Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Zobeyde    03/05/2024    2 recensioni
Prequel de “Gli ultimi maghi”
Sono anni turbolenti per l’Europa: la Belle Époque sta per tramontare, sotto l'incombere di una guerra come non se n’erano mai viste, e nella millenaria città di Arcanta, dove la magia esiste e i suoi abitanti hanno da sempre vissuto al riparo dalla corruzione del mondo, c’è chi non può restare indifferente ai cambiamenti fuori dalle sue mura incantate:
Abigail Blackthorn, in fuga da una gabbia dorata per aiutare chi soffre nelle trincee, dove inaspettatamente troverà amore e dannazione.
Solomon Blake, cinico, ladro, machiavellico, determinato a rendere la magia grande come un tempo, fino al giorno in cui scoprirà che ogni cosa ha un prezzo.
Zora Sejdić, maga decaduta che ha fatto dello spiritismo la propria arma per la scalata al potere. Un’arma però che si rivelerà presto a doppio taglio…
Dal testo:
[…] Vede, ambasciatore, io non credo né negli dei, né negli uomini. Credo che ognuno di noi, presto o tardi, venga chiamato a giocare un ruolo in una partita ben più grande. Deve solo capire qual è il suo. […]
Genere: Angst, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L’EREDITÀ
– Prima parte –

 
 
 
Solomon camminava in una fitta foresta bianca; il rumore dei suoi passi era attutito dalla neve, un sottile strato lucido e splendente.
Si fermò al cospetto di un gigantesco arbusto di biancospino in fiore, i folti rami protesi verso l’alto, nell’intenso blu del cielo. Conosco questo posto.
L’albero gli stava parlando; parole che faticava a udire, e che comunque non capiva. Si avvicinò alle sue fronde e, nell’intreccio di rami e foglie, scorse un volto umano con gli occhi chiusi, la barba che si perdeva tra i fiori candidi. Quando le palpebre di corteccia si schiusero, rivelarono un paio di scintillanti iridi azzurre.
«Attento, Solomon Blake» disse una voce tonante «O sarai il prossimo.»
Solomon sollevò la testa e si accorse che su ciascun ramo erano appollaiati decine di corvi neri. Si sollevarono in volo tutti insieme, producendo un gran frastuono, e poi piombarono su di lui in un vortice di piume di pece e artigli…
Solomon spalancò gli occhi, e il mondo si capovolse.
Era disteso nel suo letto a pancia in su, avviluppato in un groviglio di lenzuola, gambe e capelli rossi. Lucia dormiva ancora stretta a lui, con la testa appoggiata al suo petto e l’espressione appagata. Quanto a Solomon, non poteva dire di aver trascorso una nottata riposante, e aveva dappertutto segni di morsi e graffi che lei gli aveva lasciato in preda a una smania quasi animale…
Un paio di colpi alla porta lo fecero trasalire.
«Maestro» disse la voce di Jasper. «Ehm, è sveglio?»
Solomon imprecò tra i denti, mentre cercava di sbrogliarsi dall’abbraccio di Lucia senza svegliarla, poi infilò i pantaloni del pigiama e una vestaglia e corse ad aprire.
Il giovane allievo lo scrutò da capo a piedi, le sopracciglia inarcate. «Maestro, ehm, si sente bene?»
Chiaramente, aveva l’aspetto di chi ha appena lottato con una tigre a mani nude…
«A meraviglia» replicò lo stregone, chiudendosi la porta alle spalle. «Come mai così mattiniero?»
Jasper passò il peso da una gamba all’altra, un po’ in imbarazzo. «Ecco, c’è una persona che ha chiesto di vederla. Insistentemente.»
Solomon non ricordava di avere appuntamenti per quel giorno, ma ultimamente aveva avuto la testa parecchio altrove. «D’accordo, il tempo di cambiarmi e scendo…»
Dall’atrio, giunse un fracasso di cocci in frantumi, come se un rinoceronte fosse partito alla carica contro una cristalliera.
«Meglio se si sbriga» suggerì Jasper, nervoso. «O potrebbe demolire la Corte.»
«Oh, per tutti i demoni!» borbottò Solomon, spingendo da parte l’allievo. «Non ditemi che quell’idiota di un orco ha trovato il modo di infilarsi nel Meridiano?!»
