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Autore: shana8998    17/04/2024    0 recensioni
Aka era malata quando sua madre, la dottoressa Claire Sullivan, ideò il vaccino Aka-747 che avrebbe debellato il cancro dalla faccia della terra. Ma qualcosa è andato storto e quel vaccino sintetizzato sulle tracce del DNA della ragazza ha sviluppato un ceppo resistente che ha trasformato l’intera popolazione mondiale in mostri. Quando sua madre viene accusata di aver commesso un crimine contro l’umanità, arrestata e poi giustiziata, il consiglio della Palizzata decide di incarcerare anche sua figlia etichettandola come arma batteriologica.
A capo della Palizzata c’è il Generale,vecchio amico della dottoressa che, per ritardare la condanna a morte di Aka, tenta di studiarne il DNA cercando una cura.
Dopo un anno però, l’intero consiglio lo mette nuovamente alle strette: la morte di Aka o l’espulsione dalla Palizzata per entrambi. Le scorte di cibo scarseggiano, la criminalità all’interno del rifugio è alle stelle, non c’è altra soluzione: Aka e diciannove detenuti devono essere espulsi.
Riusciranno a sopravvivere all’inferno?
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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5. Era solo un bambino.

 

L’onda di corpi si riversò alle sue spalle come un cavallone in riva al mare.

Aka trattenne il respiro prima di venire investita da migliaia di fauci morsicanti e piedi scalpiccianti.

Si accovacciò: mani sulla testa, ginocchia sotto il mento. Non poteva restare lì. L’auto alle sue spalle le aveva fatto da argine per un po’, ma adesso, il  tettuccio si era inclinato verso l’interno, con le lamiere che cigolavano e i vetri che esplodevano fragorosamente. Quando realizzò di essere ad un passo dalla fine, con un notevole sforzo fisico e combattendo contro le urla nella sua testa, si lanciò in una corsa disperata, verso il marciapiede. Inaspettatamente, la marea putrida le sfrecciò intorno, urtandola, calpestandola se per qualche motivo si ritrovava di ginocchia a terra, spintonandola qua e là come fosse fatta di gomma.  Ma nessuno l’aggredì. La superarono, come se non esistesse. Com’era possibile? I suoi occhi annebbiati e doloranti notarono uno scintillio fra tutti quei piedi scalzi che le saltavano attorno. C’era la carcassa di una vecchia Berlina. Il cofano piegato su se stesso premuto contro un lampione, un paio di finestrini distrutti. Carponi raggiunse il marciapiede, agguantò la maniglia e aprì la portiera scivolando dentro il relitto della vettura.

Gli occhi della ragazza rimasero incollati al torrente di teste glabre - e non - che continuava a riversarsi al centro della strada. Perché non l’avevano attaccata?

Una fitta dietro la schiena le tolse il fiato. Le sembrò di essere stata messa sotto da un treno e la sensazione di ossa rotte la pervase seguendo ogni fibra del suo corpo. Era viva però. Certo, ansimava, la testa le scoppiava: quel terribile grido, il fischio metallico nelle sue orecchie, non aveva accennato a scemare, ma era sopravvissuta. Incredibilmente. Con tutte le probabilità, una qualsiasi altra persona sarebbe morta calpestata da quell’ammasso di carne purulenta o divorata, invece lei era lì a guardare l’onda oltre il finestrino con un rivolo di sangue che le gocciolava dal naso e le mani che le tremavano come foglie.


                                    ********

 

Accasciandosi inerme contro il sedile posteriore dell’auto attese che il terreno smettesse di tremare e lentamente anche lo stridore lacerante nella sua testa si attenuò, ma proprio quando stava per abbandonarsi, sentendosi venir meno, un’ombra si mosse oltre la vettura.

Aka trasalì ingoiando un urlo. Cos’era stato? Guardò vigile nello spazio fra i due sedili anteriori, la luce incominciava a divenire sempre più scura, ma il cielo blu cobalto le stava regalando ancora la possibilità di una visuale nitida prima della notte.

L’auto ondeggiò ancora. Si sollevò con le mani dal sedile, faceva fatica a stare in equilibrio. Guardò a destra, a sinistra. Non c’era nessuno.

