Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Tomoe_Akatsuki    15/05/2024    0 recensioni
Un ingegnere areospaziale e un ingegnere meccanico wannabe, e delle sedie da riparare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

And what you hear is not silence
It's just the trees waiting to hear what next you'll hum
And what you see is not the dark
It's just the gods upturning ink pots 'cause they know what you'll become
[Inkpot Gods|The Amazing Devil]

«Dovremmo farlo su Solid.» commentò lui pensieroso, passandosi la mano sul mento con fare pensieroso - non si era ancora abituato alla mancanza della barba che aveva portato per anni.
«Perché dovremmo farlo su Solid? Sono delle sedie da riparare. Non dobbiamo progettarle da zero.» ribatté lei, voltando il capo verso di lui, e nel movimento i capelli castani voluminosi le si spostarono sulle spalle.
«Fate come volete, basta che riparate quelle sedie. Servono per la messa di domani.» disse la nonna di lei - una donna piccolina, ma in carne, a cui piaceva spiegare la sua corporatura con il detto: "nella botte piccola c'è il vino buono", dai capelli corti sempre acconciati nella stessa permanente da quando la nipote aveva memoria - passando dietro ai due ed uscendo dalla stanza. Lunga, dal soffitto a volta, ricavata dalla vecchia stalla, ora conteneva un lungo tavolo adatto ai pranzi e alle cene delle Feste anche se ormai inutilizzato da anni, collocato vicino al muro che dava sul cortile interno, opposto ad un vecchio divano, una vignetta satirica di Froid dalle dimensioni di un quadro ed un caminetto che non si ricordava più come funzionasse.

La giusta domanda da porsi era come erano esattamente finiti lì.
La risposta giusta era che non lo sapevano - o meglio, era stato un susseguirsi di strane coincidenze, a tal punto che se le erano dimenticate. Un attimo prima erano solo amici di un amico comune che prendevano il treno insieme per andare all'università, l'attimo dopo si ritrovavano a dover riparare insieme le sedie per la chiesetta di paese della nonna - che, a pensarci bene, aveva le panche. Da dove saltavano fuori allora?

«Fammi capire. Perché vorresti usare Solid?» chiese lei, girandosi completamente verso di lui. Le sembrava una proposta idiota e non avrebbe cambiato idea facilmente.
«Facendone il modello 3D possiamo capire com'è montata e cosa dobbiamo smontare. Velocizziamo il processo.» rispose lui, fronteggiandola - puntando i suoi grandi occhi nocciola su di lei e sfruttando tutta la sua altezza, e un poco la sua massa data dalle spalle larghe e dai bicipiti di una certa dimensione.
  Però non ottenne effetto su di lei - in effetti non faceva mai effetto su di lei - che tornò alla carica, indicando con un gesto esasperato il problema della discussione.
«Ma perché? Ci complichiamo solo la vita. Dobbiamo solo cambiare l'imbottitura e il cuoio che si è rovinato! Non dobbiamo restaurarle! Guarda-» indicò il cerchio di legno che contornava il cuoio blu, tenendolo aderito alla superficie sottostante «Basta rimuovere questo e si può cambiare la seduta.»
«Come fai ad esserne così sicura?»
Lei prese un profondo respiro, contenendo l'irritazione - Dio, da quando era così ottuso e ostinato?  - e procedette a scastrare il prima indicato e nominato cerchio di legno, poggiando i pollici sulla parte inferiore della seduta, il medio e l'indice sulla superficie superiore, per poi fare leva con le dita.
Per la stanza si sentì un secco crock e il cerchio si mosse, cadendo a terra quando lei allontanò le mani.
«Così. Senza bisogno di usare Solid e soprattutto complicarsi la vita cercandosi del lavoro in più.» C'era una lieve sfumatura polemica nella voce - ma solo lieve.
Lui annuì, continuando ad accarezzarsi il mento con fare pensieroso.
«Ne sai decisamente molto per essere la prima volta che le ripari.» commentò con quel suo tono diffidente, ma che il piccolo sorriso che si era formato sulle labbra rendeva tutto più giocoso.
Lei aveva la possibilità di stare al gioco, oppure continuare a fare l'arrabbiata - both, both is good.
«Si chiama osservare, genio.» spostò un piede un po' più in là, incrociando le braccia al petto con sfida.
«Quello non è qualcosa che puoi capire solo osservando. Avrebbe potuto essere bloccato sotto - come tra l'altro la maggior parte delle sedie, non ne ho mai viste di così.» commentò lui incrociando a sua volta le braccia al petto, il sorrisetto sempre presente.
«Non sai guardare. È ovvio che è bloccato dal cerchio di legno.» lei si voltò, agitando una mano come a dire "lascia perdere, sei troppo cocciuto per capirlo" e si poggiò un ginocchio a terra vicino alla sedia.
Vedendo che lui non si muoveva, ruotò il capo e disse alzando un sopracciglio:«Vuoi farmi fare tutto il lavoro da sola?»
Lui ridacchiò.
«Potrei. In fondo sei tu quella che mi ha trascinato qui e mi ha dato pure del lavoro da fare.»
Lei roteò gli occhi, mentre toglieva il cuoio e la vecchia imbottitura dalla sedia.
«Senti, chi lo sapeva che c'era questo da fare. Ho proposto di venire qui perché pensavo ci fosse pace, non immaginavo che non essendoci papà a casa la nonna mi avrebbe dato del lavoro da fare.» più che spiegare brontolò, rubando un'altra risata al rosso, che fece un passo avanti, passandole l'imbottitura sul tavolo che lei stava cercando di raggiungere ma senza riuscirci.
«Okay okay, va bene. Ma dopo voglio qualcosa in cambio.»
«Qualunque cosa tu voglia. Anche fare un dannato progetto di SolidWorks. Ma dopo.» commentò la castana, facendogli cenno di passargli il cuoio nuovo, di un rosso tendente al bordeaux, per sapere di che misura doveva tagliarlo.
Lui ridacchiò per la terza volta, passandoglielo.