Ma il responsabile di quel baccano stavolta non era Valdar. Era Boris Volkov.
Solomon lo trovò seduto per terra con le gambe divaricate, circondato dai resti di un’anfora andata in pezzi e abbracciato a una scultura del sofista Protagora. Gli bastò uno sguardo per capire che aveva bevuto. E parecchio.
«Ah!» esclamò, quando vide apparire Solomon, anche se gli ci volle un po’ per metterlo a fuoco. «Finalmente, cercavo proprio te!»
«Buongiorno, Bo. Cosa posso, ehm, fare per te?» domandò lui cautamente, ma la vera domanda era: “Come diamine hai fatto a ridurti in questo stato?”
L’Arcistregone del Nord cercò faticosamente di tirarsi su, reggendosi alla statua. «Io…io sono venuto a dirti che sei…che sei pessimo!»
Solomon incrociò le braccia al petto. «D’accordo, non posso negarlo. C’è altro?»
«Io ho sempre e solo cercato di esserti amico» farfugliò Boris, malfermo sulle gambe. «Dal nostro primo incontro alla Cittadella! Ti trovavo arrogante, è vero, ma ammiravo il tuo talento e la tua intelligenza. E tu…tu mi hai sempre trattato come spazzatura!»
Anche su questo punto Solomon dovette convenire. Non che avesse qualcosa in particolare contro di lui, d’altronde, ormai si era abituato a trattare tutti così. «Se sei venuto a pretendere delle scuse…»
«Non so che farmene delle scuse!» Boris sventolò il braccio, come se stesse scacciando una mosca. «Ci ho rinunciato! Sei incapace di avere a che fare con le persone, troppo…egoista per curarti di quello che provano!»
L’angolo della bocca di Solomon si contrasse lievemente. «Molto bene. Ti ringrazio per aver condiviso le tue perle di saggezza, è stato illuminante. Adesso però, se non ti dispiace, avrei lezione…»
«Ti sei sempre comportato da stronzo con me» continuò però a biascicare Boris. «Ma non ti permetterò di farlo anche con lei!»
Solomon si interruppe, perplesso. «Di che stai…?»
«Isabel!» ruggì Boris, scostando dal volto una ciocca di capelli. «Lei è troppo buona, troppo intelligente, e si merita solo il meglio! Potrebbe avere il mondo ai suoi piedi…e invece, non fa che parlarmi di te, del fatto che da giorni ti comporti in modo strano, che è preoccupata che ti sia messo nei guai…!»
Di tutto quel farneticare, Solomon aveva ascoltato una sola cosa: «Isabel ti parla di me?»
«In continuazione» grugnì Boris, afflosciandosi contro la statua. «Solomon dice…Solomon fa…Solomon pensa...! Come credi che mi faccia sentire questo, eh? Darei qualunque cosa per essere al centro dei suoi pensieri, e tu hai anche il coraggio di evitarla!»
Tutt’a un tratto, Solomon non sapeva più cosa dire. «Io…non la sto evitando. È solo che…non è che io non voglia…»
«Le spezzerai il cuore» lo interruppe Boris, lasciandosi scappare un singhiozzo. «E io questo non posso tollerarlo. Perciò, farai meglio a trattarla come si deve d’ora in avanti, altrimenti io…»
Alzò una mano ed evocò la sua ascia di energia rossa, ma i suoi sensi erano troppo alterati e non riuscì a sostenere l’incantesimo a lungo. «Maledizione!»
La scena avrebbe potuto essere terribilmente comica, e invece, Solomon si rese conto che non gli procurava alcun divertimento. «Avanti, vecchio mio» gli disse gentilmente. «Tirati su, hai passato una nottataccia.»
Gli offrì una mano per rimettersi in piedi, e Boris, dopo un’iniziale reticenza, acconsentì.
«L’alcol è veleno» bofonchiò, mentre Solomon lo aiutava a mettere un passo davanti all’altro. «Come diamine fai a consumarne tanto!?»
«Passa una settimana nello Shropshire col mio vecchio» rispose Solomon, piattamente. «E te ne farai un’idea. Quel che ti ci vuole è una tazza di caffè amaro. Anzi, te ne faccio portare una tinozza...»
