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Autore: Aivlim2020    27/05/2024    0 recensioni
Un amore proibito se non addirittura scandaloso. Potrebbe sembrare vendetta ma è solo bisogno di riconoscimento. In alcune stagioni la vita può mostrarsi dispettosa e può ferire al punto da incrinare una sicurezza sulla quale si era basata la propria esistenza. E così, può capitare di udire un richiamo. Si può udire il canto delle sirene? E cosa succede quando dal mare torniamo sulla terra e le sirene non chiamano più?
E' la storia di una donna, non più giovanissima, con una famiglia stabile, che senza esserne consapevole lascia una porta socchiusa dalla quale penetra sottilmente un richiamo. Si ritrova così coinvolta nelle emozioni di un amore fresco, giovanile, ma il senso di colpa la divorerà per tutto il tempo mettendola di fronte alla difficoltà di gestire il conflitto tra desiderio e dovere morale.
E' la storia di tante donne che ogni giorno affrontano la difficile esistenza nella vita.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                            Capitolo 1                                                                                                                                                 




   Non c’è piacere senza sofferenza

e non c’è sofferenza senza piacere.

Solo quando capisci questo

godi del piacere e accetti la sofferenza

(Tiziano Terzani)

 

Aveva preso la mano di lui tra le sue e con delicatezza gli accarezzava la punta delle dita. Il palmo era fasciato perché il giorno prima si era ferito sugli scogli.

Stefano ebbe un sussulto e ritirò la mano.

«Ti dà fastidio se ti accarezzo qui?»

«No, fastidio no, è una sensazione… Mi provoca questa reazione».

Era così. Infatti, stimolare la punta delle dita può provocare reazioni diverse: chiudere e ritirare oppure tendere e afferrare.

«Tu cosa senti? Vuoi chiudere o afferrare?».

Stefano aveva rilassato le dita e teso la mano. Allora Laura aveva ripreso ad accarezzarle con maggior cura e poi, oltrepassando la zona fasciata, aveva percorso l’interno del polso, l'avambraccio, l'incavo del gomito. Là dove la pelle è più liscia e delicata, là dove per lo più non si avvertono i muscoli, ma i tendini e le vene.

«È bello, mi piace. Continua». Aveva detto lui.

E Laura aveva continuato. Procurava piacere anche a lei accarezzarlo in quel modo.


                                                                                                             *****

Quel pomeriggio Laura e Stefano si erano recati presso l'associazione dove lei seguiva le attività di danza, teatro, canto. Cantava nel coro di musica e danza popolare. Capitava, a volte, di partecipare a spettacoli teatrali dove queste tre arti si fondevano tra loro. Con il suo gruppo avevano a lungo preparato uno spettacolo per l'estate che li aveva portati a esibirsi nelle piazze di alcuni paesini della provincia.

Durante una di queste serate aveva conosciuto Stefano.


                                                                                                   

Quella sera, lo spettacolo terminava con una vivace e travolgente danza per tutta la piazza. Stefano, si trovava lì con alcuni amici e quel clima di allegria e coinvolgimento popolare lo avevano entusiasmato al punto da ritrovarsi nella mischia. Laura e le altre compagne indossavano i caratteristici costumi e, con i loro ampi scialli, invitavano le persone presenti a danzare insieme. Così aveva rapito Stefano, il quale non si era mostrato contrariato, anzi sembrava felice di lasciarsi trascinare.

La danza popolare nelle piazze può diventare davvero un’esperienza ipnotica. Ha qualcosa di erotico. Il frastuono delle castagnette e delle altre percussioni ti rapisce totalmente. Se non si partecipa non lo si può comprendere del tutto. Una volta dentro, il corpo si muove da solo, senza seguire uno schema si lascia divorare dalla musica e dal movimento dell'altro.

Laura sorrideva, in parte compiaciuta dallo sguardo di lui, intenso e interessato, in parte a nascondere quella lieve timidezza che percepiva sulla superficie della pelle. Lui ricambiava il sorriso. Poi, cessata la musica, tutti i danzatori si erano salutati con un inchino. Gli applausi collettivi avevano squarciato l’aria fra le mura della piazzetta. Si erano presentati dopo aver ripreso fiato e dopo essersi asciugati solo un po’ del sudore che la sfrenata attività fisica aveva sollecitato. Lei si era passata con grazia le dita sulla fronte e sul viso accaldato. Lui aveva passato le mani tra i capelli per tirarli indietro e aveva strofinato la fronte con la manica della camicia.

«Scusa, sono stato un disastro».

«Ma no dai, non è vero. Te la sei cavata benissimo invece».

«Comunque, è una bomba questo ballo, ti coinvolge proprio anima e corpo, non mi era mai capitato prima».

«Sì, è così. C'è una certa riluttanza generale verso i balli popolari, specialmente da parte delle giovani generazioni, invece sono potenti perché rievocano anni di vicende popolari. È come se mentre lo fai racconti una storia!»

Lui le porse la mano «Io sono Stefano».

«Laura» rispose ricambiando.

«È da molto tempo che ti esibisci con questo gruppo?»

«No, in realtà non da molto. Ci conosciamo da diversi anni, ma ho cominciato a partecipare attivamente dallo scorso anno».

«Sei brava!»

«Grazie». Laura gli sorrise, mentre una timida sensazione di gratificazione si insinuava dentro di lei. Si guardò intorno per celare un poco l’imbarazzo.

«Siete in zona?» riprese lui.

«La nostra sede si trova a qualche chilometro da qui. In estate ci invitano nei paesi dei dintorni». Allargò le braccia, in modo plateale, come a voler contenere tutto lo spazio intorno a sé. «Questa piazza è ottima perché è piccola e chiusa quindi è come stare in un teatro». Poi, riportò l’attenzione su di lui, che nel frattempo, con le mani incastrate nelle tasche anteriori dei jeans, la guardava divertito. «Tu invece? Abiti qui?»

«Solo in estate trascorro un certo periodo qui. I miei, hanno una casa per le vacanze».

«Sei fortunato! Questo luogo è bellissimo e c'è un mare stupendo».

Stefano annuì, poi si guardò intorno, si girò verso Laura e, portando una mano al mento, come ad accarezzare una barba quasi inesistente, le chiese:

«E adesso, appena avrete riposto tutto, cosa farete? Andrete via?» Fece una breve pausa nella voce e intanto, seguiva con lo sguardo i compagni di Laura occupati a riordinare abiti, strumenti, oggetti vari. «Non ti andrebbe di fare un giro per il paese?»