Trattenne il respiro. 

La vettura incominciò a dondolarsi ritmicamente e il fragore di qualcosa che la stava colpendo raggiunse la sua coscienza.

Quando guardò alla sua destra, oltre il vetro del finestrino, convinta che quello fosse il lato giusto, ad un passo dal vedere l’asfalto, un’esplosione la fece voltare di scatto.

Era stato un bambino, la creatura che, con gli abiti a brandelli e la testa che possedeva pochissime ciocche pagliose di capelli, la stava aggredendo.

Le si avventò contro digrignando i denti, ringhiando come un cane e graffiando l’aria quando la ragazza riuscì ad afferrargli le braccia esili dalle vene scure e increspate.

Aka cercò di allontanarlo con tutte le sue forze e ancora una volta, si trovò a domandarsi quanto del Cataclisma non sapeva. Un attimo prima, migliaia di mutanti le erano passati accanto come se nulla fosse, quello dopo, uno di loro, un cucciolo, la stava attaccando con ferocia.

Era confusa ma di una cosa era certa, non avrebbe avuto il coraggio di ucciderlo, non in quel momento.

Lo straziante sgomento nel constatare che nemmeno i bambini erano stati risparmiati dal vaccino le strinse il petto.

Adesso, però, si ritrovava davanti un altro problema: come sarebbe riuscita a liberarsi di quell’essere?

Avevano ingaggiato una lotta, dimenandosi sul sedile posteriore della Berlina e più la ragazza tentava di allontanarlo da lei, più il mutante allungava la testa per mordere.

Stava per rassegnarsi: esausta si ritrovò con le spalle premute contro il sedile. La mutazione a sovrastarla mentre gocce di saliva biancastra le picchiettavano sul viso. Poi i suoi occhi capitolarono sulla punta delle sue Converse logore.

Brandendo l’ultimo sprazzo di coraggio sferrò un calcio sonoro alla portiera che si spalancò rumorosamente.

Facendo leva con le braccia spintonò via il contagiato che ruzzolò all’indietro sulla schiena. Cadde fuori dall’auto ma la fame, che Aka conosceva bene, lo spinse a darsi uno slancio rientrando nella vettura come un proiettile.

Il cuore di Aka si ammutolì per un istante, il fiato le si mozzò.

Denti aguzzi le punsero la carne del braccio e il dolore le scoppiò lungo l’arto come una serie di scosse elettriche dolorosissime. Il cuore le riprese a battere veloce come un cavallo al galoppo, mentre  un bruciore intenso le si propagava velocemente nella pelle quando i denti penetravano con violenza crescente oltre la manica del giubbotto.

Poi un guaito.

Il mutante lanciò la testa all’indietro. Gli occhi neri allampanati. Rivolse lo sguardo cieco alla ragazza, poi si diede alla fuga.

Solo allora Aka tornò a respirare.

Incredula e in preda alla paura afferrò la maniglia della portiera e con uno strattone la richiuse. Il cuore le pompava forte in gola. Si tolse nevroticamente il giubbotto, subito dopo la felpa.

L’impronta dei denti grondava di fiotti di sangue e in quel momento realizzò la forza mandibolare di quegli esseri. Era solo un bambino e guarda cosa era riuscito a farle.

Gridò per un altro spasmo a denti stretti.

Subito dopo un’ondata di nausea le sollevò lo stomaco. Fece appena in tempo a lanciare la testa oltre i sedili anteriori.

«Merda…», mormorò riprendo fiato.


                                       *******

 

Uno strillo lontano sovrastò il picchiettio della pioggia sulla cappotta della Berlina.

Spalancò gli occhi. La luce argentea all’orizzonte non era la stessa di quando aveva perso i sensi.

Doveva essere passata la notte poiché adesso vedeva chiaramente la città sotto il manto grigio e plumbeo di un cielo temporalesco.

Sospirò issandosi sulle braccia ma quando, per sbaglio, i suoi occhi scivolarono sullo specchietto retrovisore lanciò un urlo. Poi le partì un pugno e si schiantò dritto contro la sua guancia.

«Ahia…», mugugnò.

