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Autore: Francine    16/04/2024    2 recensioni
Milo Papadopoulos, rampante chef, re dei social network e host di innumerevoli programmi sulla cucina, ha indetto un concorso per trovare un dolce che incarni la vera essenza di S. Valentino. E un bel giorno nella sua casella di posta elettronica trova la candidatura del Cafè Verse-Eau, elegante locale di Parigi, a Montmartre, a due passi dal Sacro Cuore e dal Carousel des Abbesses.
Peccato che Étienne Arnoul, il giovane proprietario del Cafè, non solo non badi molto alla promozione sui social, affidandosi al traffico di turisti che affollano Montmartre, ma non abbia neppure candidato il proprio locale alla singolare tenzone...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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17.


 

Rodrigo si diede alla macchia per tutta la mattinata.

Gli occhiali in punta di naso, si sedette davanti al laptop appena Milo ebbe tolto il disturbo. Spense il telefono, si trincerò in stanza e spulciò il Regolamento del concorso da cima a fondo, nella pia speranza di trovare un modo per salvare capra e cavoli. Una virgola, uno spazio, un cavillo. Qualcosa.

Ma, pur con tutta la buona volontà di questo mondo e dell’altro, Rodrigo non era un avvocato. Non ne aveva mai avuto la stoffa. E più leggeva quelle righe fitte fitte, scritte in ostico - osticissimo - legalese, più si sentiva come un naufrago in alto mare, in balia di una marea montante e senza neppure un tappo di sughero cui aggrapparsi, tanto per stringere qualcosa prima di arrendersi al proprio destino e sprofondare nelle fauci spalancate dell’oceano.

Così, dopo aver speso la mattinata in ricerche ed email spedite per mezza Europa ed un quarto del globo terracqueo, la luce azzurrina dello schermo che riverberava sul viso, Rodrigo si era arreso all’unica, sgualcita e stiracchiata possibilità che gli era rimasta: la benevolenza di Milo.

Yngve e Marco non erano forse andati contro le regole, iscrivendo l’uno il locale dell’altro?

Certo che sì.

E Milo non lo sapeva, forse?
Certo che sì.

E quindi, come aveva chiuso un occhio riguardo a quei due scapestrati - tutto, pur di toglierseli dalle palle; e questo Rodrigo lo capiva, lo capiva benissimo - avrebbe potuto fare altrettanto con il Verse-Eau, permettendo a Coco di partecipare. Un’eccezione, così da confermare la regola.

Ma la regola in questione assomigliava più ad un tentativo di suicidio, che ad un piccolo divertissement culinario.

Non vorrà vincere un giro per la lavanda gastrica, suggerì la voce di Marco, di nuovo in pianta semistabile nella sua zucca. E Rodrigo vide la sua remota - remotissima - possibilità sgretolarsi come zucchero a velo inumidito e spargersi nel vento. Niente, l’unica cosa da fare era convincere Tiennot a partecipare. Ed era quello lo scoglio pronto a far colare a picco il piccolo guscio di noce che Rodrigo aveva messo in acqua con tanta buona volontà e nobili intenzioni.

L’orgoglio di Tiennot non sarebbe stato un ostacolo semplice da lasciarsi alle spalle. Anzi. E - se pure in linea di principio Tiennot aveva ragione, da qualsiasi lato si guardasse la faccenda - all’atto pratico il Verse-Eau navigava, vento in poppa, incontro alla tempesta perfetta, quella che lo avrebbe affondato senza troppe cerimonie. E senza neppure accorgersene.

 

Fluctuat, nec mergitur, recitava il motto di Parigi. Ma cosa sarebbe successo se quella piccola caravella chiamata Verse-Eau fosse affondata una volta per tutte? Che avrebbe fatto Tiennot? In che modo se la sarebbero cavata?

Così, cogitando e ruminando, Rodrigo era emerso dal proprio studio matto e disperatissimo a pomeriggio avanzato.

Aveva riacceso lo smartphone ed era stato subissato di notifiche: chiamate perse, messaggi Whatsapp, mail, SMS. Tutti da parte di Tiennot.

«Ruy, chiamami appena puoi. Ho un problema», diceva l’ultimo, stringato vocale, il suono del traffico parigino in sottofondo. 

E, conoscendo alla perfezione quali fossero le coordinate del suddetto problema, Rodrigo aveva capitolato.

Non aveva senso attendere oltre.

Non sarebbe stato credibile.

