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Autore: PiscesNoAphrodite    24/04/2024    0 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I prati di asfodelo, capitolo XXI

 

XLII

 

Un uomo con indosso l’armatura dei Santi di Athena si era avvicinato alla figura china sul campo dei fiori. Lo riconobbi dopo alcuni istanti, la silhouette era quella del personaggio di cui tutti commemorano le gesta: Orfeo della Lira. La visione che mi era comparsa davanti agli occhi divenne comprensibile e non c’erano dubbi perché dimostrava che il racconto di Perseo era stato sincero, Orfeo era vivo, dimorava nel regno degli Inferi, e ora potevo vederlo al fianco del mio fratellastro.

“Se stai più attento puoi anche udire ciò che dicono” disse Sileno. Lo guardai torvo ma dovetti annuire in segno di conferma poiché, dopo essermi concentrato, riuscii dapprima a leggere sulle labbra dei due per poi udire distintamente quello che si stavano dicendo.

Il satiro tacque e si accoccolò —dopo esservi balzato con un salto— su un frammento di ossidiana. Io rimasi silente sulla soglia del varco senza oltrepassarlo, obbedendo così al suggerimento della creatura. 

Le sagome che fluttuavano a mezz’aria sul prato sconfinato non percepivano la mia presenza, e anche Misty e Orfeo sembravano non essersi accorti di me. Scorgevo in modo chiaro, inequivocabile, i tratti dei volti, finanche le pieghe degli indumenti, e udivo il fruscio delle vesti e il crepitio degli steli che il ragazzo inginocchiato annodava meticolosamente con le dita delle mani; ne udivo le voci, delle quali una era talmente familiare da farmi provare una sensazione strana, qualcosa di simile a disagio misto a commozione.

 

“Inutile piangere sul latte versato” insinuò Orfeo come per consolare il giovane che intrecciava la ghirlanda di fiori bianchi. “Quella per chi sarebbe?”

 

“Per me” replicò Misty, dopo aver alzato la testa, trafiggendo con uno sguardo di sufficienza l’interlocutore che gli aveva domandato un’ovvietà. “Mi annoio a morte” aveva risposto lui come per giustificarsi.

 

“Lo hai voluto tu, saresti potuto vivere se ti fossi fatto gli affari tuoi” aveva sospirato il musico, deponendo la cetra sul prato. “Ma hai preferito assecondare il tuo ego nella sciocca convinzione che le tue imprese sarebbero state celebrate con tutti gli onori… e invece sei qui, con un pugno di mosche, a soccombere alla noia” soggiunse ridacchiando, e poi sedette accanto a mio fratello.

 

Misty sbuffò corrugando le sopracciglia e si scostò di lato,  evidentemente infastidito, dopodiché chinò la testa concentrandosi sull’opera che stava portando a termine con tanta cura.

 

“Lassù se ne infischiano. Non importa a nessuno di te. L’armatura di Libra è passata a Shiryu” sentenziò Orfeo, senza peli sulla lingua, ma io non lo ricordavo così privo di tatto. Nella sua provocazione si evinceva un significato intrinseco, come vi fossero pensieri sottesi e di ben altra levatura  non paragonabili a un volgare pettegolezzo. Vi coglievo un messaggio più profondo diretto al destinatario.

 

“Intendi umiliarmi?” Domandò Misty distogliendo l’attenzione in modo brusco da ciò che aveva tra le mani, e nei suoi occhi chiari si palesò l’orgoglio indomito. “Se intendi umiliarmi, o fomentare in me un sentimento d’invidia, non ci riuscirai.”

 

Orfeo strappò un fiore di asfodelo che campeggiava nell'erbetta tenera e lo rigirò tra le dita,  indugiando, assorto, come per schiarirsi le idee. Non era facile trattare con mio fratello e,  di sicuro, il musico stava riflettendo sul modo più consono di approcciarsi a lui.

 

“Non mi importa di come mi giudicano gli abitanti del Santuario e dell’impressione che ho lasciato in loro. Piuttosto… Algol.” Dopo aver pronunciato il nome del saudita, l’espressione di Misty cambiò e sul volto si delineò un lieve sorriso. “Ha fatto come ho detto?”

 

“Cosa gli avevi chiesto?” Replicò, a sua volta, Orfeo dopo aver taciuto per alcuni istanti.

 

“Desideravo che fosse la divina Athena a riparare –consacrando con il proprio sangue– l’armatura di Perseus.”

 

“Una richiesta pretenziosa, non ti pare?”

