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Autore: Cj Spencer    19/05/2024    1 recensioni
Quinto volume de "Napoleon of Another World!"
Daemon ha fatto la sua mossa, l'invasione di Eirinn è cominciata.
Lo Stato Libero si prepara a combattere la sua prima guerra d'aggressione.
Nel frattempo, le altre nazioni seguono preoccupate l'evolversi degli eventi.
Come si concluderà questo conflitto? E quali cambiamenti è destinato a provocare ad Erthea?
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“L’alta politica non è altro che applicare

il senso comune agli affari di Stato.”

 (Napoleone Bonaparte)

CAPITOLO 1

L’UNIONE

 

 

Riverdale era la più piccola, la più isolata, la più lontana delle Ventiquattro Province che componevano l’Unione di Patria; da lì ci si impiegava meno ad arrivare a Faria che a Mickarn.

La catena del Galath discendendo da nord protendeva le sue impervie cime fin nel cuore dello Stato puntellandolo di strette valli, prati scoscesi e grandi laghi traboccanti di pesce: non certo l’ambiente ideale per installare quelle famose piantagioni che nel sud e nell’ovest si estendevano a perdita d’occhio fin oltre l’orizzonte, e per le quali l’Unione era famosa.

Questo ovviamente non voleva dire che anche a Riverdale non vi fosse possibilità di ottenere ricchezze e prestigio, o che non vi fosse una classe aristocratica che anche lì come altrove amministrasse il potere.

Tra tutte le ricche dimore signorili che sorgevano qua e là sia entro le mura della città che nei terreni circostanti, la più bella e appariscente di tutte era sicuramente quella della famiglia Medici.

Era passato tanto tempo dall’ultima volta che Michael era tornato a casa, e rivedere il posto in cui era cresciuto suscitava in lui un misto di nostalgia e malinconia.

«Ragazzo mio.» disse un’anziana signora venendogli incontro appena sceso dalla carrozza. «Finalmente sei tornato.»

«Buongiorno, vecchia Betsy.» rispose lui con un sorriso

«Guarda quanto sei cresciuto. Mi sembra solo ieri che eri un bimbo scalmanato che correva avanti e indietro per tutta la proprietà.»

«Erano altri tempi. Confesso che mi mancano.»

«Anche a me.»

«Vi ringrazio di prendervi cura della proprietà in mia assenza. È merito vostro se questo posto è rimasto bello e ben tenuto nonostante tutto.»

«Ma ti pare, per così poco. Dopotutto è merito vostro se ho potuto sfamare i miei figli e mettergli un tetto sulla testa quando la nostra attività è andata in rovina.»

«E i vostri figli come stanno?»

«Bene. Ora hanno tutti e due il loro terreno e si danno da fare per farlo prosperare. Non ti ringrazierò mai abbastanza per aver fatto in modo che ci concedessero quel prestito.»

«È sempre un piacere. Riverdale non è Elordia, o Felisia, o Mickarn. Ma è piena di gente di buona volontà, e anche la sua terra può dare buoni frutti se la si tratta con amore.»

L’anziana signora sorrise: «Mi sembra di essere tornata ai tempi dei tuoi primi comizi, quando parlavi ai tuoi amici in salotto.»

«E voi mi sculacciavate perché stando in piedi sulla scrivania di papà la sporcavo tutta.»

«Ne hai fatta di strada da allora. Ma in qualche modo ho sempre saputo che eri destinato ad andare lontano. Te lo leggevo negli occhi e lo percepivo nelle tue parole.»

«Vi ringrazio. Ora penso che andrò a trovare i miei genitori.»

«Naturalmente. Sono sicura che saranno felici di vederti.»

Il signore e la signora Medici attendevano il loro unico e adoratissimo figlio al solito posto, sotto la grande quercia in cima alla collinetta che dominava la tenuta, circondata da alberi da frutto, recinti di animali e serre.

Per l’occasione Michael aveva portato loro i doni che più amavano: rose blu di Jarvis per lei, una bottiglia di ottimo liquore di Mickarn per lui.

«Papà. Mamma.» disse sedendosi sull’erba. «Sono tornato, finalmente. Mi dispiace di essere stato via così a lungo. Come immaginerete, da alcuni anni a questa parte il mio lavoro è aumentato notevolmente. Ma voglio dirvi che penso sempre a voi, e a tutti gli insegnamenti che mi avete lasciato. Ho cercato di essere sempre all’altezza delle vostre speranze. E il sogno che avevate per questa terra, ora sto facendo del mio meglio per provare a renderlo reale. Purtroppo, non tutto va sempre come si vorrebbe.»