Aveva chiamato Tiennot, scusandosi per essere sparito - «Mi si è scaricato il cellulare», gli aveva detto, e Tiennot se l’era bevuta - e lo aveva raggiunto a casa sua, a Belleville, in un piccolo appartamentino da scapolo, a due passi dalla chiesa di Saint-Jean-Baptiste, che con le sue guglie aguzze sembrava volesse pizzicare le chiappe delle nuvole.

E, a metà pomeriggio di quel giorno disgraziato, dopo aver ascoltato con calma, pazienza e comprensione la versione di Tiennot, Rodrigo sedeva sul letto, schiena alla parete e pasticcere cocciuto tra le braccia.

 

«Io non so davvero che pesci pigliare», soffiò fuori Tiennot, una guancia sul petto di Rodrigo, la barba di due giorni e l’espressione stanca.

«È una situazione… scusami, non riesco a scegliere una parola adatta.»

Tiennot scosse la testa, i capelli sciolti oltre le spalle. «Non ci sono parole. Solo parolacce.»

Rodrigo annuì.

«Tu cosa vuoi fare?», gli chiese, accarezzandogli la schiena con fare distratto. «Non cosa si deve fare. Cosa vuoi fare.»

Tiennot sospirò.

«Io non voglio saperne nulla di tutta questa baracconata», rispose per l’ennesima volta, soffiando fuori le parole una dopo l’altra. «Non volevo partecipare prima, figuriamoci adesso!»

«E allora non partecipare.»

Tiennot sollevò la testa e gli piazzò gli occhi addosso. E Rodrigo si sentì morire.

«Giusto! Scemo io, a non pensare ad una soluzione così facile!»

E aveva ragione, ché la situazione no, non era facile. Era finito in uno di quei calappi che, ad ogni tentativo di liberarsi, si stringono sempre di più attorno al collo della vittima. E l’unica soluzione per non restare strangolati è capitolare, arrendersi e ingoiare l’orgoglio. Era la sola strada percorribile, a patto di non avere quarantamila euro d’avanzo nelle tasche della giacca, così, alla bisogna.

Rodrigo non li aveva, e Tiennot neppure, altrimenti tutta la questione si sarebbe imbarcata per ben altri lidi; senza contare che Tiennot non avrebbe mai accettato l’aiuto di un amante. Non l’avrebbe accettato neppure se fosse stato suo marito, figuriamoci!

 

«Lo so», disse. Per scusarsi del poco tatto. «Ma forse è facile.»

Tiennot si sciolse dall’abbraccio e lo scrutò come se gli fosse spuntata una seconda testa. 

«Sto provando a guardare la questione da un altro punto di vista», disse Rodrigo. Con calma. Con pazienza. «Tu non vuoi partecipare al concorso», proseguì, utilizzando le dita per elencare i punti salienti della questione. «Ma non hai quarantamila euro di penale da pagare, giusto? Il problema è che neppure io li ho…»

«Ti ringrazio, ma non li avrei mai accettati.» 

Come volevasi dimostrare, pensò Rodrigo. Marco e Aiolos annuirono, sullo sfondo.

«Allora partecipa al concorso», disse, per poi serrare un polso di Tiennot, onde evitare di ricevere un diretto in piena faccia. «Ma fallo a modo tuo.»

«Piazzando un paio di molotov nel Plaisir d’Amour

Una via di mezzo, no?, si domandò Rodrigo, prima di rispondere, col tono più paziente del proprio repertorio: «No.».

«Quindi, cosa dovrei fare, di grazia?», chiese Tiennot, sarcastico.

«Io non posso dirti cosa devi fare», spiegò. E poi, per interrompere eventuali recriminazioni, aggiunse: «Posso dirti cosa farei io, al posto tuo.».

«Sentiamo», lo esortò Tiennot, mettendosi a sedere di fronte a lui, braccia e gambe incrociate.

«Io parteciperei.» Secco e lapidario. Come una porta che si chiude o la ghigliottina che cala sul collo del condannato. «Parteciperei, sì. La frittata è fatta. Si tratta solo di non bruciarla. E di non dar fuoco alla cucina nel mentre…»

«Sì, ma…»

«Non ho finito», l’interruppe Rodrigo. «Tu fai la persona responsabile e partecipi. Vada come vada, non hai nulla da perdere. Potresti anche vincere. Ma poi…»

«Ma poi…»

«Poi chiedi a tua sorella i danni.»

 

Perché era quello il nodo cruciale attorno a cui si reggeva la ragnatela in cui il Verse-Eau era invischiato.

«Ma sei scemo? Non posso portare mia sorella in tribunale!» Tiennot si alzò, come se avesse a che fare con un matto scappato dal manicomio. «Senza contare che un processo costa. E gli avvocati costano.»

