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Autore: Yssis    26/05/2024    0 recensioni
[Orion timeline, con inserti dalla timeline originale]
[TW Mental issues, hospitalization, gaslighting, psychological abuse, hallucinations]
Gouenji avrebbe voluto tirargli un calcio, dirgli di riprendersi all'istante, perché il ragazzo che conosceva, il giocatore che stimava tanto, non si sarebbe fatto mai vincere così da droghe, farmaci, malattie, insomma, qualsiasi cosa gli fosse successo.
Invece, chiese con tono risoluto: -Che cos'è l'Inazuma Caravan?-
*
quando ho guardato orion, non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa sarebbe successo se la squalifica per doping verso Kidou fosse stata presa sul serio dalla trama... oltretutto, mi è dispiaciuto l'abbandono dei fili narrativi della prima stagione in ares e orion... et voilà :)
Genere: Angst, Dark, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel/Shuuya, Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Kidou era incredulo. Si trovava seduto nella sala d’aspetto dell’edificio preposto ad uffici di dirigenza del comitato calcistico nazionale. Quello stesso centro a cui aveva risposto per un anno in qualità di membro di supporto per le squadre scolastiche del Paese, adesso stava completando le pratiche per la sua espulsione dal torneo internazionale. La motivazione: possesso non dichiarato e non autorizzato di droghe stimolanti. Doping . Lui, ma era mai possibile?

Aveva chiesto di poter telefonare a suo padre, per farsi venire a prendere, e adesso era lì, ancora con la divisa della nazionale addosso, infreddolito, con il sudore asciugato sulla sua pelle e le mani fra i capelli. Non riusciva a metabolizzare quanto era accaduto. Quell’Ichihoshi era pericoloso… Dopo aver ferito Gouenji e aver provato a mettere fuori gioco Endou, aveva incastrato lui! “Devo riuscire a mettermi in contatto con la squadra e avvisarli della minaccia, prima che sia troppo tardi! Ho paura che facciano del male a qualcun altro…”

Aveva provato a parlare con gli allenatori, ma non avevano dato retta alle sue parole. Eppure… Kidou sapeva che la sua ansia non era immaginaria né immotivata. Aveva visto Ichihoshi comportarsi in maniera scorretta e sospetta e adesso era fuori dalla squadra! Serrò i pugni, innervosito dall’impotenza in cui era stato costretto. Ma non sarebbe stato in silenzio, lui…

La sua mente al galoppo subì un’improvvisa battuta di arresto nel vedere l’uomo uscire dall’ufficio di fronte a lui. Il cuore di Kidou perse un battito, il ragazzo si sentì mozzare l’aria nei polmoni. Davanti a lui, con addosso un completo scuro piuttosto formale e quel sorrisetto arcigno e familiare dipinto sul volto, Kageyama Reiji. Kidou schiuse appena le labbra, esterrefatto. Non riusciva a pensare a nulla, era come se avessero staccato la spina e lui fosse rimasto al buio. Com’era possibile…?

-Andiamo, ragazzo, alzati. Ti porto a casa io.-

Kidou si alzò di scatto, obbedendo al familiare richiamo. Kageyama, senza aggiungere altro, si incamminò per il corridoio che portava all’uscita e Kidou, disorientato e intimorito, non poté fare altro che seguirlo. Si sentiva in pericolo e disobbedire non era un’opzione contemplabile.

Si sedette in auto, i sedili erano morbidi, l’interno profumava di nuovo. Kidou provò un istintivo senso di vergogna per i suoi abiti sporchi e maleodoranti e sentì di nuovo la sensazione di freddo contro la pelle sudata. La sua mente era in completo subbuglio, Kageyama era vicino a lui e Kidou sentiva che lo stava guardando. Doveva parlare? Gli era sfuggito qualcosa? Come aveva fatto a non capire che…

Kageyama disse all’autista di partire e, nonostante quelle parole non fossero espressamente rivolte a Kidou, tanto bastò perché non riuscisse più a riprendere il filo dei propri pensieri. Era perso e aveva un disperato bisogno che Kageyama gli spiegasse cosa stava succedendo. C’era lui dietro al comportamento anomalo di Ichihoshi? L’aveva fatto espellere dal torneo mondiale? Perché, cosa aveva intenzione di fare? Gli allenatori della Inazuma Japan ne erano a conoscenza? Sentiva un nodo alla gola dalla paura, avrebbe voluto dire qualcosa, ma si sentiva completamente paralizzato. Notò come Kageyama gli guardasse le mani che, disgraziatamente, non smettevano di tremare. Vergognoso e mortificato, le strinse al proprio corpo, incrociandole al petto. Aveva sempre più freddo.