«Mi dispiace di essere piombato qui in quel modo.»
 Solomon fissò il collega con stupore.
«Non avrei dovuto dire quelle cose» gracchiò Boris, cupamente. «Isabel ha fatto le sue scelte…e devo farmene una ragione. È stato un comportamento disonorevole da parte mia…»
Solomon scelse di prenderla con ironia. «Non farla così drammatica! Chiunque ad Arcanta ha preso almeno una sbronza molesta in vita sua! Consideralo il tuo battesimo.»
Avevano quasi raggiunto le scale, quando le porte laterali che conducevano agli appartamenti privati di Solomon si spalancarono improvvisamente, rivelando Lucia…con addosso solo una camicia maschile, da cui sbucavano le gambe nude.
Per un attimo, nessuno osò muoversi o parlare.
«Ops!» squittì poi la ragazza, con una risatina. «Momento sbagliato!»
E si richiuse dentro. Ma ormai il danno era fatto.
Solomon sentì bruciare su di sé lo sguardo inferocito di Boris, che stava diventando velocemente cremisi e aveva già scoperto i denti. «Tu…»
«Boris, vecchio mio» tentò lo stregone. «Lo so che cosa sembra, ma posso spiegare…»
Boris aprì la mano, e questa volta l’ascia di energia sfrigolò più luminosa che mai. Solomon fece istintivamente un passo indietro. «Non fare cose di cui potresti pentirti!»
«Lurido bastardo!» ringhiò l’Arcistregone del Nord, fuori di sé come non lo aveva mai visto. «Sei un uomo sposato!»
Scattò in avanti, l’ascia issata sopra la testa, e Solomon sollevò a sua volta le mani, pronto a contrattaccare. Ma anziché calare il colpo, Boris arricciò le labbra in una smorfia di profondo disgusto. «Con te non vale neanche la pena sprecare energie. Sei irrecuperabile.»
Revocò l’ascia, la furia omicida che pian piano abbandonava il suo sguardo, sostituita da un’espressione compassionevole. Senza dire altro, lo stregone gli volse le spalle e lasciò la Corte, barcollando leggermente.
Solomon invece prese un paio di profondi sospiri, mentre cercava di riorganizzare i pensieri per far fronte a quel disastro. Questa non ci voleva!
Tornò nei suoi appartamenti e si mise in cerca di Lucia.
Lo aspettava in camera sua, seduta a un tavolino su cui aveva materializzato un’abbondante colazione.
«Oh, eccoti» lo accolse in tono disinvolto, dopo aver tirato un morso a una mela. «Il rompiscatole se ne è andato via? Il tè si raffredda…»
«Si può sapere cosa avevi in mente?» esclamò Solomon. «Andartene in giro per la Corte in quelle condizioni!»
Lucia fece spallucce. «Stavo cercando te. È stato un po’ da vigliacchi svignartela di soppiatto come un ladro...»
«Avevamo stabilito che non ci saremmo mai fatti vedere insieme!» ribatté Solomon, infuriato. «Hai idea di cosa succederà adesso che Volkov ci ha scoperti?!»
«Che andrà a riferirlo alla tua mogliettina?» chiese lei, con un sorrisetto maligno. «Mi era sembrato di capire che le importasse solo del suo stupido laboratorio.»
Solomon la fissò truce. «Lo hai fatto a posta!»
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«Sì, invece!» disse lui, con rabbia. «Lo trovi divertente? Mettere a repentaglio così i miei piani?»
La faccia di lei cambiò in un baleno, e i suoi occhi lo fissarono obliqui. «I nostri, piani, vorrai dire. Sono stata io a decifrare il Codice, io mi sono sottoposta a digiuni e notti insonni e a quel maledetto rituale. A conti fatti, tu finora non hai fatto proprio niente!»
La durezza di quelle parole lo spiazzò. Non era da Lucia voltarsi contro di lui in quel modo. «Ho una reputazione da proteggere» disse, cercando di recuperare le redini del discorso. «Non fingere di non saperlo.»
«Be’, ieri notte non sembravi molto interessato alla reputazione!»
«Lucia, sto parlando seriamente!»
