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Autore: FlawlessDiva    18/05/2024    1 recensioni
STORIA PENSATA CON UN CAST VIRTUALE:
Lucy Lawless: RUBY EVANS
Gal Gadot: DIANA BITTON
In un modesto appartamento di Manhattan, vivono Diana e Ruby.
Diana svolge un lavoro in cui è a contatto con molti uomini influenti, e spesso tradisce Ruby andando a letto con qualcuno di loro per ottenere favori e droga. Ruby è una giornalista che sta svolgendo un’inchiesta in cui è coinvolta anche Diana. Ma chi è Diana? O meglio, chi era stata, un tempo? E cosa lega le due donne ai misteriosi omicidi seriali di giovani ragazzini?
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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1
Primo impatto
 
Quella mattina Ruby si svegliò molto presto. Si vestì con i suoi abiti asciutti e puliti, riponendo sulla sedia della camera da letto quelli che le aveva prestato Diana, poi dalla borsa prese il cellulare facendo partire una chiamata.
Diana era appoggiata con una spalla sul bordo della porta aperta, con indosso solo una maglietta oversize, intenta ad osservarla.
“Hai fretta?”
“Devo andare in ufficio.”
“Non vuoi che ti accompagni?”
“Non è necessario.”
“Invece lo è…mi dispiace per stanotte…”
“Sul serio?” domandò ironica mentre gesticolando con la mano invitò Diana a zittirsi.  
“Sì, probabilmente arriverò con qualche minuto di ritardo. A dopo.” la telefonata fu brevissima.
“Decisamente non vuoi che ti accompagni.”
“No. Decisamente, no.”
“Chi hai chiamato?”
“Non deve interessarti.”
All’ultima e decisiva negazione, Diana allungò il braccio all’estremità della porta per cercare di non farla uscire.
“Se vuoi…posso rimediare…”
Per un momento si guardarono negli occhi, con la stessa intensità della notte prima, e per entrambe fu come se si conoscessero da sempre; quella familiarità tipica di chi sente nell’altro un porto sicuro. Poi, il suono di un clacson per strada ruppe quella specie di magia.
“Ma per chi mi hai presa? Lasciami passare!”
Questa volta si rese conto di quanto fosse inutile insistere, così cercò di tergiversare.
“Posso chiamarti più tardi?”
“Se è per le altre cose che vuoi mostrarmi, sì. Altrimenti, no.”
“Come sei categorica.”
“Devo andare. Ci sentiamo.”
Ruby lanciò uno sguardo di completa disapprovazione a Diana, poi, senza aggiungere altro, uscì dall’appartamento sbattendo la porta. 
Si guardò indietro per un momento, come se desiderasse che Diana in qualche modo riaprisse quella porta per fermarla e farla rientrare. Ma questo suo desiderio non venne esaudito, così si diresse direttamente verso l’uscita che portava in strada.
Attese giusto qualche minuto, quando finalmente arrivò un taxi, e senza quasi nemmeno aspettare che l’auto si fermasse completamente, salì, con l’espressione stupita e buffa del conducente. 
“Abbiamo fretta, eh?” 
“Già. Può portarmi alla sede del Times? Grazie.”
Il tassista annuì, ma poi spense il motore.
“Beh? Qualcosa non va?” Ruby si rivolse all’uomo guardandolo negli occhi attraverso lo specchietto retrovisore.
“Credo che lei debba scendere, signora.”
“Come?” Ruby non sapeva se ridere o arrabbiarsi. Era decisamente stupita.
“C’è una persona che mi sta facendo cenno, credo che lei la conosca.”
“Non mi interessa! Metta in moto per favore.”
“Io fossi in lei scenderei, le altre mica le inseguiva.”
“Le…altre…?” Ruby era molto confusa.
“Lei la conosce…?”
“Sì…beh…diciamo di sì. Se vuole scendere…”
Ruby guardò attraverso il finestrino Diana che la stava aspettando sulle scale dell’entrata di casa, sorridendo. Poi, sospirando, aprì la portiera e scese andandole incontro.
“Quindi?”
“Quindi ti accompagno io. Anzi, guida tu!” e le lanciò le chiavi dell’auto. 
 
