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Autore: crazyfred    22/04/2024    2 recensioni
La storia della Forestale e della Polizia di San Candido e dei personaggi che ruotano intorno al lago incastonato tra le montagne riparte dalla fine della quarta stagione: Albert Kroess è stato da poco arrestato, Deva è stata dissolta, Vincenzo è appena tornato con Eva e Francesco, dopo la morte di sua moglie, è ancora in bilico con Emma. Dimenticate quello che avete visto in tv, qui la quinta stagione è tutta a modo mio!
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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6. PROVARCI

 
 
Quando Adriana l'aveva chiamato per una cena riappacificatrice, qualche giorno dopo, Francesco era stato più che contento e aveva accettato subito. Non si erano salutati bene dopo l'incendio, e smaniava per trovare un modo di riavvicinarsi all'amica in un momento tanto difficile per lei. L'unica condizione che aveva posto, tuttavia, era di poter di offrire lui la cena: dopo quello che le era successo, non era giusto che Adriana pagasse per entrambi. Per restare in un ambiente familiare Francesco aveva scelto la pensione di Roccia, che per fare esperienza apriva la sua locanda anche alla gente del posto ora che di turisti non ce n'erano ancora molti in giro.
“Ricapitolando” disse Assunta, prendendo le ordinazioni “späztle al formaggio per te, zuppa alle erbe per questa bella signora e un arrosto del contadino da dividere in due con contorni” “Esatto Assunta, ma non insinuare” la riprese Francesco, vedendo la donna intenta a scrutare per bene la sua compagna di tavolo. “Io? Per carità, cosa dovrei insinuare...?” Francesco la guardò in minacciosamente, sperando comprendesse l'antifona: li aveva persino fatti accomodare vicino alla finestra, perché a suo dire c'era una vista romantica del paese. Se non fosse stato indaffarato con la brace nel retrobottega, suo fratello Felice le avrebbe fatto una gran lavata di capo, di questo Francesco ne era certo.
“Isabella?” domandò ad Adriana, finalmente rimasti soli. “Pare sia a cena da una amica, ma non so se fidarmi” “Perché?” Perché per via del suo lavoro con i migranti e il passato in Deva, Isabella e sua madre non erano ben viste a San Candido: i ragazzini, che quando vogliono sanno essere crudeli, escludevano e affibbiavano alla ragazzina nomignoli ed epiteti poco lusinghieri; ecco perché quando aveva detto a sua madre di essersi avvicinata ad una compagna di scuola, di punto in bianco, ad Adriana era sembrato strano. “Sono ragazzi, è normale che siano volubili, tranquilla...” “Temo ci sia di mezzo un ragazzo...” “E allora? È ancora più normale alla sua età...”
Adriana continuava però a non fidarsi, ancora meno si fidava del ragazzo che aveva visto bazzicare attorno casa sua, Klaus Moser. “Moser? Quelli dell'allevamento di cavalli che ha appena aperto?”
La famiglia si era trasferita da poco dalla Germania, di loro non si sapeva granché se non che venivano dalla campagna a nord di Berlino, non parlavano una parola di italiano e non avevano molti contatti con la gente del posto, tolta la messa domenicale e il mercato settimanale, ma per essere nella valle da pochi mesi era perfettamente comprensibile.
“Proprio loro” “Bah a me sembrano gente per bene. Il padre è venuto in caserma per permessi e certificazioni … robe così … ed è veramente quel che si dice un tedesco. Ligio al dovere e precisissimo, anche per gli standard locali” “Invece a me sembrano strani...” continuò Adriana, che non sembrava affatto convinta dal ritratto che ne stava facendo Francesco “...lo sai che non hanno iscritto i figli a scuola per educarli in casa?” 