~

Riparare le rimanenti sedie impiegò il mattino rimanente e il primo pomeriggio, perché, dopo una piccola pausa pranzo - «Non posso lasciarvi senza pranzo.» aveva detto la nonna, quando era scoccato la mezza precisa, il campanile che aveva appena finito i suoi dodici ritocchi e uno che indicava la mezz'ora. «Ma nonna, stiamo mettendo a posto delle sedie, non stiamo mica arando un campo a mani nude.» aveva protestato la castana, seduta a terra intenta a rimontare una sedia. «C'è un ospite, non insistere. Dovete mangiare.» e nel dirlo la nonna aveva appoggiato le mani chiuse a pugno sui fianchi. Il rosso, intento a tagliare gli ultimi pezzi di cuoio, seguiva il dibattito facendo finta di non essere presente. La castana fissò la nonna in una silenziosa sfida, ma poi cedette con uno sbuffo. «Va bene. Ma una cosa veloce.» «Certo. Ho raccolto i cuore di bue rosa che erano maturi.» la donna si girò verso di lui, «Ti va bene un'insalata di pomodori? Sono i nostri, del nostro orto.» Il rosso annuì, non volendo dare via ad un'altra discussione - avevano dovuto fare diversi giri con la panda 4x4 della nonna per portare tutte le sedie in chiesa - «Nonna, se le carichiamo tutte sul tamagnunat facciamo prima.» aveva osservato la castana, in modo pratico. «E se si rovinano? Cosa dici al Don, mh? No no, andiamo con la mia panda, che è meglio.» I due ragazzi si erano scambiati un'occhiata mentre la donna si era voltata per andare a recuperare l'auto. Lui aveva alzato le spalle trattenendo un sorriso divertito (vedere l'irritazione sul volto dell'amica era qualcosa che quel giorno lo divertiva particolarmente), mentre lei aveva solo voglia di seppellire la testa sottoterra e diventare uno struzzo - ed erano stati anche arruolati per la pulizia settimanale della chiesa dalle due incaricate di turno - che guarda a caso, erano la nonna e una sua amica che abitava sulla collina a fianco, che ovviamente aveva sommerso di domande il rosso.