Anche Laura si voltò e un turbinio di pensieri e sensazioni contrastanti tra loro l’assalirono. Incrociò le braccia al petto. Prese tempo. La invitava a fermarsi con lui? Doveva aiutare i suoi compagni a riordinare. Guardò l’orologio, era quasi mezzanotte. Aveva la sua auto lì, poteva rientrare quando voleva.

«Intanto vado ad aiutare gli altri, se poi sarai ancora qui, vedremo».

«Va bene, aspetto qui».

Aspetto qui? Laura si allontanò.

Lui sembrava non voler rinunciare. A quanto pareva, era proprio deciso a trascorrere le ore seguenti con lei, a fare cosa?

E se fosse un tipo pericoloso? Magari è d'accordo con i suoi compari per aggredirmi. Non era poi un pensiero così assurdo, Laura era sempre stata socievole e cordiale con gli altri ma aveva imparato a essere prudente, e questo le aveva permesso di evitare tante situazioni che l'avrebbero messa in pericolo.

Non sapeva cosa fare. Intanto, mentre riordinava insieme agli altri, aveva modo di riflettere. Quella era la prima stagione a cui partecipava insieme al gruppo nelle serate estive all’aperto. I precedenti spettacoli, dove era stata presente, si erano svolti all’interno di circuiti familiari o tra associazioni amiche. Questa volta si trattava del primo spettacolo vero, con un pubblico vero.

Cosa le stava succedendo? La conosceva la storia degli ormoni che si affacciano quando una donna vuole comunicare seduzione. Non le era mai capitato prima, perché non aveva bisogno di manifestare apertura nei confronti di altri uomini, il suo uomo lo aveva accanto ogni giorno, anche se da qualche tempo le cose erano cambiate. Aveva sempre suscitato interesse nel genere maschile, ma quello era un giovane! Sembrava che la vita volesse offrirle altre opportunità. In quel momento, si trovava a lottare tra il desiderio di rimanere, per fare qualcosa che le procurava piacere ˗invece che occuparsi di soli doveri˗ e la volontà di allontanare quel desiderio.

Cosa avrebbe detto a casa?

Provava il desiderio di qualcosa di diverso; sentirsi gratificata per una tale proposta proveniente non da un uomo di mezza età, frustrato e annoiato, con un divorzio alle spalle, ma da un giovane di vent'anni meno di lei che le proponeva di fermarsi con lui a fare un giro, proprio ora, dopo mezzanotte e dopo aver danzato insieme in piazza.

Ma che andava a pensare? Quello poteva essere quasi suo figlio.

Magari aveva solo voglia di parlare. Avrebbero passeggiato e chiacchierato.

Laura salutò i suoi amici al parcheggio, dove avevano raccolto e caricata ogni cosa in auto. Poi, con trepidanza e preoccupazione, si diresse di nuovo alla piazzetta. E lui era lì. Caspita è ancora lì!

Un po' tesa ed emozionata, si avvicinò al tavolino dove Stefano stava seduto, lo stesso che occupava prima con i suoi amici. Lui aveva un'aria di finta distrazione, come se si trovasse lì per caso e non perché avessero una specie di appuntamento.

«E i tuoi amici?» s’informò Laura

«Sono andati. Passeranno il resto della nottata in giro per locali e forse a ubriacarsi fino all'alba per poi rientrare a casa e dormire fino al pomeriggio» spiegò lui con tono annoiato e critico.

«Uhm...E tu? Preferisci restare in compagnia di una sconosciuta più vecchia di te? C'è qualcosa che non mi torna… È strano». Ecco, perché dovevi dirglielo? Perché rovinare subito tutto? Così lo spaventi, lo fai scappare.

«Pensi che io sia un tipo strano? Perché preferisco rimanere qui a trascorrere le prossime ore con una donna bella e interessante anziché sperperare il tempo in locali dove ubriacarmi per arrivare al giorno dopo? Pensi davvero che sia io quello strano?»

Laura provò imbarazzo e, a un tratto, si sentì piccola e stupida. Non faceva una piega. Non era lui quello strano. Era la situazione strana, con lei. Forse usciva da una storia triste? Aveva rotto con una ragazza?

«Devo avvertire a casa. Mando un messaggio a mio marito». Era una donna sposata e voleva metterlo in chiaro subito. Forse lui ci avrebbe ripensato.

«Va bene» aveva risposto con la massima naturalezza, senza l'accenno di una vacillazione, di un turbamento, quasi a voler ostentare una spavalda sicurezza.

Inviò un messaggio a suo marito Ci fermiamo ancora un po' qui con gli altri. Non so a che ora rientro Con tutta probabilità, a quest’ora lui dormiva oppure si intratteneva con un film in TV.

Ripose il telefono e lo guardò. Avvertì ancora una sensazione di imbarazzo. Sembrava davvero l'inizio di un’ avventura. Lui avrebbe tentato delle avances? Lei aveva deciso di accettare quella eventualità. E al diavolo tutto. Sarebbe andata come doveva andare.

Pensò di gestire lei la passeggiata. Prudenzialmente, così da evitare un eventuale perverso piano di lui.

«Allora andiamo… Ti mostro un posto magico» gli disse.

«Ti seguo».

Laura notò che Il telefono gli era rimasto in tasca per tutto il tempo. Non lo aveva mai guardato.

Si recarono verso i Giardini della Corte, un'area verde terrazzata che si affacciava sul versante est della costa. Il parco ospitava centinaia di essenze aromatiche e molte di esse, di notte, sprigionavano piacevoli profumi. Al di sotto di loro si vedevano tutte le luci delle strade, delle abitazioni e più a destra, sparse nell'enorme vuoto nero, diverse lucine: erano le barche in mare, disposte al largo, occupate nella pesca.

«Vieni scendiamo». Lo invitò Laura mentre imboccava una stretta scalinata che portava verso il basso. Lui la seguì per tutto il percorso lungo e contorto. Alcuni lampioncini, posti sulla parete laterale, illuminavano di luce notturna il loro cammino. Poi, al termine dei gradini, lo spazio si apriva improvvisamente in una ampia esedra. Era la cavea che ospitava un teatro aperto.

«Sei già stato qui?» gli chiese lei compiaciuta nel vedere la sua espressione meravigliata.

«No, mai visto prima. Incredibile, conosci questo luogo meglio di me che ci abito».

«Beh, se vieni qui solo in estate non ne avrai ancora avuto occasione… Quest’area è stata inaugurata questa primavera, forse è per questo che non la conosci ancora».