Francesco non si stupì più di tanto: non era nuovo a queste derive poco ortodosse: dai nostalgici e reazionari agli hippie ecologisti che vivono tutt'uno con la natura, era ormai preparato a non stupirsi più di niente. “La legge non glielo vieta, Adriana. Se hanno avuto il permesso e possono provare di saperlo fare, non c'è niente di male, che approviamo o meno” La donna era ancora sommersa di dubbi, ma la sua argomentazione era troppo flebile per Francesco, il quale preferì chiuderla lì e cambiare argomento.
“Sono contento che mi hai chiamato, spero che la storia dell'altro giorno sia acqua passata...” Francesco era invece sempre granitico nella sua posizione ed era certo che avrebbe persuaso anche Adriana, prima o poi. “Non mi è passata, ma ho capito che non avevi cattive intenzioni. E poi sei il mio migliore amico e ho bisogno di sfogarmi con qualcuno” “Non che non mi faccia piacere, ma sai bene che c'è anche qualcun altro che sarebbe contento di poter prendere questo ruolo” 
Adriana, però, fece finta di non aver sentito quel riferimento a sua sorella; in quel momento, del resto, aveva altre preoccupazioni. “Ho parlato con l'oncologo...e non è sicuro che chemio e operazione basteranno a fermare il cancro” confessò “sono preoccupata, Francesco...non per me, sia chiaro, ma per Isabella. Non abbiamo più una casa, soldi non ne abbiamo al di fuori del mio stipendio...che farà?” “Shhh” la quietò, prendendola per mano “non rimarrà da sola, tu ce la farai” 
Cercando di dominare lo sconforto che quella notizia gli aveva messo addosso, Francesco credeva davvero a quello che le aveva detto; Adriana era una leonessa: con grande forza di volontà era riuscita a venir fuori da Deva e rifarsi una vita, e per questo l'ammirava immensamente. In quei mesi, da quando si erano conosciuti, si erano avvicinati tanto e nonostante le chiacchiere di paese era andato avanti per la sua strada, perché per lui era realmente come la sorella che non aveva mai avuto. “Me lo hai detto tu quando hai iniziato la terapia, ricordi?”
“Seh” mugugnò Adriana, ma solo per farlo contento; l'ultima cosa di cui aveva bisogno erano discorsi motivazionali, ma non poteva incolpare Francesco per quello: cosa dire del resto ad una persona che vede la morte in faccia?! 
“Ma...Emma?” provò a sviare la conversazione “C'hai parlato?” 
Francesco le aveva parlato così spesso di Emma, nei mesi in cui era stata lontana, che ad Adriana sembrava di conoscerla profondamente, e non solo superficialmente come era successo quando la ragazza bazzicava Deva. “Sì, c'ho parlato, ma...” “Se te la lasci scappare sei un cretino” chiosò la donna. “Ma io...” “Niente ma...io lo so perché fai così! Non vuoi fare nulla per non rischiare di farti male...ma nella vita le cose accadono e non possiamo fare niente per evitarle, non è colpa di nessuno” Lei si era sentita così in colpa quando aveva ricevuto la sua diagnosi: se non fosse andata a rinchiudersi a Deva, se avesse fatto prima le analisi, se da ragazza non avesse fumato...se...se...ma non funziona così. “Non pensare di non averli protetti...tuo figlio, Livia, persino Emma” continuò “lei cerca di sopravvivere, fallo anche tu. Anzi...vivi, vivete insieme finché potete perché il rimpianto è peggiore del rimorso. Promettimi che lo farai”
Francesco avrebbe tanto voluto prometterglielo, prima di tutto per sé stesso, perché avrebbe significato avere Emma nella sua vita, e poi perché aveva davvero voglia di una vita che potesse dire normale: avere qualcuno con cui svegliarsi al suo fianco, con cui fare compere e sbuffare perché ci mette tempo, con cui concedersi di passare un'intera giornata sul divano solo perché piove o prendere un giorno di ferie per andare via nel weekend; ci aveva pensato spesso, prima dell'ultimo inverno, quando Emma si stava preparando a tornare a Milano, perché alcune di quelle cose le avevano fatte insieme ed era stato bellissimo per lui che quella vita non l'aveva mai fatta, nemmeno da sposato.
