Serie TV > Un passo dal cielo
Segui la storia  |       
Autore: crazyfred    26/04/2024    2 recensioni
La storia della Forestale e della Polizia di San Candido e dei personaggi che ruotano intorno al lago incastonato tra le montagne riparte dalla fine della quarta stagione: Albert Kroess è stato da poco arrestato, Deva è stata dissolta, Vincenzo è appena tornato con Eva e Francesco, dopo la morte di sua moglie, è ancora in bilico con Emma. Dimenticate quello che avete visto in tv, qui la quinta stagione è tutta a modo mio!
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

7. ALBA

 
 
Stava facendo una cazzata. Immane, colossale. Aveva continuato a ripeterselo lungo la strada che portava fuori dal paese e quella che saliva su verso il lago. Avrebbe voluto trovare una scusa per non andare, dire che non si era svegliata o che non poteva prendere l'auto, ma persino Giorgio l'aveva spronata, rassicurandola che avrebbe trovato il modo di andare a prendere l'auto se non fossero tornati in tempo. Che poi, messa così ci sarebbe stato anche di che preoccuparsi, realisticamente, però si fidava ciecamente di Francesco e questo era l'inghippo di tutta la faccenda.
“Francesco!” chiamò, arrivata all'edificio in legno e pietra che affacciava sul lago. Tutto era ancora buio e in silenzio, temeva che fosse stato lui a darle buca e a farle fare la figura dell'idiota ingenua che crede ad ogni esca che le viene tesa. “Sssh!” una voce alle sue spalle, proveniente dalle stalle le intimò il silenzio. Francesco le veniva incontro a piedi, tirando per le redini il sauro Oliver, il cavallo che più preferiva tra quelli della scuderia della forestale e che aveva affardellato per quella avventura di cui lei restava completamente all'oscuro. “Fai piano che c'è una neonata che dorme al piano di sopra”. Indicò le finestre quella foresteria, dove da poco il pianto della piccola Nina si era placato e le luci erano state spente. “Ops!” sussurrò Emma, facendo spallucce “Allora, vestiti comodi e termici li ho messi, le scarpe da trekking ci sono. Si può sapere dove mi porti? Non dire che devo fidarmi” “Posso dire almeno che è una sorpresa?” chiese Francesco prima di montare a cavallo; una volta in groppa, le tese una mano per aiutarla a salire. Emma però era riluttante: uno alla volta, stava rimuovendo ogni mattone del muro che aveva messo tra sé e l'uomo ed era più facile cadere in quella che, se non nelle intenzioni, nell'atto pratico era una trappola per lei. “Anche perché” disse il forestale con una punta di sarcasmo “se sei qui ti sei già fidata”. 
Su quello, purtroppo, non aveva nulla da controbattere, poteva solo afferrare la sua mano, salire in groppa e lasciarsi guidare, abbracciata al giaccone verde militare dell'uomo; non lo avrebbe lasciato facilmente: era quasi aprile e per i suoi standard faceva freddo ancora durante il giorno, figurarsi di notte. Andarono in direzione sud, ma era troppo buio perché potesse leggere i cartelli di legno che segnavano i sentieri. Oliver si inerpicava sicuro su per le vie rocciose, talvolta rallentando laddove la strada sterrata si restringeva o forniva degli scalini di legno artificiali, che riemergevano umidi e scivolosi dalla ghiacciatura notturna.
Per distrarsi da quell'arrampicata quasi a tentoni con una torcia che permetteva solo a Francesco e a Oliver di indovinare la strada, Emma provava a fantasticare sulla destinazione: c'erano due opzioni nella sua immaginazione ed entrambe le stringevano un nodo in gola. Allora si stringeva ancora più stretta al forestale e il suo profumo dalle note fresche e legnose, discreto ma virile, le riempiva le narici. Se non fosse stato per la curiosità e la tensione della salita ripida si sarebbe concessa un pisolino da quelle braccia in cui si sentiva in fin dei conti al sicuro, perché la notte l'aveva trascorsa in sostanza senza dormire per paura di non svegliarsi e arrivare tardi all'appuntamento.