Lungo il tragitto aveva provato a immaginare vari scenari possibili, a intuire dove Kageyama avesse intenzione di portarlo. Aveva pensato a centri di allenamento in bunker militari, residenze sportive in luoghi isolati, magari avrebbero preso un elicottero o un sottomarino e sarebbero andati lontano, davvero lontano, dove i suoi compagni non l’avrebbero mai cercato e lì Kageyama lo avrebbe costretto a collaborare a qualche suo malefico piano. Forse non avevano neanche contattato suo padre, che pensava fosse ancora con la squadra ad affrontare il mondo… Cosa avrebbe pensato, scoprendo da altri che era stato squalificato per possesso di droga? Si sarebbe vergognato di lui: se l’avesse diseredato, Yuuto sarebbe rimasto completamente alla mercé di Kageyama…

Non riusciva a stare calmo, la sua mente fremeva, ma il suo corpo era immobile, timoroso anche di respirare. Kageyama continuava a stare in silenzio e a guardarlo attraverso quelle spesse lenti scure. Il suo sguardo era indecifrabile, i suoi pensieri inarrivabili… Kidou si sentiva impotente quando il suo allenatore lo guardava così. Doveva essere stato una grande delusione per lui…

Con grande sgomento del ragazzo, la macchina su cui viaggiavano si fermò proprio davanti alla residenza dei Kidou. Kageyama gli intimò di scendere con tono lento e misurato, piatto. A Kidou veniva da piangere. Non riusciva ad avvicinarsi alla portiera, rimaneva immobile, come in attesa di qualcosa, ancora. Lo riportava a casa, lo lasciava scendere, davvero? Cosa avrebbe dovuto fare dopo? Perché lo lasciava senza indicazioni? Ma Kageyama rimase in silenzio e l’autista aprì la portiera, sollevando Kidou dalla responsabilità della scelta. Scese dall’auto e entrò in casa: era tanto mortificato da non riuscire neanche a parlare. Si diresse in camera sua, si tolse occhialini e mantello e, ancora con la divisa sporca addosso, si buttò sul letto. Pianse amare lacrime di tensione. Era terrorizzato.

*

Passò il giorno successivo in uno stato mentale e fisico molto debilitato. Suo padre, preoccupato per la sua salute, chiamò un medico. Yuuto, obbediente come in trance, si sottopose a tutti gli esami ed accertamenti necessari, chiuso in un mutismo molto inquietante. In attesa dei referti medici che avrebbero aggravato o meno la sua situazione sportiva, per il momento taciuta dai media, Kidou rimase in casa, non ponderando neanche la possibilità di mettersi in contatto con i membri della sua squadra. Aveva paura del loro giudizio, si sentiva un pazzo e aveva bisogno di stare da solo.

Come aveva potuto agire in maniera tanto avventata e irragionevole? Aveva scagliato Haizaki e Kira contro Ichihoshi durante la partita, dominato da una paura cieca e da un istinto alla violenza irrazionale… Aveva sentito montare in lui quella soddisfazione perfida di quando, anni addietro, si divertiva a distruggere le altre squadre con i membri della Teikoku Gakuen. Deridere i più deboli, annientare i nemici… Non c’era modo per lui di sfuggire al suo passato, a ciò che aveva vissuto? Era sua la responsabilità, era sempre stata sua… Era lui che organizzava le azioni di gioco, lui che orchestrava le strategie e conduceva la squadra alla vittoria… Così come era lui a doversi prendere la responsabilità della sconfitta… E l’aveva fatto, sì, aveva deciso di lasciare il calcio, di non giocare più, per l’umiliazione subita… Poi Endou… Endou era venuto da lui e anche Gouenji…

No! Non era quello ciò che aveva fatto, il giorno precedente. Lui non aveva infierito gratuitamente su un avversario inerme, aveva cercato di difendere Endou, la squadra e anche se stesso. Certo, era andata così. Non era un criminale, non era come Kageyama Reiji. Lui voleva giocare a calcio divertendosi, come diceva sempre Endou… Era quell’Ichihoshi a sabotarli! Era lui il cattivo! Stava solo… Cercando di fermarlo, di impedire che facesse del male ai suoi compagni… Eppure…

Eppure Kidou si sentiva marcio dentro. Ciò che aveva fatto non aveva scusanti, aveva aizzato alla violenza dei suoi compagni contro un altro membro della squadra, aveva mosso pesanti accuse senza avere prove sufficienti, aveva insultato il calcio e ora la sua squadra lo disprezzava. Endou lo disprezzava. Haruna, Gouenji… Tutti. Non meritava di tornare, no, era stato…

Ma lui era stato incastrato! Non aveva mai fatto uso di droghe, come avrebbe mai potuto...? Come avrebbe mai potuto comportarsi così, davanti a Endou…? Eppure l’aveva fatto… Allora forse si era anche drogato? No, non doveva perdere la ragione. Certo che non aveva fatto uso di sostanze, né durante gli allenamenti né durante la partita. Non c’era ragione di farlo. Non c’era ragione neanche di picchiare Ichihoshi… Eppure l’aveva fatto. Lui stava… 

Picchiò un pugno forte contro il cuscino, sentendo un singhiozzo morirgli sulle labbra. Aveva così tanta paura… Non capiva più nulla. Perché nessuno lo chiamava? Perché nessuno andava a trovarlo? Perché suo padre non diceva niente? Perché Kageyama non tornava? Si sentiva circondato da pesanti negazioni e contraddizioni e non sapeva come reagire. Boccheggiando, sfinito si addormentò ed ebbe una notte piena di incubi.