“Ti prometto che ci provo” disse, non garantendo nella riuscita: si conosceva, quello era il massimo che poteva concedere “ma solo a patto che anche tu mi prometti che ci provi con tua sorella”
Adriana gli scoccò un bacio sulla guancia, divertita “Certo che sei testardo!” Francesco sorrise, soddisfatto di quel compromesso siglato, giusto in tempo perché Assunta portasse loro i primi e non vedesse quel bacio innocente e tornasse ai suoi sospetti.

Nel corso della serata, la voce di Roccia riecheggiò nel corridoio d'ingresso della malga fino alla sala da pranzo, pronunciando un nome familiare. “Emma! Quanto tempo! Ben trovata!”
Francesco capì in quel frangente perché il detto vuole che la fortuna sia ceca: perché se c'era un ente, un dio, una creatura magica a districare la matassa del destino, con lui puntualmente complicava inutilmente le cose; ma perché, di tutte le circostanze in cui poter incontrare Emma dopo il loro litigio, aveva dovuto proprio ritrovarla lì, mentre cenava con Adriana?! Non che ci fosse alcunché da spiegare, ma già loro non si trovavano, dover dare spiegazioni era un'inutile complicazione che avrebbe evitato 
volentieri. 
Q
uello che non aveva previsto, però, e avrebbe dovuto, era che nemmeno Emma era sola: con lei, a cena, manco a dirlo, il suo collega dell'università. Più lo vedeva, più lo riteneva innocuo, ma bastava la sua presenza ad innervosirlo; in quel momento, poteva concedersi con Emma cose che lui non poteva: prendere la sua giacca, spostarle la sedia, stare seduto di fronte a lei, vedere i suoi occhi e il suo sorriso da vicino...cazzate, in fin dei conti, ma erano le cose più piccole a mancargli, ora se ne rendeva conto.
“Che coincidenza, Emma, guarda chi c'è qui a cena stasera?” sentì dire dal suo ex vice. La giovane si guardò intorno e non ci mise molto a riconoscere Francesco Neri, l'uomo che la sua testa odiava e tanto quanto il suo cuore batteva fortissimo solo a vederlo o a riconoscere quel maglione blu che le piaceva tanto e che portava quando se l'era trovato davanti, bellissimo, al suo risveglio in ospedale. Ti odio Neri, ti vorrei odiare ma non ci riesco. Come se non bastasse, con lui c'era una donna, che lì per lì le sembrò di conoscere ma non riusciva a ricordare, anche perché era abbastanza sicura che fosse la stessa che aveva con lui in auto poche settimane prima e questo dettaglio la faceva ribollire dentro. 
​Quando però 
vide Francesco scattare dalla sedia non appena lei mise piede nel salone, nel petto il cuore perse un battito. Ti odio Neri, ti vorrei odiare ma non ci riesco. “Emma!” “Buonasera!” detestava essere così formale, ma era un obbligo che aveva più per amor proprio, in vista di quel distacco che ci sarebbe stato a breve, che per un risentimento vero e proprio “Anche tu qui stasera?” le chiese lui, cortese e quasi intimorito di approcciarla. Quella conversazione era una fiera delle banalità, ma era inevitabile nella loro situazione. “Domani ripartiamo e non potevo non venire a salutare Roccia” “Hai fatto bene! E poi Assunta, vedessi che cuoca...” “Immagino! Ma…non ti trattengo oltre, vedo che sei in compagnia...” “Ah sì, perdonami...ti ricordi di Adriana Ferrante? L'hai conosciuta anche tu”
Fu allora che come un flash, Emma si ricordò dei bambini di Deva e delle lezioni che aveva fatto: Adriana era una delle donne a cui era affidata la loro istruzione e ora ricordava anche che, dopo Deva, era stata una delle primissime persone a voler togliersi di dosso quella tara inevitabile, chiedendo aiuto a Francesco. All'epoca gliene aveva parlato, ma non aveva idea fossero diventati tanto intimi.