Mentre continuavano la salita l'ora blu che precede l'alba lasciava intravedere le nuvole basse che, alle loro spalle, avvolgevano la valle; tutto era assopito, l'unico rumore era provocato dagli zoccoli del cavallo che scalpitavano sulla roccia prima e poi poco alla volta, ma sempre più distintamente affondavano nella neve, non più profonda ma ancora ma ancora presente. Ben presto, dopo poche centinaia di metri, vennero fuori da quel mare bianco che fluttuava tra le cime trovando un velo di stelle che trapuntava il cielo sopra di loro: il paesaggio era quasi lunare, completamente bianco al di fuori di piccoli punti che durante la giornata dovevano essere esposti al sole in cui la neve si era già sciolta o dove l'uomo era intervenuto costruendo un rifugio, ancora chiuso, un bivacco o una piccola edicola devozionale. Francesco la invitò presto a scendere da cavallo ed Emma sbirciò l'orologio che aveva al polso e che segnava le cinque del mattino. “Da qui ci tocca andare a piedi” esclamò l'uomo, indicando la croce di vetta e passando lo zaino dal dorso del cavallo alla sua schiena. Era freddo, ma del resto avevano di sicuro superato i 3000 metri di altitudine e il sole non era ancora sorto: il buio della notte aveva però appena concesso il passo a colori rosati e ad est le primissime luci fendevano le nuvole; presto il sole avrebbe fatto capolino sopra di esse permettendogli di riscaldare il suo corpo infreddolito.
“Siamo sulla Croda del Becco, vero?” domandò, una volta in cima, appoggiata all'alta croce. “Avevi ragione” dichiarò Francesco “la tua lista non può aspettare oltre” Senza aspettare una sua risposta, che si sarebbe fatta attendere visto come l'aveva presa contropiede, Francesco iniziò a mostrarle le cime intorno, che si coloravano di rosa aranciato man mano che i raggi del sole le raggiungevano: il Picco del Vallandro, le Tre Cime, le Tofane e tante altre vette che i vecchi forestali Pietro e Roccia le avevano già elencato tante volte nei loro racconti. Era l'enrosadira, un fenomeno unico, che varia di giorno in giorno, di cui aveva sentito parlare ma che non aveva mai visto con i suoi occhi così da vicino: da togliere il fiato. Seduta a terra, incurante della neve gelata sotto di lei, con una tazza smaltata di caffè fumante che Francesco aveva portato su con un thermos, guardava con lo stupore di un bambino e la commozione di un anziano quello spettacolo della natura che quella mattina sentiva solo suo: davvero non c'era cosa più bella. Di fronte alla maestosità delle montagne, o alla bellezza mozzafiato del lago che, lontano a valle, si scorgeva tra le nuvole che si diradavano, non si sentiva piccola: si sentiva eterna, potente, in un modo che a lei, nella sua condizione, non sarebbe stato naturalmente concesso.
Mentre Emma si beava di quella vista e quel momento, Francesco prese un libro nascosto in una specie di buca delle lettere alla base della croce. “È il libro di vetta” spiegò “tutti quelli che arrivano qui in cima possono lasciare un messaggio”
“Perché mi hai portata qui?” gli domandò, provando a riprendersi e asciugando la lacrima che, rigandole il viso, le gelava una guancia. “Perché non potevi andare via senza aver visto l'alba da quassù. Era un tuo desiderio, dovevamo farlo insieme, no?” “Sì...” “Vorrei farne tante altre di cose insieme a te, Emma” disse l'uomo, andando a sederle accanto. L'alba, alta in cielo, baciava anche i loro visi e quello di Francesco lo rendeva terribilmente vulnerabile ai suoi occhi, marcando ogni linea che il tempo e le tragedie avevano solcato sul suo volto. “Allora sai cosa devi fare...chiedimi di restare” “Non lo farò”  

Dopo una notte in giro per sentieri e rocce, completamente alla cieca perché poteva essere letteralmente ovunque, Francesco riuscì nella sua impresa che il sole era già alzato discretamente in cielo. Era stato folle mettersi anche a cercarla con il buio pesto, nemmeno i soccorritori più esperti e con le migliori attrezzature lo farebbero, ma quando Roccia gli aveva detto che non rispondeva e aveva preso imbracatura, corde, chiodi e moschettoni non c'aveva visto più. Non sapeva neanche lui dove cercarla, e andare a tentativi era davvero l'unica strada percorribile: era salito prima sulla Croda del Becco, di lui spesso aveva parlato, ma non l'aveva trovata lì.  Un po' per caso, un po' per fortuna, si ricordò di averle parlato qualche tempo prima, di voler provare a percorrere la via ferrata del Monte Paterno, per arrivare a vedere le Tre Cime da una posizione meno turistica. E lei, che non le aveva ancora viste da vicino, salvo il comodo belvedere a valle, dalle parti del lago di Dobbiaco, era probabile che avesse avuto la malsana idea di arrivarci da sola. 