*

Il giorno successivo decise che doveva uscire di casa. Stare sepolto nella sua camera non avrebbe portato a nulla, se Kageyama era davvero di nuovo al vertice del comitato calcistico nazionale Endou e i suoi compagni erano in grave pericolo e lui era l’unico a saperlo. Doveva informarli, proteggerli: forse non l’avrebbero ascoltato, forse non si fidavano più di lui, ma doveva tentare. Così si lavò, indossò abiti puliti, fece colazione con un paio di panini dolci e uscì di casa.

Tutta la carica e l’ottimismo che aveva radunato gli morirono in cuore, accorgendosi che fuori dal suo cancello era parcheggiata la macchina di Kageyama Reiji. Cercando dentro di sé un poco di orgoglio e autocontrollo, continuò a camminare, uscendo dal cancello e incamminandosi per strada, senza voltarsi. Non c’era modo di non aver visto l’auto, ne erano tutti a conoscenza. Ma Kidou sperava che fosse solo una tecnica intimidatoria per scoraggiarlo ad uscire, per tenerlo chiuso nella sua stanza in preda al panico. Ma lui non era così spaventato, no, lui aveva degli amici che lo aspettavano… che credevano in lui…

Più cercava di ripetersi quelle frasi nella testa, meno gli suonavano ragionevoli e coerenti. In effetti nessuno lo aveva chiamato per sapere come stesse ed era stato sospeso dalla competizione internazionale, perché mai avrebbero dovuto aspettarlo? O ancora credere in lui, dopo la grande delusione che aveva procurato a tutti? 

No, era la paura a farlo ragionare così. Doveva stare calmo: Endou l’avrebbe ascoltato. Endou l’avrebbe capito. Continuava a ripeterselo come un mantra, mentre camminava in direzione del centro di allenamento. Eppure le gambe gli dolevano, sembravano così pesanti… Che strano, era ben allenato, una passeggiata del genere non avrebbe dovuto dargli alcun problema… Quanto era stato in casa? Un paio di giorni neppure… O forse di più? No, non doveva perdere la testa. Era solo suggestione, certo, solo suggestione… Ma la macchina che lo seguiva, quella non era suggestione. Kidou cercò di convincersi che stava esagerando, poteva essere una macchina di qualsiasi altra persona, mica solo Kageyama poteva acquistare un’auto del genere… E quella era una strada del tutto normale da percorrere, doveva stare calmo. Era senz’altro una coincidenza e lui era molto turbato. Parlando con Endou avrebbe chiarito tutto e sarebbe tornato a casa più sereno.

Continuò a camminare e la macchina continuò a seguire esattamente il suo itinerario. Sentendosi braccato, cercò di cambiare strada, di accelerare il passo, di rallentarlo entrando casualmente in qualche negozio… Niente, la macchina continuava ad essere appresso a lui. Stava impazzendo, non c’erano dubbi. Tremante, incapace di pensare a mente fredda, si fermò. Non riusciva più a camminare, non sapeva neanche più dove stesse andando né dove si trovasse con precisione. Si sedette su una panchina, sentiva il cuore scoppiargli in petto dalla paura e gli tremavano le gambe. Si strinse la maglietta con una mano, con l’altra si reggeva saldamente alla seduta della panchina. Non riusciva a respirare, voleva andare a casa.

Kageyama scese dalla macchina, entrò in un locale a pochi metri e ne uscì con una bibita in mano. Si sedette sulla panchina al fianco di Kidou, gli aprì la cannuccia e gli porse il bicchiere fresco.

-Bevi, Kidou, hai bisogno di rinfrescarti un momento.-

Gli veniva da piangere, ma non riusciva a muoversi dal terrore. La cannuccia era così vicina alle sue labbra, la afferrò senza pensare e cominciò a bere. La bevanda era zuccherata, fresca e dissetante, Kidou ne prese ampi sorsi avidamente. Kageyama allontanò il bicchiere dalle sue labbra, intimando di bere più piano o si sarebbe sentito male. Yuuto annuì, sentendo disgraziatamente i muscoli del corpo rilassarsi. Perché ora si sentiva più tranquillo, maledizione? Non ansimava più e il cuore aveva ripreso a battere in maniera normale.

Kageyama sedette al suo fianco ancora un momento, poi si alzò e tornò in auto. Kidou rimase fermo a guardarlo, con lo sguardo corrucciato e gli occhi poco luminosi. Non sapeva proprio cosa stava facendo, ma si alzò e lo seguì, facendosi riaccompagnare a casa. Tornato nella sua stanza, odiò se stesso e la propria debolezza.

Perché aveva agito così nei confronti di Ichihoshi? Se solo fosse stato più calmo, più riflessivo… “Sono caduto nella sua trappola, aveva previsto ogni mia mossa fin dall’inizio. Ha pianificato tutto e io ho fatto il suo gioco. Credevo di essere sfuggito dalla sua influenza, invece ero ancora perfettamente in suo controllo. Per tutti questi mesi ho creduto a ciò che ha voluto farmi credere… E ora eccomi qui”.

Dormì a lungo, non riusciva a pensare. Era in trappola.

  
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