Che invidia, avere un rapporto del genere con la propria cugina! Io le mie a malapena so che esistono...» commentò una ragazza dai lunghi capelli rossi, distesa sul suo telo da bagno per prendere il sole. Disse di chiamarsi Olga e presentò per lei anche la sua gemella, Summer.

Fisicamente, notò Celia, erano quasi del tutto identiche: altezza nella media, molto magre, rosse di capelli. Tra le due, però, Summer aveva una spruzzata di lentiggini sulle guance e uno scintillio amichevole negli occhi che Celia preferì istintivamente alla sorella.

Dopo di loro, Celia ebbe modo di conoscere Helen e Catherine, che scoprì essere le loro compagne di bungalow. Era la prima volta che frequentavano il campo estivo del Gallant Ranch, proprio come lei, anche se quella per loro era la seconda settimana e sembravano già essersi perfettamente ambientate. Entrambe le parvero subito piuttosto simpatiche, nonché molto legate l'una all'altra. Helen le spiegò infatti che erano amiche da tempo e che frequentavano anche lo stesso maneggio, non molto lontano da Santa Cruz.

Celia notò che le due si somigliavano anche nell'aspetto: entrambe avevano chiarissimi capelli castani, quasi tendenti al biondo, e pelle color dell'avorio; Helen aveva però gli occhi a metà tra l'azzurro e il verde, Catherine del tutto castani.

Quando Celia si presentò poi ad Alice e all'amica Sharleen, capì subito di trovarsi di fronte a due ragazze provenienti da un mondo che non era il suo.

Alice era abbronzatissima e alta diverse spanne più di lei, Sharleen molto bassa, con un visetto immacolato e angelico, ma certo non fu questo a indurre Celia a pensarla così. Era l'aura che le avvolgeva, una sorta di consapevolezza di trovarsi un gradino più alto rispetto a tutte le altre ragazze presenti.

Nelle presentazioni non si dimostrarono ostili con lei, tutt'altro, ma Celia intuì comunque, diversamente dalle impressioni che aveva avuto di Helen e Catherine, che con loro non ci sarebbero state grandi occasioni per fare amicizia.

Quando poi conobbe un altro membro del loro gruppetto, Kate, il solco che aveva inizialmente tracciato nella sua testa si fece ancora più netto: la ragazza era in carne e molto imponente nell'aspetto, con un volto su cui Celia poté leggere un'evidente irritazione. Scoprì che aiutava Francine con i centri estivi al Gallant Ranch e la ragazza sperò in cuor suo di doverla frequentare il meno possibile, durante quelle settimane.

Dopo che Celia e Mina ebbero concluso tutte le presentazioni e si furono sistemate all'ombra con le altre ragazze, poterono prendersela un po' comoda. Vedendo che nessuna di loro sembrava intenzionata a fare il bagno, Celia fu più che lieta di lasciarsi addosso la maglia.

Mentre le chiacchiere del più e del meno riprendevano vivacemente, Celia ne approfittò per guardarsi intorno. 

In mare, oltre a dei bambini che giocavano fra gli spruzzi e diverse persone che valutavano l'idea di buttarsi o meno, c'erano dei surfisti.

L'insegna della scuola di surf nel vicino stabilimento balneare le lampeggiò subito in mente e aguzzò con curiosità la vista, ma poi la voce di Mina, vicino a lei, attirò la sua attenzione.

«Com'è la situazione, fino ad ora? Necessito degli aggiornamenti!» domandò, con un tono di voce volutamente lagnoso che fece scoppiare tutte a ridere.

«Nulla di nuovo, in realtà» rispose Joan, facendo spallucce.

Grazie alla cugina, Celia aveva scoperto che lei viveva poco lontano e di conseguenza frequentava il Gallant Ranch tutto l'anno, non solo nei mesi estivi, e sempre lì teneva i suoi due cavalli, Dragon e Armani. Che invidia!

«Ian è schizzato come al solito, Francine sta facendo i salti mortali per stare dietro a tutto e Ed ha intenzione di organizzare almeno cinque feste questa settimana.»

«Non oso immaginare cosa succederebbe se Francine lo venisse a sapere!» esclamò Helen, nascondendosi il volto tra le mani.

«Lo ucciderebbe, poco ma sicuro» commentò Mina, sghignazzando.

«Wilhelmina Price, non sei neanche finita di arrivare e sei già a parlare male di me?»

Una voce divertita risuonò alle loro spalle, facendole voltare di scatto. Mina, colta in flagrante, divenne paonazza.

Di fronte a loro si ergeva un ragazzo alto e dai folti capelli castani, zuppo d'acqua mentre stringeva fra le braccia una tavola da surf. Il timore che poteva incutere il suo aspetto imponente si dissolveva incrociando il suo sguardo, dolce e totalmente rassicurante. Mina non aveva davvero tutti i torti quando le diceva che era carino!

«Dopo questa, Mina, potrei anche decidere di non invitarti più» scherzò lui, fingendosi offeso.

«Avanti, smettila di tenermi il broncio!» Mina balzò in piedi scoppiando a ridere, ripresasi completamente dall'imbarazzo, mentre il resto del gruppetto li osservava in un silenzio divertito. «A proposito, ti presento mia cugina Cecilia.»

Mina la indicò a Edward, che le rivolse uno sguardo curioso. La cugina le aveva spesso parlato del figlio di Francine definendolo, oltre che un bel ragazzo, anche un cavallerizzo di talento.

Celia si fece avanti, un po' titubante, e si strinsero energicamente la mano.

«Piacere di conoscerti.» Ed le sorrise affabile, mettendola istintivamente a suo agio.

«Tu e i ragazzi siete tutti in acqua?» intervenne Alice, osservando il mare con una certa insistenza.

Edward si voltò nella sua direzione e Celia ne approfittò per rimettersi a sedere.

«Sì, ma anche loro si preparano per rientrare. Logan sta finendo una lezione con una bambina. Un tesoro, tra l'altro.»

«C'è anche Logan?» Alice si fece d'un tratto interessata, mentre un lampo indefinibile le attraversava lo sguardo.

Celia, dal canto suo, drizzò le antenne; non lo aveva mai sentito nominare prima.

«Chi è?» chiese, non riuscendo a trattenersi. 