Alla fine però la ricompensa per il lavoro c'era stata: un ghiacciolo a testa tirato fuori dalle profondità del freezer.
Fianco a fianco, appoggiati al muretto che dava sul prato sottostante, se lo gustavano guardando la valle in cui si trovava la cascina.
«Beh, è un bel posto, qui.» commentò il rosso dopo un po', prendendo l'ultimo morso del suo ghiacciolo al limone.
La castana annuì, leccandosi il labbro su cui era colato del succo di menta.
«E tu l'hai visto adesso in estate, quando ci sono i prati verdi, la meglia da battere, i peschi carichi e le piante rigogliose.» disse, indicando le varie zone mentre parlava - sotto di loro, a destra, sul versante opposto della piccola valle, a sinistra. «D'inverno è ancora più bello, anche se i campi magari sono brutti per via della terra nuda e l'erba dei prati non è così bella verde.»
«E cos'è che lo rende bello?» lui voltò il capo verso di lei, senza un vero motivo - gli era venuto naturale.
«Alla mattina, soprattutto quando non c'è il sole, la nebbia avvolge tutto quanto. Non si vede oltre il muro, ma sembra di essere in mezzo alle nuvole.» spiegò lei, mentre le si formava un sorriso che insieme agli occhi indicava quanto la meravigliasse quella vista - e molto probabilmente nonostante fossero anni ormai che la vedeva. «C'è il freddo che ti penetra nelle ossa, ma non puoi fare a meno di rimanere a bocca aperta. Ti senti in un altro mondo, il resto sembra tutto lontano. Senti... di poter sognare tranquillamente, senza doverti preoccupare delle conseguenze... È magnifico.» si voltò verso di lui, persa in quella sensazione, e per un momento la provò pure lui.
Almeno, fino a quando lei non imprecò, perché il ghiacciolo le si stava sciogliendo in mano.
«Merda.» borbottò, leccando il succo alla menta che ora le rendeva la mano appiccicosa.
Lui ridacchiò della sua sbadataggine, ma sentendo la sensazione di prima ancora in lui.
«Sembra bello.»
La castana lo guardò, confusa su che cosa si riferisse, per poi alzare le spalle.
«Ricordamelo durante le vacanze di Natale. Se becchiamo la giornata giusta non abbiamo neanche bisogno di fare una levataccia.»
Lui annuì - quella promessa, quella promessa aveva qualcosa di strano. Si adagiò in lui, e mise radici.

~

L'avevano convinto a rimanere lì anche per il giorno successivo - «Giuro, domani non farò in maniera di darti altro lavoro da fare. Parola di scout.» aveva detto la castana, alzando uno mano e unendo pollice e indice. «Ma tu non sei uno scout.» aveva osservato il rosso, impassibile e un poco divertito. «Ci siamo capiti.» aveva concluso lei facendo un gesto che significava all'incirca "il concetto l'hai capito, su" - e loro due avevano preso possesso del primo piano della cascina, dove si trovava il secondo alloggio - la nonna abitava in quello al piano terra, decisamente più comodo senza scale da salire -, utilizzato raramente e usualmente solo dalla nipote, quando era in cerca di quiete che a casa gli era negata.
Dunque si era trovato a dormire in una camera a lui estranea,  in un letto matrimoniale con la sensazione che mancasse qualcosa, nonostante fosse comodo in quello spazio più largo del solito, il caldo esterno alleggerito da una lieve brezza notturna, che gli permetteva di dormire con solo il lenzuolo a coprirlo - «Sei fortunato, normalmente qui fa più caldo.» aveva detto lei, quando gli aveva mostrato la camera «Sarà perché ha piovuto ieri e l'aria fresca è rimasta. Oppure pioverà domani.» aveva aggiunto, più tra sé e sé, per poi scrollare le spalle. «Non lo so. Riposati. Se hai bisogno di qualcosa, io sono in fondo al corridoio.» aveva concluso, indicandogli la porta e uscendo dalla stanza - e per un  po' aveva funzionato. Un sonno profondo, dovuto alla stanchezza, che aveva ignorato ciò che lo circondava.
Ma poi ad un certo punto ne era uscito, si era girato e non ci era rientrato. Forse era complice quel raggio di luce che entrava dalle finestre aperte, del sole che stava sorgendo.
Decise allora che si sarebbe alzato e sarebbe andato almeno a prendere un bicchiere di acqua, per placare la gola riarsa.