Ma il dolore era nulla a confronto di ciò che aveva visto. Sollevò con uno scatto la testa e si sporse fra i sedili anteriori.

I due occhi spalancati con le sclere completamente riempite di sangue e le pupille verdastre al centro di un’iride di un giallo irriconoscibile erano proprio i suoi.

«Cazzo…», imprecò in un sospiro passandosi entrambe le mani sulle guance.

A circondarli, profonde occhiaie rosse e vene sottili e visibili a increspare la pelle.

All’istante si guardò il braccio. Dal calco profondo dei denti faceva capolino una sorta di crosta giallastra da cui si diramavano in rilievo venature di pelle sottile simili a bruciature.

Aka in un gesto di rabbia strinse il pugno di una mano come fosse un modo per ponderare i nervi.

La matassa di sensazioni che stava provando si aggrovigliò al pagliaio di pensieri confusi che la stavano stordendo.

Era stata morsa ma era viva. Non sentiva più le urla, né le voci e non bramava di smembrare qualcuno però i suoi occhi erano peggiori di quelli di un infetto qualsiasi.

Com’era possibile? Che le stava succedendo?

Proprio mentre si lasciava trasportare dai pensieri e dal panico, sentì il coperchio del tombino stridere sull’asfalto.

Voltò lo sguardo nella sua direzione: Maverick.

L’idea di farlo nascondere dentro al condotto fognario era risultata provvidenziale. Lui era vivo!

Poi un moto di consapevolezza le raggelò il sangue.

“Non può vedermi così”.

Si infilò di tutta fretta la felpa e il giubbotto e ancor più velocemente, separando lo sportello sul lato opposto, scivolò accanto all’auto acquattandosi dietro la parte posteriore.

Da una fessura tra la carrozzeria e il finestrino vide il ragazzo guardarsi attorno e muoversi a ritroso ispezionando la strada.

La stava cercando.

Aka sospirò sottilmente mentre tornava a premere la testa contro le lamiere dell’auto. Maverick non poteva vederla in quello stato. Come avrebbe reagito? Nella migliore delle ipotesi le avrebbe sparato. Dubitava che  sarebbero tornati insieme alla rimessa.

Si sporse una seconda volta, lo vedeva più vicino. Il cuore le martellò nel petto.

Si guardò attorno. Magari poteva sgattaiolare via, lontano e lui avrebbe pensato che fosse morta. Certo, l’idea le creava un po’ di rammarico, ma infondo non era stato lo stesso Generale a dirle che avrebbe dovuto raggiungere il confine della città?

Da sola?...

Sola, come lo era stata per una vita intera, esiliata nemmeno fosse uno dei mostri più pericolosi sulla faccia della terra. No, adesso si stava autocommiserando: lei era pericolosa.

Dolorosamente, ricordò quando aveva provato a mordere Wesley. Era andato a trovarla di nascosto, voleva farle una sorpresa e così dopo essere passato nell’ala della biblioteca, aveva bussato alla porta della stanza blindata per gli esperimenti con due libri stretti fra le mani. Lei stava aspettando i risultati dell’ennesimo test e lui, per alleviare quell’attesa opprimente, aveva deciso di farle compagnia leggendo qualcosa assieme. Poi si erano addormentati, spalla contro spalla. Quando Aka aveva ripreso coscienza, si era trovata il Generale davanti con la pistola fra le mani pronto a sparare.

“Ti avevo detto che lei non può restare a contatto con altre persone senza la mia supervisione”.

Adesso avrebbe voluto dire al Generale che, invece, aveva persino medicato altri esseri umani e che non era pericolosa come diceva lui. Lo diventava solamente quando il siero smetteva di farle effetto.

Si morse un labbro, forse anche in quel caso poteva essere una minaccia. Certo, si sentiva piuttosto bene, non le faceva male nulla all’infuori del morso ma chi poteva garantirle che da lì in poi non avrebbe fatto qualcosa di irreversibile?

  Maledizione.

L’idea ragionevole di scappare lontano le si avviluppò alla coscienza come un serpente attorno ad un ramo.

Non poteva mettere a repentaglio la vita di Maverick.

Si convinse, doveva scappare.