Si maledisse di non aver tenuto la bocca chiusa quando sedici paia d'occhi si voltarono a fissarla, a metà tra il divertito e il compassionevole.

Alice la fissò a bocca aperta, ma poi la consapevolezza mutò l'espressione del suo volto. «Ah, giusto, tu sei nuova di qui...»

«Logan è il mio migliore amico» spiegò Edward, per niente infastidito dalla sua interruzione.

Celia era sinceramente sorpresa. «E va a cavallo pure lui?»

Ed stava per risponderle, quando la voce squillante di Olga lo interruppe all'improvviso. «Ma guarda qui! Parlano del diavolo e spuntano le corna!»

Dall'acqua erano emerse due figure. Una bambina piccola, con degli adorabili codini biondi, stringeva con tutte le sue forze una tavola da surf della sua misura, e qualcosa in Celia si agitò convulsamente quando spostò lo sguardo sul suo accompagnatore.

Perché raramente aveva visto un ragazzo così bello, nel suo costume a righe, i corti capelli tutti spettinati e la pelle abbronzata impregnata di salsedine. Era molto muscoloso, ma l'altezza faceva sì che non avesse un aspetto tarchiato come quello di molti palestrati, a cui qualche metro in più invece avrebbe fatto comodo; le spalle larghe e il bacino stretto erano unite da un'armoniosa linea curva, che contribuiva a renderlo ancor più aggraziato. Il viso era per metà coperto da un paio di occhiali da sole scuri ma, nell'istante in cui Celia lo vide, seppe che era dall'altezza di tutto il resto.

Le ragazze si dovevano essere accorte che era rimasta teatralmente a bocca aperta, perché ridacchiarono sommessamente.

«Il Gallant Ranch non sarebbe lo stesso senza la sua principale attrazione, non trovi?» commentò Joan divertita, dandole di gomito.

Decisamente no, avrebbe voluto replicare Celia con la stessa malizia, ma in quel momento aveva totalmente perso la facoltà di parola, soprattutto visto che l'affascinante istruttore di surf stava venendo nella loro direzione, sempre con la deliziosa bambina al seguito.

Quando entrambi furono davanti al padiglione, Logan si chinò fino ad arrivare al livello della piccola, che gli diede un sonoro bacio sulla guancia, prima di correre, con la tavola e un po' difficoltà, verso quella che doveva essere la madre.

«Hai cominciato a fare il baby-sitter?» lo prese in giro Kate, mentre tornava in piedi.

Celia ammirò la sua disinvoltura; in quel momento le pareva di essere un automa.

«Be', io almeno sono capace di farlo» ribatté lui, sogghignando.

Celia notò che le guance di Kate si stavano facendo paonazze, non avrebbe saputo dire se per l'imbarazzo o per l'irritazione.

«Su, andiamo a cambiarci» esclamò Edward, raggiungendo l'amico. «Tra poco si mangia. Vieni con noi, Logan?»

Lui si passò una mano fra i capelli, in un gesto palesemente studiato che però fece aumentare il batticuore a Celia. Quando incrociò per un attimo lo sguardo di lei, mentre osservava il gruppetto sotto al padiglione, lo stomaco le fece una capriola e si affrettò a voltare la testa di scatto. Subito dopo si maledisse per quell'azione avventata ma, quando tornò a guardarlo, Logan era coinvolto nella conversazione con Edward.

«Ho una lezione subito dopo pranzo, quindi preferirei rimanere qui. Ci vediamo dopo, però!»

Logan gli fece un cenno di saluto e si incamminò, tavola sottobraccio, verso lo stabilimento balneare dove lavorava, quello che avevano praticamente davanti.

«Ma quanto è figo?» commentò Summer, appena fu abbastanza lontano.

La frase fu accolta da una serie di risatine a cui Celia si unì, suo malgrado. Edward le fissava, scuotendo la testa divertito.

«Qualcuna qui non è rimasta indifferente al fascino del bagnino in questione, eh?» bisbigliò Alice, ammiccando verso Celia, che arrossì, abbassando gli occhi a terra e facendole ridere ancora di più.

«Le ragazzine timide come te Logan se le mangia a colazione» disse Olga freddamente.

«È fidanzato?» esclamò Mina in tono distratto.

Celia si voltò a guardarla di scatto e la cugina le rivolse uno sguardo d'intesa, mentre Kate le spiegava che sì, era single, ma ciò non significava che lui non avesse compagnia. Semplicemente, le relazioni stabili non gli andavano a genio.

«Anche se è molto che non lo vedo con una ragazza...» commentò Sharleen con uno strano sorrisetto.

Giunta l'ora di pranzo, mentre le ragazze riordinavano le loro cose per prepararsi a tornare al ranch, Celia ebbe modo di racimolare qualche altra informazione su Logan. Aveva vent'anni, lavorava per lo stabilimento balneare vicino come bagnino e istruttore e la sua più grande passione era il surf. Pareva che non avesse per niente a che fare con i cavalli, nonostante fosse un grande amico di Edward e bazzicasse spesso al Gallant Ranch. Informazioni di cui comunque non si sarebbe fatta nulla, visto che lei non aveva niente a che spartire con un ragazzo del genere. Olga poteva essere stata brutale, pensò Celia con un sospiro, ma le aveva detto la verità.

«Pensi ancora al surfista?» la canzonò Mina sulla via del ritorno, vedendola sovrappensiero.

«Macché» borbottò Celia. «Penso alla lezione di oggi.»

Era vero. Superate le presentazioni, restava ancora uno scoglio davanti a lei, che l'aspettava quel pomeriggio e, ora dopo ora, si faceva sempre più vicino.

«Su, andrà benissimo» la rassicurò Mina, dandole una pacca sulla spalla.

Il sentiero che stavano percorrendo, la stradina in sabbia costeggiata da dune, arbusti e bassi cespugli disposti a grappoli, leggermente in salita, era deserta rispetto al resto del bagnasciuga. Celia sarebbe stata più che lieta di usufruire di quella scorciatoia, da lì in avanti: non aveva più alcuna intenzione di attraversare di nuovo quella marea umana solo perché Mina le potesse mostrare la spiaggia.

«Sei preoccupata?» si intromise Catherine, affiancando le due cugine.

«Be', dopotutto deve ancora conoscere Ian» commentò Helen, abbracciando Catherine per le spalle e lanciando a Celia un'occhiata solidale.