La cucina era una stanzina piccola, stretta e lunga, con solo una porta che dava sul balcone, in cui due persone stavano strette se provavano entrambe a muoversi al suo interno.
A quanto pare, era stato preceduto.
Il rumore delle ante che venivano chiuse e qualcosa poggiato sul piccolo tavolo lo accolsero quando si affacciò per vedere cosa stesse succedendo.
«Oh, ti sei svegliato anche tu?» disse la castana, la voce un po' roca dal sonno, mentre prendeva un barattolo di caffè e cercava un cucchiaino nel cassetto delle posate.
Il rosso mugugnò una risposta affermativa, non sentendosela ancora di parlare - era dannatamente presto, troppo presto per i suoi gusti.
«Sto mettendo su il caffè. Ne vuoi una tazza?» chiese lei, con il cucchiaino a mezz'aria e la moca aperta sul piano della cucina, voltandosi verso di lui. Poi, molto probabilmente vedendo la faccia che aveva, aggiunse: «C'è la caffettiera da quattro, se vuoi.» che stava a significare "hai una faccia tremenda, veramente."
Lui annuì, passandosi una mano tra i ricci rossi, per una volta lasciati sciolti, e appoggiandosi di fianco ai fornelli, in modo da non darle fastidio in quel piccolo spazio.
Lei allora riempì la moka che aveva davanti - a quanto pare, aveva avuto intenzione di farsi un'abbondante dose di caffè per lei -, facendone comunque cadere fuori - un'imprecazione tra i denti di lei, un sorrisetto di lui - e quasi dimenticandosi di mettere l'acqua - «Acqua.» mormorò lui, la prima parola del mattino. Lei si girò, «Vuoi da bere?» chiese, confusa. Lui scosse il capo e indicò la caffettiera. «Acqua.» ripeté, e finalmente la castana capì - per poi metterla finalmente sul fuoco.
Mentre quello bolliva, si mise a frugare nella piccola credenza sul muro apposto - in realtà tre cubi dotati di ante appesi al muro che contenevano un po' di tutto - per poi uscirne con due tazze di una dimensione non comune.
«Le hanno prese con la raccolta punti. Non guardarle così male, non ti mangiano.» commentò lei, vedendo il cipiglio che si era formato sul viso di lui.
«Sono giganti.» ribatté lui, sbattendo diverse volte le palpebre.
«La meraviglia della raccolta punti di una volta.» alzò le spalle lei, poggiando le due tazze nel lavandino e dandogli una sciacquata. «Qui dentro molte cose - pentole, bicchieri, tazze - arrivano da raccolte punti. E poi ci sono i servizi regalati negli anni, oppure comprati perché i piatti non erano mai abbastanza.»
Si voltò verso di lui, mentre asciugava una tazza, che gli mise in mano.
«Il succo è, c'è troppa roba.» concluse, prendendo l'altra tazza dal lavandino.
Lui annuì, rigirandosi la tazza nelle mani, notando che comunque era solida e sembrava avere diversi anni ancora a venire - e ci fu l'impulso di aprire le mani e lasciarla cadere, per un attimo.
Il rosso spostò lo sguardo dalla tazza - decidendo che era innocente non avrebbe raggiunto la fine prima del previsto - alla castana, che stava controllando a che punto fosse il caffè.
I capelli, voluminosi, creavano onde con un proprio ordine dando un effetto cangiante - qualche ciocca era più chiara, quasi bionda, creando un gioco di luce come se fossero investiti dal sole - che arrivavano a metà della schiena, erano una parte della sua personalità: disordinati, lasciati a se stessi la maggior parte delle volte, ma che avevano un fascino loro particolare. Al momento, risaltavo particolarmente sulla maglietta bianca - recuperata dal fondo di qualche armadio della casa, come quello che stava indossando lui -, le cui maniche le arrivavano a metà del gomito e il fondo le sfiorava il retro delle ginocchia.
«Oh è salito. Dammi la tazza.» disse lei, abbassando il coperchio della caffettiera e facendo cenno di darle ciò che teneva in mano.
Lui obbedì, continuando a guardarla - ad osservarla - mentre versava il caffè in entrambe le tazze, facendo attenzione a dividerlo a metà - lasciandone comunque un poco di più a lui perché, infondo, era un ospite.
E lui, in quei gesti, vide una possibile quotidianità.
Alzarsi presto, ad orari diversi, incontrarsi così in cucina, lasciarle un bacio sulla fronte come buongiorno, ascoltarla mentre mormorava qualcosa tra sé e sé ancora mezza addormentata, sedersi allo stesso tavolo e bere caffè insieme, semplicemente condividendo il momento.
«Vuoi del latte?» chiese lei, ferma davanti a lui, con la tazza a mezz'aria intenta a prenderne un sorso. «Perché in quel caso dovrei andare a prenderlo sotto dalla nonna.»
Lui scosse il capo, e prese la sua tazza appoggiata sul ripiano - ma il pensiero di prima tornò, facendogli dimenticare dove fosse.
Ci pensò a ricordarglielo il caffè caldo che gli scottò la lingua. E la risata di lei.
Sguaiata, di chi è stato preso totalmente in contropiede dalla sorpresa, ma che la diverte parecchio.
«La tua faccia. Ti prego.» riuscì a pronunciare tra le risate.
Lui, con la lingua a penzoloni perché ovviamente bruciava, chiese: «La mia faccia cosa?»
«Sembrava avessi trovato una cimice dentro.» scoppiò in una seconda serie di risa lei, tenendosi la panca e quasi cadendo all'indietro.
Lui sbatté un paio di volte le palpebre, e poi scosse le spalle, mentre un piccolo sorriso si era formato sul suo volto.
Sì, anche quello avrebbe potuto fare parte della quotidianità.
Si sedette al piccolo tavolo da due - uno dei motivi per cui lì dentro la mobilità era limitata - imitato dalla castana, le cui risate si erano quietate, lasciando solo una sorta di felicità diffusa sul suo volto, eliminando la sonnolenza dovuta all'ora del risveglio.