Il giovane a quel punto sembrò incupirsi, assumendo un’aria malinconica: «A volte è così difficile riuscire a mettere tutti d’accordo. Ma non sono un ingenuo. So perché hanno deciso di mettermi addosso questo peso. Mi ripeto sempre che non voglio essere il loro pupazzo, ma in certi momenti mi domando chi sia davvero a tirare le redini. Forse dovrei cercare di essere più come te, papà. Tu non hai mai permesso che fossero gli altri a decidere per te. Hai seguito i tuoi ideali e le tue convinzioni fino alla fine. La verità è che mi sento smarrito, e comincio a chiedermi se sarò davvero in grado di migliorare le cose.»

Come un segno divino, una strana e piacevole brezza di vento scese sul colle facendo ondeggiare i capelli di Michael che per un attimo si sentì pervadere da una sensazione di quiete, come se qualcuno lo stesse avvolgendo in un tenero abbraccio.

«Se potessero vederti, i tuoi genitori sarebbero così fieri di te.» disse la vecchia Betsy raggiungendolo sulla collina

«Voi dite? Loro non avevano niente quando hanno incominciato. Hanno preso questa terra in cui non cresceva niente, e guardate in che cosa l’hanno trasformata. Io ho avuto tutto fin dal primo giorno, e nonostante ciò non riesco a fare andare d’accordo ventiquattro persone che pensano solo a sé stesse.»

«Il Signore e la Signora hanno difeso le loro idee e le loro convinzioni fino alla fine, e sono sicura che voi vi state impegnando anima e corpo a fare lo stesso. È nella vostra natura.»

«Forse. Ma ne sarò in grado?»

«Non arrendetevi mai. E qualsiasi cosa accada, ricordate sempre che i vostri genitori sono con voi in ogni momento.»

Il passaggio lungo la strada che costeggiava la tenuta di un nutrito gruppo di cavalieri distolse il giovane dai suoi pensieri.

«Che succede?»

«È già da qualche giorno che sono aumentati i controlli. Sembra abbiano catturato una spia.»

«Una spia? Da dove?»

«Dallo Stato Libero.»

«Presumo che ora sia chiusa in prigione.»

«Sì. Un amico di mio figlio mi ha detto che stanno provando a interrogarla, perché temono che possano essercene delle altre.»

Michael era scappato dalla capitale per riposarsi, e teoricamente la cosa non avrebbe dovuto interessargli.

Ma lui era fatto così, incapace di non pensare al lavoro e di fare a meno di preoccuparsi per tutto e tutti. Anche perché sapendo come la pensavano ancora molti suoi compatrioti riguardo ai mostri temeva che qualche guardia si facesse prendere la mano.

Così prima ancora di svuotare i bagagli montò a cavallo e fece ritorno in città raggiungendo la prigione.

Le guardie naturalmente non avevano alcuna intenzione di farlo entrare, almeno fino a quando non si abbassò il cappuccio del mantello facendoli subito scattare sull’attenti.

«Signor Presidente, vi prego di scusarci! Non avevamo idea che foste voi!»

«Riposo, soldato. Allora? Dov’è questa spia?»

 

La prigioniera era un satiro, molto giovane, e come Michael temeva gli uomini del magistrato non si erano trattenuti nel tentativo di estorcerle informazioni.

Ma lei aveva resistito forte di una soglia del dolore e della sopportazione che sembrava senza fine, conservando oltretutto un’espressione serafica e quasi impassibile che serviva solo a far montare ancora di più la frustrazione dei suoi carcerieri.

«Michael.» disse il magistrato quando entrò nella cella

«Charles, amico mio.»

«Quando sei tornato?»

«Questa mattina. Non starete un po’ esagerando? Era davvero necessario usare la cera?»

«Scusa, lo sai che neanche io condivido questo genere di procedure. Ma il sindaco e il governatore mi stanno con il fiato sul collo. Da quando è arrivata la notizia che lo Stato Libero ha invaso Eirinn sono diventati tutti nervosi.»

«Sì, ti capisco. Anche a Mickarn è la stessa cosa.»

«Con tutto quello che sta succedendo è strano trovarti qui. Immagino sarete pieni di cose da fare.»

«Il Congresso ha chiuso i battenti per la festa di fine estate. Ho cercato di convincerli a prolungare i lavori per poter gestire meglio questa crisi, ma senza successo.»

«Roba da matti. Mezza Erthea sembra sul punto di scoppiare, però quegli alti papaveri non rinunciano di certo alle loro vacanze.»

L’attenzione di Micheal si spostò quindi su di un documento appoggiato sul tavolo della cella.

«E questo?»

«Glielo abbiamo trovato addosso quando l’abbiamo catturata.»