«Anche io!» sbottò lei, scattando in piedi. «Avevi giurato che non ci sarebbero state altre donne, che saremmo stati noi due contro il mondo! Quindi, com’è che funziona, esattamente? Finché infrangi tu le regole è tutto a posto, ma se lo faccio io non va bene?»
«Non è questo il punto!»
«E invece è proprio questo il punto!» Lucia gli si avvicinò, gli occhi che mandavano saette, e Solomon ebbe l’impressione che le ombre all’interno della stanza fossero aumentate. «Si è sempre trattato solo di te, di quello che vuoi e di quello di cui hai bisogno! E di quello che voglio io? Non se ne parla mai!»
Come la sera prima, uno strano pulviscolo nero prese a vorticarle incorno, come una nube di cenere di cui Solomon non riusciva ancora a comprendere la natura. «Ho dimostrato di essere devota alla causa quanto te. Perciò, non ci vedo niente di male se per una volta ho voluto prendermi qualcosa senza chiedere il tuo permesso!»
«E in che modo ti avrei impedito di fare quello che vuoi?» protestò lo stregone, sconcertato. «Ho condiviso con te tutto ciò che so sulla magia, i miei segreti, la mia casa, questo non ti basta…?»
«No, non mi basta!» gridò lei, sull’orlo delle lacrime. «Non mi basta più, e sono anni che cerco di fartelo capire!»
Prima che lui provasse a ribattere, Lucia si premette una mano sulla bocca per frenare i singhiozzi e corse via, per svanire poi nel grande specchio da cui era arrivata.
Solomon, invece, rimase immobile e sbalordito, ma poi si rese conto che parte di quella strana cenere si era depositata sul pavimento, lasciando una scia di macchie nere.
Si chinò per esaminare la più grossa da vicino: luccicava sul marmo bianco come una pozza di catrame. Come ha fatto a diventare liquida?
Ma quando allungò le dita per toccarla…la macchia si mosse, ritraendosi su se stessa, e la sua superficie si coprì di minuscole spine.
La cosa lo lasciò di stucco. Reagisce…
Era la prima volta che assisteva a un fenomeno del genere. La materia inorganica era inanimata, e non possedeva certo meccanismi di difesa…
Era un concetto base sia per la fisica che per la magia.
Perplesso, ma allo stesso tempo intrigato, lo stregone raggiunse lo scrittoio e rovistò in un cassetto finché non recuperò un’ampollina di vetro. La usò per raccogliere la sostanza e la studiò alla luce, agitandola leggermente; adesso, sembrava che fosse tornata allo stato gasoso, e turbinava contro il vetro come una nuvola temporalesca.
«Che curioso scherzo della natura sei tu?» mormorò tra sé, deciso a saperne di più.
 
Nei giorni successivi, Solomon si dedicò a vari esperimenti.
Chiuso nel suo laboratorio, e attorniato da alambicchi, pile di libri e appunti, sottopose la strana sostanza a una serie di sollecitazioni: provò a scaldarla sul fuoco, a congelarla, a testarne la resistenza meccanica e agli incantesimi. Si stupì nel constatare che le risposte che riceveva erano sempre diverse: gorgogliava bolle, produceva strutture filamentose simili a piante, oppure si cristallizzava, divenendo dura come il diamante. Come se fosse in grado di reinventarsi di volta in volta. Come se fosse, in qualche maniera…senziente.
Impossibile, ragionava tra sé, anche di fronte all’evidenza. Va contro ogni principio scientifico e magico.
Era stato più volte sul punto di chiedere un parere di Lucia, visto che era stata lei a svelare i segreti del Libro Nero e che sembrava aver instaurato una sorta di legame col Vuoto…ma dal loro ultimo litigio, la ragazza era inavvicinabile.
La scelta più saggia era sicuramente quella di parlarle e trovare un compromesso, ma come sempre, l’orgoglio gli impediva di compiere il primo passo, e una parte di lui non sopportava che la sua assistente si prendesse tutti i meriti di quella scoperta: aveva pur sempre sudato sette camicie per avvicinare Xavier Ascanor e sottrargli il Codice Oscuro, no? E comunque, aveva problemi più urgenti da risolvere…
Volkov non si era più fatto vivo, ma Solomon era certo che non avrebbe tenuto la notizia della sua infedeltà per sé a lungo. E infatti, una mattina, di rientro dalla lezione, trovò in salotto un comitato di benvenuto formato da Isabel…e Lucia.