Bevettero il loro caffè in silenzio - senza più incidenti -, lavarono le due tazze e la caffettiera, senza ovviamente evitare dibattiti - «Lasciami lavare almeno le tazze» aveva protestato lui, vedendo che lei aveva preso totale controllo del lavandino. «Manco morta.» aveva insistito lei, senza neanche guardarlo. «Sei terribile.» «Sì.» «Lasciami fare qualcosa.» «Assolutamente no.» e con questo l'aveva spinto indietro e l'aveva obbligato a sedersi. «Tu non ti muovi di qui fino a quando non ho finito.» ed era tornata alle sue tazze - e fecero per tornare alle rispettive camere.
Ma lui fermo sulla soglia della propria, la chiamò, chiedendole con un cenno se voleva venire da lui.
«Tanto penso che nessuno dei due riuscirà a dormire ora.» usò come scusa, anche se era parzialmente vero - soprattutto per lui.
La castana sembrò esitare un attimo, ferma qualche passo più avanti, poi annuì e si voltò per tornare indietro. Il rosso le fece spazio per entrare, e la seguì all'interno della stanza.
Lei si sedette sul letto a gambe incrociate, seguendo i suoi movimenti mentre la imitava, sedendosi sul lato opposto.
Per qualche momento regnò un silenzio imbarazzante, che però venne spezzato quasi subito - nessuno dei due voleva sentire ulteriormente quella sensazione.
«Ti trovi bene, qui?» chiese lei, umettandosi le labbra e tenendo lo sguardo basso - l'imbarazzo era lì, presente e premente.
Lui annuì. «È silenzioso.» il suo sguardo, posatosi su di lei quando aveva posto la domanda, non la lasciò.
Lei annuì a sua volta. «Già. Ogni tanto ce n'è bisogno.» alzò gli occhi, sentendo l'imbarazzo scivolare via, e incontrò i suoi.
Entrambi castani, entrambi di una sfumatura simile, che alla luce del sole poteva assomigliare ad ambra, entrambi con la caratteristica di essere sempre grandi - qualunque fosse l'emozione provata al momento. Entrambi, che scrutarono l'altro, alla ricerca di una risposta la cui domanda non era ancora stata posta, ancora allo stato grezzo precedente alla sensazione.
Lei si sistemò in maniera da rimanere direttamente seduta davanti a lui, che portò le gambe sul letto, precedentemente appoggiate a terra.
«Posso farti una domanda?» chiese lui, abbassando il tono quasi al sussurro.
Lei annuì, e involontariamente si protese verso di lui.
«Perché mi hai invitato qui?» era una domanda che si poneva fino dal giorno prima - in fondo aveva anche senso: non erano compagni di corso, non studiavano neanche la stessa specializzazione, e non erano neanche amici così stretti. Ma il mattino precedente si erano incontrati in stazione - entrambi per fare l'abbonamento di quel mese per i mezzi, e lei gliel'aveva proposto, così, dal nulla.
«Vuoi la risposta onesta o la risposta per farti felice?» chiese lei, dopo un attimo, mentre un sorrisetto le si era formato sulle labbra.
«L'onesta, ovviamente.»
Lei ridacchiò, e si avvicinò ulteriormente a lui, che a sua volta si era sporto, dato che la conversazione stava mantenendo il tono basso quasi da sussurro.
«La verità è che non lo so neanche io. Ieri ti ho visto, e mi è venuto spontaneo.» sembrò riflettere se dire o non dire qualcosa che le era venuto in mente - ma dato che continuò, la decisione molto probabilmente fu positiva. «Tu mi stai molto simpatico, sono interessata a te come persona. Voglio conoscerti, solo che ho costantemente la sensazione di sorpassare una linea invisibile che abbiamo tracciato la prima volta che ci siamo incontrati, di cose possibili e cose non possibili.»
Lui avrebbe voluto prendere quel volto tra le mani, e dirle "puoi, puoi fare quello che ti pare", vedendo come i suoi occhi si sarebbero illuminati e il sorriso si sarebbe allargato sul volto mentre avrebbe iniziato a ridere dalla felicità.
Ma invece optò per un altro modo, che però avrebbe potuto essere efficace allo stesso modo.
«Alla fine l'hai superata comunque, quella linea.» osservò, con un sorriso morbido - sembrava quasi dire "Siamo qui. Dove vuoi andare ora?".
Gli angoli della bocca della castana fecero un piccolo movimento, allargando in sorriso, per poi tornare nella posizione precedente, mentre riportava gli occhi su di lui.
«Tu non sei da meno.» ribatté lei, sporgendosi ulteriormente verso di lui in sfida - "mostrami tu una strada, la strada che vuoi tu."
E a lui bastò abbassare leggermente il capo per poggiare le sue labbra sulle sue.
Fu qualcosa di veloce - lei si ritrasse di scatto, sorpresa dal contatto estraneo, e si portò una mano alle labbra, mentre nel suo sguardo si vedeva realizzarsi la consapevolezza di ciò che era appena successo. Scoppiò a ridere mentre nascondeva il volto tra le mani.
Il rosso le prese gentilmente i polsi, un sorriso che condivideva l'ilarità dell'atmosfera, e lentamente le fece allontanare le mani, permettendogli di incrociare quegli occhi castani - così grandi al momento, così espressivi - e non poté evitare di baciarla una seconda volta, in maniera quasi giocosa. Poi una seconda, poi una terza, una quarta, fino a quando perse il conto.
Fino a quando lei, persa l'esitazione iniziale, si lasciò trascinare, prendendo l'iniziativa con un bacio lento, ma che diceva molto di più di quello che si sarebbe pensato.
Presto, il desiderio di toccare la pelle nuda iniziò a rendere i palmi brucianti, i corpi si fecero più vicini - lei in braccio a lui, che le sfilò quella maglia bianca con un gesto fluido.
La pelle era bollente - per il caldo, per ciò che stava avvenendo in loro - ma il tocco delle mani dell'altro era rinfrescante, generando un sospiro di sollievo. 
E mentre lentamente conoscevano ogni imperfezione dell'altro, il raggio di sole che lo aveva svegliato mezz'ora prima si fece spazio nella stanza, arrivando ad inondarla.