«Non ne sapevo nulla. Sono qui da pochi giorni. È molto bello e suggestivo».

«Sì, lo è» disse Laura mentre scendeva ancora qualche gradino.

Lui stava con le mani nelle tasche anteriori dei jeans. Si guardava intorno incuriosito. Sembrava spaesato.

Si accomodarono sui gradini della platea, circondati da numerose piante profumate. Alle loro spalle, le mura antiche del paese. Al di sotto, un basamento ampio che ricordava l'architettura di un teatro greco e oltre, sullo sfondo, le luci del paese a valle e delle barche in mezzo al mare. La notte si annunciava tiepida e serena. Ormai tutto era immerso nel silenzio, solo di tanto in tanto, giungeva da lontano il rumore di qualche motore di auto. Laura non aveva nessuna voglia di tornare a casa.

Il suo telefono vibrò. Un messaggio: era suo marito che rispondeva Ok

«Tutto bene?» chiese Stefano.

«Si, tutto a posto» rispose Laura. Cominciava a rilassarsi. Si alzò in piedi e scese ancora fino a raggiungere lo spazio interno del teatro, seguita da Stefano. Sul palco cominciò a muoversi tra le colonne del proscenio. Poi, le vennero in mente dei versi di Shakespeare, che aveva recitato un paio di anni prima, durante uno spettacolo organizzato da alcuni suoi amici:

Quei piacevoli peccati che tua libertà commette

quando talvolta sono assente dal tuo cuore,

ben si addicono ai tuoi anni e alla tua

bellezza

perché ovunque tu vada, tentazion ti è

vicina

Tu sei di nobil cuore, quindi da conquistare

bello tu sei, e quindi da sedurre”

Le erano venuti così di getto, senza pensarci troppo, rapita da una suggestione del momento. E mentre recitava quei versi si muoveva tra le colonne e le sembrava di stare in scena.


 

“E quando donna vuole, qual figlio di donna

sdegnosamente a lei rinuncia prima di averla avuta?

Ahimè! Però potresti risparmiare il mio dominio

e contener la tua bellezza e dissoluta gioventù,

che nella loro incontinenza ti trascinano a tal punto

d'esser forzato a rompere una duplice lealtà”

Laura era attonita. A lei era venuto spontaneo citare quel sonetto, ma lui lo conosceva bene e continuava la citazione. Era sbalordita.

...la sua, che tu adeschi con la sua bellezza,

la tua, perché forte della stessa sei con me sleale”

Recitarono in coro le ultime due strofe.

 

Mentre pronunciavano gli ultimi versi, stavano abbracciati a una delle colonne, uno di fronte all'altra, a guardarsi negli occhi con evidente interesse. Rimasero così per qualche istante.

«Conosci questo sonetto … a memoria...» mormorò Laura come stesse sognando.

«Si, adoro Shakespeare...e questo è uno dei sonetti più belli. Avevi ragione, questo posto è magico e… Complimenti, sei proprio a tuo agio sulla scena». Poi, prese a guardarsi intorno.

«Complimenti a te» replicò Laura dopo essersi ripresa da quell’attimo di stupore. Si allontanò in fretta verso il bordo del palco. Provava un certo turbamento.

«Non capita tutti i giorni che un ragazzo conosca dei versi di Shakespeare, e a memoria per giunta».

«Mi piace la drammaturgia» rispose lui.

Laura era senza parole e non si sentiva al sicuro.

La tragedia, veniva ad annunciarsi?

La situazione appariva così affascinante, davvero magica. Si trovava lì, con un giovane che si mostrava gentile, interessato a trascorrere quelle ore insieme a lei, anziché seguire i suoi amici nelle scorribande notturne, che duettava versi di Shakespeare in una magica cornice di altri tempi. Si sentiva anche lei venti anni più giovane. In quel momento, tutto era dimenticato, suo marito, i suoi figli, l'indomani...

«Ho fatto teatro per molti anni» prese a parlare Laura per spezzare l’ imbarazzo. «Non ero in gruppi famosi ! Partecipavo a diversi spettacoli, sia in teatri chiusi che all'aperto. Quelli all'aperto li preferisco, ti permettono di muoverti nello spazio circostante, inscenare effetti a sorpresa, interagire con il pubblico».

Si erano seduti sulle scale del palco, Laura fissava un punto verso la platea e ripercorreva con la mente i ricordi di quel tempo.

«E poi?» chiese Stefano con sincera curiosità.

«Con la prima figlia riuscivo a organizzarmi, la portavo sempre con me, gli amici mi aiutavano mentre ero in scena, ma con il secondo figlio riuscivo a fare sempre meno. Volevo fare la madre e volevo farla bene». Stefano le poggiò una mano su quella di lei. Fu un attimo. Laura ebbe paura. Si alzò in piedi, si riprese e sentì il bisogno di chiarire quello che aveva appena detto.

«Ma non ho rimpianti… Sono contenta di quello che ho fatto. Sono contenta di aver cresciuto i miei figli con presenza continua; proseguire verso quella carriera significava dover affidare i bambini ad altre persone, privarli della mia presenza, non vederli progredire, giorno dopo giorno, nelle loro piccole tappe di crescita. Non avrei retto. E poi, non ero così benestante da permettermi una persona fissa che se ne occupasse. Ho preferito lasciare… e non ne sono pentita».

«Mia madre ha lavorato come maestra alle scuole elementari per quarant’anni. Ora è in pensione. Quando sono nato io lei lavorava e ricordo quanti spostamenti dovevamo fare io e mio fratello. Una volta dai nonni, un'altra volta dagli altri nonni. Poi, quando iniziava la scuola non potevo mai assentarmi se non ero malato seriamente e, quando capitava di notte o al mattino presto, ricordo il nervosismo di mia madre – obbligata a risolvere il problema in pochi minuti– e questo le procurava una gran fatica e un grande stress. Perciò, no, non hai fatto male a voler essere presente durante la crescita dei tuoi figli. Lo apprezzeranno».

Quanta saggezza in un uomo così giovane Laura era quasi commossa. Quelle parole le facevano bene.

«Grazie. Spero sia così».

Spesso si era interrogata su quale scelta sarebbe stata migliore per lei. Era stata ripagata della dedizione verso la famiglia? A volte, le sembrava di aver fallito del tutto. I risultati le sembravano così scadenti. Non era quello che aveva immaginato per il suo futuro.