«Io non ho mai parlato di avvocati e processi.» Adesso era Rodrigo a fissarlo come si fissa un matto. Gambe piegate, mani sulle ginocchia e schiena contro la parete, continuò: «Fossi in te, mi accerterei che mia sorella impari la lezione. Così, alla prossima occasione, ci penserà non una, non dieci, ma cento volte, prima di fare un’altra stronzata del genere.».

«E come?»

«Colpendola nell’unico modo possibile», rispose Rodrigo, portando la stoccata finale, dritta al cuore. «Facendole pagare i danni. Le persone capiscono la reale entità delle loro stronzate solo quando tocchi loro il portafogli. Giusto?»

«In linea di principio, sì», concesse Tiennot. «Resta il fatto che…»

Rodrigo sventolò una mano, come a scacciare un insetto fastidioso.

«Coco lavora per te? Percepisce uno stipendio fisso? Glielo decurti. Siete soci alla pari? Ti verserà una cifra stabilita, ogni mese, fino a quando non ti avrà ripagato i trentamila, quarantamila euro che avresti dovuto sborsare per la penale.» Pausa. «Non mi sembra così irragionevole, no? E qualcosa mi dice che anche tua madre sarà d’accordo.»

Tiennot ci pensò su.

Sì, Françoise sarebbe stata più che d’accordo; e qualcosa - un’idea, un sospetto, un’illazione - disse a Rodrigo che la cara mammina sarebbe stata molto, ma molto più severa di così.

«Dovrei sentire il parere di un avvocato», disse Tiennot. 

E, in quel preciso istante, Rodrigo seppe che il suo piano stava funzionando. Sarebbe bastato poco - una piccola, leggera spintarella - e la tagliola si sarebbe chiusa attorno alla caviglia di Tiennot. Lo sto facendo per il suo bene, si ripeté Rodrigo per la milionesima volta, senza, tuttavia, riuscire ad indorare una pillola che era e rimaneva troppo disgustosa da mandare giù.

«Ho un amico avvocato», propose, il pensiero alla faccia da canaglia di Kanon. Non era proprio un suo amico, e Rodrigo sospettava potesse non essere la scelta migliore; ma, con buona probabilità, l’accordo si sarebbe siglato nella cucina di casa Arnoul con una stretta di mano tra i fratelli e Françoise a fare da garante per entrambi. «Se hai bisogno, possiamo chiedergli un consiglio. Tanto per stare tranquilli.»

«Alistair suona con un avvocato. Uno scappato di casa che sa il fatto suo», disse Tiennot. «Ma è sempre meglio sentire più pareri.»

Il tono di voce confermò a Rodrigo che le telefonate sarebbero rimaste nel mondo delle idee. Non sarebbe arrivato a tanto. La faccenda si sarebbe risolta quella sera stessa. O non appena avessero stanato Coralie dal buco in cui s’era andata a nascondere.

«Ti ringrazio», disse Tiennot, ora più tranquillo. E Rodrigo si sentì morire dentro.

Bella carogna che sei, dissero quasi in coro sia Marco che Aiolos, di nuovo nella sua testa; ma mise a tacere quello spillo inopportuno, e sfoderò un sorriso sincero avvicinandosi a Tiennot.

«Per te, questo e altro», disse, prima di catturargli le labbra in un bacio.

Bacio che, nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto essere un casto sfiorarsi di labbra, un gesto con cui tranquillizzare se stesso e Tiennot. Ma Tiennot non era dello stesso avviso. Non dopo una giornata passata a sbattere la testa da una parte all’altra, affogando in un bicchiere d’acqua. E quel piccolo, tenero bacio tra innamorati - pure se nessuno dei due si sarebbe spinto così al largo - divenne ben presto qualcosa di più possessivo. Intimo. E impellente.

«Non devi…» parlare con tua sorella?, avrebbe voluto chiedere Rodrigo, ma le labbra di Tiennot erano scese ad esplorargli il collo, mentre le mani vagavano alla deriva sotto la camicia.

«Dopo.»

E Rodrigo si arrese. Dopo. Aveva un bel suono, in bocca a Tiennot.




Coco capitolò senza troppi problemi.

Anzi, man mano che Tiennot le illustrava il piano - con calma e pazienza, senza sbraitare, tirarle il collo o rimproverarla; pur pensando che un paio di scapaccioni le avrebbero fatto senz’altro bene -, il viso tirato della ragazza si era andato rilassando e aveva accettato la proposta con un roboante: «Sì!!!», prima ancora che suo fratello terminasse di spiegarle tutti i dettagli.