La donna però sembrava felice di vederla: “Piacere di rivederti Emma. E forse non ci crederai ma stavamo proprio parlando di te...a dirla tutta Francesco non fa altro che parlare di te” Il forestale arrossì visibilmente, anche sotto il filo di barba; in effetti l'argomento Emma era uscito spesso, forse anche troppo, senza volerlo, con Adriana. Chissà quanto doveva essere risultato pesante e disperato agli occhi dell'amica. “Spero bene” ribatté Emma, in imbarazzo. “Naturalmente” “Sono contenta che tu sia qui” chiuse Emma, rivolgendosi all'uomo “almeno così poi ci salutiamo per bene...adesso però, davvero, vi lascio cenare, buona serata!”
Non era vero, non era contenta per niente: non amava gli addii, figurarsi dire addio a Francesco in quel momento e in quel modo. Inoltre, la presenza di quella Adriana complicava tutto: più l'occhio le cadeva sul quel tavolo, più le ritornavano in mente ricordi della comunità e di come fosse stata lei stessa ad incoraggiare Francesco ad aiutare i “superstiti”. Lui, come tanti altri in paese, non riusciva non guardarli con diffidenza, come fossero fuori di testa: lei l'aveva spinto a guardare oltre, ad osservarli meglio, magari anche ad ascoltare le loro storie, spesso piene di dolore, che per quell'imbonitore di Kroess erano state il perno perfetto su cui fare leva. E ora, meno di un anno dopo, erano così intimi al punto che i due erano a cena fuori, e tutti sapevano che normalmente solo due cose potevano far uscire il Comandante dalla sua tana sul lago: temperature drasticamente sotto lo zero o un caso di cronaca su cui indagare.
“È proprio strano quel forestale” esclamò Giorgio. “Perché?” “Da quel poco che ho visto in questi giorni è sempre sulle sue, scontroso. Mi chiedo cosa ci troviate voi donne in lui” Beh basta avere degli occhi per capirlo, avrebbe voluto rispondere Emma, ma non era il caso. “Voglio dire, sarà pure un bell'uomo ma non mi sembra un tipo con cui avere delle lunghe conversazioni” “Eppure credimi non è così” disse Emma, accorgendosi di aver alzato la voce più del dovuto e irrigidendosi al suo posto “innanzi tutto ha vissuto delle robe incredibili nell'esercito e se volesse raccontarle ci impiegherebbe giorni e poi è una persona molto sensibile, che sa ascoltare” “Si direbbe che lo conosci bene, non me lo avevi detto” “Mah...sì...cioè... abbiamo passato tanto tempo insieme al campo base, alla fine vuoi o non vuoi finisci per fare conversazione” inventò Emma, trovandosi spalle al muro; era così gelosa di quell'estate passata in montagna che non riusciva a parlarne con nessuno neanche velatamente. “E ti piace pure” suggerì il ragazzo, guardando con la coda dell'occhio il tavolo con il comandante della forestale sentendosi osservato: forse, pensò, la cosa era persino reciproca. “Adesso non esagerare, non ci conosciamo abbastanza per parlare di certe cose” “Lo prenderò come un sì” Emma, a disagio, andò a chiamare Roccia per toglierla da quella empasse e prendere le ordinazioni.
Quello che Emma non sapeva, però, era che nemmeno all'altro tavolo la situazione era tanto semplice: appena si accorgeva di non essere visto, Francesco buttava un occhio verso Emma, per capire – o meglio rassicurarsi – che tra lei e il colleguccio non ci fosse nessun feeling oltre quello meramente professionale. Più li vedeva e più se ne convinceva, ma a volte la convinzione è solo frutto di ciò che vogliamo vedere e si rischia di prendere un abbaglio.
“Se la guardi ancora un po' la sciupi...” lo prese in giro Adriana, ridacchiando. “È così evidente?” “Solo un cieco non lo vedrebbe, ma anche lì ho qualche dubbio...” commentò l'amica “approfittane, quale migliore occasione” “Sì ma non è sola... e poi hai sentito, ha detto che parte domani...”