Erano accomodate in poltrona, l’una di fronte all’altra, separate solo da un tavolino e da due tazze di tè ormai fredde. Lo stregone sentì lo stomaco sprofondare quando le due donne si voltarono a guardarlo, contemporaneamente.
«Che significa?» domandò, senza sapere cosa aspettarsi.
«Ho pensato che fosse ora di discutere da donna a donna» rispose Isabel, con calma gelida. «Per risolvere la situazione ed evitare conseguenze spiacevoli per tutti e tre.»
Lo sguardo di Solomon slittò su Lucia, che aveva le lacrime agli occhi e stringeva i pugni in grembo; a ogni parola che Isabel pronunciava, le ombre sembravano balzare sulle pareti della stanza, vive e minacciose…
«Lucia» disse lo stregone. «Ti dispiace lasciarci un momento?»
La mascella di lei guizzò, e le ombre si ritrassero. Senza una parola, la ragazza rivolse a entrambi un rigido inchino e lasciò la stanza, sbattendo le porte dietro di sé.
Tra marito e moglie scese un silenzio talmente teso da poter essere tagliato a fette.
«Dovevo immaginare che fosse lei» commentò Isabel con voce neutra, fissando le porte chiuse. «Anche se non ho mai prestato attenzione ai pettegolezzi da salotto. È molto bella, e da come parla sembra anche intelligente. Forse un po’ troppo giovane per te, non credi…?»
«Che le hai detto?» la interruppe Solomon, adirato.
«Come stanno le cose.» Gli occhi scuri di Isabel tornarono a posarsi su di lui, severi e penetranti. «Che comprendo che la posizione in cui si trova sia scomoda: chiaramente, la vostra relazione va avanti da tempo, ma per la Legge di Arcanta, noi due siamo sposati. E lei deve accettarlo.»
Solomon si sentì attraversare da un fremito d’irritazione. «Lucia è un’allieva della Corte dei Sofisti, non spetta a te dirle cosa fare.»
«No, infatti spetta a te» lo rimbeccò Isabelle. «Ti ho detto che non mi sarei messa tra voi, a patto che tu rispettassi i termini del contratto.»
«Non l’ho forse fatto finora?»
«“Le parti si impegnano per non recare danno di nessun tipo all’altro”» recitò Isabel, tagliente. «Non è affare mio con quante donne vai a letto, Solomon, purché questo non comprometta la credibilità del nostro matrimonio. Francamente, confidavo che il mago più astuto di Arcanta sapesse mantenere segreta una tresca, e invece ti fai beccare alla luce del sole!»
Solomon aprì la bocca, ma la richiuse subito, colto dall’imbarazzo.
«Boris lo ha detto solo a me» continuò Isabel. «Perché è leale e vuole preservare il mio onore. Ma se fosse stato qualcun altro? E se la voce fosse arrivata al Cerchio d’Oro? A quest’ora avrebbero già usato l’informazione per far chiudere definitivamente il laboratorio!»
Quelle parole lo trafissero più in profondità di quanto credesse. “Mi era sembrato di capire che le importasse solo del suo stupido laboratorio…”
«Avrei dovuto essere più cauto» ammise Solomon, dopo un momento. «Ultimamente sono stato distratto…»
«Lei sa che non la ami?»
Lui rimase con la bocca aperta, interdetto, per un secondo.
«Oh, non farai sul serio!?» si stupì Isabel. «Per i Fondatori, quella ragazza è pazza di te! E da come ti comporti è altrettanto evidente che tu non provi lo stesso.»
«Io…ecco…non è di questo che stavamo parlando!»
«Be’ forse dovremmo parlarne a questo punto!»
«È complicato!» ringhiò Solomon, messo alle corde. «Tu non la conosci, non sai cosa…cosa ha passato. Ha solo me al mondo.»
«Perciò, stai con lei per compassione?»
«Dèi, no!» esclamò lui, inorridito. «Te l’ho detto, è… complicato.»