«Ian è fatto a modo suo, ma non deve spaventarti» mormorò Catherine sorridendo. «Helen, mollami!» esclamò poi, ridendo.

«Il fatto è che...» Celia sospirò. «Non so se sono più in grado di montare in campo. All'inglese, poi! Sono cinque anni che non faccio una lezione...»

«Cinque anni?!» esclamò Helen, strabuzzando gli occhi.

Notando la sua espressione, Celia ridacchiò. «Già.»

«Celia monta nelle praterie come un'indiana» mormorò Mina, ridendo.

«Ma dai, che figata!» commentò Catherine, impressionata. «E hai un cavallo tuo?»

Celia annuì sorridendo. «Un paint. Si chiama Currant.» Dopo un attimo di esitazione, spinta dall'atteggiamento amichevole delle due, si azzardò a chiedere: «E voi?»

«Io no» sospirò Catherine. «Ma prima o poi riuscirò a convincere i miei a comprarne uno!»

«Io ho una pony di nome Eagle» rispose Helen, sorridendo. «È qui al ranch!»

Celia ricordò in un lampo che c'era la possibilità di portare il proprio cavallo con sé per tutta la durata del campo estivo, in modo da allenarsi con lui, e pensò a come sarebbe stato bello portarvi Currant. Entrambi avrebbero avuto davvero bisogno di qualche dritta.

«E tu, Mina?» chiese Helen, voltandosi verso di lei.

Il sorriso che la cugina di Celia sfoggiava in ogni occasione le tremò sulle labbra. «Non ho un cavallo mio» mormorò dopo un lungo momento, rabbuiandosi.

Captando il suo tono, le due ragazze preferirono non insistere. Quanto a Celia, sapeva bene che per la cugina quello era un tasto dolente. Erano anni e anni che cercava di convincere gli zii a comprarle un cavallo, ma loro erano irremovibili. Eppure, se c'era una persona che si sarebbe meritata di averne uno, quella era Mina: Celia non aveva mai visto nessuno montare bene come la cugina.

 

A pranzo, Celia ebbe modo di conoscere coloro che quella mattina non si erano recati in spiaggia.

A dire il vero, a presentarsi fu solo Chris, un ragazzo alto e biondo dall'aspetto pericolosamente altezzoso, che non faceva altro che scherzare con Alice, Sharleen e le due gemelle, e che Celia pensò subito essere un membro del loro gruppo ristretto. Contro ogni previsione, però, il ragazzo stupì piacevolmente Celia con un sorriso amichevole prima e con la decisione di sedersi al loro tavolo dopo, lasciando le altre ragazze da sole.

Nello stanzone adibito a sala pranzo, nella casa dal tetto spiovente che Celia aveva notato appena arrivata e che scoprì essere l'abitazione di Ian, Francine e Ed, c'erano tre lunghi tavoli, in cui i ragazzi si sparpagliarono in tutta fretta, essendo piuttosto affamati.

Lei e Mina si sedettero insieme a Joan, Helen, Catherine e Chris; in un altro presero posto Alice, Sharleen, Olga e Summer; nell'ultimo c'era un gruppetto di ragazzi che non aveva mai visto, ma nessuno fece il gesto di presentarsi. Celia non poté fare a meno di notare che facevano una confusione pazzesca, mentre Alice e le altre lanciavano loro delle occhiate piuttosto seccate.

«Chi sono quelli?» chiese, gli occhi fissi su di loro. Erano dieci, ad occhio tutti più piccoli di loro, ad eccezione di una ragazza dai lunghi capelli bruni che sembrava essere sua coetanea.

«È il team di mounted games* del ranch» le spiegò Joan, seguendo il suo sguardo. «Loro sono come me, non sono qui per il campo estivo.»

«Ho sempre voluto provare i mounted games» commentò Chris, mentre si versava da bere.

«Nessuno ti prenderebbe sul serio, con quelle gambe lunghe che ti ritrovi» sogghignò Helen, guadagnandosi uno spintone scherzoso da parte di Chris.

«Cibo, finalmente!» esclamò Joan, alzando lo sguardo. «Sto morendo di fame.»

Kate aveva fatto il suo ingresso nella sala, seguita a ruota da Edward. Entrambi avevano tra le mani dei piatti di plastica con sopra hamburger e patate fritte.

Lo stomaco di Celia brontolò rumorosamente, mentre i due ragazzi facevano la spola tra la cucina e la sala da pranzo per servirli tutti quanti. Ed non sembrava essere affaticato dalla cosa, mentre Kate aveva un'espressione cupa stampata in volto, come se si stesse chiedendo come mai quell'incombenza fosse toccata proprio a lei.

«Nessuno dà una mano?» bisbigliò Celia, dando di gomito alla cugina, che Ed aveva appena servito.

«Oggi è il turno di Ed» rispose Mina, addentando una patatina. «AHI! Cavolo se scotta...» La abbandonò sul piatto e si soffiò sulle dita. «Nei prossimi giorni toccherà anche a noi aiutare Kate, vedrai.»

Non appena la ragazza bionda le ebbe schiaffato davanti il suo piatto, Celia si avventò sul panino, malgrado fosse ustionante.

Il loro tavolo era stato l'ultimo ad essere servito e, mentre mangiava, Celia osservò Ed, con il suo piatto in mano, lanciare un'occhiata nella loro direzione, prima forse di realizzare che era al completo e rassegnarsi a sedersi insieme a Kate al tavolo delle sue amiche.

Anche Francine aveva fatto la sua comparsa ed era stata accolta da una pioggia di saluti affettuosi. Dopo aver arraffato un panino dalla cucina, si era seduta a mangiare sulla soglia della porta di cucina.

E poi, all'improvviso, era arrivato lui.

«Eccolo!» commentò Mina, a bocca piena.

Celia deglutì a vuoto. L'uomo che aveva appena varcato la soglia con passo solenne aveva completamente ignorato la figura Francine seduta sui gradini, che si dovette bruscamente fare di lato per non finire travolta. Nel farlo, diverse patatine si sparsero sul pavimento.

«Fa' attenzione, papà» borbottò lei, scoccandogli un'occhiataccia.