Si trovavano sulla West 4th street, e per una parte del tragitto si ignorarono completamente.
Diana spesso guardava Ruby con insistenza, mentre Ruby faceva finta di non sentire lo sguardo che invece pesava su di lei finché, stufa di provare imbarazzo, decise di fare la mossa più ovvia per stemperare il disagio che stava provando, accendendo la radio.
Azione del tutto inutile, poiché Diana la spense immediatamente. Questo fece sì che Ruby si voltasse verso di lei completamente contrariata. 
“Quella canzone mi piaceva!”
“Immagino…” rispose in modo ironico.
“Sei sfiancante, Diana…”
“No, voglio solo parlare con te.”
“Non intendo ascoltarti. Voglio solo arrivare in ufficio. Per colpa tua farò più tardi di quel che pensavo.”
“Essendo in mia compagnia crederanno che ti ho dato delle informazioni interessanti. Non ti faranno storie.”
“Tu dici, eh?” Ma cos’è questo rumore?” la macchina emetteva un ronzio che via via si faceva sempre più intenso e fastidioso.
“Non saprei. L’auto non è mia.” Ruby la guardò male.
“Nel senso che è del dipartimento. Non ti agitare.”
Ruby cominciò a toccare i vari congegni dell’auto, mettendo anche in azione il condizionatore per capire da dove potesse provenire il rumore. 
“Sai, anche mio padre faceva come te. Immancabilmente rompeva tutto.”
“Fingo di non averti sentita.” intanto continuava a toccare e schiacciare i vari pulsanti e manopole sotto lo sguardo infastidito di Diana.
“Credo dovremmo fermarci da un meccanico.” disse Diana mentre distrattamente guardava fuori dal finestrino. Si accorse che le auto a fianco sfrecciavano velocissime.
“Scusa ma… a quanto stai andando?”
“Circa quaranta miglia.”
“Ma non avevi fretta di arrivare in ufficio?”
“Il punto è che questo catorcio non va più veloce di così!” Ruby iniziava ad essere seccata.
“C’è un parcheggio sotterraneo qui vicino, lasciamo la macchina e poi chiamerò un collega” Diana mise una mano sopra a quella di Ruby, mentre la stessa stava sterzando.
Il tocco la fece sussultare. 
“Sei nervosa?” Diana non mollava la presa.
“Tu che dici?” Ruby sgomitò per allontanare il contatto insistente di Diana, che però non accettò assolutamente di buon grado, tentando nuovamente un contatto fisico questa volta più audace, sfiorandole l’inguine e cercando di sbottonarle i pantaloni.
Ruby era incredula per quel tipo di azzardo, e fu proprio quella parte di lei che in fondo gradiva quelle particolari attenzioni a farle perdere il controllo della macchina proprio mentre stava scendendo rapidamente nel parcheggio, accorgendosi però, che qualcosa stava andando storto. 
“Cazzo!! I freni non funzionano!” 
Il panico e la fretta le fecero cercare a tentoni il freno a mano, ma Diana la fermò con decisione. 
“Cerca di non perdere la testa e fai quello che ti dico!” il sangue freddo di Diana era invidiabile.
“Lascia lentamente l’acceleratore e scala le marce!”
Ruby eseguì senza fiatare, finché la macchina rallentò il giusto da poter consentire in quel momento a Diana di azionare il freno a mano.
La vettura si fermò bruscamente a pochi cm da una colonna di cemento armato. Ma non era finita. Lo scossone fece notare a Diana qualcosa di insolito uscire dal cruscotto: un filo sottile e anomalo, quasi nascosto, che non faceva pensare potesse essere parte della vettura.
Ruby guardò incuriosita Diana che sembrava essere piuttosto sicura del fatto suo.
“C’è qualcosa di strano…”
“Cosa intendi?”
Il filo era connesso ad un dispositivo camuffato tra i cavi che non lasciava più dubbi su ciò che sarebbe successo di lì a poco.
“Usciamo da questa trappola immediatamente! C’è una bomba qui dentro!”
Mentre Ruby non ebbe alcuna difficoltà ad aprire la portiera, Diana non riuscì a scendere perché la sua era intoppata, dovendo perdere tempo prezioso uscendo dalla parte del conducente.
“Corri, cazzo! Cosa fai ancora qui?”
“Ti aiuto a uscire, stupida!”
Ruby tirò per le braccia Diana la quale perse l’equilibrio dopo essere balzata fuori dalla vettura, finendole addosso.
Non ebbero il tempo nemmeno di guardarsi che, un leggero fumo prima, e una serie di scintille poi, si trasformarono in un forte boato, mentre l’auto era andata completamente in fiamme e alcuni pezzi della carrozzeria schizzarono un po’ dappertutto.
 