Adriana scosse la testa: era consapevole che gli uomini fossero delle cause perse, duri di comprendonio e lenti a mettere a fuoco, lo aveva scoperto a sue spese, ma Francesco era un caso veramente al di fuori di ogni grazia. “Sentimi bene: Heute muss dem Morgen nichts borgen” “L'oggi non deve prestare nulla al domani, giusto?” “Esattamente. Non perdere questa opportunità, potrebbe non capitare di nuovo” “Sì ma cosa le dico?” “E io che ne so? Non sono io ad esserne innamorata” sussurrò la donna, strizzando l'occhio all'amico.
Quella parola, che nessuno aveva avuto il coraggio di pronunciare da tempo con lui lo colpì come un muro preso a 100 all'ora. Innamorato. Sì, lo era, come non gli capitava da tempo; forse, anche se gli restava difficilissimo da ammettere, come non gli era capitato mai prima di allora: quell'amore che sovrasta ogni pensiero, ogni priorità, che ti toglie la fame come agli adolescenti ma riesce anche a tenerti con i piedi per terra con la sicurezza che solo un amore lungo una vita sa dare. E forse, se Emma avesse provato 
per lui ancora la stessa cosa, la distanza avrebbe potuto non essere un ostacolo in fin dei conti: non sarebbe stato facile, ma quale relazione lo è. E forse, insieme, sarebbe stato più facile superare le paure che da solo gli sembravano insopportabili: quei mesi che avevano trascorso insieme erano stati così belli ed erano corsi via così veloci che ora solo riusciva a prenderne coscienza; ora che ci pensava, anche i suoi incubi e le notti insonni gli avevano dato una tregua sapendo che al mattino l'avrebbe rivista.
Adriana e Francesco avevano terminato la cena prima di Emma e Giorgio, e Adriana convinse Francesco che non sarebbe morto nessuno se avesse preso un taxi per tornare a casa, lasciandogli un momento di privacy con Emma. Ora, però bisognava solo trovare il modo di restare soli.
Si avvicinò lentamente, impacciato, anche se Emma si era già accorta di lui appena i due amici si erano alzati dal tavolo. “Allora...” esordì, stando in piedi davanti a quel tavolo da due, le mani strette in due pugni così compressi per la tensione che erano diventate quasi livide e gli facevano male “...dobbiamo salutarci qui?” “Direi di sì” “A che ora parti domani?” la incalzò “magari hai tempo per un caffè in palafitta”
Stava improvvisando, non gli andava di dirle addio in quel momento, né poteva dirle quello che avrebbe voluto in una sala da pranzo di un'osteria contadina, con tanto di pubblico pagante. “No, guarda, ti ringrazio...ma devo ancora fare le valigie e non credo di riuscire a farlo stasera. E poi domani Giorgio ha un impegno alle 18, quindi non possiamo partire più tardi delle 10.30”
Emma tergiversava: non poteva assolutamente permettersi di passare ancora del tempo con lui: lo conosceva fin troppo bene ormai da sapere che avrebbe di nuovo accampato scuse, fatto la vittima di tutti i mali del mondo, le avrebbe chiesto del tempo e lei avrebbe provato pietà perché era fatta così ma non sarebbe cambiato nulla, avrebbe solo rinvigorito una speranza che a tempo debito sarebbe stata di nuovo disattesa. Ed era stanca di illudersi, stanca di credere che un giorno avrebbero avuto una possibilità, stanca di immaginarsi felici insieme.