Celia lo osservò con il cuore in gola. Dunque era quello il famoso Ian. Alto e secco, aveva lunghi capelli bianchi che spuntavano a ciuffi da sotto un cappellino con visiera. Le folte sopracciglia e i baffi erano ugualmente candidi, così come la camicia bianca, che portava sopra un logoro paio di pantaloni da equitazione. Aveva stivali da equitazione lunghi fino a metà polpaccio, da uno dei quali spuntava l'estremità di un frustino. Ma quello che colpì Celia fu il suo sguardo torvo, in confronto al quale lo sguardo annoiato di Kate sembrava il ritratto della felicità. Sembrava che qualcuno gli avesse rubato il portafogli e che, guardandosi intorno nella sala e osservando uno ad uno i presenti, fosse a caccia del ladro.

Quando i loro sguardi si incrociarono, Celia si affrettò ad abbassare gli occhi sul piatto. Quell'uomo aveva davvero un'aria minacciosa, ma nessuno sembrava essere rimasto troppo colpito dalla sua entrata, visto che tutti continuavano a chiacchierare come al solito, specialmente il tavolo dei ragazzini di prima.

Ian attraversò a grandi passi la sala, diretto verso la cucina, quando una delle giovani promesse dei mounted games del ranch, nel gesticolare animatamente, fece cadere il proprio piatto a terra. Schizzi di ketchup colpirono i pantaloni crema di Ian, che stava passando proprio in quell'istante.

L'istruttore si immobilizzò ed il silenzio calò per un attimo nella sala. 

Ian si voltò per fissare il ragazzino, che nel frattempo era diventato bianco come un cadavere. Celia notò che il colorito dell'uomo si stava facendo violaceo, mentre il labbro inferiore gli tremava impercettibilmente.

«Porca puttana Fred, che cazzo credi di fare?» berciò, facendo trasalire il povero ragazzino e anche Celia, malgrado si trovasse al sicuro al suo tavolo.

«Papà, falla finita» giunse la voce annoiata di Francine, dalla soglia.

«Raccogli subito questo casino!»

Fred continuava a non dire una parola, sempre più pallido e tremante.

«Raccoglilo, ho detto!»

«C-certo» balbettò infine lui, chinandosi a terra.

Celia distolse lo sguardo da quella scena e vide che i ragazzi del suo tavolo la stavano fissando con l'aria di chi la sapeva lunga.

«E così hai fatto la conoscenza di Ian» proruppe Mina, scuotendo leggermente la testa.

Celia deglutì. Qualcosa le diceva che non sarebbe sopravvissuta alla lezione di quel pomeriggio.

 

Più tardi, Francine assegnò loro i cavalli per la lezione e comunicò a Celia che quel giorno avrebbe montato un certo Black Beauty.

«Io adoro Black Beauty!» commentò Mina, mentre si incamminavano verso le stalle.

La cugina la precedeva di qualche passo, saltellando come suo solito. Le era stata assegnata una cavalla di nome Miss che, a detta sua, era veramente terribile da montare, ma non sembrava che la notizia le avesse rovinato il buonumore.

I boxes e i paddock erano situati sulla destra, al di là dello spiazzo dove si trovavano i loro alloggi, dalla parte opposta rispetto al parcheggio.

Celia e Mina erano tornate un attimo ai bungalow per mettersi gli stivali e avevano appena superato la casa di Francine. Anche da quella distanza, però, la ragazza poteva vedere quanto i paddock fossero enormi. Ad occhio e croce, circa sei ettari di terreno. Esattamente di fronte ad essi, s'intravedevano due ampi campi in sabbia, centoventi per sessanta, avrebbe detto Celia; in uno di essi vide sparpagliati dei coni, dei barili e dei teli di plastica e ipotizzò che si trattasse dell'area di mounted games; nell'altro c'erano montati degli ostacoli. Era il loro.

Le altre ragazze, già tutte pronte all'ora di pranzo, erano tra i boxes a preparare i cavalli. Celia passò in rassegna il corridoio con lo sguardo, alla ricerca di Helen, Catherine o Joan, ma non le vide. Dovevano essere andate a prendere i loro cavalli nei paddock.

Celia era disorientata da tutta quel viavai, da quelle costruzioni così imponenti, abituata com'era a Currant, al suo recinto e alla modesta capannina che usava per ripararsi e che di tanto in tanto cedeva durante i temporali più violenti, costringendo lei e il padre a ripararla. Non credeva di aver mai visto dei boxes così belli, in lucido legno di castagno, con le sbarre verdi verniciate di fresco, a giudicare dalla loro brillantezza. In fondo a quella sconfinata fila di boxes – trenta per lato – l'uscita conduceva ai paddock sul lato sinistro, al campo sul lato destro.

Mentre attraversavano a passo svelto il corridoio tra le due file di boxes, dai quali di tanto in tanto si affacciava il muso incuriosito di qualche cavallo, Celia e Mina si imbatterono nella figura di Alice, che stava sellando un pony grigio pomellato, legato all'anello del suo box.

Celia rimase incantata dall'aspetto dell'animale che, nel vederla passare, si voltò verso di lei con un'espressione dolcissima sul piccolo muso.

«Lui è Zar» disse Alice in tono d'orgoglio, notando il suo sguardo incantato.

«È bellissimo» mormorò Celia, voltandosi appena per fronteggiare la ragazza, che in quell'istante si stava allacciando il cap, i vaporosi ricci bruni che rendevano difficoltosa l'impresa. «È tuo?»

«Già» fece lei, sorridendo, seguita dal click dell'allaccio. «L'ho portato perché Ian ci alleni per le nazionali di quest'autunno.»

Celia annuì distrattamente. Non aveva seguito granché la risposta di Alice, dal momento che tutta la sua attenzione era stata catalizzata dal suo elmetto: in un lampo, ricordò di averlo già visto su una rivista di equitazione alla quale era abbonata. Costava sui seicento dollari.

«F-fantastico» balbettò, affrettandosi a seguire Mina, che nel frattempo aveva ripreso a camminare a passo svelto.

Un sottile senso di inadeguatezza si era diffuso in lei. Di colpo si sentì un'intrusa in quel posto lussuoso, in cui le ragazze partecipavano ai più importanti concorsi di salto ostacoli e si vestivano con caschetti che costavano quanto il guadagno di due mesi di suo padre.

Poco prima dell'uscita c'era la selleria. In linea con il resto del posto, era perfettamente ordinata. 

