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Autore: Eiko Quinn    19/09/2009    8 recensioni
Può l'Universo fermarsi ed essere catturato in un istante? Può essere afferrato, con delicatezza, e lasciato riposare sul palmo della mano? [Versailles- KamijoXHizaki]
Genere: Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Conosco relativamente Kamijo ed Hizaki, in quanto non seguo i Versailles o altre band J-rock... Ma avevo promesso questa (e altre >_>) fanfiction a LADY_youkai (<3), e stasera mi sono sentita ispirata. Mi è piaciuto molto scriverla, anche se sono sempre stata restìa a scrivere su persone reali... E spero che la mia scarsa conoscenza delle persone in questione non abbia compromesso il buon esito della fic. Sono piuttosto soddisfatta di questo lavoro, e spero che sia piaciuta anche a lei come è piaciuta a me.

Il titolo, così come il simbolo della tazza e del tè, è preso da un numero di Dylan Dog che mi è rimasto particolarmente impresso, che s'intitola appunto ''Il battito del tempo''.
Ah, e una delle frasi verso la fine, ''è solo un disperato e inutile tentativo di resistenza'', non è mia, ma viene da Saiyuki (da Sanzo, che mi ossessiona e mi accompagna sempre). Mi è solo venuto naturale inserirla. Non era premeditato >_>

Detto questo...andate in pace ù_ù



Il Battito del Tempo



Può l'Universo fermarsi ed essere catturato in un istante?

Può essere afferrato, con delicatezza, e lasciato riposare sul palmo della mano?


''È come una farfalla'', dicesti, ''un fragile, piccolo, ma elegante insetto. Potresti trattenerlo per le ali e racchiuderlo fra le mani''.


''E cosa mai potrei farmene?'', domandai, scuotendo il capo.

''Se è così piccolo e indifeso, cosa mai potrei farne di quest'insetto?''


Tu sorridesti.


''È il mio regalo per te''.


Allora ricordo che ti fissai, trattenendomi dal ridere di te.


''Mi regaleresti forse l'Universo?'', replicai, celando il mio sorriso di dubbi e di scherno dietro la tazza da tè.


Al che, ti sorpresi a sorridere in modo ambiguo.


''Sarebbe un regalo banale'' rispondesti.

''Quel che ti regalerei sarebbe esattamente quel che ti ritroveresti fra le dita: un fragile, piccolo, ma tanto, tanto elegante insetto''...



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Chi ha mai detto che il lungo silenzio è quanto più piacevole ci sia da ascoltare? Probabilmente, lo disse perché non aveva mai ascoltato così a lungo il silenzio: aveva forse idea di cosa significasse trascorrere in solitudine lunghi minuti, talmente infiniti da sembrare ore, e le ore paiono giorni interi, e i giorni, se mai ci si arriva, paiono l'eterno che t'inghiotte senza pensarci due volte.

Perché quando si viene circondati dal silenzio, si finisce inevitabilmente per pensare, dal momento che parlare sarebbe inutile, dal momento che non c'è nessuno ad ascoltarti; e dal pensare al riflettere, il passo è talmente breve da non accorgersene neppure.

E rifletti, rifletti, su quello che hai fatto, su quello che hai detto, perfino su quello che hai pensato di fare, ma che non hai mai avuto il modo -o il coraggio?- di realizzare...

E finisci per chiederti, spesso e volentieri ''Cosa sto facendo, io, in mezzo a questo silenzio? Cosa sto facendo in questa stanza, davanti a quella tazza che mi fissa con occhi che non possiede? Cosa sto mai facendo, io, in questo frammento di tempo?''

E sai bene che a nulla serve un sospiro, quel mesto ma tanto ben celato sospiro, che ti coglie impreparato, proprio nel momento in cui avevi deciso di lasciarti cadere su quella comoda poltrona e dimenticare di avere troppi pensieri.

Ma eri stato così poco abile nel scegliere quel momento, quell'istante strappato e ricucito al tempo, perché di tempo, ne abbiamo in abbondanza.

Tranne quando è necessario: allora, non c'è ne mai abbastanza, e aneli a qualche secondo come un pesce boccheggia anelando altra acqua.

Ma non ne avrà, poiché ne è stato strappato, e probabilmente, non vi farà mai ritorno.


È un lieve bussare, ciò che giunge inaspettato ad interromperti. Un colpo leggero, ma tu sai riconoscere la prepotenza dietro a quel bussare. E, immediatamente, con gli occhi, sorridi.


-Entra-, ti limiti a dire. Non hai bisogno di conferme, lo sai, è lui.

Non lo attendi, in realtà, con particolare trepidazione. Ma, in fondo, gli sei grato di averti dato modo di distrarti da pensieri tanto fastidiosi. E da quel silenzio innaturale e soffocante.


La porta, infine, viene aperta, con una spinta che non ammette né repliche né esitazioni. Ma tuttavia, riesce a mantenere una sorta di incredibile eleganza...


-Oi, Hizaki-, esordisce, afferrando per caso tra le mani una sedia, e trascinandola nei pressi del tavolo dove la tazzina malefica non si decideva a mostrare quel suo occhio invisibile.


-Che stai facendo?-


Tu, sorridi. Uno di quei sorrisi di circostanza, di quelli che vengono insegnati alle fanciulle perbene.


Ma tu non sei una principessa.


Con lo sguardo, gli indichi la porcellana ferma sulla tavola, per poi spostarlo sul suo volto; un modo incredibilmente elegante per rispondere ''Non lo vedi? Sei proprio uno stupido''.

Ma tu non avresti mai risposto a quel modo. Perciò, indichi con gli occhi.