L’uomo che sta annegando non chiede quanto costi la corda, pensò Rodrigo, seduto al solito tavolo davanti alla vetrata.

Aveva lasciato alla famiglia Arnoul tutto lo spazio necessario per parlare, chiarirsi, capirsi. Gli era sembrato giusto così.

Tiennot lo aveva voluto accanto, come supporto morale - e per evitargli di strangolare Coco, questa volta per davvero -, ma Rodrigo ancora non se l’era sentita di essere considerato qualcosa di più di un amorazzo estivo fuori stagione. E fuori tempo massimo. Altrimenti, lo sapeva, avrebbe dovuto chiedersi per quali strade si stava incamminando quel rapporto nato dal nulla, come un dente di leone in un prato a primavera. E Rodrigo temeva che, a baloccarsi coi se e coi ma, quella liaison avrebbe perso la propria freschezza e spontaneità. Il bello dei papaveri è che sono fiori selvatici. Prova a coglierli e a metterli in un vaso, e vedrai se non appassiscono all’istante. 

Meglio non smuovere niente, si disse, ricontrollando per l’ennesima volta il testo da mandare ad Adriano.

Sospirò. Poi scrisse il resto della mail.


Scusa il ritardo, ma ho dovuto sudare sette camicie!

Eccoti il testo, sfrondato a sufficienza.

Toglimi una curiosità: è sempre così complicato?

Il tuo uomo a Parigi

Rodrigo

 

Premette il tasto INVIO proprio mentre Tiennot usciva dalle cucine del Verse-Eau e andava a sedersi davanti a lui. E, dopo avergli scoccato un piccolo bacio sulle tempie e averlo ringraziato per l’ennesima volta, Tiennot aveva preso il telefono e aveva chiamato Shaina per confermare la propria partecipazione al concorso. 

Qualche convenevole e parecchie raccomandazioni dopo, Tiennot aveva attaccato e si era concesso uno sbuffo spazientito.

«Allora?», domandò Rodrigo.

«La degustazione è domani. Quel cretino andrà in ogni locale, assaggerà i dolci e scambierà quattro chiacchiere coi partecipanti.» Tiennot si stiracchiò le spalle. «Il Verse-Eau sarà l’ultimo.»

«Quindi saprai già domani se…»

Tiennot alzò una mano.

«Non è mica finita», disse. «Sabato assaggia i dolci, con tanto di diretta Instagram. Locale per locale. Domenica ci sarà la Rivelazione in un albergo qui a Parigi. Con tutti e tre i partecipanti riuniti.»

«Capisco.» San Valentino cadeva pur sempre di domenica, quell’anno. «Vorrà dire che ci vedremo la sera. Non cambia poi molto, no?»

«Quello che più mi secca», disse Tiennot, massaggiandosi le tempie, «è che io aveva fatto dei piani, per questa domenica.».

«Che piani?», domandò Rodrigo. 

«Piani che riguardano te. Che riguardano noi

Panico. In che senso?, pensò Rodrigo. Che si era messo in testa? Ma, per una volta tanto, il suo cervello intimò alla lingua di fermarsi e riformulare la frase. «Ah. Non possiamo rimandarli a lunedì?»

«No», rispose Tiennot. «Perché lunedì il Verse-Eau è aperto. E io avevo programmato di rinchiuderci nella tua stanza. Per. Tutto. Il. Santo. Giorno.»

E qualcosa, dentro Rodrigo, aveva risposto alla voce bassa di Tiennot, alla promessa di ventiquattro ore d’amore in cui annegare tra le lenzuola, come due naufraghi cui non importa affatto di essere salvati. Anzi.

Aveva sentito la sua voce proporre: «Possiamo spostare questo ottimo piano alla settimana prossima?».

Tiennot aveva riso, aveva portato il viso a pochi centimetri dal suo e aveva risposto: «Non vedo perché no…».

E Rodrigo era stato felice.

Un’altra settimana.

Un’altra settimana a Parigi.

Un’altra settimana con Tiennot.

«Non prendere impegni», gli disse - gli ordinò - Tiennot.

«Solo se mi prometti che recupereremo il tempo perso.»

«E con gli interessi!» Tiennot si staccò. «Stasera devo lavorare, per cui mangiamo qualcosa al volo. Ti va bene un kebab?»

«Non preoccuparti», rispose Rodrigo. «Anzi, è meglio che vada. Devi lavorare.»

«Se resti, a me fa solo piacere», disse Tiennot. E per un attimo, uno solo, qualcosa vibrò dentro Rodrigo. Con maggiore intensità. Era la stessa sensazione che gli aveva sfiorato il collo e ghermito le viscere la prima volta che era entrato al Verse-Eau, e aveva trovato Marco ed Yngve placidamente seduti a fare colazione.