Quando Celia e Mina ebbero varcato la soglia, la ragazza cercò, fra le dozzine di finimenti appesi alle pareti, quelli di Black Beauty, che Francine le aveva detto essere in paddock.

Li individuò in un angolo e si affrettò a prendere capezza e lunghina, appesi sotto una lucida sella di cuoio nero.

«Merda, quelli di Miss non ci sono» udì Mina borbottare. Voltandosi verso di lei, la cugina aggiunse: «È la cavalla di un privato. Chissà dove li avrà cacciati!»

La ragazza uscì trafelata dalla selleria, non prima di aver detto a Celia: «Vado a chiedere. Tu intanto avviati nei paddock.»

«Aspetta!» esclamò Celia. «E io come faccio a capire chi è Black Beauty?!»

La testa della cugina fece capolino dalla soglia, un sorriso furbetto dipinto sulle sue labbra. «Be', è nero.»

Gli occhi di Celia si levarono d'istinto verso il soffitto. «Grazie» borbottò, guardandola storto. «E immagino sia l'unico morello di tutto il maneggio!»

Mina scoppiò a ridere. «Dai, avviati. Io arrivo subito.»

 

Come aveva notato mentre vi si avvicinava, i paddock erano sconfinati. E misuravano sei ettari.

Celia si rincuorò nel vedere che, malgrado i boxes di lusso e tutto il resto, i cavalli erano tenuti fuori e avevano un'espressione serena sui musi, mentre la osservavano passare lungo il sentiero, con i manti tutti sporchi e infangati di chi era abituato a passare ore e ore all'aperto.

Dopo una discreta sfacchinata, Celia finalmente individuò un cavallino nero che corrispondeva alla descrizione – un po' più approfondita – che Mina le aveva fatto su Black Beauty, dopo le sue proteste.

Era piccolo e nero, un po' tozzo, con un pelo così infangato da sembrare quasi grigio. Sembrava essere l'unico abitante del suo paddock e la fissava con le orecchie ritte, l'aria guardinga, dalla cima di una collinetta. Sembrava un cavallo selvaggio.

Celia passò sotto il filo della corrente e fece per avviarsi, quando una voce la bloccò.

«Ehi, ma che stai facendo?»

Celia si voltò di scatto. Edward era sul vialetto, gli occhi fissi su di lei, con le lunghine di cinque cavalli tra le mani, che gli scalpitavano intorno come tanti cani che tiravano al guinzaglio. Delle ragazze gli stavano venendo incontro, che Celia riconobbe come Helen, Summer e Sharleen: dopo aver preso tre dei cavalli che aveva con sé, si avviarono in fila indiana verso i boxes.

«Sto prendendo Black Beauty» disse lei debolmente, non più tanto convinta. Qualcosa, nel tono del ragazzo, l'aveva messa in guardia. Il suo gesto, in qualche modo che lei non sapeva spiegarsi, l'aveva turbato.

«Quello non è Black Beauy» rispose Ed. «Questo è Black Beauty» aggiunse, sollevando una delle lunghine che teneva fra le mani, a cui era legato un cavallino morello esattamente identico a quello cui Celia stava andando incontro in paddock.

Celia lanciò qualche improperio contro Mina dentro di sé e si affrettò ad uscire dal recinto, raggiungendo il ragazzo e i cavalli sul sentiero.

«Scusa, non lo sapevo» mormorò, afferrando la corda che Edward gli stava tendendo.

Lui scrollò le spalle. «Figurati. Non potevi saperlo, sei appena arrivata.»

Il suo sguardo corse verso il paddock dal quale Celia era appena uscita e, voltandosi, la ragazza vide che il cavallo non si era ancora mosso dalla collinetta, gli occhi fissi su di loro come se stesse ascoltando quello che dicevano. «Ma è meglio se non ti avvicini a quello lì.»

«Ok» rispose Celia, non sapendo come interpretare quell'avvertimento.

Salutò Black Beauty – davvero carino, pensò – con un buffetto sul muso e tornò a rivolgersi a Ed. Le era venuto in mente che la cugina non l'aveva ancora raggiunta. «Hai idea di dove sia la capezza di Miss? Mina la stava cercando.»

Ed sorrise. Pareva vagamente divertito. «Ce l'ho io» disse, per poi indicare con lo sguardo il cavallo che gli era rimasto, un sauro dal muso leggermente convesso e il collo lungo, un po' sproporzionato rispetto al tronco. «Miss è questa qui.»

Celia si illuminò. «Ah, fantastico!» Rivolse poi un'occhiata esitante al ragazzo. «Posso portargliela?»

«Certo» fece lui, passandogli la lunghina. «Io intanto vado a prendere quelli che mancano.»

Con i due animali al seguito, Celia si avviò lungo il sentiero, in direzione dei boxes.

Sopra di lei, il cavallino nero continuava ad osservarli.

 

A Celia Black Beauty piacque fin dal primo istante.

Come altezza le ricordava il suo Currant, anche se pareva molto meno vivace del suo puledro.

Celia e Mina avevano legato i loro cavalli alla staccionata, posizionata all'uscita dei boxes, al centro del piccolo spiazzo dal quale partivano i sentieri che conducevano ai paddock da una parte e ai campi da lavoro dall'altra.

Le due cugine lavoravano fianco a fianco, strigliando i loro animali di buona lena e, dopo averli sellati e aver visto che le altre ragazze si stavano cominciando ad avviare verso il campo ostacoli, si allacciarono i cap e si affrettarono a seguirle.

Man mano che si facevano più vicine all'entrata del campo, l'ansia cresceva ad ondate nel petto di Celia. Stava per fare lezione. All'inglese. In un recinto. Con un istruttore che sembrava matto da legare.

Ian le aspettava al centro del campo. Stava dando dei calci alla sabbia e, dall'espressione che aveva stampata in faccia, sembrava non aver ritrovato il fantomatico ladro del suo portafogli.

«Ma perché sembra sempre così incavolato?» bisbigliò a Mina, mentre faceva fermare Black Beauty al centro del campo.