«Che lingua è? Non l’ho mai vista.»

«Nemmeno io. Crediamo sia un codice, ma anche ammesso che lei sappia come tradurlo non c’è stato verso di farle dire una parola. È come cercare di far parlare una roccia.»

Il giovane presidente si rivolse allora alla prigioniera.

«Che cos’è questo documento? Che cosa c’è scritto?»

Lei si limitò a sollevare un momento lo sguardo, fissandolo con quella sua aria disinteressata e gli occhi semichiusi a causa delle botte.

«Faresti meglio a parlare con noi, ragazzina. Altrimenti la cosa passerà nelle mani della polizia militare, e ti assicuro che loro sono assai meno comprensivi di noi.»

«Charles, per favore. Potresti lasciarmi qualche minuto solo con lei?»

Il suo vecchio amico e compagno di scuola fece qualche storia ma alla fine obbedì, anche perché era impossibile non farlo quando a chiederti una cosa è il Presidente dell’Unione.

Quando lui e le tre guardie se ne furono andate, Michael allentò la catena quel tanto che bastava per permettere alla prigioniera di poggiare gli zoccoli a terra.

«Io mi chiamo Michael. Michael Medici.» quindi le offrì una ciotola d’acqua. «Hai sete?»

Lei girò lo sguardo, anche se le sue labbra secche tradivano ciò che si rifiutava di dire.

«Puoi dirmi come ti chiami?»

«… Tecla…»

«Tecla, eh? È un nome del sud. Sei originaria dell’Unione?»

«Quando appartieni alla nostra specie ha poca importanza in quale nazione umana tu nasca, sei comunque uno schiavo. Mi hanno comprata quando avevo cinque anni e portata in una piantagione, quando ne avevo tredici sono stata rivenduta e sono tornata al nord.»

«Ed è per questo che vi siete ribellati? Per essere liberi?»

«Tu non lo faresti?»

Stavolta fu Michael a distogliere lo sguardo.

«Ho sentito parlare molto del vostro leader. Daemon. Si direbbe una persona molto capace.»

«Ci ha detto che potevamo essere liberi e lo abbiamo seguito. E ha mantenuto la parola. Ora non c’è più nessuno a dirci cosa dobbiamo fare. Siamo padroni delle nostre vite.»

«Eppure, ora vi ha trascinati in una guerra.»

«Non è stata una sua decisione. Ci hanno attaccati, e noi ci stiamo difendendo. È un messaggio. Un messaggio rivolto anche a voi. Così tutti saprete cosa succede a chi pensa di rubarci la libertà che abbiamo conquistato.»

Tra i due vi fu quindi un acceso duello di sguardi, in cui sembrava che ognuno cercasse di leggere nella mente dell’altro.

«Esigere la libertà è assolutamente legittimo, per quanto mi riguarda. I miei antenati hanno combattuto una lunga guerra in nome di essa, perché ritenevano che Parn ce l’avesse negata troppo a lungo. Credevamo di poter essere migliori di loro, e abbiamo creato un sistema in cui nessuno avrebbe mai più potuto fregiarsi del titolo di re convinti che questo sarebbe bastato. Ma ogni tanto mi chiedo se un uomo possa davvero aspirare alla completa libertà. Che lo chiami padrone, re, o anche solo Presidente, non è forse la stessa cosa? Ci sarà sempre qualcuno sopra di te che pretende di dirti come devi vivere la tua vita. Del resto però, se permettessimo ad ogni uomo di comportarsi come meglio crede, non finiremmo forse per rassomigliare alle bestie della foresta? Per non parlare del fatto che anche tra gli animali esiste una gerarchia, in cui il più forte comanda sul più debole.»

Tecla per un momento sembrò confusa, ma la sua natura subito riprese il sopravvento.

«Tu fai discorsi troppo difficili. Il punto è che ora posso mangiare, dormire e andare dove voglio. E se per poterlo fare devo fare quello che mi chiede Daemon, non mi interessa. È pur sempre una decisione che ho preso io.»

Capendo che non c’era possibilità di stabilire un dialogo Michael dovette arrendersi.

Tuttavia, non riuscì a trattenersi dal fare un’ultima considerazione.

«Questo Daemon è sicuramente un tipo capace di toccare le coscienze di chiunque incontri. Ammetto che mi piacerebbe avere un po’ del suo carisma.»

 

«E quindi? Cosa succederà ora a quella povera ragazza?»

Per celebrare il ritorno a casa del suo pupillo la vecchia Betsy aveva rispolverato tutte le sue abilità di cuoca preparandogli i suoi piatti preferiti, ma se Michael si sforzava di mangiare era solo per non darle un dispiacere.