 
Le due donne persero i sensi per qualche minuto. 
Il fumo e l’odore acre del fuoco si era sparso per tutta la parte sottostante dell’edificio.
La prima a rinvenire fu Diana, che vedendo l’altra ancora stesa a terra, supina, si precipitò verso di lei nonostante non si fosse ripresa ancora del tutto dall’esplosione.
Assicurandosi che respirasse, cercò di destarla scuotendola lievemente.
Non ricevendo segnali positivi, si fece prendere dal panico, urlando per farsi sentire il più possibile. 
“Ruby, svegliati…cazzo, svegliati!” si guardò intorno disperata per vedere se fossero arrivati i soccorsi e per cercare il cellulare nella tasca della giacca, poi sentì una mano sulla sua.
“Diana, che cosa…? Ruby era in evidente stato confusionale.
“Riesci ad alzarti?” non ricevendo nessuna risposta affermativa, la aiutò a mettersi quanto meno seduta, e accorgendosi che la donna stava perdendo sangue dal braccio, strappò un lembo della propria camicia per tamponare la ferita e medicarla momentaneamente.
“Adesso appoggiati su di me, dobbiamo andarcene immediatamente da qui!”
Il fumo stava aumentando di intensità, e nonostante la visuale fosse molto rada, cercarono l’uscita attraverso il labirinto di macchine e detriti. 
Una volta evacuate, si trovarono davanti i soccorsi e un paio di squadre della polizia che riconobbero immediatamente Diana di cui un poliziotto in particolare, che si avvicinò a lei.
“Tutto mi aspettavo tranne che vedere te. Che cazzo è successo?”
“Qualcuno ha messo una bomba all’interno della macchina, e credo anche di sapere chi è stato”
“Ma chi? Quel ragazzino? Andiamo, è un incapace!”
“Non è un incapace, Steve! Non iniziare a farmi passare per visionaria!”
“Tu sei convinta sia stato lui, ma…”
“Non sono convinta, cazzo! Senti, basta! Mi faccio accompagnare in centrale da una delle volanti e poi lascerò la mia deposizione”.
“Non è necessario, riprenditi e manda tutto via mail. Ci penserò io.”
Mentre parlavano, Steve fece segno con la testa accennando un risolino nella direzione di Ruby, che si stava facendo medicare la ferita da un operatore dell’ambulanza,
“E quella chi è?”
“Non ti riguarda”
“Una tua nuova “amica”?
“Dovresti imparare a farti gli affari tuoi almeno una volta nella vita.”
“L’altra l’hai già scaricata?
“Dì un po’, Steve, come sta tua moglie?” questa volta fu Diana a sorridere sarcastica, ottenendo un silenzioso imbarazzo da parte del poliziotto.
Nel mentre Ruby si stava sentendo stranamente osservata e, senza dare nell’occhio, si avvicinò a Diana nel modo più naturale possibile.
“Sai che tutto questo non è stato un incidente, vero?” Diana annuì.
“Comunque, mentre mi stavano medicando, sul marciapiede di fronte ho visto un tizio piuttosto giovane fermo su una moto che ti stava osservando…”
“È ancora qui?” Diana si stava visibilmente agitando.
“Non lo so, non credo…”
“Andiamo!”