Lei le rivolse un'occhiata dubbiosa. «Non ne ho idea. Ma ti assicuro che è un istruttore davvero in gamba.» Il suo sguardo si posò su Alice, già in sella al suo Zar, che in quel momento stava raspando la sabbia del campo con l'anteriore sinistro. «Altrimenti Miss Perfezione non verrebbe certo al Gallant Ranch

Celia inarcò un sopracciglio. Non aveva mai sentito Mina parlare in modo così sprezzante di qualcuno, prima d'allora. Alice le era sembrata un po' snob, ma non crudele. Quanto a Ian, più lo inquadrava e meno le piaceva: aveva come il sospetto che il suo comportamento sgarbato si sarebbe volatilizzato quando si fosse rivolto ad Alice e ad altre allieve del suo livello.

Osservando lei e gli altri, Celia si rese conto in un soffio che avevano tutti le ghette sopra gli stivali. Lei e Mina erano le uniche a non indossarle: al posto di esse, loro due si erano abituate a portare dei calzini spessi, lunghi fino al polpaccio, ormai scoloriti ed infeltriti dal tempo.

«Non hai caldo, con quegli affari?» domandò Summer, sfilandole accanto su una pony palomina, come se le avesse letto nel pensiero.

Celia scosse la testa e distolse lo sguardo in preda all'imbarazzo, ritrovandosi a fissare gli altri binomi con vergognosa insistenza. Mentre si guardava attorno nel campo, si accorse che erano davvero in tanti. Dieci, per l'esattezza. Ian sarebbe riusciti a seguirli tutti? Oltre a Summer e la palomina, nonché Alice e Zar, c'era Helen su una grigia, che doveva essere la sua Eagle; Catherine su un grosso sauro e Olga su un arabo grigio; Sharleen montava una baia sottile e scattante, Joan un sauro che presentò a Celia come Armani.

«È bellissimo» disse lei, mentre finiva di controllare il sottopancia di Black Beauty.

«E del mio Pepper non dici nulla?»

Celia si voltò di scatto verso la voce, che riconobbe come quella di Chris, il quale torreggiava su di lei dalla groppa di uno dei cavalli più belli che avesse mai visto.

«Wow» fu tutto quello che riuscì a dire, mentre fissava incantata il baio scuro del ragazzo. Aveva un fisico imponente, da saltatore, e un manto così lucido che scintillava sotto gli ultimi raggi del sole.

«Ti presento Sergent Pepper's» mormorò Chris, in un tono talmente solenne che a Celia sfuggì una risatina.

«Piacere mio» rispose, non potendo fare a meno di pensare che quel ragazzo fosse davvero buffo.

«Avete finito di ciarlare?»

La voce esasperata di Ian s'intromise di colpo nella conversazione e Celia divenne paonazza.

«Tu.» L'istruttore, che l'aveva raggiunta, l'additò e le rivolse un'occhiataccia. «Non sei ancora salita? Che stai aspettando?»

Guardandosi freneticamente attorno, Celia vide che tutti – Mina compresa – erano già in sella e si sentì inorridire.

«Sei capace o hai bisogno di un aiutino?» aggiunse, la voce che grondava sarcasmo.

Una risatina, che Celia identificò come quella di una delle due gemelle, fendette l'aria, e la ragazza deglutì a vuoto.

«Ce la faccio» disse, a voce così bassa che dubitò che lui l'avesse sentita.

Dopo aver lanciato un'ultima, frettolosa occhiata al sottopancia, montò in sella. Infilandosi i piedi nelle staffe, si accorse subito che avrebbe dovuto allungare gli staffili di qualche buco, ma non osò farlo, con gli occhi di Ian ancora fissi su di lei come se la stessero trapassando da parte a parte.

«Io non ti ho mai visto» realizzò di colpo l'istruttore, aggrottando le folte sopracciglia. «Chi saresti?»

«Sono Cecilia» si affrettò a dire lei, intimorita. «La cugina di Mina» aggiunse a chiarire, ma, a giudicare dall'espressione confusa che lui assunse, non doveva avere la più pallida idea di chi fosse sua cugina.

«Perfetto» concluse lui, scrollando le spalle. «Tanto tra cinque minuti me ne sarò già dimenticato.»

Tornando a fronteggiare il gruppo, esclamò a gran voce: «Bene, siamo pronti? Forza, mettetevi in fila.»

Ian fu interrotto da un improvviso colpo di tosse e, quando riattaccò a parlare, Celia realizzò come l'istruttore riuscisse a fare lezione senza neanche prendersi la briga di imparare i nomi dei suoi allievi. Grazie a Dio, conosceva almeno quelli dei suoi cavalli.

«Zar, in testa» berciò. «Countess, Pepper, Eagle, Bee, Goldrush, Miss, Shiraz, Black Beauty. Armani in fondo. Sbrigatevi!»

Celia spalancò la bocca di fronte a quella valanga di nomi che non aveva mai sentito nominare prima d'allora e si aggrappò con tutte le sue forze ai pochi che conosceva, come un faro nel bel mezzo della tempesta.

Io sono dopo Shiraz. Dopo Shiraz. Ma chi cavolo è Shiraz? Be', se ha detto che è dopo Miss...

Nel frattempo, Alice e il suo pony grigio si erano diretti sulla pista, seguiti da Sharleen e il baio – la baia, si corresse mentalmente Celia – di nome Countess, poi Chris e il suo meraviglioso cavallo. Lo seguirono Helen e Eagle, Summer e la sua palomina, Catherine e il cavallo sauro e... in un lampo, Celia vide Mina dare di gambe a Miss e aguzzò la vista, alla ricerca del binomio che l'avrebbe seguita.

Alla cugina e la sua saura ben presto si accodarono Olga e l'arabo grigio che, a quanto pareva, si chiamava Shiraz, e Celia si affrettò a spronare Black Beauty. Tremava dal nervoso, mentre si sistemava sulla sella. Ian non l'avrebbe colta impreparata una seconda volta!

Black Beauty fremeva sotto di lei e Celia cercò di trattenerlo. Non si ricordava quale fosse la distanza ideale da mantenere tra i cavalli, ma di certo non era quella che il morello avrebbe assunto se lei non l'avesse trattenuto.

«Cecilia, allontanati di più» sentì bisbigliare Joan, dietro di lei, in sella ad Armani.

«Grazie» si affrettò a dire lei, voltandosi appena verso la ragazza e rivolgendole un sorriso riconoscente.