~

La castana prese l'elastico appoggiato sul comodino, senza scomodarsi troppo dalla posizione in cui si trovava - appoggiata alla schiena nuda del rosso, le gambe morbidamente avvolte sui suoi fianchi - e con delicatezza raccolse morbidamente la chioma rossa di lui, che a sua volta sedeva sul bordo del letto, i gomiti poggiati sulle ginocchia, gli occhi chiusi  che si godevano il sole - non caldo, ma piacevole sulla pelle.
«A te va bene questo?» chiese lei, dopo un po', allontanando la guancia dalla sua schiena, sporgendosi oltre la sua spalla, per vederlo in faccia.
Lui le poggiò una mano sulla coscia, annuendo, e voltandosi verso di lei.
«Sì.» disse sorridendo.

N.d.A.
Okay. Lo so che può sembrare come un'enorme cazzata - dello stile ma dove vuoi andare a parare con questa roba? Lo so lo so, non ha molto senso.
Ma.
Il fatto è che ho fatto un sogno - strano a dirla tutta, anche se rispetto ai soliti può sembrare semplice - e ho sentito l'impulso di metterlo su carta, di scriverlo. Perché sentivo che aveva qualcosa da raccontare, che aveva - ma che diamine ne so, non riuscivo a smettere di pensarci.
È anche per questo che i due personaggi non hanno nome - ora che ci penso è già la seconda one-shot che scrivo con personaggi senza nome, ma qui almeno parlano -, dato che sono persone reali - o comunque ispirate fortemente a persone reali - e mettergli un altro nome avrebbe dato un tocco diverso ai personaggi stessi. Non so, non mi ispirava la cosa - sì, c'è anche un fondo di pigrizia.
Fun fact: la cascina e la valletta in cui è situata esistono veramente. È tutto il resto il frutto di un'esperienza onirica.

Tomoe

P.s: SolidWorks è un programma di disegno 3D che ultimamente sta diventando il mio incubo.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Tomoe_Akatsuki