 
 
 
 
2
Ragazzi di strada
 
“Come va il braccio? Tutto bene? Prima sanguinavi molto.” Diana era preoccupata per la donna, ma visibilmente ansiosa per quello che le aveva detto prima.
“Sì, ma non mi hai ancora detto chi è questo Lucas Walsh.”
“È il pezzo di merda che ha ucciso mia figlia. E non chiedermi se sono sicura che sia stato lui, perché questa domanda mi fa solo saltare i nervi. Dove hai detto di averlo visto?” 
“Laggiù.” Ruby fece cenno in una direzione dove una strada stretta tra una fila di palazzi vecchi, sembrava attraversare l’intero quartiere nella più totale oscurità.
“Se non te la senti, vado da sola.”
“Ma no, figurati, è il mio hobby preferito infilarmi nelle stradine piene di insidie del Bronx!” Diana accennò un sorriso nonostante tutto, finché entrambe si addentrarono in quella stradina.
 
 
Diana rimase a lungo in silenzio, troppo intenta a guardarsi intorno all’interno di quella pesante penombra, cercando qualsiasi indizio che potesse portarla dal suo uomo, finché da un vicolo ancora più stretto, non si sentirono distintamente le voci di due ragazzi.
“Con questa qui ci facciamo un bel gruzzolo da smezzare con Rey e Vi. Che dici?”
“Sarà immatricolata, lascia perdere, Alec!”
“Non dire cazzate, Cat! Mica l’abbiamo trovata nei quartieri alti di Manhattan!” replicò l’altro ragazzino.
Diana cercò il più possibile di restare mimetizzata nell’ombra, tanto da riuscire a vedere abbastanza bene che due ragazzi sulla ventina stavano discutendo davanti a una motocicletta. Non vedendoci più dalla rabbia, associò subito il mezzo a quello di Lucas Walsh, decidendo di farsi avanti, ma Ruby la afferrò per un polso.
“Che cosa credi di fare? Saranno sicuramente armati.”
“Voglio solo parlargli. Lasciami andare!” Diana non si rese conto di avere alzato la voce, mettendo in guardia i ragazzi davanti a lei: uno biondo dai tratti somatici molto gentili, e uno moro con la pelle leggermente più scura dell’altro.
Quest’ultimo scattò immediatamente, mentre il biondo rimase fermo in tono di sfida, aspettando che Diana arrivasse davanti a lui.
“Che cazzo fai, Alec? Muoviti! Andiamo via!”
 
 
 