Resta, gli intimò quella voce; ma Rodrigo aveva perso tutta la giornata a sistemare una rogna colossale. Ed era stanco. E doveva ancora sentire Isabelle. E, in caso la chambre d’amis fosse già prenotata, mettersi alla ricerca di un altro posto in cui stare per un’altra settimana. O dieci giorni. E, più di ogni altra cosa, Rodrigo sapeva che se fosse rimasto a guardare Tiennot lavorare, sarebbero finiti a rotolarsi sul tavolo da lavoro della cucina, e del Plaisir d’Amour nemmeno l’ombra.

Nossignore. Questa storia deve finire e deve finire qui. Adesso. Cascasse il mondo.

A malincuore, aveva stretto le dita di Tiennot - dita lunghe, forti, dalle unghie tagliate corte - e aveva scosso la testa.

«Meglio di no», e Tiennot non aveva insistito.

Così Rodrigo aveva raccattato le proprie cose, un bacio di commiato - e un secondo e un terzo, e… -, aveva salutato Coralie e Françoise, ed era rientrato alla base con lo sguardo di Tiennot addosso.

Ma, mano a mano che si lasciava Montmartre alle spalle, quello sguardo d’amore e complicità era diventato qualcos’altro. Lo sguardo bramoso del leone che ha scelto l’antilope da cacciare, e che freme per affondare i suoi denti nella carne del collo. E, in più di un’occasione, Rodrigo si era voltato per controllare che Tiennot non lo stesse seguendo - o che qualche malintenzionato non avesse scelto di pedinarlo - fin quasi sotto casa. Fin quasi sul pianerottolo.

Infilò le chiavi. Entrò. Si lasciò cadere sul letto sfatto.

Dio Santissimo, che giornata, pensò, le mani sul viso a dirsi che sì, era finita, e sì, aveva salvato Tiennot. A meno che il diavolo non ci avesse voluto mettere di nuovo lo zampino. Cosa che non si poteva mai del tutto escludere; ma in quel momento Rodrigo era troppo stanco per baloccarsi coi se e coi ma. Si meritava una doccia. Una lunga, lunghissima doccia, a temperature ustionanti. E poi otto ore di sonno filate. Il riposo del guerriero. Tiennot sarebbe passato il mattino seguente, forse. Giusto per augurarsi il buongiorno, col suo accento pantruchard pompato all’ennesima potenza.

E Rodrigo sapeva - e Rodrigo aveva imparato - che il buongiorno di Tiennot poteva essere molto lungo e molto, molto elaborato…

 

In quel momento, bussarono alla porta.

Rodrigo si puntellò sui gomiti.

E adesso che succede?

Non poteva essere Milo - le sue stories lo davano a cena a Montparnasse - né tantomeno Shaina, impegnata ad accertarsi che Milo non deragliasse dalla tabella di marcia e sparisse chissà dove, come al solito. Ed Isabelle non si sarebbe mai presentata alla sua porta a quell’ora.

Tiennot?, si chiese Ruy. 

Allora aveva ragione! 

Allora non si era immaginato tutto! 

Quell’incosciente lo aveva seguito! 

Buon Dio, ma devi lavorare!, pensò, alzandosi e ignorando, ancora una volta, quella vocina che gli sussurrava - che gli intimava - di non aprire la porta, di tenerla sprangata e di fare finta di essere morto.

Nossignore. Adesso lo avrebbe fatto entrare, gli avrebbe fatto un cazziatone da manuale e lo avrebbe riportato di peso al Verse-Eau, incatenandogli una caviglia al bancone da lavoro, se necessario.

Anzi, per punizione, prima…

Ma Rodrigo non arrivò mai a formulare il resto della frase, perché le parole, semplicemente, abbandonarono il suo cervello evaporando nell’aria della sera. Quando aprì la porta non si trovò davanti lo sguardo di un blu impossibile di Tiennot, o i suoi capelli legati in una coda distratta, o quelle piccole efelidi di cui amava tracciare il percorso sulla pelle del suo pasticcere.

Quando Rodrigo aprì la porta vide una massa di capelli oro zecchino, due occhi verde smeraldo e il sorriso accecante che per tante - troppe - notti gli avevano tenuto compagnia in sogno. Davanti a lui, bello come un dio greco appena sceso dall’Olimpo e l'espressione più contrita del suo repertorio, c’era Aiolia.

Che lo guardò.
Che gli sorrise.

E poi disse: «Ciao, amore. Sono tornato a casa.».



 
   
 
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