Black Beauty però continuava a tagliare gli angoli e aumentare la distanza tra loro e Shiraz si rivelò più semplice a dirsi che a farsi. Celia si sedette indietro con il busto e continuò a tirare le redini, ma scoprì che il morello era piuttosto duro di bocca. Per non parlare di quelle staffe corte, che le rendevano faticoso ogni singolo movimento delle gambe. Celia si trovava benissimo con le staffe lunghe della sella americana e sapeva di non essere più abituata alla monta inglese, ma quelle lì erano davvero troppo corte.

Ian nel frattempo continuava a strepitare, i suoi berci che rimbombavano nelle orecchie di Celia, la quale aspettava da un momento all'altro di udire un urlo contenente il nome del morello, cioè il suo.

«Countess, smettila di tirarle in bocca, così la rovini! Goldrush, cos'è quella roba? Ti sembra un passo di lavoro? Sveglialo, porca puttana! Shiraz, anche tu, fallo aumentare!»

Olga obbedì e, quando vide il posteriore del grigio allontanarsi da lei, Celia tirò un sospiro di sollievo e si affrettò a frenare l'avanzata di Black Beauty, che aveva aumentato il passo a sua volta per poterlo seguire. Dopo qualche istante, il cavallo si rassegnò all'idea che Shiraz si sarebbe allontanato da lui e tornò alla placida andatura di prima. Quando abbassò il collo e distese l'incollatura, Celia lo lasciò fare. Sapeva che in quel modo i cavalli rilassavano la schiena; quando Currant lo faceva, durante le loro passeggiate, lei ne era sempre lieta.

«Black Beauty, ma che fate, rilassati in quel modo? Tiragli su quel collo, noi stiamo lavorando, mica è una sessione di yoga!»

Celia trasalì come se l'avessero schiaffeggiata e divenne rossa come un peperone, mentre si affettava a recuperare le redini di Black Beauty e se le accorciava fra le dita.

Il cavallo scosse la testa con evidente fastidio e, dando una rapida occhiata agli altri, Celia vide che tutti avevano le redini corte e stavano già arrotondando le incollature dei loro animali. Con un moto di vergogna, la ragazza realizzò che non aveva idea di come si mettesse tondo un cavallo.

Con un altro bercio isterico, Ian annunciò loro di iniziare il trotto e Celia obbedì, anche se non le veniva facile battere la sella, abituata com'era ad anni ed anni di monta americana. Tentò di fare appello a qualche reminescenza dalle lezioni che aveva fatto in maneggio tanti anni prima, maledicendo le proprie staffe corte ad ogni battuta.

«Black Beauty, hai intenzione di andare all'ippodromo, con quelle staffe?» le chiese Ian, a cui la cosa non doveva essere sfuggita, dopo un po'. «Forse è il caso che tu venga qui ad allungartele, che dici?»

Celia si morse il labbro e si accinse a fare come le era stato detto, anche se non aveva messo in conto il volere di Black Beauty, che non aveva nessuna intenzione di lasciare la fila. Dopo aver rallentato il passo, si piantò nel bel mezzo della pista, bloccando il passaggio a Joan ed Armani.

«Mi dispiace!» pigolò Celia, senza il coraggio di guardare la ragazza in faccia, mentre cercava di smuovere il cavallo.

«Non c'è problema» rispose lei e il suo tono conciliante indusse Celia ad incrociare il suo sguardo, che non era affatto adirato come credeva, bensì piuttosto comprensivo.

«Blackie, muoviti» mugugnò Joan, sventolando il frustino che aveva in mano.

Come l'oggetto entrò nel suo campo visivo, il cavallo scartò in avanti, liberando Celia da quella spiacevole situazione.

Ian intanto la osservava dal centro campo, le braccia incrociate sul petto.

«Non sai gestirlo» constatò scuotendo la testa, quando lei e Black Beauty lo ebbero raggiunto.

Celia non rispose, ingoiando un rospo fatto di praterie sconfinate, un puledro non domato sotto di lei e nessuno che potesse darle una mano.

«Vieni» fece sbrigativamente Ian, spostando un polpaccio con malagrazia per poter sollevare il quartiere della sella.

Celia lo lasciò fare, la vergogna e l'irritazione che si agitavano convulsamente dentro di lei, immobile al centro campo mentre gli altri continuavano a trottare, lanciando di tanto in tanto delle occhiate verso il centro campo. Si sentiva come una bambina piccola messa in punizione, costretta a guardare gli altri continuare a giocare senza potersi unire a loro.

Su una cosa, però, Celia si era clamorosamente sbagliata. Aveva creduto che Ian avrebbe riservato un comportamento di favore ad Alice e alle sue amiche, visto che erano ricche sfondate, ma scoprì che l'istruttore non aveva pietà per nessuno.

Alice e Sharleen ricevettero gli stessi commenti sgarbati di tutti gli altri; in misura minore, forse, visto che erano indiscutibilmente cavallerizze di talento, ma neanche loro uscirono indenni dalla sequela di insulti e imprecazioni che l'istruttore vomitava loro addosso. Sembrava avercela con il mondo intero, mentre correggeva in malo modo i loro errori.

Dopo che Ian le ebbe allungato le staffe, Celia tornò a trottare sulla pista, più che sollevata di allontanarsi da lui e, insieme agli altri, compì altri quattro giri del campo al trotto. Alzando un momento gli occhi dalle orecchie di Black Beauty, la ragazza vide che nel campo adiacente a loro, quello adibito ai mounted games, il gruppo di ragazzi che erano con loro a pranzo stava montando, senza nessun istruttore a sorvegliarli. Era stata così presa dal pensiero di non attirare le ire di Ian che non se n'era neanche accorta.

Quando l'istruttore li richiamò tutti a centro campo per farli galoppare, Celia cercò di tenere a bada l'ansia. Fece avvicinare Black Beauty a Miss, sopra la quale sua cugina la stava fissando con un sorriso solidale.

Mina stava per aprire bocca, forse per chiederle come se la stava cavando, quando la voce di Ian rimbombò prepotentemente nelle loro orecchie.

«Black Beauty, galoppo in pista!»

Celia impallidì. Aveva sperato di osservare qualcuno prima di lei, in modo da imitare la sua velocità, dato che non aveva idea di quanto dovesse lanciare Black Beauty sulla pista.

«I-io...» provò a dire, ma Ian non sentiva ragioni.

«Voglio vedere come te la cavi» sentenziò e poi aggiunse, assottigliando le palpebre: «Il tuo assetto non mi piace.»