“Capisco...” a Francesco quel rifiuto palese fece male ma, in fondo, pensò di meritarselo, perché era stato un cretino ad aspettare troppo tempo. Aveva sentito dire da Huber una volta che finché l'organo suona la messa non è finita, ma qui dell'organo non era rimasto nemmeno l'eco dell'ultimo brano. “Almeno” continuò “prometti di non cancellare il mio numero di telefono, così mi fai vedere Livigno e i lupi che ci sono lì” “Ma va figurati...poi vado in Valtellina, mica sulle Ande...se vuoi in mezza giornata sei lì e puoi venire a controllarli di persona” Promesse e progetti che entrambi sapevano non sarebbero mai stati rispettati; ma andava bene così, faceva parte di quello sporco gioco che entrambi avevano giocato troppo a lungo e il detto aveva ragione: il gioco è  bello solo quando dura poco.
“Allora ciao Emma!” “Ciao Francesco, alla prossima!” Senza riflettere, Emma si alzò leggermente sulle punte per scoccare un bacio sulla guancia dell'uomo: la guancia, rigata da una barba di tre giorni fintamente incolta, profumava di fresco bergamotto ma anche del caldo legno della casa sul lago quando la stufa è accesa e c'è il caffè in caldo. Non si sarebbe mai staccata da lì, ma doveva farlo prima che la cosa diventasse imbarazzante: a lei quel bacio, seppur innocuo, sembrava essere durato un'eternità, ma nessuno attorno si era scomposto, al di fuori di Francesco, i cui occhi si erano posati su di lei come se avessero avuto una visione delle sue; presto ne capì il motivo: con le mani si era ancorata alle sue braccia, stringendo quel maglione che era da sempre il suo preferito, che sul suo incarnato olivastro faceva miracoli, come se ne avesse bisogno.
“È...è meglio che vada” “Sì, sarà meglio...”
Francesco si sentiva uno stupido per non aver insistito ancora, di più, ma temeva di subire l'effetto opposto a quello desiderato. Ci pensò in auto, mentre tornava a casa e ci pensò ancora bevendo una tazza di caffè solubile che ancora si ostinava a preparare sulla stufa e bere a piccoli sorsi, lentamente tanto era bollente, in terrazza mentre provava ad interrogare le stelle. Ma le stelle non avrebbero potuto dirgli nulla su di sé e su Emma che non sapeva già. Sporto sul parapetto della terrazza gli tornò in mente di quando le aveva permesso di restare a San Candido nonostante i suoi problemi di salute; lei gli aveva detto, scherzando, che era non era come mamma aquila, che depone le uova separatamente per permettere al più grande dei piccoli di sopravvivere cibandosi del più piccolo in caso di necessità: lui avrebbe covato le uova insieme, avrebbe provato a fare sempre la cosa giusta, anche se non era la più semplice. Ci doveva provare.
“Emma ti disturbo? So che è tardi, perdonami” Gli era venuta questa idea aguzzando la vista nel buio pesto del lago notturno, quando solo le stelle offrono un piccolo sprazzo di luce, delineando il profilo dei monti circostanti; prese il telefono senza nemmeno controllare l'orario: solo dopo si rese conto che forse era stato un tantino avventato. “No, ma quale tardi, tranquillo” non era più tardi delle 11 ma ormai i suoi ritmi erano settati con quelli del posto che erano ben più nordeuropei di quelli di una ragazza di città “sono appena tornata in albergo...ma è successo qualcosa?” “No, tranquilla...è solo che ...mi è venuta in mente una cosa e volevo proportela” “Sarebbe a dire?” “Hai con te le scarpe da trekking?” “Certo, perché?” “Fai le valigie ora e domani vieni qui per le 4” Emma domandò se per caso stesse scherzando ma era evidente che fosse serissimo. “Le 4? Ma sei serio?” Non lo era mai stato così tanto in vita sua. “Ti ricordo che Giorgio...” “Ti prometto che partirai in tempo...e se non sarà così ti porto io stesso a Milano ma dobbiamo fare questa cosa” “Cosa?” “Fidati di me. Ci sarai?”
Bella domanda. Esserci significava fidarsi, fidarsi significava far cadere quell'armatura che stava faticosamente costruendo attorno a sé e rischiare di farsi ferire da lui. “Ci proverò” rispose, dopo un lungo respiro “ma non ti garantisco nulla”
   
 
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