«Purtroppo Charles e gli altri non sono riusciti a cavarne fuori niente, quindi non hanno avuto altra scelta. Tra qualche giorno sarà portata a Mickarn e affidata alla polizia militare.»

«È così giovane. Cosa pensi che le faranno?»

«Lei è solo un corriere, ma il documento codificato che le è stato trovato addosso dimostra che probabilmente vi è una efficace rete di spie dello Stato Libero attiva a vari livelli nel nostro Paese. È un caso di sicurezza nazionale, e io non posso farci niente.»

«Ma tu sei il Presidente. Davvero non c’è niente che puoi fare?»

«In realtà i miei poteri sono molto più limitati di quanto si potrebbe pensare. Si potrebbe quasi dire che io non possa fare nulla senza l’autorizzazione del Congresso o della Camera dei Lord. E sfortunatamente quando c’è di mezzo la sicurezza nazionale l’unico ad avere voce in capitolo è il capo dello spionaggio, ovvero il Marchese Bruyne

Ma era abbastanza chiaro che non era solo questo a turbare i pensieri del giovane capo di stato.

«Purtroppo vecchia Betsy, la situazione è molto seria. All’inizio c’era solo un po’ di preoccupazione, ma da quando lo Stato Libero ha attaccato Eirinn questa si è trasformata in paura. Sia il Congresso che la Camera sono divisi, ma il numero di coloro che premono per agire aumenta ogni giorno di più. E io temo che presto non sarò più in grado di oppormi a una loro decisione.»

«Ma se l’Impero dovesse reagire?»

«È quello che cerco di fargli capire, ma la cosa mi si sta ritorcendo contro. I più fanatici pensano che proprio per questo sarebbe il caso di agire subito, prima che l’Imperatore decida di prendere in mano la situazione.»

«Credete che lo farà?»

«Dipenderà tutto dall’esito di questa guerra. Ma a prescindere da chi vincerà, è abbastanza ovvio che la situazione non resterà tranquilla a lungo. Come se questo Daemon fosse un avversario come gli altri. Non l’ho mai incontrato di persona, ma mi è bastato leggere i rapporti per farmi venire i brividi al solo pensiero di trovarmi di fronte a lui sul campo di battaglia.»

Solo in un secondo momento Michael si ricordò che teoricamente era tornato a casa per concedersi un po’ di riposo, e non per scervellarsi ulteriormente sui molti problemi che il suo ruolo comportava.

E se lo stufato di manzo con la salsa di pesche o le verdure al miele non bastavano a rasserenargli l’animo e spingerlo a pensare ad altro, il semifreddo alla vaniglia che una giovane domestica volpe gli portò a chiusura della cena lo fece quasi tornare bambino.

«È buonissimo, Maya. Grazie.»

«È sempre un piacere, Mich… volevo dire, Signor Padrone.»

La ragazza quasi svenne per l’imbarazzo quando ritirando la coppetta sfiorò senza volerlo le dita del giovane, scappando via tutta rossa in volto sotto lo sguardo divertito della vecchia Betsy.

«È rimasta una bambina. Si imbarazza anche per le cose più semplici.»

«O forse sei tu che anche dopo tutti questi anni ancora non hai imparato a leggere tra le righe.»

Ogni volta che vedeva la sua amica d’infanzia costretta a lavorare come cameriera invece di poter inseguire i suoi sogni Michael ricordava perché aveva deciso di fare ciò che aveva fatto della sua vita.

E purtroppo questo bastò per riportare alla sua mente pensieri che almeno per quella sera avrebbe voluto lasciare fuori dalla porta.

«Quasi invidio questo Daemon. Lui non ha dovuto fare i conti con una massa di proprietari terrieri arraffoni ed egoisti. Forse dopotutto è vero che a volte la spada è l’unica soluzione a problemi complessi.»

«Ancora non si vede la fine?»

«Riverdale è un’eccezione, ma altrove sono in pochi a saltare di gioia all’idea di rinunciare al lavoro degli schiavi. Attualmente il Congresso è in una situazione di assoluto equilibrio, mentre alla Camera dei Lord gli schiavisti sono ancora in vantaggio.»

«Il solito problema di sempre. Gli stati meridionali sono più ricchi e più popolosi, quindi hanno maggior peso politico.»

«E paradossalmente la Rivoluzione ha solo reso le cose più difficili. Con quello che succede nello Stato Libero, l’ultima cosa di cui molti proprietari terrieri vogliono sentir parlare è l’abolizione dello schiavismo. Ma quello che è davvero ironico è che coloro che fanno di tutto per rallentare i lavori sono gli stessi che mesi fa sono corsi a stipulare contratti con i ribelli per vendergli grano e cereali. Viviamo davvero in un mondo alla rovescia.»