“Ragazzi! Fermatevi! Polizia!”
I due ragazzini continuavano a correre, ma Diana sapeva tenergli testa.
“Perché cazzo stai scappando, Cat?”
“Non voglio casini! Non oggi!”
“Fottiti, Luis!” il biondo si fermò di scatto, poi si voltò totalmente e rimase fermo, con un pugno chiuso e con l’altra mano dietro la schiena, pronto ad usare la pistola e ad aspettare che Diana lo raggiungesse. 
Il moro fece solo pochi passi più avanti dell’altro, per poi fermarsi e mettersi al suo fianco.
“Così mi piaci!” Alec sorrise orgoglioso. 
“Non faremo proprio niente. Se le cose si metteranno male, sarà peggio per lei…ma non mi sembra minacciosa…”
“Sei il solito. Devi sempre fare quello diverso da tutti! Non posso credere che ti sto dando retta!”
Diana raggiunse i due ragazzi. Cercò di riprendere fiato.
“Perché non vi siete fermati subito? Devo solo farvi un paio di domande, nulla di più.”
“Quelle come te non fanno domande.” rispose Alec con decisione.
“Hai ragione, e in altre circostanze sarebbe così ma…”
“Ma?” Incalzò Cat.
“Un momento, chi cazzo è quell’altra che sta arrivando?” Alec, con la coda dell’occhio, vide arrivare Ruby e questa volta era deciso ad usare la pistola ma, Cat, conoscendo il suo amico, gli strinse il polso.
“Andiamocene, cosa credi che possano dirti questi due balordi?”
“Per favore, non ti immischiare, ok?”
“Sai benissimo che Noa non frequentava questa gente! Non capisco cosa vai cercando!”
Noa…?” Cat sussurrò quasi con voce strozzata il nome della ragazza.
“La conosci?” Diana sgranò i suoi grandi occhi scuri, prese per le spalle Cat dandogli due scossoni, mentre il ragazzo sembrava essersi ammutolito. Poi, si riprese.
“No, io…non…” per qualche secondo si scontrò con lo sguardo di disapprovazione di Alec, ma decise comunque di parlare.
“Io ti dico quello che so, ma poi devi scordarti di averci visti…”
“Ma senti questo!” Irruppe Ruby, quasi schernendolo, ricevendo a sua volta un’occhiataccia da Diana.
“Non mi occupo del vostro quartiere, e non ho motivo di indagare su di voi, ma se avete visto o sentito qualcosa, vi prego di dirmelo…”
“Vi prego... Noa è…era…mia figlia.”
I due ragazzi si guardarono, poi, Cat, decise di fare il primo passo con il chiaro disappunto di Alec dipinto sul viso.
“Ecco, io…noi…non la conosciamo, ma per cose nostre stavamo a Mott Haven…”
“Cazzo, Cat! Lo vuoi capire che questa qui ci vuole fregare?”
Senza dare retta all’amico, proseguì.
“…ho visto un paio di tizi allontanarsi…quello più grosso aveva sulle spalle una ragazza…credo fosse troppo ubriaca o troppo drogata per muoversi. O forse…”
“Forse?” incalzò Diana.
“…forse era già morta, perché il tizio che stava a fianco di quello più grande farfugliava piangendo…e ho sentito che pronunciava quel nome particolare…Noa”
“Dove l’avete vista esattamente?” gli occhi di Diana erano disperati e Cat lo percepì.
“Vicino alla metro nord di quella zona, a mezz’ora da qui, c’è una casa abbandonata. Da tutti quelli del posto viene chiamata La casa nera.
“La casa nera?” Ruby era piuttosto perplessa.
“Sì, la chiamano così perché da lì provengono rumori e versi sinistri.” intervenne Alec che, vedendo l’amico seriamente interessato ad aiutare Diana, provò ad essere leggermente indulgente.
“Anche se la chiamano così, in realtà non è fatiscente come le altre che ci sono intorno, anzi, è molto bella. Sicuramente appartiene a qualche riccone che finge sia dismessa…capito, no?” proseguì Cat.
“D’accordo, vi ringrazio. Potete andare.”
“Non devi certo dircelo tu se possiamo andarcene” Alec era piuttosto seccato dalla risposta autorevole di Diana.
“Spero che in qualche modo ti abbiamo potuto aiutare.” Cat fece un cenno all’amico. Con passo veloce, e nel giro di pochi secondi, scomparvero totalmente nella semioscurità del vicolo.
“Di questa ora cosa ne facciamo?” Ruby salì sulla sella della moto come se sapesse guidarla.
“Scendi da lì!” Diana era infastidita dal gesto un po’ superficiale della giornalista, poi prese il cellulare e chiamò la centrale di Polizia.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
3
L’odore che ha la morte
 