 

Misty abbassò gli occhi come per annuire senza esprimersi verbalmente.

 

“Eppure la dea ha deciso di accontentarti. Algol ha avuto l'ardire di esprimere il desiderio in tuo nome, e lei ti ha accontentato.”

 

Vidi Misty spalancare i grandi occhi azzurri, sussultare, come scosso da un tremore o da un colpo di tosse improvviso, forse non si capacitava di essere stato preso in considerazione. Ma lo vidi ricomporsi repentinamente passandosi una mano sul volto umido di lacrime.

 

“Non dovresti preoccuparti di quel farabutto, egli non è da annoverare tra gli individui che meriterebbero una menzione per i propri meriti o relativa al proprio valore” aveva rettificato Orfeo, ed era stato schietto esponendo la sua opinione a tal proposito, tuttavia il musico era scaltro e credevo di aver intuito dove volesse andare a parare in realtà. Voleva suscitare una qualsivoglia reazione in mio fratello.

 

“Sta’ zitto. Non si può giudicare una persona senza conoscerla.” Misty infatti non aveva tardato a reagire, come avevo previsto, e, subito dopo, allungò una mano per recuperare la ghirlanda di fiori. Si soffermò a pensare e d’un tratto parve rasserenarsi. “Potresti recapitargliela?” Chiese, raggiante, come un barlume di luce che filtra tra le nubi.

 

“A chi?”

 

“A lui… ad Algol di Perseus.”

 

“Non è possibile interagire su piani dimensionali differenti: il tuo amante è vivo e tu sei morto” ammise Orfeo con un velo di tristezza mal dissimulata nello sguardo.

 

“Ma tu sei vivo e con te interagisco, come si spiega?” Rispose mio fratello, come se fingesse di non comprendere la situazione. Il suo atteggiamento caparbio mi rattristava perché ero convinto che in verità se ne fosse reso conto perfettamente pur negando a se stesso.

 

“Io sono un servitore del Sommo Ade, posso beneficiare di qualche banale privilegio e intrattenermi a parlare con gli spiriti dei defunti.” Orfeo aveva chiarito la sua posizione e si appropriò nuovamente della lira per strimpellare un breve stralcio di melodia. La musica si diffondeva, soave, in quel luogo spettrale dove le ombre prevalevano in contrapposizione al fievole chiarore della distesa dei fiori che sembrava espandersi all’infinito.

 

Misty accantonò la ghirlanda, forse realizzando di aver fatto un lavoro inutile, perché era ormai  abbastanza chiaro che l'avesse intrecciata per Perseo. Afferrò la testa tra le mani in segno di disperazione e poi si coprì il volto per nascondere i propri sentimenti. Mi chiedevo se la musica di Orfeo avesse facoltà di lenire il dolore di quello spirito inquieto… perché a me infondeva malinconia. 

 

“Non disperarti” sussurrò il Santo d’argento dopo aver intonato l’ultima nota di una melodia struggente. “Ho ancora qualche quesito da porti prima di condurti alla fonte dell’oblio dalla quale berrai per dimenticare…”

 

“Ci sono cose che non voglio, che non posso dimenticare…” Misty strinse i pugni con la voce che sembrava rotta dal pianto.

 

“I tuoi successi? Le effimere soddisfazioni raggranellate nel breve periodo vissuto al Santuario?”

 

“Continui a fraintendermi perché la questione del successo dovrebbe preoccuparmi meno, anzi, non mi preoccupa affatto! Algol, Asterion, Babel… Shaina e altri che non potrò mai più rivedere. Lasciare tutto alle spalle, questo, sì, è deprimente.” 

 

L’affermazione di Misty ebbe il potere di mutare l’espressione risoluta e un po’ saccente che caratterizzava il volto di Orfeo: “Quindi rimpiangi di non essere più un Santo di Athena?”

 

“Sono stato uno stupido a voler rinnegare il ruolo per cui ero predestinato. Lo rimpiango, adesso che non posso più tornare indietro” confessò Misty guardando la propria ciocca di capelli avvolta intorno alle dita. “Søren? Come sta Søren? Si è risvegliato, è di nuovo il custode della dodicesima Casa?”

 

“Certo che lo è. Il signore degli Inferi ha mantenuto la parola data, i patti sono stati rispettati. Vi è stato un equo scambio: la tua vita in cambio della sua. Il tuo sacrificio, in fondo, non è stato vano” aveva confessato Orfeo e, al tempo stesso, ricomparve il sorriso sul volto d’angelo di mio fratello.