Stefano la sorprese assorta nei suoi pensieri «Ehi...va tutto bene?»

Laura si scosse.

«Sì, sì, scusami… è che vorrei tanto che fosse come dici tu. A volte, ho il timore di aver sbagliato tutto, ma poi, quando mi fermo a pensare, so che rifarei esattamente le stesse scelte».

«Bene, allora non avere dubbi» la incoraggiò lui.

Si era creata un'atmosfera strana. Laura non voleva appesantire quei momenti e trasformare Stefano nel suo personale confessore. Spezzò il silenzio.

«Dai, spostiamoci da qui. Andiamo a esplorare altri luoghi».

Stefano le sorrise «D'accordo!» e la seguì.

Risalirono la scalinata, attraversarono l'ingresso dei Giardini della Corte, superarono la piazza, ora deserta, – quella dove si erano incontrati – e imboccarono un vicoletto chiuso da un soffitto a volta a botte lungo una cinquantina di metri. Al termine di questo si trovarono in un'altra piazzetta, più piccola della precedente. La pavimentazione era tutta lastricata di materiale in ossidiana. Diverse scalinate si alzavano da vari punti della piazzetta. Laura si diresse verso una di queste e con lo sguardo invitò Stefano a fare altrettanto.

La scalinata era ripida e un po' dissestata, costituita da gradini di materiale in roccia grezza e terminava su un'ampia terrazza che si affacciava su una strada principale del paese. La terrazza era chiusa lungo il perimetro da un basso muretto e qui la pavimentazione era di mattoni rossi molto grezzi.

In una zona periferica un'ampia torre si ergeva verso il cielo nero e stellato: aveva una base quadrata e su una delle facciate vi era collocato un antico orologio che segnava le due circa. Il silenzio era totale. Laura, timorosa di rompere quel silenzio e di disturbare le abitazioni circostanti, parlò sussurrando.

«Sai che posto è questo?»

«No sinceramente, sono salito quassù qualche volta ma senza informarmi». Aveva un'espressione di divertita mortificazione.

«Tipico di tutti quelli che vengono a villeggiare qui. Pensano a divertirsi, passeggiano lungo misteriosi vicoletti, siedono sui muretti, sulle scalinate, bivaccano nelle piazze, ma ignorano del tutto dove si trovano, quale storia si custodisce tra queste mura» lo schernì bonariamente.

«Dai, chiedo perdono, io non sono proprio così… mi sono mancate le occasioni». Si avvicinò e le prese delicatamente le mani.

«Illuminami! Erudiscimi! Non vedo l'ora di conoscere tutti i segreti». Nel pronunciare quelle parole aveva ripreso un tono di voce più alto. Una luce si accese da una finestra.

Si sentirono sorpresi e provarono disagio. Laura, con rapidità, tirò per mano Stefano e andarono a nascondersi dietro una delle facciate della torre nascosta dalla vista della finestra. Sentirono qualche rumore. Con molta probabilità qualcuno si era affacciato. Gli pose un dito sulle labbra, per comunicargli di fare assoluto silenzio. Lui annuì.

Dopo qualche minuto tutto intorno ripiombò nel silenzio. La finestra era stata richiusa. Laura era rimasta immobile con il dito sulle labbra di Stefano, e con l'orecchio teso ad avvertire il minimo indizio che provenisse al di là della parete della torre.

Stefano aveva trattenuto quella mano e vi aveva posto un leggero bacio. Laura distolse l'attenzione dalla finestra poi, si girò lentamente. Sembrava che solo adesso si rendeva conto di quello che accadeva tra la sua mano e la bocca di lui. I loro occhi si incrociarono. Una luce velata, proveniente dai lampioni nella piazzetta sottostante, schiariva a tratti i loro volti. L'immagine che le giunse le parve di una tenerezza infinita, la stessa tenerezza che le suscitò uno slancio irrefrenabile – come a contraccambiare – di sfiorare con l'altra mano la guancia di lui con una leggera carezza. Quelli che seguirono furono attimi intensi, intrisi di emozioni forti e diverse per entrambi.

Non dissero nulla. Non accadde nient'altro. Senza distogliere i loro sguardi, Laura allontanò le mani con gesti lenti poi, con la stessa premura, gli accarezzò un braccio e gli sussurrò vicino all'orecchio «Spostiamoci da qui».

Si mosse verso la scalinata e lui dietro. In silenzio ridiscesero le scale. Transitarono lungo la piazzetta e, attraverso un altro passaggio a tunnel, uscirono da lì.

Si ritrovarono sulla strada perimetrale del paese; camminarono lungo il vialetto alberato che costeggiava la strada e giunsero al Belvedere. Sotto di loro vi era un esteso baratro scuro e, oltre quello, l'enorme vastità del mare. Si affacciarono. Ancora tutto era immerso nell’oscurità, ma da lì a poche ore il paesaggio avrebbe subito un cambiamento inesorabile.

Continuavano a condividere il silenzio. I loro sguardi erano rivolti verso quel vuoto al di sotto di loro.

«La torre… dove ci trovavamo prima… quella sulla terrazza… è la Torre dei Templari». Mentre parlava continuava a guardare l'infinito in uno stato di contemplazione quasi a non voler disturbare quel silenzio. Stefano si era girato ad osservarla e intanto che ascoltava, annuiva.

«Sembra che una comunità di Templari abbia a lungo soggiornato qui. Non si sa ancora il vero motivo, ma vi sono diversi reperti a testimonianza » lo informò.

«Non sapevo che i Templari fossero stati anche qui».

«Già… Senz’altro erano stati incaricati dal Papa di quel tempo, forse c'era qualcosa da custodire o questo luogo veniva usato come ritiro spirituale».

Continuarono a parlare e a condividere sull'argomento. Nessuno dei due accennò a quanto accaduto poco prima, ma entrambi ne custodivano le belle sensazioni.

«Sai un sacco di cose tu, e le sai spiegare bene».

«Mi piace approfondire la storia dei luoghi che visito». Laura si drizzò, si girò con la schiena verso il muretto e incrociò le braccia al petto. L'aria diventava più fresca. Si voltò a guardarlo.

«Tra poco sarà l'alba. Ti va di raggiungere il faro?»

«È una bella passeggiata...» Sembrava perplesso.

«Sì ma, conosco una scorciatoia che ci farà risparmiare un terzo del percorso».

Le sorrise «Va bene, andiamo».