Lucas era un solitario, ma non per sua scelta; la vita più di una volta lo aveva messo alle strette. 
I suoi unici “amici”, col tempo, erano diventati spacciatori, protettori e prostitute. Gente che voleva sempre qualcosa da lui; che “lavorava” con lui o per lui. 
Liam rappresentava quel fratello che aveva sempre desiderato: un posto sicuro dove rifugiarsi quando tutto intorno sembrava diventare una spirale soffocante.
Nulla attraversava più la sensibilità di Lucas, se non quel ragazzino gracile e fragile, forse perché un po’ rivedeva ciò che un tempo era stato lui stesso.
Da bambino, la condizione di figlio unico lo faceva sentire diverso rispetto ai suoi compagni di scuola che, contrariamente, avevano fratelli o sorelle. 
Lucas era timido e impacciato con chiunque, non aveva un compagno di giochi, un complice o un confidente.
Quando i suoi genitori litigavano, chiudeva la porta della sua camera, si portava le mani alle orecchie immaginando di avere un’altra esistenza.
Benché non gli mancasse nulla sul piano materiale, gli mancava tutto su quello affettivo. 
Crescendo, e diventando sempre più cosciente di ciò che lo circondava, spesso gli capitava di vedere rincasare il padre sporco di sangue, e quando Lucas gli correva incontro per abbraccialo, l’uomo lo scansava come fosse stato un estraneo. 
A nulla serviva cercare consolazione nella madre che, dopo aver trascorso anni tra le lacrime, aveva ben pensato di cambiare vita uscendo a tarda notte vestita in modo provocante per incontrarsi con estranei, per poi in seguito scoprire dalle voci del personale pettegolo di casa, che erano i suoi innumerevoli amanti. 
Questa era una delle tante scene che Lucas aveva visto da bambino e che si reiterarono negli anni fino al giorno in cui, poco più che adolescente, vide morire Grace, la madre.
Fu proprio Lucas a trovarla morta.
La donna giaceva riversa sul letto della lussuosa stanza, e ciò che il ragazzo percepì ancor prima di vederla, era l’odore nauseabondo e amaro di sigarette spente da ore; eppure non c’era nessun posacenere.
Avvicinandosi, si rese subito conto del pallore della pelle della madre, gli occhi chiusi e una mano sul ventre che stringeva la stoffa della vestaglia di seta, come se la donna avesse provato un intenso dolore prima di morire.
Non aveva fatto in tempo a pensare di provare a soccorrerla che, nella stanza, di soppiatto, entrarono tre energumeni a seguito del padre, il quale si era fiondato davanti al figlio prendendolo a schiaffi.
“E ringraziami.”.
I tre bestioni avvolsero il corpo di Grace nelle lenzuola e la portarono via sotto gli occhi di Lucas, dolorante sul volto e nel cuore.
In quel momento il ragazzo vide scorrere davanti a sé molti dei ricordi che conservava della propria madre, come se prima di quell’istante se ne fosse completamente dimenticato.
Grace era una donna che non sorrideva quasi mai e, quando succedeva, ci pensava il marito a rimetterla al suo posto, facendole notare con il suo comportamento narcisista e strafottente, quanto fosse completamente sbagliato il loro rapporto. Quanto fosse sbagliata lei.
Lucas non riusciva a trovare traccia nella propria mente, di episodi della sua vita insieme ai genitori, che potessero ricondurre a dei momenti felici, o quantomeno sereni.
Ricordava solo litigi dietro la porta della camera da letto, il padre che usciva sbattendola, e la madre che lo chiamava a sé per abbracciarlo. Ma era un abbraccio che non durava mai abbastanza, perché subito dopo la donna si attaccava ad alcool e sigarette, dimenticandosi completamente di lui.
Lucas però la amava, come un figlio ama e giustifica un genitore che la vita, per mille ragioni, ha messo con le spalle al muro.
Quando la madre morì, anche le sue spalle si ritrovarono attaccate a quel muro.

 
 
 
 
4
11 Settembre
 
Arrivate entrambe a casa di Diana, il portone non voleva saperne di aprirsi.
“Cazzo, è da un anno che abbiamo questo problema e ancora l’amministratore non si decide a cambiare questa maledetta serratura!”
“Aspetta, ci provo io.” Ruby spostò delicatamente la mano di Diana, che di rimando accarezzò la sua, lasciando cadere a terra il mazzo di chiavi, ma ad entrambe sembrava non importare poiché le loro mani dal semplice sfiorarsi si incastrarono l’una nell’altra.
“Diana…” ogni volta che i loro sguardi si incrociavano era come se un incantesimo le catapultasse altrove, per poi improvvisamente farle ricadere nella realtà.
“Lascia stare.” Diana si chinò, raccolse il mazzo di chiavi, e questa volta il portone si aprì senza problemi.
 