Lì la trovò. O meglio...trovo una corda appesa alla parete, spezzata, che penzolava. Il suo cuore smise di battere finché non la vide, tra le rocce, ancora tutta intera. Era però a terra, con una gamba distesa, probabilmente ferita. Discese lungo la parete rocciosa, assicurando gli attacchi e le corde al meglio in previsione della risalita se fosse stato necessario portarla a spalle. Conoscendola, tutte le eventualità andavano calcolate.
“Si è spezzata la corda, ho preso una storta...niente di grave, credo” sdrammatizzò Emma, quando lui si accovacciò al suo fianco per soccorrerla. Era provata da una notte all'addiaccio, ma non sembrava sollevata di vederlo e questo lo stranì: non avevano avuto molto tempo e opportunità per parlare da quando lei era tornata da Roma, ma soprattutto sua moglie era tornata nella sua vita e temeva che le due cose potessero avere una correlazione.
“Ma sei impazzita?” la rimproverò. Era Emma, era una cosa da lei, ma se da sconosciuti la bravata del lago l'aveva trovata eccentrica anche se folle, ora che la conosceva a fondo non poteva permetterle di mettere a rischio la sua vita così, a maggior ragione visto che lo era già di suo ogni giorno “Pensi sia un gioco?” Ma la giovane scosse la testa, minimizzando quella predica “No. Ma tanto...se devo morire … voglio morire facendo qualcosa di bello. Qualcosa che amo” sottolineo, guardando Francesco dritto negli occhi. Quello sguardo trafisse il cuore dell'uomo da parte a parte, togliendogli il respiro. Era difficile fingere che non fosse un messaggio diretto a lui. Ma non poteva permetterle di sprecare la sua vita così, per lui che era peggio di un giocattolo rotto: e poi, indipendentemente da quello, c'era ancora Livia e voleva provare a rimettere in piedi il suo matrimonio. No, non voleva: doveva. Emma invece doveva vivere, godersi quei giorni che la sua malattia le concedeva, magari anche per lui; non certo andando in giro di notte per le montagne senza attrezzature né la preparazione adeguata. “Questa è una cazzata!” rimbeccò perentorio e severo.
“Sì...” ammise “sì, adesso lo so”
Non poteva nascondere più la verità, quella voce che le rimbombava nella testa da settimane e che aveva taciuto da quando era tornata tra quelle montagne spingeva ora per uscire, prepotente. E se il cuore era dalla sua, la testa, che conservava un minimo di lucidità e aveva calcolato ogni danno collaterale, le aveva mandato quel provvidenziale attacco di panico per provare a dissuaderla. Ormai, però, era troppo tardi. Con Francesco seduto al suo fianco, quel marcato profumo legnoso e muschiato, fresco e caldo al tempo stesso, passato indenne anche allo sforzo fisico, ogni barriera era caduta. Aveva un leggero affanno nella sua voce ma ormai le parole sembravano uscire da sole.
“Se devo morire io … io voglio morire accanto a CHI amo” 
Era stato bello vedere i due vecchietti nel villaggio abbandonato, in cui resistevano solo loro, la loro mucca e l'orticello dietro la casa in legno che lui aveva costruito anni addietro, per le loro nozze. Vederli ancora, dopo tutti questi anni, camminare fianco a fianco, le aveva dato la speranza o forse l'illusione che credere nell'amore fosse possibile anche nelle sue condizioni. Che non importava il tempo che le restava, importava solo come lo avrebbe speso.
“E io amo TE” “Emma...” Doveva fermarla, non aveva una risposta a quelle parole ma non poteva dirle, non a lui. Lui non poteva sentirle. Era andato lì per vivere una vita semplice, senza complicazioni, dove dimenticare ed essere dimenticato e invece ora si trovava in un casino che nemmeno sapeva come ci era finito. Sapeva che sarebbe finita così, che stavano entrambi giocando con il fuoco, ma non era stato capace di smettere prima che entrambi si bruciassero. Ora non restava altro che medicare quella ferita e sperare che il tutto fosse il più indolore possibile. Ma Emma glielo rese impossibile.