 

Si incamminarono lungo la strada asfaltata che nel primo tratto si snodava curvosa lungo le pareti del promontorio. La via deserta deserta, veniva illuminata solo dalle fioche lampade notturne. Si udivano dei grilli cantare che smettevano appena i loro passi si avvicinavano. Ogni tanto, si udiva la folata di qualche uccello notturno.

Arrivati su un tratto rettilineo, a un certo punto, Laura si addentrò in mezzo alla vegetazione sul ciglio della strada opposto alla parete di roccia e attese che Stefano le fu vicino.

«Vieni, scendiamo da questa parte».

«Dove?» chiese lui.

«Qua sotto. Ci sono una serie di scalini di roccia. Segui me».

«Io vedo solo piante. Seguo te, ma non vedo nulla».

«Allora accendiamo una torcia del telefono. Non vorrei vederti precipitare di sotto» gli sorrise lei.

«Sì accendiamo, è meglio» e prese dalla tasca il suo telefono e avviata la torcia tutto il sentiero si illuminò.

«Accidenti, è bello ripido».

«Sì, fai attenzione. Vai piano. Ma non sei mai passato di qui?»

«Mai. Ne ignoravo proprio l'esistenza».

«È un sentiero bellissimo. Vedrai dopo, quando saliremo con la luce del giorno!» esclamò Laura con l'entusiasmo di una scolaretta.

Terminarono la prima rampa. Poi percorsero un sentiero di terra battuta lungo il quale facevano da cornice diversi esemplari di querce da sughero. Udirono uno svolazzamento: qualche uccello spaventato al loro passaggio. Dopo aver camminato per circa cento metri Laura indicò a Stefano un altra rampa di gradini rocciosi. Adesso il sentiero si presentava più stretto ed era nascosto dai cespugli. Scesero a un livello più basso ancora, dove il tracciato si allungava serpeggiante fino alla scogliera confondendosi tra i ciuffi di piante rupestri. Il mare li accoglieva placido. Si udiva il delicato infrangersi di un moto tranquillo contro la costa rocciosa. Il faro si stagliava davanti a loro a un centinaio di metri più avanti. Spiccava l’illuminazione della lanterna. Il cielo verso est cominciava a mostrare i primi chiarori. Stefano spense la torcia – non ne avevano più bisogno – prese Laura per mano e proseguirono fin sotto l'enorme colonna che si ergeva sopra di loro. Scorsero due pescatori sulla scogliera alla loro sinistra.

«Vieni, sediamoci qui» indicò a Laura un punto di roccia più levigata e l'aiutò a non perdere l'equilibrio.

Laura si rilassò. Respirò a fondo. Si avvertiva quel profumo di salsedine percepibile solo nelle prime ore del mattino.

«Che bello!» esclamò piena di ammirazione e subito dopo fu presa da avvilimento «Tra qualche ora non sarà più così». Stefano la guardava ammirato. Già, tra qualche ora quel posto sarebbe stato preso d'assalto da villeggianti in auto, moto e qualsiasi altro mezzo rumoroso e disturbante per trascorrere una giornata immersi tra sole e acqua.

«Che fai nel periodo che soggiorni qui?» gli chiese mentre guardava l’orizzonte. «Come trascorri le giornate?» Non aveva voluto chiedergli niente fin’ ora, così come lui non aveva fatto domande a lei, ma adesso sentiva il bisogno di sapere qualcosa di più. Capire come mai un giovane come lui preferisse trascorrere una nottata in quel modo, con lei.

«Penso» rispose lui dopo qualche istante.

Quella risposta la spiazzò. Trascorreva un periodo di vacanza in un luogo di villeggiatura come quello, abbastanza popolato e mondano, pensando? Non riusciva a replicare. Qualsiasi cosa avesse pronunciato in quel momento sarebbe stata inopportuna. Vi fu una lunga pausa silenziosa, rotta poco dopo, dalla voce di lui.

«Due anni fa mio fratello è morto. Si è suicidato».

Laura sentì un grande gelo su di loro. Rimase ammutolita. Non sapeva cosa dire. Si sentiva stupida per avergli fatto quelle domande prima. Come poteva immaginare un evento così tragico? E dove si è verificata questa tragedia? Forse proprio qui, su questa scogliera? Mio Dio! e gli ho proposto proprio di venire qui? Ma è terribile!

«Non è successo qui, se è quello che stai pensando». Laura restò colpita da come lui le avesse letto nel pensiero. Ancora, non riusciva a dire nulla. Sentiva troppo dolore intorno a quella tragedia. Avrebbe voluto stringergli una mano, abbracciarlo, ma non riuscì a fare neanche quello. Ogni azione che sentiva di voler fare, subito dopo le sembrava inutile, di troppo, superflua, scontata. Quindi non disse e non fece nulla.

Fu lui a continuare.

«Viveva in una città del nord già da qualche anno. Si era trasferito lì dopo la laurea. I miei gli avevano dato una mano e aveva iniziato a lavorare. Viveva in un mini appartamento. Due anni fa andai a fargli visita e non mi sembrò felice. Lo credevo ormai abbastanza inserito nel nuovo ambiente, invece mi sembrò molto solo. Dopo qualche giorno, una sera abbiamo parlato a lungo e fu lì che mi confidò di essere omosessuale. Mamma e papà lo sapevano e per questo gli avevano organizzato una vita nuova in un'altra città. Dicevano che in una grande città Luca avrebbe avuto maggiori opportunità.

Laura si era avvolta su se stessa stringendo le braccia intorno a sé.

Questa cosa mi fece molto arrabbiare. Prima provavo un po' di gelosia verso mio fratello, e avevo sempre pensato che i miei volessero facilitargli un percorso, ma quando venni a conoscenza della verità, provai molto affetto per lui e iniziai a vederlo sotto una luce diversa. Gli chiesi se avesse condiviso quella scelta o l'avesse solo subita. Lui mi rispose che si sentiva infelice nello stesso modo di prima. Non sapevo come aiutarlo, avrei desiderato che avesse fatto ritorno a casa, almeno avremmo potuto parlare di più, stare insieme. Quando ripartii ci promettemmo di sentirci spesso e anche di incontrarci più frequentemente»

«quando tornai a casa mi infuriai con i miei per avermi nascosto questa cosa, per essersi comportati da bigotti allontanando un figlio dalla famiglia come fosse un soggetto pericoloso; per avergli organizzato una vita che non era quella scelta da lui. Ci affrontammo in un’energica discussione. Mio padre sapeva solo ripetermi che io non capivo e non sapevo guardare al futuro. Mia madre mi diceva che da noi non avrebbe avuto opportunità, che quando amici e parenti avrebbero saputo, la sua vita sarebbe risultata complicata e pesante. Lontano dal nostro ambiente avrebbe avuto maggiori opportunità, doveva solo ambientarsi, crearsi un giro di amicizie, di relazioni.