Entrate nell’appartamento, Diana accese uno delle lampade regolandone la luce soffusa, lanciò borsa e soprabito sul divano, poi si sedette e tolse le scarpe, stendendosi. Ruby, dietro di lei chiuse piano la porta, appoggiandosi di schiena. Sapeva che a breve sarebbe arrivata una sorta di lamentela.
“Tu…tu non sei attratta da me, non è così?” Diana si passò una mano sulle tempie come se le stesse arrivando un forte mal di testa.
“No. Non è vero. E poi oggi è stata una giornata fin troppo pesante per parlare di queste cose.” Ruby stava osservando il pavimento e le fughe tra una mattonella e l’altra nel tentativo di sottrarsi allo sguardo di lei.
“Perché mi frequenti se non mi vuoi?”
“Tu desideri solo colmare un vuoto.”
“Davvero credi che tu possa rimpiazzare mia figlia? E guardami quando ti parlo!”
“Sì. Lo credo.” Ruby decise di affrontare Diana, avvicinandosi. 
“Un figlio non può essere sostituito con nessun altro al mondo. Lo sai questo? Non credo, visto che non hai figli.” Diana aggrottò la fronte, e due leggeri solchi verticali tra le sopracciglia la facevano sembrare più matura della sua età. 
“Non ho figli ma sono stata figlia. Nemmeno un genitore può essere sostituito.”
“Perfetto, allora di cosa stiamo parlando, Ruby?”
Alla fine si decise a sedersi accanto a Diana, sprofondando pesantemente stanca tra i cuscini.
“Tua madre ti aveva sostituita, vero?”
“Scusa?” Ruby era confusa dalla domanda della donna.
“Quando tuo padre è morto, e lei si è rifatta una vita, ti sei sentita sostituta, non è così?”
“Ma tu come cazzo…?”
“Anche io mi sono informata su di te.”
Diana si alzò, e sotto gli occhi increduli della giornalista, prese una cartelletta verde incastrata tra alcuni volumi di una delle piccole librerie del soggiorno lanciandola tra le gambe di Ruby. 
“Ma la differenza tra me e te…” proseguì Diana “è che io sono spinta da un reale interesse nei tuoi riguardi, tu solo per scrivere un ottimo articolo.”
“Che grandissima figlia di…” 
Ruby, incredula e stordita, ebbe la consapevolezza di essere stata violata nella sua sfera privata, comprendendo per la prima volta cosa significasse non essere quella che gli articoli li scriveva, ma li subiva. 
 
 
 
Charles Evans era un poliziotto che cercava solo di fare il suo lavoro, quando l’11 settembre del 2001, nel tentativo di mantenere l’ordine, la sua Smith & Wesson colpì accidentalmente una donna incinta intenta a salvarsi la vita. 
Nella confusione, pensava che nessuno lo avesse visto, non considerando che il suo compagno di turno, Idan Bitton, si trovava proprio dietro di lui.
La sua coscienza non gli permise più di svolgere il suo lavoro come prima: era spesso assente, mentre in servizio il suo alito puzzava d’alcool. 
Dopo qualche mese Charles venne congedato, e le sue giornate trascorsero pigre tra una bottiglia di Vodka e decine di lattine di birra. Sua moglie Ava non riusciva più a stargli dietro, non sopportava più di vederlo oziare sul divano tra il disordine e il cattivo odore. Inizialmente tornava a casa solo per preparare pranzo e cena alla figlia, poi i suoi rientri divennero oltremodo sporadici: Ruby dovette imparare da sé a cucinare e fare il bucato, perché la madre via via si dileguò. 
Ma non fu l’unica ad andarsene da quella casa. Presto tutta la famiglia Evans smise di esistere.
Erano le 19 quando Ruby tornò da scuola: una comune serata di autunno inoltrato.
Gli interruttori in casa erano tutti spenti. L’appartamento leggermente illuminato dai flebili raggi di luce provenienti dai lampioni sulla strada.
Nessun rumore. Solo il cigolio della porta d’ingresso che si chiudeva alle sue spalle.
“Papà…?”
Ruby provò ad accendere l’interruttore del soggiorno, ma non si accese. 
Si ricordò che proprio la settimana precedente, nella buca delle lettere, l’azienda elettrica aveva mandato l’ennesimo sollecito di mancato pagamento.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca e cercò di fare luce con il display, camminando a tentoni lungo il corridoio che conduceva alle camere da letto.
“Papà, stai dormendo?”
La mano esitante di Ruby aprì leggermente la porta della stanza, fino a spalancarla del tutto, mentre il cellulare nell’altra mano illuminò il centro della camera.
Un urlo strozzato dal pianto di Ruby si inoltrò per tutto il palazzo. 
 