 

“Søren sta bene, e Jalal —oh, santa Athena, non ho mai avuto, come ora, l’impulso di chiamarlo con il suo vero nome— è stato ricevuto con tutti gli onori… la sua armatura è stata benedetta col sangue della dea!" Ansimò Misty,  in un sussulto di contentezza,  sistemando il chitone –che si dispiegava delineando in modo sensuale il suo corpo– al fine di assumere un contegno decoroso. “Sarà benvoluto e rispettato come un Santo d’oro, questa è la massima aspirazione che ho per lui!”

 

Si rallegra per qualcuno che non è lui stesso…

 

Orfeo si limitò ad ascoltare mio fratello, stranito, quasi incredulo di udire la prova dell’amore incondizionato nei confronti di colui che era stato un suo pari. Sbalordito lo ero anch’io —in particolar modo a proposito delle parole udite nei miei confronti— affermazioni che non si potevano più confutare. Misty non era nelle condizioni di mentire e non ne avrebbe avuto alcun motivo.

 

“La gattamorta —la definivano così— cosa mi dici di Marin? L’hai odiata.”

 

“Sì, Orfeo. L’ho odiata per il suo tradimento nei nostri confronti e per aver fatto il doppio gioco, l’ho anche invidiata per essere stata inclusa nella cerchia dei favoriti. Ma è stato solo tempo sprecato perché il rancore si è trasformato in un senso di vuoto” disse Misty mettendosi a giacere di schiena, sul prato, con le mani intrecciate dietro la nuca, per volgere lo sguardo vacuo al cielo avvolto dalle tenebre. “In questo posto non hanno senso le futilità della vita terrena, mi rendo conto di quanto siano state inutili. Di come sia stato tutto vano e controproducente. I problemi che mi tormentavano,  ora, sono inezie.”

 

Orfeo trasse come un sospiro di compassionevole rassegnazione, seduto accanto a lui, con le mani appoggiate sul terreno, le braccia un poco inclinate dietro la schiena, per sorreggersi. Si raddrizzò e cambiò posizione per porre una carezza sulla chioma scarmigliata del ragazzo biondo. 

“Dobbiamo andare, è ora di andare” disse.

 

“Dove?” Chiese mio fratello con aria stralunata.

 

“A bere dalla sorgente dell’oblio.”

 

“Il Lete? Ne ho sentito parlare, ho sentito parlare della facoltà di quelle acque… ma io non vorrei dimenticare. In primo luogo il mio sentimento per…”

 

“Ma così è stabilito” aveva sentenziato,  categorico, Orfeo della Lira,  e malgrado il piglio intransigente sembrò cedere al fascino o alla dolcezza con cui l’interlocutore si era rapportato a lui. “Ma puoi scegliere tra due opzioni.”

 

“Non so se avrò voglia di fare una scelta a queste condizioni. Ti prego non costringermi, io non voglio…” 

 

Quando vidi Orfeo prendergli il volto tra le mani e porgli un bacio sulla fronte ebbi una stretta al cuore. Avevo compiuto anch'io quel gesto di affetto nei suoi confronti, qualche volta, nella vita.

L’ultima immagine che vidi davanti agli occhi fu quella di Orfeo seguito da Misty:  si erano allontanati entrambi dal prato degli asfodeli percorrendolo fino al momento in cui non erano diventati due sagome sbiadite in lontananza. 

Stropicciai gli occhi stanchi e balenò un altro frammento, una sorta di visione scaturita dal nulla: era Misty,  immerso fino alle ginocchia, che si bagnava nelle acque limpide di un fiume cui aleggiava una foschia blanda. Indossava ancora il chitone ma doveva aver smarrito la corona di alloro tra i flutti. Raccolse l'acqua nel cavo delle mani e si bagnò il viso, sembrava riluttante a bere perché sapeva che bevendo avrebbe smarrito per sempre i ricordi della vita precedente nelle nebbie dell’oblio. Infine si apprestò a bere, a malincuore, l'acqua del Lete. 

 

E solo gli dei sanno…

 

***

XLIII

 

Nel periodo estivo il Santuario sembrava immerso nella quiete,  con le persone affaccendate, e i vari ranghi dediti allo svolgimento degli impegni quotidiani. Avevo fatto una breve sosta sugli spalti dell’anfiteatro per assistere agli allenamenti giornalieri, per poi risolvere di fare ritorno al tredicesimo tempio. Imboccai il viale costeggiato da filari di cipressi che mi avrebbe condotto alla prima Casa. 