Invece non si ambientò. Sei mesi prima del tragico evento, al telefono mi disse che si era infatuato del suo capo. Una storia impossibile perché quell’uomo era felicemente sposato, ma che lui non riusciva a toglierselo dalla testa. Gli dissi di prendersi delle ferie, allontanarsi da lì, tornare a casa per un periodo. La mia laurea poteva essere l'occasione. In novembre dovevo discutere la tesi, ma a ottobre, lui si tolse la vita».

Laura provò un profondo imbarazzo. Si sentiva inadeguata. Non sapeva cosa dirgli, come aiutarlo in quel momento. Poi sussurrò:

«È terribile. Scusami, non so che dire, mi sembra assurdo. Penso che una tale tragedia cambi per sempre la direzione della tua vita». E intanto pensava ai genitori di lui. Come si può giungere a una simile decisione? E dopo, come si saranno sentiti? Quanti sensi di colpa? Ma forse sarebbe potuto accadere anche nella loro città? E se fosse accaduto nella sua famiglia? Se suo figlio o sua figlia avessero rivelato una cosa del genere, lei come avrebbe reagito, come si sarebbe comportata? Si sentiva piccola e fuori luogo in quel momento. L'ilarità di pochi minuti prima, l'escursione notturna lungo i sentieri, la meta faro, tutto in quel momento le sembrava stupido e insignificante. Accanto a lei c'era un ragazzo che soffriva e aveva scelto lei, una perfetta sconosciuta, per rivelare la sua sofferenza. Altro che avventura notturna! Ma cosa era andata a pensare!?

 

Gli si avvicinò e gli circondò le spalle con un delicato abbraccio. Provava tanta tenerezza, si sentiva tanto materna. Con il tono di voce più aggraziato che potesse trovare gli disse:

«Adesso capisco la tua risposta. Perché pensi».

Stava talmente immersa nel sentimento profondo di compassione e conforto da non accorgersi affatto di quello che stava per accadere, ed essere così colta da estrema sorpresa quando Stefano si voltò verso di lei, le prese il volto tra le mani e la divorò con un bacio intenso e straziante.

Attimi che sembrarono eterni. Non sapeva cosa fare. Era sopraffatta dalla sensazione che quel contatto intenso le procurava e lacerata dal profondo imbarazzo che provava misto a senso di colpa per aver azzardato un avvicinamento più intimo – seppur in buona fede lei volesse soltanto mostrargli conforto. Sarebbe volentieri scappata via, ma si sentiva come paralizzata e non riusciva a farlo. Inoltre, temeva di ferirlo in un momento così già doloroso. Come comportarsi? Incoraggiarlo? Lasciarlo fare fino a che si fermasse?

Ma lui non si fermava.

Non riuscendo a mantenersi neutra ancora a lungo, dopo un primo momento di imbarazzo e sorpresa, iniziò a partecipare attivamente a quel bacio e intanto, mille dubbi la divoravano.


 

Mentre la baciava, Stefano le accarezzava i capelli e le infilava le dita tra le ciocche voluminose, lì, nella zona dietro le orecchie. La barba appena accennata di lui le pizzicava lievemente la pelle. Si sentiva desiderata in un modo dolce e disperato. Poi, dopo un tempo infinito, lui si staccò, come per riprendere fiato, ma restò appoggiato alla fronte di lei tenendole la testa tra le mani. In quella posizione passarono istanti, che però sembrarono secoli. Quanti anni aveva Laura ora? Quindici? Venti? Non lo sapeva neanche lei. Cercò di dire qualcosa.

«St-»

«Sssshh» la bloccò lui. «Non parlare, non parlare» sussurrò. E lei non parlò.

Il cielo adesso aveva assunto un velato chiarore. Si cominciavano a distinguere i colori e si era levata una lieve brezza dal mare.

Laura non riuscì più a dire alcuna parola. Inoltre, non ne sentiva il bisogno. Le sembrava di maggior aiuto lasciare a Stefano tutto lo spazio, tutto il silenzio, tutte le pause. Lei stava lì, ad avvolgerlo con la sua presenza.

Pian piano, Stefano si distaccò dalla fronte di lei. Le prese le mani infreddolite e le portò con gesti delicati alle labbra. Quel contatto di calore la ridestò da quello stato di immobilità.

Lui prese a modellarle una mano, sfiorarla, accarezzarla. «Scusami...». Gli occhi bassi, sulle loro mani. Laura pensò che forse avrebbe dovuto dire qualcosa, tranquillizzarlo, ma lui riprese:

«Ho sentito che con te potevo farlo».

Vi fu un'altra lunga pausa. Poteva fare cosa?

Continuava a giocherellare con la sua mano. Cercava le parole, sentiva il bisogno di spiegare. Laura si sentiva avviluppata di amore profondo.

«Non è facile trovare persone con cui puoi confidarti. Non capirebbero. Non capirebbero come puoi capirlo tu. Io so che tu puoi capirlo. Ho sentito che potevo esprimermi. Dare voce a questa angoscia».

Quanta considerazione. Quanta responsabilità la investiva. Quanta aspettativa da non deludere. La fiducia di lui la gratificava. Essere la persona a cui confidava una sua angoscia segreta la onorava. E suscitare in lui un interesse come donna la emozionava.

Stavano così, in silenzio, a decodificare i rispettivi pensieri e sentimenti, con le mani di lei racchiuse in quelle di lui.

Intanto albeggiava. I pescatori raccolsero tutte le loro cose e si avviarono verso l'automobile parcheggiata nelle vicinanze. Gli passarono accanto. D’istinto Laura abbassò il capo e nascose un po' il volto in direzione del petto di Stefano. La luce era ancora debole e di lei si vedeva solo la chioma di capelli biondi. Avevano gettato lo sguardo solo per curiosità e di sicuro dovevano aver pensato di loro come una semplice coppietta di ragazzi.

Quando Laura udì il motore dell’auto che andava alzò il capo a guardare in quella direzione. Stefano capì, ma non disse nulla. Le loro mani si sciolsero. Laura prese il telefono dalla sua borsetta a tracolla: cinque messaggi non letti! Ma dove sei? scriveva suo marito. Il primo era delle 4.45. Ora erano le 5.30. Rispose Stai tranquillo. Tutto bene. Siamo rimasti qui ad aspettare l'alba. Tra un po' ritorno. Lui non si sarebbe sorpreso più di tanto. Sapeva che a Laura queste cose piacevano. Con lui non le aveva fatte spesso perché era un pigro.