Per cercare di mettere un po’ di ordine nei suoi pensieri, una volta terminata la cena Michael decise di ritirarsi in biblioteca, perdendosi per un po’ nella tranquillità di uno di quei racconti di avventura che da bambino aveva letto fino a consumare le pagine.

Un tempo per lui era così facile lasciarsi trasportare da tutte quelle storie di valorosi condottieri e principi illuminati che con perseveranza riuscivano sempre a raggiungere i propri scopi, e per anni aveva sognato il momento in cui avrebbe potuto seguirne le orme.

Ma la realtà era molto diversa da un libro di favole, e questo crescendo l’aveva capito prima ancora di mettere piede a Mickarn.

L’Unione poteva essere tante cose, ma di sicuro non un posto dove fosse facile portare dei cambiamenti: troppe voci in disaccordo che si parlavano l’una sull’altra, troppi interessi diversi ed opposti a scontrarsi.

Come un branco di bestie feroci costrette a condividere la stessa tana per non morire di fame e proteggersi da chi era più grosso e affamato di loro.

Quando i politicanti di Mickarn avevano voluto mettergli quel peso sulle spalle aveva sperato per un attimo di poter davvero mettere in pratica quei propositi che aveva sempre sognato, ma più passava il tempo più si domandava se questo sarebbe mai stato possibile.

La verità è che si sentiva inadeguato; e in questo un po’ invidiava questo Daemon, che per quanto più giovane di lui aveva letteralmente messo sottosopra e fondato da zero un’intera nazione, riuscendo in pochi mesi a renderla prospera e potente, abbastanza da poter affrontare un’invasione.

La vecchia Betsy venne a portargli una tazza di tè, e lui come quando era piccolo le promise di non fare troppo tardi.

Invece come al solito finì per addormentarsi sulla poltrona, continuando a scorrere le pagine fino a quando le fatiche del viaggio non presero il sopravvento.

Tuttavia stavolta a svegliarlo di soprassalto non fu uno scappellotto della sua anziana governante, ma il rintocco assordante delle campane di Riverdale che nel cuore della notte scaraventarono giù dal letto tutti gli abitanti della città e della campagna circostante.

«L’allarme generale!? Che sarà successo?»

 

A differenza di altre grandi capitali dell’Unione, Riverdale non era famosa per la sua vita notturna o i locali alla moda dove si giocava, si mangiava e si cantava fino all’alba.

Quindi dopo una certa ora era abbastanza normale non trovare nessuno in giro, persino nella piazza centrale dove si affacciavano i più importanti edifici della città.

Il soldato che montava la guardia all’ingresso secondario delle prigioni aveva ecceduto con il vino e faticava a restare sveglio; forse anche per questo non si accorse di nulla fino a quando un pugno più simile ad un maglio da guerra gli piombò sulla testa, minacciando di spaccargliela come un’anguria.

«Per la miseria Musk, stupido orco! Ti avevo detto di stenderlo, non di ammazzarlo!»

«Tranquilla Dahlia, tra poco si sveglierà. Forse…»

Mentre Musk nascondeva quel poveretto Dahlia aprì la porta, e una volta dentro i due si diressero verso il secondo piano interrato con la consapevolezza di chi sapeva dove andare.

«Ma tu sei sicura di quello che fai? Questo posto è immenso, come facciamo a trovarla?»

«Pensi che sia venuta con te solo perché mi piace la tua compagnia? Con la mia magia posso rintracciare chiunque io voglia, fintanto che ne ho ben chiaro l’aspetto. Fidati, è proprio qui sotto.»

Giusto il tempo di schivare alcune guardie e tramortirne un altro paio, e i due avventurieri giunsero infine dinnanzi alla cella più sorvegliata della prigione.

«Accidenti, sono ben cinque. Devono proprio tenerci tanto. E con il poco potere che mi rimane non posso neanche provare a farli addormentare.»

«In questo caso, ricorreremo ai vecchi sistemi! Carica!»

«Aspetta Musk, ricorda che non possiamo uccidere! Musk! Maledizione!»

Per fortuna per quanto infervorato Musk si ricordò di non venir meno al contratto e si trattenne, limitandosi a mettere a nanna le guardie una dopo l’altra con la parte smussata della sua ascia.

Quindi, tornata la calma, i due aprirono la cella.

«Siete qui per portarmi la cena?» disse Tecla

«Molto divertente.» rispose Dahlia liberandola dalle catene. «Avanti, vieni con noi. Ci hanno assunti per liberarti. Ce la fai a camminare?»

«Ovviamente.»