Il Santo di Aries si era buttato a capofitto nelle incombenze di sua competenza da qualche giorno —si udivano i colpi del martello, che percuoteva il metallo, risuonare nell’aria— e c'erano varie armature da rimettere in sesto, alcune delle quali appartenenti a Santi elevati di rango. Aveva fatto un ottimo lavoro con quella di Libra, tirandola soltanto a lucido perché la superficie non aveva nemmeno un graffio, il precedente possessore l’aveva custodita come una reliquia. 

Mu era quindi abbastanza impegnato e non aveva badato troppo alla mia presenza, porgendomi un saluto dalla soglia della prima Casa e senza farmi perdere tempo in chiacchiere amene come al solito. Avevo svoltato a largo della rampa, girando intorno all’edificio evitando di attraversarlo, per sostare giusto il tempo di bere un sorso d’acqua dalla fontana. 

A volte mi defilavo appositamente dall’anfiteatro, nel bel mezzo delle esercitazioni, perché intraprendendo il cammino delle dodici case non mi sarei imbattuto nei rispettivi custodi,  dal momento che erano quasi tutte vuote. Nell’ultimo periodo ero diventato di poche parole. Non rammentavo di essere mai stato così schivo, non era un aspetto caratteristico della mia personalità. Probabilmente ero vittima di un malumore passeggero dovuto alle circostanze. 

Indossai i paramenti sacerdotali prima di presentarmi nella Sala delle Udienze, dove avevo un appuntamento per discutere con Saori. 

Dopo avervi messo piede realizzai che la dea non fosse presente, era strano perché di solito era puntuale a differenza del sottoscritto.

 

“Sommo sacerdote?” Avevo udito finalmente la sua voce nella penombra della sala, nella quale brillavano soltanto le fiamme fioche dei bracieri, e ciò mi esentò dal pormi superflui interrogativi. “Scusatemi, ma credevo di aver specificato che vi avrei atteso nella biblioteca. Devo essermene dimenticata.”

 

“Nessun problema, divina Athena” esternai rispettosamente, per poi pormi e procedere al suo fianco. Ci eravamo riappacificati dopo le molte incomprensioni sopravvenute dopo la resurrezione dei Santi, e l'atmosfera era molto più rilassata, quasi come all'epoca in cui ero stato designato a ricoprire la mia carica attuale. 

Facemmo ingresso nella biblioteca e immediatamente constatai che non eravamo soli. Aphrodite e Shiryu avevano annunciato la loro presenza con un lieve inchino. 

Provai una sorta di emozione nel vedere il mio discepolo con indosso l’armatura di Libra: gli donava, esaltando alla perfezione la sua forma fisica, eppure, al contempo, avvertii una sensazione sgradevole di sconforto o disagio che non riuscivo a scacciare. Dovetti sforzarmi di reprimere quel sentimento inspiegabile che, forse, era dovuto all’abitudine di vedere le sacre vestigia aderire a una figura più sottile e slanciata, insomma mi ero assuefatto nel riconoscere come familiare il volto delicato di un altro possessore. Sbattei le palpebre come destato da un sogno.

 

“Maestro, non mi avevate ancora ammirato in questa veste ufficiale” Shiryu doveva aver avvertito il mio disagio riscuotendomi dalla fugace meditazione.

 

“No, ragazzo. Devo ammettere che ti dona” replicai con un commento tanto scontato quanto lapidario, e anche con la volontà di distogliere il focus dal mio imbarazzo. 

 

Athena annuì con un cenno di approvazione al mio commento e con aria semi soddisfatta, ma non sembrava al massimo del buonumore. Persisteva con un atteggiamento neutrale, come consuetudine, dispensando l’ordine di servire qualcosa da bere al servitore di turno. Riuscivo però a cogliere l’insoddisfazione repressa del Santo di Pisces che –di tanto in tanto,  come per distrarsi– volgeva uno sguardo fugace alla porta finestra che dava sulla terrazza dove le azalee giapponesi esibivano sfumature di una splendida fioritura.

 

“Vi ho fatto convocare, Dohko, perché intendo condividere il frutto delle mie riflessioni. Mi sono presa la libertà di consultarmi con  Shiryu e ho deciso che sarebbe opportuno per loro —i Santi di Bronzo— trasferirsi in pianta stabile al Santuario.”

 

“Mi sembra una decisione sensata, divina Athena” risposi.