Isabel scosse piano la testa. «Giuro che sto provando a capire chi sei, Solomon, ma non ci riesco! Fai di tutto per sembrare insensibile, ma so che non è così, me lo hai dimostrato. E Lucia, qualunque sia la natura del vostro rapporto, è importante per te: allora, perché hai accettato di sposarmi, pur sapendo che le avresti spezzato il cuore? Cos’è che vuoi veramente?»
Solomon girò la testa, incapace di reggere ulteriormente il suo sguardo. Gli vennero in mente le solite risposte. Potere. Vendetta. La voce di Jonathan nella sua testa che taceva per sempre…
Ma una risposta nuova, una risposta diversa, ruggì forte e disperata dentro di lui…
Non voglio più essere un mostro. Non voglio che tu mi veda come un mostro…
«Ho preso un impegno e intendo rispettarlo» rispose a Isabel, ma la sua voce suonò più dura di quanto avesse voluto. «Quanto a Lucia, non sarà più un problema. Ma in futuro, gradirei che discutessi del nostro accordo direttamente con me, senza coinvolgerla.»
Isabel emise un sospiro arrendevole. «Chissà, forse un giorno riuscirai a parlarmi senza dover indossare a tutti i costi una maschera.»
Solomon tacque, mentre la osservava raccogliere soprabito e borsetta. Ma avrebbe tanto voluto che restasse. Che comprendesse le sue motivazioni. Che riuscisse a vedere oltre le mille maschere, e tutte le cicatrici che erano nascoste dietro…
«Dovresti parlare con Lucia» disse gli disse Isabel prima di andarsene. «Merita di sapere che la vostra relazione non avrà futuro. E se davvero ti importa di lei, faresti meglio a lasciarla andare.» 
 

Le parole di Isabel non gli diedero pace per i giorni a venire.
Solomon detestava che lei fosse riuscita a mettere in chiaro come stavano le cose tra lui e Lucia meglio di quanto lui non fosse riuscito a fare in tutti quegli anni, ma allo stesso tempo, continuava a rimandare il momento di prendere una decisione.
“Se davvero ti importa di lei, faresti meglio a lasciarla andare.”
Decise che prima di tutto avrebbe provato a rompere il silenzio tra di loro. E che il modo migliore per seppellire l’ascia di guerra fosse quello di coinvolgerla negli studi sulla misteriosa sostanza nera: dopotutto, avevano sempre lavorato splendidamente insieme, e in quei momenti, quando le loro menti erano in perfetta sintonia, ogni divergenza sembrava perdere importanza…
Raggiunse Lucia in uno dei suoi posti preferiti, in una piccola radura nel bosco attorno al palazzo sul lago; era intenta a dipingere, come sempre quando i ricordi e i cattivi pensieri le affollavano la mente.
«Che cosa vuoi?» lo accolse bruscamente, quando percepì lo scricchiolio dei suoi passi sul tappeto di foglie secche.
Solomon si fermò a qualche metro da lei. «Vedere come stai. Sono giorni che mi eviti…»
«Sto una favola. C’è altro che devi dirmi?»
Lui si schiarì la voce. «In effetti, sì. Ho fatto una scoperta interessante e volevo condividerla con te. Riguarda il Vuoto.»
Solo allora lei si voltò a guardarlo, guardinga.
«Che ne dici?» provò lui, accennando un sorriso. «Ti va di darmi una mano, Lucy?»
Acconsentì.
Tornarono nel laboratorio, e Solomon le mostrò con orgoglio il frutto dei suoi ultimi esperimenti:
«Ho provato ad analizzare la composizione della strana polvere nera che il tuo corpo genera» spiegò, avvicinandosi al tavolo da lavoro; i macchinari erano tutti in funzione e sbuffavano e ticchettavano. «Non avevo mai visto niente di simile prima! È straordinariamente mutevole, come se fosse in grado di adattarsi a qualsiasi situazione!»
Lucia lo osservò in silenzio, mentre versava una grossa goccia nera sopra una lastra di rame collegata a due bobine, simili a quelle che Solomon aveva visto nel museo di Isabel.
«Credo che tu abbia in qualche modo portato una parte del Vuoto nel nostro mondo» andò avanti lo stregone. «L’ho sottoposta a varie sollecitazioni, ma la reazione più stupefacente si ottiene con l’energia elettrica!»