«E allora muoviamoci. Con tutto il baccano che quest’idiota ha fatto mi sorprende che l’intera città non ci stia già saltando addosso.»

«Come sei pessimista. Vedrai che non ci hanno sentiti.»

Detto fatto, letteralmente un secondo dopo tutte le campane di Riverdale si misero a risuonare, producendo un fracasso tale da poter essere udite persino in quel buco ad almeno una decina di metri sottoterra.

«Stavi dicendo, testa vuota? Forza, andiamocene!»

 

Musk e Dahlia non potevano saperlo, ma non era per causa loro che tutta Riverdale stava venendo svegliata.

Nello stesso momento in cui loro due entravano nella prigione infatti, un’altra coppia di ladri si intrufolava silenziosamente negli archivi del palazzo della procura.

Il loro scopo era trafugare su alcuni documenti nascosti nella cassaforte del palazzo, protetta da una serratura così complessa che nemmeno il più grande dei ladri sarebbe stato capace di riuscire a sbloccarla.

O almeno così si credeva.

«Serratura insuperabile, non farmi ridere. Un altro paio di colpetti e questa porta si aprirà come una verginella in luna di miele.»

«Gaston, se hai finito di cantare le tue lodi che ne dici di sbrigarti? Manca poco al cambio della guardia.»

«Avanti capo, cerca di essere un po’ più ottimista. Sta andando tutto alla grande. Ecco, ora un altro giro a sinistra… Ora a destra… qui alzo un pochino… e fatto! Come avevo detto, tutto liscio come l’olio!»

Peccato che il procuratore non fosse uno stupido che confidava nell’apparente invulnerabilità della sua cassaforte. Nel momento in cui Gaston aprì la porta, i due talismani nascosti rispettivamente nell’uscio e nel battente attivarono un ulteriore sistema di sicurezza.

Per fortuna Gaston se ne accorse in tempo per dire a Sadee di coprirsi gli occhi, ma la luce che si sprigionò con l’incantesimo fu così forte da infilarsi tra le fessure del pavimento allertando le guardie al piano di sotto.

«Che succede? – Andiamo a controllare! – Date l’allarme!»

«Dannazione, lo sapevo che andava a finire male!»

«Come potevo immaginare che avessero piazzato una cosa del genere? Andiamocene!»

«Niente affatto, cerchiamo quel documento!»

«Sei pazza? Tra quindici secondi ogni dannata guardia di questo posto ci salterà addosso!»

«Se torniamo a mani vuote non ci pagano, te ne sei dimenticato? Quindi smettila di blaterare e dammi una mano!»

Per fortuna quello che cercavano era abbastanza particolare da saltare immediatamente all’occhio, e dopo essere riusciti a metterci le mani sopra se la diedero a gambe saltando giù dalla finestra proprio nel momento in cui le guardie entravano nella stanza.

«Dannazione, vorrei sapere come abbiamo fatto a cacciarci in questo guaio!» strillò Sadee mentre tutta la città veniva svegliata dalle campane

«Risparmia il fiato e corri!»

Purtroppo non era molto tempo che Sadee e la sua banda bazzicavano Riverdale, e finirono ben presto per perdersi nel dedalo di vicoli e stradine della città vecchia.

«Eccoli! – Non lasciateli scappare! – Prendeteli!»

«Capo, ci hanno circondati!»

«Vorrà dire che ci apriremo la strada con le maniere forti!»

Sfoderate le armi i due avventurieri si buttarono nella mischia, ma tra l’essere in netta inferiorità numerica e l’ordine categorico da parte del committente di non uccidere si ritrovarono ben presto in difficoltà.

E sarebbe andata a finire sicuramente male se da un momento all’altro, apparendo come uno spettro dal buio della notte, un inatteso alleato non fosse venuto in loro soccorso, intercettando e spezzando una freccia prima che potesse ferire Gaston.

«Tu!?» urlò il ladro all’indirizzo del toriano dal volto mascherato che gli aveva appena salvato la pelle

«Ho liberato la strada. Continuate dritti oltre quell’arco e raggiungerete gli altri fuori città. Qui ci penso io.»

I due non se lo fecero ripetere due volte, non mancando però di rivolgere appellativi poco lusinghieri al loro salvatore che una volta lasciato solo si sbarazzò di tutti i soldati con sconvolgente facilità.

«Puoi anche venire fuori, tanto lo so che sei qui.»

Colto in flagrante, Michael fece qualche passo avanti portandosi alla luce del lampione magico che illuminava la piazzetta nella quale si era consumato lo scontro, ora tappezzata di soldati svenuti.

«Avete preso qualcosa che non vi apparteneva e creato scompiglio in città. Arrendetevi, e vi prometto un giusto processo.»