“No, ti prego, fammi parlare!” I suoi occhi brillavano e quel sorriso timido, spaventato, con cui aveva pronunciato le tre parole più difficili della sua vita ora si era tramutato in sicuro e anche commosso, come se dire le cose come stavano la stesse liberando da un peso più opprimente di un eventuale rifiuto “io ho provato ad andarmene, a scappare … ma non è servito a niente! Non ci riesco! So che adesso c'è tua moglie … ma … scegli me! Scegli me”



Emma allora si alzò di scatto “E allora a cosa è servito tutto questo? Per sentirmi dire cose che hai già detto?” “Aspetta!” esclamò lui, prendendola per un braccio “non voglio chiederti di restare perché non ho bisogno che tu sia qui per amarti” Era per quello che l'aveva portata di lì, per dimostrarle che anche lontani, si poteva essere vicini e visibili se il cuore lo desidera, come quelle cime così distanti ma così limpide. Emma avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma l'unica cosa che uscì fu un singulto. Aveva sperato tante volte di sentire quelle parole che ormai aveva perso ogni speranza. “Voglio starti accanto sempre” continuò lui “che tu sia qui, a Milano, a Livigno, sull'Everest … perché io ti amo”
Lo aveva detto. Con un sussurro, certo, ma nel silenzio di quella cima in cui c'era posto solo per loro due, era risuonato chiaro e distinto. L'amava e voleva starle accanto; non voleva provarci, voleva riuscirci, scrollandosi di dosso ogni paura, ogni remora. “Io ti amo e non ho bisogno di chiederti di restare qui. Ho solo bisogno che tu voglia condividere quello che provo per te, perché detto fra noi è un anno che me lo tengo dentro e non ce la faccio più a stare senza di te” Francesco azzerò la distanza tra loro poggiando la sua fronte su quella della ragazza e intrecciando le loro mani. “Ti amo” ripeté, ancora più a bassa voce, disperatamente, come se fosse un segreto prezioso che nemmeno le rocce dovevano ascoltare “ti amo, ti amo”
Le loro labbra si rincorsero per qualche secondo, come avessero bisogno di trovarsi, di studiarsi, incontrandosi lentamente, poco alla volta, quasi non fossero sicure che fosse arrivato il loro momento. Emma sentì le labbra dell'uomo sfiorare quasi impercettibilmente le sue ma invece che braccarlo a sé lo lasciava fare, un po' impietrita dall'emozione, un po' infiammata da quel gioco di seduzione che le faceva battere il cuore a mille: erano lente, al contatto con le sue, morbide e umide e la barba pizzicava leggermente sulla sua pelle, quel poco che bastava a non infastidirla ma a farle correre un brivido lungo la schiena. Non sentiva più freddo, né la stanchezza per la notte senza sonno o la fatica della scalata; anche per l'affanno, era ormai sicura non fosse più dovuto alla quota. Poi, d'improvviso, Francesco prese sicurezza, forse coraggio, e la sua lingua si fece strada tra le labbra di Emma: quello era il segnale che le serviva per osare di più, per prendere coscienza che non era solo un sogno ad occhi aperti e stava succedendo davvero. Sciolse la presa dalle mani di lui e con le sue corse al suo viso come se volesse sentire quel bacio anche con il tatto. Gli occhi chiusi, sentiva le mani di lui correre alla sua schiena, tirandola più stretta a sé.
Niente a che vedere con quel bacio che gli aveva rubato un anno prima, quando si era tirato indietro dopo l'iniziale trasporto: stavolta ci stava mettendo davvero tutta la passione, la volontà e l'insistenza di cui era capace. E ad Emma venne da ridere, quel riso un po' sciocco che ti prende quando sei così felice da toccare il cielo con un dito: e lì, sulla cima di quella montagna, sarebbe bastato davvero poco per farlo.
“Che c'è?” domandò lui, staccandosi per guardarla negli occhi. Le sue guance erano porpora e gli occhi in fiamme; ma quello che più colpì Emma fu il suo sorriso, bello e innocente come non l'aveva mai visto, ed era tutto per merito suo, tanto che anche le sue labbra si aprirono in un sorriso estatico. “Tu mi ami, ma io ti odio” lo punzecchiò, disse correndo a baciarlo ancora, mordicchiandolo giocosamente, cosa lo fece arrossire ancora di più “ora mi toccherà trovare un modo per non partire più”
Francesco la strinse a sé, risalendo con le braccia lungo la sua schiena ma invece di sentirsi braccata, Emma si sentiva protetta. Erano a 3000 metri, all'aperto, ma sembrava di stare in una stanza tutta per loro. All'inizio la bocca di Emma aveva un sapore che era il proprio – di vaniglia, di menta, e del caffè che avevano preso poco prima – poi però quel sapore era diventato anche il suo e nel bacio erano diventati una cosa sola. Difficile dire quanto tempo fossero rimasti lì, ma sicuramente abbastanza perché il sole salisse deciso e le montagne attorno riacquistassero il colore diurno più vivace e intenso che a tutti era concesso di vedere.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Un passo dal cielo / Vai alla pagina dell'autore: crazyfred