Stefano la guardava con impercettibile preoccupazione. Era come se all’improvviso la sentisse lontana da lì, da lui. Come se il giorno che si annunciava, cancellasse tutta la magia notturna e portasse via anche lei.

Laura alzò lo sguardo e incontrò quello di lui, fisso, intenso. Si sentiva nuda in quel momento. Sorrise, ma era un sorriso nervoso.

«Tranquilla. Ora ce ne andiamo».

«Ma no… non c'è fretta… possiamo tornare con calma» si giustificò lei. Le dispiaceva aver interrotto quel momento. Le dispiaceva che la causa dell'interruzione fosse lei, la sua vita.

«Dai, incamminiamoci!» la esortò lui alzandosi in piedi. «Tanto tra poco qui, tutto questo sparirà, meglio andar via prima».

Laura si alzò a sua volta. Lui si era già mosso di qualche passo più avanti. Lo raggiunse e vide che la guardava con aria interrogativa. Giusto! Era lei la guida. Era lei l'esperta del percorso. Doveva andare avanti e mostrargli la direzione. Adesso poi, con la luce del mattino, il paesaggio appariva completamente diverso. Laura si sentiva bloccata. Tutta l'energia provata poco prima, durante la discesa al faro, sembrava di colpo esaurita. Raccolse le idee. Raccolse il suo corpo, il suo movimento e si mosse. Individuò il sentiero e lo imboccò. Lo percorsero tutto in silenzio, affrontando la salita. Lei stava davanti, Stefano dietro, a un paio di metri da lei. Ogni tanto gettava un'occhiata alle sue spalle, per accertarsi che lui ci fosse. Giunti all'innesto con la strada in terra battuta si voltò verso il mare e restò qualche istante a guardarlo. Si intravedeva qualche imbarcazione e più lontano, all'orizzonte, si distingueva nitida l'isola. Anche Stefano si voltò nella stessa direzione.

Ripresero il cammino fino a che raggiunsero la strada sterrata. Sopra di loro, le folte chiome delle querce. Si udivano i canti dei primi uccelli mattutini. L'odore dell'aria non era lo stesso di prima, adesso potevano percepire un piacevole profumo di essenze vegetali miste a salsedine. Ancora in silenzio, giunsero all’ultima rampa di gradini rocciosi. Laura iniziò a salire. Iniziava a sentire caldo ora, sia per la temperatura, decisamente aumentata, sia per il movimento fisico ora più intenso. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma dalla gola non le usciva alcun suono. Questo silenzio diventava pesante e la affaticava ancor più della salita. Quando arrivarono in cima Stefano era qualche gradino più in basso di lei, fermo ad ammirare tutto il paesaggio intorno. Fiori di color fucsia spiccavano qua e là fra il groviglio di vegetazione dalle più varie cromature di verde. La raggiunse, si portò una mano al naso poi, l'avvicinò al naso di lei. Laura sorrise e gli disse:

«È rosmarino. Hai sfiorato qualche pianta» e fu grata a Stefano per aver interrotto quell’atmosfera cupa che si era venuta a creare. Prima di incamminarsi lungo la strada principale si fermarono ancora qualche istante.

«Avevi ragione» disse lui «È un sentiero bellissimo. Grazie». Laura si sentì commossa, ma non aggiunse altro.


 


 

Procedettero lungo il bordo della strada. Lei stava davanti e camminava a passo sostenuto, perché intanto, una strana ansia prese a pervaderla tutta. Invece Stefano avanzava placido e spesso si fermava ad osservare qualcosa che suscitava il suo interesse: un particolare fiore, un insetto, un abitante di una casa che innaffiava le piante. Laura era costretta a fermarsi per aspettarlo. Qualche automobile iniziava a circolare. Forse era stata una pessima idea. Forse tutto era stato una pessima idea. Lei non era un'adolescente in un'avventurosa esplorazione con il suo ragazzetto. Non potevano passeggiare rilassati mano nella mano come due fidanzatini. Sembrava che Stefano lo facesse di proposito ad avanzare così lentamente! Si sentiva irritata, le sembrava di avere a che fare con un ragazzino... ma poi, subito dopo, non voleva ferirlo. Non voleva tradire la sua fiducia. Non voleva che quella magia finisse… ma l'arrivo del giorno avanzava con prepotenza e si stava portando via tutto.

Superata l'ultima curva scorsero le prime case del paese. Il chiosco del bar accanto al Belvedere, dove avevano sostato qualche ora prima, era già aperto.

«Laura…» la chiamò Stefano «ci fermiamo a fare colazione? Ho fame». Avrebbe potuto dire di no. Salutarlo lì, dirgli che era stato bello, che era stata bene e che ora doveva andare via. Invece disse:

«Sono assetata».

«Dai, sediamoci, è tutto così tranquillo, ancora».

Laura chiese subito un po’ d'acqua, poi ordinò del succo di arancia e delle brioches.

Tutto intorno il paesaggio appariva diverso. Il sole era già alto e inondava di luce intensa ogni cosa. Il mare sotto di loro brillava e il vuoto scuro che si estendeva fino alla notte prima adesso si mostrava come una folta e lussureggiante macchia verde. Laura provò malinconia. Avrebbe voluto restare lì, senza pensieri e senso del dovere; godersi la colazione e poi decidere con Stefano come proseguire la giornata, cosa gli sarebbe piaciuto fare insieme.

«Sei silenziosa» le disse lui. Laura avrebbe voluto spiegare, ma non riusciva a trovare le parole.

«Sono frastornata» rispose.

«Lo capisco. Saranno in pensiero. Ti avranno cercata». Parlava al plurale, ma in realtà solo suo marito l'aveva cercata. Laura sentì il bisogno di dare anche solo una piccola spiegazione.

«Prima ho risposto a dei messaggi di mio marito. Gli ho scritto che tra poco sarei rientrata. Non facevo una cosa del genere da tanto tempo, ma lui sa che a me piacciono certe cose».

«Cioè, che passi la notte a fare escursioni per boschi e mare in compagnia di uno sconosciuto?» la stuzzicò lui.

Le strappò una risata.