 

“Tuttavia io non intendo restare. A villa Kido ho lasciato troppi impegni in sospeso e preferisco vigilare su voi tutti da lontano. Sono sincera nel confessarvi che non riesco ad abbandonare del tutto la vita mondana e, di conseguenza, a conformarmi in modo adeguato all’ambiente austero del Santuario” trasse un sospiro, accomodandosi sulla solita poltrona in stile rococò,  dietro la scrivania. “Ho commesso ripetuti errori di cui mi sono resa conto troppo tardi, e vorrei non commetterne più.”

 

“Immagino quanto vi sia costato prendere questa decisione, mettendomi anche nei vostri panni, milady, ma l’onere è troppo grande. Non posso amministrare tutto da solo, e non è una questione di mera forza fisica altrimenti vi darei il benestare.” Le avevo risposto cercando conferme nell’espressione interrogativa dei due Santi che erano stati convocati per prendere parte al dibattito. Aphrodite e Shiryu annuirono avallando le mie non poche perplessità.

 

“Ho deciso di fornire un ausilio. Ho pensato a un Santo d’oro che abbia facoltà di essere promosso – per i propri meriti– al ruolo di primo ministro, in modo da sostituire il mio posto vacante” disse Saori. “La persona scelta dovrà cedere l'armatura d'oro passando il testimone a un Santo d'argento.”

 

L’affermazione di Saori sortì l’effetto di un inevitabile silenzio,  calato all'improvviso tra noi presenti. Mi lasciò sorpreso, ed esterrefatti sembravano anche i due Santi convocati insieme a me. Aphrodite sfilò l’elmo dalla testa soppesandolo nelle mani e continuò a sbirciare  fuori dalla finestra. Era insofferente, come avesse fretta di congedarsi, e non avevo il cuore di  biasimarlo dopo tutto quello che aveva passato. Inoltre sembrava reduce da una notte insonne, ma non era stato il suo turno di guardia.

 

Interrogai il mio discepolo allo scopo di spezzare la tensione che si era creata: “Shiryu, tu cosa ne pensi?”

 

Il ragazzo si grattò il mento, era un po’ riluttante a esprimere la propria opinione per primo: “Mi sembra una buona idea” replicò.

 

“I Santi d’oro, in quanto a valore e spirito di abnegazione, sarebbero tutti pari merito, pertanto è arduo scegliere chi designare per l’incarico” esordii dopo aver tratto le mie conclusioni.

 

“Avete ragione, Dohko. Per questo motivo ho pensato a un sorteggio tra i dodici custodi” disse Athena sfoggiando finalmente un sorriso liberatorio sulle labbra.

 

Aphrodite, che sembrava distratto —ma non lo era— si schiarì la gola: “Bene” soggiunse. “Sono tutti buoni propositi, nobili e belli. Ma non colgo il nesso della mia presenza qui, mia dea. Perdonate i modi: ma ho l'impressione di fare da tappezzeria…”

 

“Hai ragione, Santo di Pisces, e perdonami tu per aver lasciato la tua questione per ultima” ribatté la dea,  togliendo il cappuccio dalla sua stilografica preferita per imprimere qualche linea a caso su un foglio volante. “Mettetevi comodi” disse indicando le poltrone libere disposte nella stanza.

 

“Mi dispiace per… Misty. Il suo gesto di riscattare la tua anima,  cedendo in cambio la propria vita, è andato contro le mie aspettative. Ho sbagliato tutto perché non mi sono presa la briga di conoscere meglio i miei Santi. Quelli che combattono per me. C’è un legame speciale tra voi, e non solo cameratesco.”

 

“La parentela non distoglie dalla devozione nei vostri confronti” affermò con freddezza disarmante Aphrodite.

 

“Lo so. Il vostro ruolo trascende ogni velleità e debolezza umana, ma non è giusto sminuire tutto così” disse Saori, alzando gli occhi dal foglio su cui si stavano allargando macchie d'inchiostro. Finalmente ebbe il coraggio di guardarci in faccia. Soprattutto Aphrodite. “Farò erigere una stele funeraria in suo onore in modo che chiunque possa ricordarlo.”

 

“È un bellissimo gesto da parte vostra, divina Athena. Ammetto che l’avrei suggerito io stesso se non ci aveste pensato per tempo” convenni.

 

Aphrodite fece un cenno affermativo con il capo, ero certo che non serbasse il benché minimo rancore,  ma nutrisse solo una profonda amarezza. Si lasciò sfuggire un laconico: “Grazie.”




   
 
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