Anche lui sorride. Posa la testa sulle mani, la inclina, e sorride. Sorride con le labbra appena increspate e le palpebre socchiuse. Che comportamento fuori luogo...


-Stai cercando di sedurmi, Kamijo?-, lo rimbecchi ridacchiando, gli occhi abbassati sulla tazza, e la pallida mano intenta a rimestare con il cucchiaino lucente, intenta a far sciogliere quel mattoncino di zucchero, intenta ad affogarla in mezzo a quelle onde ambrate.


-E anche se fosse?-


La sua risposta inaspettata giunge, ma non te ne preoccupi: in fondo, era da lui. Era da lui parlare a quel modo, così com'era da lui esercitare l'incredibile fascino che emanava il suo sguardo.


Un fascino cui, non lo neghi, ti capitava essere soggetto. Ma non avevi motivo di preoccuparti di un dettaglio del genere: era un semplice, puro apprezzamento personale. E nessuno, mai, se l'avessi confessato, avrebbe osato biasimarti. Tutti ne erano soggetti.

Era come un piccolo sole che irradiava i suoi raggi, senza realmente preoccuparsi a chi fossero rivolti.

Ma era un dettaglio di lui che non faticavi ad accettare.


-Sarebbe un problema, se così fosse-, ridi di nuovo tu, soffocando il sorriso dietro alla dura porcellana.


È il suo turno di sorridere, falsamente divertito. In realtà, è troppo impegnato a fissare quella tazza.

Ma a questo, tu non fai caso.


-Un problema? Mi consideri un problema, Hizaki?-, ghigna lui, stendendo una delle mani sopra il tavolo, mantenendo l'altra a sostenere il capo. I capelli si scompigliano leggermente dalla loro posa perfetta, sfiorando appena gli occhi e il viso.


-È perché tu porti problemi, Kamijo-, replichi, prontamente, abbassando lo sguardo e la tazza, circondandola con entrambe le mani, serrandovi intorno le dita ormai fredde.


Non perde il sorriso, lui, perché, in fondo, sa che menti. Non da' peso a quelle parole, perché, in fondo, sa cosa vuoi.


Forse lo sa perfino meglio di te.


Ed è quello stesso sorriso a sporgersi sul tavolo, ad avvicinarsi al tuo ormai spento. Perché vuoi che tutta la tua attenzione venga rivolta a quel volto penetrante, le orecchie tese a quella voce bassa e intensa.


-Certo. Ma sono problemi davvero gradevoli-

Le sue labbra si increspano ancora. I suoi occhi si fanno più limpidi, più diretti. E ora, anche tu sai perfettamente che non è immergerti nel silenzio, quello che vuoi.


Sorridi dolcemente e impercettibile, chinando il capo, cedendo a lui e al suo sorriso.

Non dici nulla, ma i tuoi gesti parlano per te. I tuoi occhi chiusi, sono un invito ad appropriarsene.


E lui, da perfetto, elegante conquistatore, si china con te, reclamando la sua vittoria.


Ha vinto su di te... Ma la verità, è che l'hai lasciato vincere.


Spinge indietro la sedia, via, lontano dal tavolo, alzandosi, avvicinandosi a te. Vittorioso il suo sorriso, vittoriosa la sua postura.

Ma si arresta, cogliendo il tuo sguardo, che si alza e si abbassa, come farebbe una fanciulla timida.


Ma tu non sei una fanciulla. E la timidezza non ti appartiene, in quel momento.


Ed è lui a porre fine all'attesa. E con quella, pone fine anche al logorante, fastidioso silenzio, di cui eri vittima poco fa.

Ora, sei vittima solo di lui.


E cattura le tue labbra, calmo e famelico allo stesso tempo, afferrandoti il volto con le mani, trascinandoti a sé,

sottomettendoti a sé.


Non è amore, quello che provi; non è passione, non è calore. Non è nulla di umano.

È solo un disperato e inutile tentativo di resistenza.

Ma a lui non vuoi resistere. E forse, in fondo, è solo un legame estremamente solido.


Lo stesso legame che ti avvinghia a lui, che ti impedisce di fuggire, che vi trascina, infame, verso quel piccolo divano.

Ma non è lo stesso legame che ti fa sussultare al soffio della sua bocca nell'orecchio, al lieve sussurrare di affrettate parole, parole che non ricorderai mai di aver udito, quel pomeriggio.


E non è lo stesso legame che porta il tuo sangue a ribollire, quando lui abbassa il capo e pianta quella stessa bocca sulla pelle bianca e intatta del tuo collo, dandoti l'impressione di morderti, trascinandoti irrimediabilmente verso il basso, costringendoti a chiudere gli occhi e ad alzare il capo al cielo, abbandonandoti a lui e alla sua famelica passione.


Ed è quello stesso cielo ad accogliere i sospiri e i soffocati lamenti che lui, e lui solo, è capace di strapparti, accompagnati dai suoi sussurri e dalle sue vane parole, che tu, tu solo, sei capace di fargli pronunciare.


Ed è in un attimo di cielo, sotto il severo, inesorabile sguardo del tempo, che quei gemiti hanno fine, che il sangue al cuore si fa meno irruente, che il calore della sua bocca ti lascia, che il bruciore insostenibile del silenzio si allontana per sempre.


Perché, a differenza di un istante, il colore dei suoi occhi rimarrà per sempre. Ed è ormai legato ben stretto alla tua anima, e in fondo, tu sai che se venisse strappato, tu moriresti.


Perché è sempre lui, ad interrompere quell'assordante silenzio.


Perché è sempre lui a strapparti a quel frammento di eternità e portarti nel suo comodo castello, donando alla tua anima sollievo.


Perché, in fondo, contro di lui, sei sempre tu a perdere.


   
 
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