«Ma no… sa che a me piace fermarmi in un posto bello e ammirare l'alba. Gli ho detto... che mi ero fermata con gli altri del gruppo». Abbassò lo sguardo verso il tavolino, poi lo risollevò e incontrò quello di lui. Stefano aveva le labbra increspate in un leggero sorriso. Non si stava prendendo gioco di lei. Le sembrava più che altro comprensivo. Adesso era lei a sentirsi una ragazzina mentre lui di colpo era diventato l’adulto. Continuava a guardarla, con quell'espressione sorniona.

«Che c'è?» chiese lei.

«Hai dei begli occhi. Con la luce del giorno si vedono bene». Questo complimento, così inaspettato la intimidì. Si sentì arrossire. Lui sorrise di più, ma non aggiunse altro. Si alzò ed entrò nel bar.

Laura non aveva alcuna voglia di tornare a casa. Se fosse stata libera e spensierata sarebbe rimasta lì con lui l'unico desiderio sarebbe stato rimanere lì con lui, per tutto il tempo che desideravano. Libera e spensierata a godersi l'inizio della giornata, come piaceva a lei, ad annusare i profumi nell'aria. Chiuse gli occhi e sognò: la passeggiata nelle ore notturne di poco prima; il profumo di salsedine che impregnava le sue narici; la mano di lui al gusto di rosmarino che sfiorava il suo viso, e quel bacio… Si era sentita rimescolare dentro e ancora, avvertiva un certo subbuglio.

«Ti accompagno all'auto» le disse Stefano ritornato dal bar. Aveva pagato lui la colazione, che gentile. Ci rimase male. Quell'invito a separarsi le provocò una profonda tristezza. All’improvviso veniva investita dall’inesorabile realtà; tutto volgeva al termine. Lei sarebbe tornata a casa, fra le sue attività quotidiane; le sue incombenze, alcune gradite altre detestate. Di quella notte sarebbe rimasto un vago ricordo. Stefano l'avrebbe dimenticata dopo qualche settimana. Nessuna traccia sarebbe sopravvissuta delle ore trascorse insieme. Tutto quello che rimaneva, era quel profumo di rosmarino annusato dalla mano di lui.

«Prima però, voglio mostrarti una cosa» annunciò lui. Laura lo guardò con aria interrogativa. Stefano la prese per mano e lei si alzò. Esitò un attimo e guardò fugacemente verso il bar, – anche se il gesto di lui le faceva piacere–, ma Stefano la stava già tirando verso la direzione presa.

«Cosa?» chiese lei, un po' per curiosità, un po' per mascherare il suo imbarazzo.

«Ora vedrai» rispose Stefano.

Le sensazioni tristi di poco prima l'abbandonarono. Adesso era felice che lui non la congedasse subito. Percorsero un tratto della stessa strada, quella fuori il paese, poi davanti a un bivio Stefano prese la direzione che saliva verso il promontorio. Ogni tanto Laura gli lanciava un'occhiata interrogativa, ma lui rispondeva al suo sguardo senza dire nulla e continuava a tenerla per mano, cosa che a Laura faceva tanto piacere. Lungo la strada passarono accanto a delle villette in successione. A ognuna di esse si accedeva tramite cancelletti posti sul retro del giardino alle spalle delle costruzioni stesse. Stefano si fermò davanti al quarto cancelletto. Subito dopo, oltre la recinzione, Laura notò un bellissimo albero di ulivo che doveva avere oltre dieci anni. Il cancelletto chiudeva una piccola gradinata che percorreva un giardino terrazzato fin sul davanti dell'abitazione. Tutta quell'area era scoscesa poiché poggiava su un piano inclinato del promontorio. Dal punto dove si trovavano loro l'abitazione mostrava il retro e il terrazzo.

Era una villetta molto graziosa con tante piante fiorite tutte intorno. Sempre nel retro vi era anche una pergola appoggiata alla parete della casa, sulla quale si arrampicava una rigogliosa pianta di vite.

«Questa è la casa dei miei» annunciò Stefano. Laura fu sorpresa per quella rivelazione inaspettata e si sentì onorata che Stefano avesse deciso di mostrargliela. Inoltre provò gioia, perché pensò che, se Stefano avesse deciso di mostrarle quella casa, non aveva intenzione di dimenticarla subito, ma avvertì preoccupazione quando realizzò che in casa c'erano sicuramente i genitori. Con una scusa gli lasciò la mano, si mosse di qualche passo avanti e ammirando la casa disse con sincera considerazione:

«È davvero graziosa!»

«Stanno dormendo ancora» dichiarò Stefano. Laura si girò a guardarlo.

«I miei intendo… se questo ti preoccupa» specificò lui.

Ancora una volta aveva percepito i suoi pensieri. Laura sorrise e si rilassò.

« Beh...sì, un po' mi preoccupa» gli disse.

«Non ne avresti motivo» replicò Stefano. Laura non volle indagare sul significato di quest'ultima frase di lui.

«Dove hai parcheggiato l'auto?»

«Nel parcheggio dopo la piazza. E devo affrettarmi, perché sta per scattare l'ora di divieto parcheggio diurno in quella zona».

«Andiamo allora» la invitò lui.

Si avviarono verso il parcheggio.

Camminavano fianco a fianco, senza prendersi per mano. Stefano non gliel'aveva più offerta. Meglio così. Nelle stradine si cominciava a vedere qualche abitante. Altri erano affacciati alle finestre. Dagli interni degli appartamenti provenivano voci, suoni. La giornata si preparava ad accogliere il movimento umano. In molti l'avrebbero trascorsa al mare.

Giunsero al parcheggio. Laura si avvicinò alla sua auto.

«Sono arrivata». E mentre lo diceva si rese conto che non avrebbe mai voluto giungere a quel momento. Cosa sarebbe successo ora? Le loro confidenze, le emozioni condivise, l'allegria e il dolore, le sensazioni e il piacere che avevano provato nel condividere le cose belle. Tutto finiva lì? In quel parcheggio? In quel Sono arrivata? Sentì che doveva mantenere un contatto.

«Senti vorrei...»

«Questo è...»

Parlarono insieme e poi scoppiarono a ridere. Stefano aveva il cellulare in mano.

«Ti lascio il mio numero» disse lui.

«Sì, anche io vorrei lasciarti il mio...» Si affrettò a prendere dall'interno dell'auto la sua agenda cartacea.

«Io i contatti li scrivo tutti qui, oltre che sul telefono» sentì il bisogno di giustificare.

Si scambiarono i numeri, poi si salutarono.

 

 

 

 

 

 

   
 
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