Poggiando il palmo della mano contro l’auto provò a muoversi. Un boato di vetri infranti la paralizzò sul posto.

«Chi c’è?».

Maverick era fermo sul lato opposto dell’auto, il fucile saldo nelle mani.

Aka si calò il cappuccio della felpa fino all’attaccatura del naso, poi sollevò entrambe le braccia oltre la sua testa «Non sparare, ok? Sono io, Aka.».

«Aka? Sei viva.».

La ragazza si sollevò da terra con le mani ben in vista e aggirò la vettura.

Quando lo vide avvicinarsi sempre più in fretta, abbassò i palmi lasciandoli sospesi a mezz’aria.

«Ho creduto che ti avessero divorata.», si affrettò a dire lui, «Pensavo-».

«Non ti avvicinare. Resta dove sei, ok?».

La pioggia battente grondava su l'espressione confusa di Maverick che adesso la stava fissando con le labbra appena separate e gli occhi increduli, mentre i riccioli scuri si ammorbidivano sulla sua testa.

«Che ti prende?».

Lui avanzò ancora, la canna del fucile rivolta verso l’asfalto.

Resta dove sei, resta dove sei «Sta fermo, ho detto.».

Aka indietreggiò finché il fondoschiena non urtò un lato del portabagagli facendo ondeggiare di poco l’auto.

«Hai visto qualcosa?», si guardò attorno, «Non capisco.».

«Non posso venire con te, Maverick. Devi tornare indietro da solo.».

L’espressione del ragazzo si incrinò.

«Che stai dicendo? Avanti, andiamo.», un altro passo verso di lei. 

Tese un braccio, il palmo largo per afferarle la mano.

Aka avvertì le lacrime salirle agli occhi ma si impedì di piangere. 

«Non posso venire con te.», ripeté.

Maverick era indubbiamente confuso, non capiva perché di punto in bianco quella ragazza avesse deciso di non tornare alla rimessa. Che intenzioni aveva? Come sarebbe sopravvissuta? Dove sarebbe andata?

«Adesso basta.», capitolò lui avanzando spedito nella sua direzione.

«Sono stata morsa.».

Non l’aveva sentita? Perché continuava ad andarle incontro.

«Sono stata morsa.», provò a ripetersi con la voce che le tremava.

Vicino, troppo vicino.

«Sono stata morsa, Maverick!», gridò.

Il ragazzo puntò i piedi sull’asfalto. Gli occhi sbarrati.

«Cristo santo.»,mormorò impugnando di colpo il fucile.

Aka si era scesa il cappuccio dalla testa ed ora i suoi occhi abominevoli si stavano specchiando in quelli di Maverick il cui volto aveva cambiato mille espressioni in maniera repentina.

Scese un attimo di silenzio raggelante, rotto solo dallo scrosciare della pioggia, in cui entrambi si stavano interrogando su cosa fare.

Maverick doveva ucciderla, o sarebbe stata lei a farlo?

Un tuono esplose sulle loro teste.

«Non sparare, ok?», tentò lei ma come il ragazzo la vide protendersi di lato pigiò il grilletto.

Il proiettile le sfiorò una ciocca di capelli e si conficcò nella ruota di un’auto lontana sgonfiandola.

«Sto ferma. Sto ferma.».

Il suo sguardo vorticò dal volto del ragazzo alla canna della carabina.

Respirò a fondo, mantendendo le mani in vista  «Lascia solo che prenda una cosa…».

«Sta ferma!», un altro colpo.

Lei tentò di riappropriarsi di quanta più calma e lucidità possibile e tornò a dire «Non ti farò del male, va bene?».

L’occhiata astiosa che Maverick le rifilò non la convinse affatto.

«Voglio solo prendere…», velocemente si infilò una mano in tasca, «Queste. Le vedi?».

Si sollevò davanti al viso un paio di fiale. Il liquido ambrato oscillò al loro interno quando lei mosse il polso.

«Che roba è?».

«Il motivo per cui l’umanità è stata cancellata.».

Maverick le rivolse uno sguardo a metà tra l’incredulo e lo sgomento.

 

«Lasciami fare quest’iniezione…Ti prego.»

 

   
 
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