Abbassò una leva e attivò il dispositivo, e subito le bobine iniziarono a ronzare.
Lucia si sfregò le braccia, come se all’improvviso sentisse freddo, gli occhi fissi su quella piccola macchia liscia e lucente come una perla nera, mentre veniva inondata di scariche elettriche.
Solomon abbassò ulteriormente la leva, aumentando il voltaggio. La superficie della macchia si increspò, poi si rattrappì, emettendo una specie di fischio sottile, simile allo stridio di un piccolo uccello. Lucia si irrigidì.
«Solomon» disse, trattenendo un brivido. «Per favore, smettila…le fai male!»
«Suvvia, non essere ridicola! Non è mica un essere vivente…»
«La sento soffrire» fece la ragazza, con un filo di voce. All’improvviso, era davvero molto pallida. «Dico sul serio, interrompi tutto!»
Solomon la fissò, meravigliato. «In che senso la senti..?»
«Ho detto basta, maledizione!» gridò Lucia.
Esterrefatto, Solomon sollevò la leva e l’energia si disperse. Lucia prese un profondo sospiro, continuando a tremare.
«Mi dici che cosa ti prende adesso?» domandò lui, sforzandosi di trovare una spiegazione a quel turbamento.
«Non so spiegarlo» rispose Lucia, ancora scossa. «Ma è come se potessi percepire le sue sensazioni. Come se fossimo…»
«Collegate?» terminò Solomon, aggrottando la fronte. «Deve essere merito del rito di Ascensione. Me lo sentivo che ci sarebbero state delle conseguenze. Dovremmo approfondire la cosa…»
«No» si oppose Lucia, guardandolo storto. «Non farai più nessun esperimento! Né su di me né su di lei!»
«Lucia, non è una lei, al massimo è una cosa…»
«Non è comunque di questo mondo!» ribatté la ragazza, con forza. Raccolse la macchia all’interno di una provetta, stringendola a sé con fare quasi materno. «Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere un abitante del Vuoto! E non si merita di essere trattata come una cavia!»
«E in che altro modo dovremmo studiarla?» si innervosì lo stregone. «Il nostro sapere si basta sull’osservazione dei fenomeni. Noi potremmo essere i primi maghi al mondo a scoprire la vera natura del Vuoto…»
Lucia arretrò di un altro passo. «Me ne occuperò io. L’hai detto tu, sono stata io a portarla qui.»
«Assolutamente no!» decretò Solomon. «Se come sostieni è un essere senziente, potrebbe rivelarsi pericoloso!»
«Non mi farà del male.»
«Come fai a dirlo…?»
«Lo so e basta!» sbottò lei, furente. «Il Vuoto mi ha accolta e poi lasciata andare: avrebbe potuto distruggermi, ma non l’ha fatto. Dovrà pur significare qualcosa.»
E lo lasciò di nuovo solo.
Solomon la guardò andar via, rimuginando su quanto accaduto. Ma proprio in quel momento, il camino si accese improvvisamente, eruttando una fiammata bianca.
Lo stregone sospirò stancamente. «E adesso che succede?»
Si avvicinò al falò, e quando le fiamme bianche si estinsero, trovò un biglietto adagiato su un letto di cenere. Gli si serrò lo stomaco nel riconoscere sulla ceralacca lo stemma di Hurtgrove Hall… Padre?
L’odio per Arcanta aveva reso Alastor Blake così paranoico che non ricorreva più al Fuoco Ascetico per contattarlo ormai da diversi anni: “Come se i Decani non controllassero ogni lettera che entra e esce dalla loro maledetta città!”
Accigliato, lo stregone raccolse il biglietto, ruppe il sigillo e scorse rapidamente il contenuto; un fiume di frasi confusionarie, perlopiù ingiurie contro i propri nemici e le ingiustizie della vita.
Solomon non ci avrebbe visto nulla di insolito, dopotutto, era tipico di suo padre lamentarsi per qualunque cosa, se non fosse per quell’ultima frase:
 
La gamba peggiora.
Forse non sarò più a Hurgrove Hall la prossima volta che tornerai.”
 
 
 

 
CONTINUA…
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Zobeyde