 
 
“Mi rendo conto che non è facile per una ragazza così giovane scoprire il cadavere del proprio genitore”
“Perché mi fai questo, Diana…?” la voce di Ruby era quasi tremante.
Com’è stato rinvenuto tuo padre?”
“Non… non è scritto nel tuo dossier? Perché lo devi chiedere proprio a me?”
“Vorrei me lo dicessi tu.”
Ruby non rispose.
“D’accordo. Qui dice: «Charles Evans. Maschio di 49 anni trovato appeso a una corda fatta di fili elettrici fissata al gancio che regge il lampadario della camera da letto. Di fianco all’uomo una scala a forbice aperta utilizzata presumibilmente per la preparazione dell’evento…» “
“Smettila…”
«L'azione violenta dei fili elettrici ha provocato una la frattura netta dell'osso ioide»
Ruby abbassò il capo con i gomiti appoggiati alle ginocchia. Sembrava sconfitta.
“Come ti sei sentita quando lo hai trovato? Qui c’è scritto che la figlia (tu) era stata trovata in grave stato di shock…”
La donna adesso iniziava a manifestare più esplicitamente del disagio intrecciando le proprie dita delle mani, come se stesse pulendo le medesime da qualcosa che le aveva sporcate.
Diana notò la cosa, ma proseguì ugualmente sfogliando i documenti con attenzione.
“Dopo l’episodio, fino alla maggiore età, sei stata in cura dal Dr. Parker e…”
“Avrei voluto vedere te…”
“Scusa?” Diana fece finta di non capire.
“…trovarti davanti agli occhi tuo padre impiccato, completamente cianotico e…”
“Nella mia carriera ne ho visti tanti. Ma dimentichi che io ho visto mia figlia”
“Ma io avevo 18 anni!” sbraitò. 
“Non resisti. Vero, Ruby?”
La giornalista aveva ricominciato a gesticolare nervosamente, poi si alzò dal divano, corse in bagno sbattendo la porta per poi fiondare le mani insaponate sotto l’acqua corrente del rubinetto sfregandole fino a farle sanguinare. 
Smorfie di dolore, lacrime e singhiozzi, non cessarono fino a quando Diana non spalancò la porta guardando Ruby che, a sua volta, ricambiò lo sguardo con il trucco nero che colava ai lati degli occhi insieme alle lacrime.
Diana non disse nulla. Abbracciò da dietro la donna, portando le sue braccia davanti e raccogliendo quelle di lei, sporcandosi i polsini della camicia bianca di sangue.
Rimasero in quella posizione fino a quando Ruby, alzando il viso verso lo specchio e vedendo quella scena riflessa, cercò di divincolarsi, ma Diana non le permise di staccarsi da lei, finché non si arrese. Riprese fiato trovandosi di fronte alla donna che la stava guardando con dolcezza e con gli occhi che trattenevano le lacrime.
Diana provò un’infinita tenerezza nei confronti di Ruby, e lasciandosi trasportare dal sentimento la strinse forte a sé, non immaginando minimamente che sarebbe stata ricambiata finché non sentì le mani di lei dietro la schiena, stringerla, e il viso appoggiato al suo seno. Poteva sentire il calore del suo respiro sulla pelle.
Diana chiuse gli occhi, inarcando leggermente il collo all’indietro, lasciandosi andare in quell’abbraccio lungo e disperato che sapeva di amore, di conforto e di consolazione. Caldo e famigliare. Pulsante.
“Perché…perché, Diana?
“È il peso che ti porti dentro…” Diana prese il viso di Ruby tra le mani. Erano entrambe reduci dalle lacrime.
“…io conosco quel peso e l’ho sentito…non devi scappare da me, io ti sento…” la strinse ancora a sé. 
Ruby non disse altro, le parole di Diana e il calore del suo abbraccio la facevano sentire al sicuro. Al tempo stesso capì che le intenzioni di Diana non erano finalizzate a farle del male, ma di fare uscire il dolore e il senso di colpa che la opprimevano da quando era ragazza. 
Ruby non era mai riuscita a piangere dopo la morte del padre, né a farlo in seguito. Credeva che indossando la maschera della persona forte e senza paura, prima o poi ne sarebbe uscita, ma il seme del dolore era germogliato fino a crescere a dismisura invadendo anche la sua vita da donna adulta.
Diana questo lo sapeva, perché quello stesso seme stava crescendo in lei attraverso la morte di Noa. 

 

CONTINUA... 
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NOTA: I personaggi di Alec e Cat, fanno parte dell'opera a fumetti (in lavorazione) NOBODY'S HOME di Mel Bee e, gentilmente concessi dall'Autrice per la stesura di questo capitolo.

   
 
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