«Ormai è troppo tardi. I miei compagni sono già scappati.»

«Ma tu invece sei ancora qui. E sono sicuro che interrogandoti scopriremo comunque qualcosa su questa rete di spie dello Stato Libero.»

«Provaci pure, se ne sei convinto. O preferisci aspettare qualcun altro dei tuoi subalterni che venga a darti una mano?»

Michael rispose alla provocazione estraendo la spada e mettendosi in posizione di guardia.

«Così mi piaci. Anche se a volte nascondersi dietro i propri uomini non è necessariamente un segno di codardia.»

«Come potrei chiedere a quelle persone di rischiare la vita se non do il buon esempio? Un comandante il rispetto non lo esige, lo guadagna.»

«Ben detto. In tal caso, permettimi di mettere alla prova il tuo leggendario saper di spada, Presidente Medici.»

Michael aveva ricevuto la dovuta educazione fin dall’età di cinque anni, ed era ritenuto non a torto un giovane prodigio della scherma.

Ciò nonostante il suo avversario riuscì fin dal primo momento a metterlo in seria difficoltà, sfoggiando tra l’altro un’arma mai vista prima; sembrava una via di mezzo tra una spada dritta patriana e una lama curva di Torian, poco pratica per gli affondi ma letale nei fendenti, ma comunque abbastanza leggera da poter essere usata con una mano sola.

Tuttavia Michael era lesto di mente tanto quanto lo era di braccio, e una volta prese le misure al nemico iniziò a rispondere colpo su colpo a tutti gli attacchi, tenendo la sua difesa sempre alta e portando nel mentre precisi affondi che il toriano schivava a fatica.

Il duello andò avanti per parecchi minuti vedendo Michael prendere sempre più il comando ai danni del suo avversario, che nonostante fosse in difficoltà sembrava quasi compiaciuto. Questo almeno fino a quando il toriano non venne quasi disarmato da un affondo preciso che ruppe la sua guardia, lasciandolo pericolosamente esposto.

Tuttavia, prima che Michael potesse tentare di infliggere un affondo abbastanza forte da ferire il nemico senza ucciderlo, questi trasse fuori dal suo mantello una specie di piccola balestra in legno e acciaio senza arco, ma con due fori uno sopra l’altro all’estremità.

Nel momento in cui il toriano premette il grilletto dall’arma non partì una freccia, ma una piccola palla di ferro –oltretutto preceduta da un fracasso immane e un’esplosione di fumo– che colpì la spada di Michael facendogliela letteralmente volare via di mano.

«Questo è un gioco sporco.» disse il giovane con un misto di sarcasmo e risentimento

«Così però mi deludi, Presidente Medici.» disse il toriano tenendolo sotto la minaccia della sua strana arma «Davvero pensavi di poterti fidare dell’onore di un avventuriero?»

«Speravo che tu fossi un’eccezione alla regola.»

Tra il duello e il baccano prodotto dall’arma, di lì a qualche istante un concitato rumore di passi preannunciò l’arrivo imminente di un nuovo manipolo di guardie.

«Desolato che il nostro incontro si concluda troppo presto, ma non posso permettermi di essere catturato. Tuttavia, prima di separarci, voglio dirti una cosa. Tu credi che lo Stato Libero sia una minaccia. Ebbene sappi che questo mondo sta per essere colpito da qualcosa di gran lunga peggiore.»

«Di che stai parlando?»

«Ciò che è destinato a succedere avrà una portata tale da spazzare via tutto ciò che conosciamo. Sarà necessario uno sforzo comune per riuscire a sopravvivere a questa tempesta. E quando sarà il momento, mi aspetto che tu faccia la tua parte. A presto!»

Detto questo lo straniero gettò a terra una piccola palla di pelle, che scoppiando produsse una fortissima luce; Michael dovette chiudere gli occhi, e quando li riaprì nella piazza c’era solo lui.

 

Sadee e il suo gruppo si ritrovarono al luogo prestabilito, una fattoria abbandonata non lontano dalle mura della città.

«Ma si può sapere che accidenti è successo?» protestò Dahlia «Ho visto talmente tanti soldati da bastarmi per una vita intera! Non si era detto di fare una cosa rapida e silenziosa? Scommetto che c’entri tu, pseudoladro da strapazzo.»

«Non prendertela con me. Non si era parlato di dispositivi di sicurezza magici!»

«Perché fate tanto i difficili? È andata bene.»

«Parole grosse dette da te.» rispose Sadee. «Se non ti fossi fatta beccare non avremmo dovuto rischiare tanto per tirarti fuori. Si può sapere cos’avete di così importante tu e quei documenti?»