Celia tentennò, travolta dalla sua schiettezza, ma stavolta fu la voce squillante di Mina a venirle in soccorso.

«Solo perché è da tanto che non monta all'inglese, Ian.»

«Ma allora che ci fa qui?» giunse la voce ironica di Olga, che colpì Celia come una coltellata.

Si affrettò a dare di gambe a Black Beauty e ricacciò dietro le palpebre le lacrime che le erano salite di colpo agli occhi, sperando che nessuno le avesse notate.

Il cavallino fece qualche storia, non volendosi distaccare dal branco, ma alla fine si lasciò condurre sulla pista, dove trottò obbedientemente fino all'angolo, dove Celia gli chiese il galoppo. A quel punto partì senza esitazioni – giusto, constatò Celia con un sospiro di sollievo, sporgendosi appena dalla sella per controllare – e aumentò subito l'andatura. Malgrado la piccola falcata, era davvero veloce. Che fosse un po' troppo veloce per una lezione in campo?

«Rallenta!» le urlò dietro Ian, come a conferma dei suoi pensieri.

Celia si sedette indietro sulla sella, destabilizzata dalle sue piccole dimensioni, dal fatto che fosse così aperta, così esposta rispetto a una sella americana e alla sicurezza che le dava, e tirò appena le redini.

«Questa pensa davvero di essere all'ippodromo» borbottò Ian, rivolto a nessuno in particolare. «RALLENTA, HO DETTO!»

Ancora? pensò Celia, confusa. Quel galoppino a cui stava costringendo Black Beauty le sembrava ridicolo, almeno in confronto alle corse sfrenate di Currant in mezzo ai campi, con gli arbusti e il vento che le graffiavano il volto e le gambe, l'adrenalina che le scorreva nelle vene. Malgrado ciò, lo fece rallentare ancora, come Ian le aveva detto di fare.

Quando fece ritorno verso gli altri, trovò Ian ad attenderla al centro del campo, che la fissava scuotendo la testa. A Celia ricordò vagamente un cavallo che tentava di scacciarsi le mosche di dosso.

«Come pensavo» disse lui, fissandola in cagnesco. «Non lo sai gestire.»

 

«Povera Cecilia!»

Catherine si sedette sul bordo letto che Celia divideva con la cugina, dove la ragazza si era buttata vestita dopo essere tornata in camera, provata fisicamente e mentalmente da quella giornata. Nemmeno l'ottima cena che Francine aveva preparato loro aveva contribuito a ridarle le forze.

«Ha avuto un battesimo di fuoco» commentò Helen, una sfumatura vagamente divertita nella voce, che in quel momento stava curiosando nel loro bagno. «Ehi, ma è molto più carino del nostro!»

«Mi odia. Mi odia!» sentenziò Celia, coprendosi gli occhi con le mani.

Non sapeva cosa pensare. Aveva atteso quel campo estivo per mesi interi, pensando a come ogni cosa sarebbe stata perfetta, ma solo adesso che si trovava lì si rendeva conto di quanto la realtà fosse diversa. Il posto era magnifico, le sue compagne di bungalow sembravano simpatiche, ma i commenti delle gemelle ancora le bruciavano nel petto, per non parlare di come Ian l'aveva trattata davanti a tutti. Se solo ci pensava, le veniva da piangere per la rabbia e per l'ingiustizia: lei non era una principiante. Certo, le mancava un po' di dimestichezza, ma lui l'aveva trattata come se non avesse mai montato un cavallo prima di quel pomeriggio. "Non lo sai gestire". Il suo tono beffardo le risuonava ancora nelle orecchie.

«Ma no, Celia.» Mina si distese accanto a lei, i lunghi capelli bruni sparsi sulle lenzuola.

«Sì, invece. La mia vacanza è rovinata!»

«Smettila di fare la melodrammatica» ribatté la cugina, dandole una spinta scherzosa.

«E poi, non c'è solo Ian» intervenne Catherine. «È Francine a fare la passeggiate, e poi ci sono un sacco di altre cose! Il mare, le feste di Ed...»

«...Logan!» aggiunse Mina con un sorrisetto malizioso.

«Infatti!» concordò Helen, in tono complice. «Almeno ti sei rifatta gli occhi!»

«Vaffanculo!»

Sbuffando sonoramente, Celia afferrò un cuscino dal letto e lo lanciò in direzione delle ragazze, che scoppiarono a ridere come matte.

 

*mounted games: l'equivalente angloamericano dei pony games.

Ciao!
Non so perché non avessi pubblicato questa storiella senza pretese anche su EFP (la potete trovare su Wattpad fino al capitolo cinque), ma eccola qui.

Qualche commento e curiosità random. Cecilia è insopportabile, di una moscitudine (passatemi il termine) che mi dà sui nervi, ve lo giuro XD Però è una cosa voluta. Volevo che la protagonista fosse un po' una disagiata, per farla crescere nel corso del campo estivo, lol. Menomale che c'è Mina a controbilanciare <3

Mina ha un nome improbabilissimo, perché volevo a tutti i costi darle un nome lungo, altisonante, da poter abbreviare :) Inizialmente l'avevo chiamata Josephine (detta Jo), ma mi sapeva un po' troppo di Piccole Donne XD

Non so perché abbia ambientato la storia in America (lo confesso: le teen fiction pseudocaliforniane che spopolavano su Wattpad mi hanno contagiata), sarà che adoro narrare di posti che non conosco. Certo, da una parte si ricade inevitabilmente nella surrealtà (dubito che a due passi dalla spiaggia di Santa Cruz sorga un ranch, ehm) ma dall'altra immaginare posti lontani con la fantasia, sperando prima o poi di vederli sul serio, mi piace da matti. Abbiate pietà di una povera sognatrice!

Vorrei tanto che i personaggi della storia non vi sembrassero solo un'infinita sequela di nomi, anche se, uff, sarà dannatamente difficile. Infatti ognuno di loro ha una personalità spiccata, che vorrei riuscire a far emergere nel corso dei giorni. È che sono veramente tanti da gestire e a volte l'elenco stile lista della spesa è inevitabile D:

PS: Shiraz è il nome di un vigneto. Non so, mi piaceva.

PPS: Logan è un bonazzo. 

Passo e chiudo.

Cassidy

  
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