«La vera domanda è un’altra.» rispose piccato Gaston nel momento in cui Daemon, dopo essere comparso dal nulla in mezzo a loro, si toglieva la maschera. «Qualcuno mi spiega perché abbiamo lavorato un’altra volta per questo infame?»

«Mi sembra che questo infame, come lo chiami tu, ti abbia appena salvato. Potresti almeno dirmi grazie.»

«Grazie!? Lui vuole che gli dica grazie! Come se non fosse per colpa sua che ci ritroviamo in questa situazione!»

«E per rispondere alla tua domanda, lo avete fatto perché da quando ci siamo visti non avete più ottenuto un contratto decente. Ormai vi eravate ridotti ad accamparvi nei boschi, visto che non avevate più nemmeno i soldi per pagarvi una taverna.»

«Se vuoi mettere il dito nella piaga e darmi un motivo in più per ammazzarti, non chiedo di meglio.» rispose Sadee serrando i pugni.

«Che poi, capisco l’esploratore, ma era davvero necessario salvare anche questo mucchio di cartacce? Rapport sur le Président de l’Union… ma che razza di lingua è?»

«Pensi davvero che farei girare documenti riservati senza codificarli? Ora come ora siamo pieni di nemici, e conoscerli tutti è la chiave per la nostra sopravvivenza.»

Sadee però iniziava a spazientirsi: «Potrete continuare questa discussione più tardi. Ora vedi di pagarci il dovuto.»

Daemon sogghignò, quindi lanciò all’elfa la sua strana arma, oltre ad un sacchetto pieno di cartucce.

«E questo cosa sarebbe? Ci avevi promesso grandi ricchezze.»

«Errore. Vi avevo promesso un oggetto molto prezioso. E quello che ora hai in mano è probabilmente molto più di quanto meritereste, visto il casino che avete combinato e dal quale io ho dovuto tirarvi fuori.»

«Ogni volta che apri bocca la mia voglia di ucciderti aumenta un po’ di più.» grugnì Musk

«Potete farci quello che volete per quel che mi riguarda. Usarla, venderla, non mi importa. Ma vi garantisco che chiunque pagherebbe oro per averla.»

Anche Sadee e i suoi compagni avevano sentito le voci su quello che era successo al Passo di Gael, per questo non faticarono a credere che dopotutto si trattava di una ricompensa tutt’altro che banale.

«D’accordo, accettiamo il compenso.»

«Mi fa piacere. Ci sono più munizioni di quante potreste usarne in dieci vite, ma per sicurezza vi ho lasciato anche le istruzioni su come crearne altre e quelle per prendervi cura dell’arma. Confido che ne farete buon uso.»

«E con questo, spero proprio che le nostre strade si separino qui.»

«Chi lo sa. Nel caso, mi farò risentire. Qualcosa mi dice che avremo ancora occasione di lavorare insieme.»

«Onestamente, non me lo auguro.» rispose Dahlia. «E se davvero sarà così, spero sia il più tardi possibile.»

Daemon e Tecla restarono quindi a guardare i quattro avventurieri che ottenuto il loro compenso se ne andarono, incamminandosi lungo la strada che portava verso est.

«Tecla…»

«Sì, lo so. Io non ho visto niente.»

«Così mi piaci.»

«Comunque, grazie. Non credevo che ti saresti esposto così tanto solo per salvarmi.»

«Informazioni così preziose e la mia esploratrice migliore valgono questo ed altro.» ammiccò il ragazzo. «Ma se vuoi sdebitarti, ho già un nuovo incarico per te.»

«Tutto quello che vuoi.»

Daemon prese fuori un plico chiuso dal suo sigillo personale: «Non importa in che modo o con quali mezzi, ma è necessario che questa lettera arrivi a destinazione entro la fine di questo mese. E dovrai assicurarti che il destinatario sia l’unico a leggerla.»

«Ho capito. Lascia fare a me. A chi la devo portare?»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti.

Come preannunciato, a soli sette giorni dalla pubblicazione dell’epilogo del Volume 4, eccomi qua con il primo capitolo del Volume 5 che chiuderà la “Saga di Eirinn”.

Si tratterà probabilmente del volume più “frenetico” mai rilasciato fino a questo momento, visto che passeremo per un susseguirsi di scontri e situazioni adrenaliniche fino al gran finale che aprirà la strada al Volume 6, la “Saga dell’Impero – Parte 1”.

Rinnovo ancora una volta la questione relativa alle riflessioni da fare in merito al futuro della light novel, ma per ora concentriamoci sul presente.

Godetevelo!

A presto!^_^

Cj Spencer

   
 
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