Un lampo di luce tinse di viola cremisi un cumulo di nubi grigie e compatte che stavano scivolando dai bassi declivi montuosi verso la valle boscosa alla quale erano diretti.
Alain scrutò il cielo. Aggrottò la fronte.
Non fece in tempo a contare fino a tre, che un tuono fragoroso squarciò l’aria.
“Comandante, sarà meglio cercare riparo. Fra poco qui si scatenerà il finimondo!”, gridò, sperando che la sua voce sovrastasse il rumore degli zoccoli.
Oscar alzò il braccio ed il piccolo drappello cambiò al volo, dal galoppo al passo.
Alain le si accostò, superando André, che cavalcava ad una testa di distanza da lei.
Dietro di loro il soldato Gerard Lasalle, che chiudeva la fila, si allungò per accarezzare la criniera del suo roano, che il rombo del temporale aveva innervosito.
“Sulle mappe non sono segnati né villaggi, né stazioni di posta”, osservò lei, pensierosa.
Erano in viaggio da alcuni giorni ormai, in missione per conto del Generale Bouillé. Era solo mezzodì del primo sabato di aprile e quella sosta imprevista li avrebbe fatti tardare.
“Eppure …”, mormorò André, che si era alzato sulle staffe ed ora affilava lo sguardo, cercando qualcosa là dove il bosco di querce e faggi era più fitto.
Oscar lo fissò preoccupata. Nonostante André lo avesse pervicacemente negato, financo dimostrando efficacemente il contrario, la tormentava il dubbio che la sua vista fosse peggiorata anche dall’occhio destro.
“Laggiù ...” proseguì lui, indicando con il braccio teso un punto a mezza lega di distanza “Non capisco se sia un refolo di nebbia o il fumo di un fuoco”.
Grosse gocce di pioggia, gelate e dense, iniziarono scrosciando a percuotere la terra.
“E’ il fuoco di un camino, hai ragione, vecchio mio!”, esclamò Alain, volgendo il cavallo verso di lui per dargli una vigorosa pacca sulle spalle.
La forza dell’acquazzone si intensificò.
“Andiamo”, li esortò Oscar, spronando il cavallo con un leggerissimo tocco di tallone.
Un fulmine fece nitrire i cavalli, accendendo il velo brumoso che avvolgeva la foresta di Brocéliande.
Un cerchio di lunghe pietre, conficcate nella terra come lame di coltello, attirò l’attenzione di Lasalle. Lo scisto color porpora era ricoperto di licheni gialli sotto i quali si intuiva l’incisione di simboli arcani a lui ignoti.
Accertatosi che i compagni non badassero a lui, si fece il segno della croce e recitò silenziosamente una preghiera.
Alain scrutò il cielo. Aggrottò la fronte.
Non fece in tempo a contare fino a tre, che un tuono fragoroso squarciò l’aria.
“Comandante, sarà meglio cercare riparo. Fra poco qui si scatenerà il finimondo!”, gridò, sperando che la sua voce sovrastasse il rumore degli zoccoli.
Oscar alzò il braccio ed il piccolo drappello cambiò al volo, dal galoppo al passo.
Alain le si accostò, superando André, che cavalcava ad una testa di distanza da lei.
Dietro di loro il soldato Gerard Lasalle, che chiudeva la fila, si allungò per accarezzare la criniera del suo roano, che il rombo del temporale aveva innervosito.
“Sulle mappe non sono segnati né villaggi, né stazioni di posta”, osservò lei, pensierosa.
Erano in viaggio da alcuni giorni ormai, in missione per conto del Generale Bouillé. Era solo mezzodì del primo sabato di aprile e quella sosta imprevista li avrebbe fatti tardare.
“Eppure …”, mormorò André, che si era alzato sulle staffe ed ora affilava lo sguardo, cercando qualcosa là dove il bosco di querce e faggi era più fitto.
Oscar lo fissò preoccupata. Nonostante André lo avesse pervicacemente negato, financo dimostrando efficacemente il contrario, la tormentava il dubbio che la sua vista fosse peggiorata anche dall’occhio destro.
“Laggiù ...” proseguì lui, indicando con il braccio teso un punto a mezza lega di distanza “Non capisco se sia un refolo di nebbia o il fumo di un fuoco”.
Grosse gocce di pioggia, gelate e dense, iniziarono scrosciando a percuotere la terra.
“E’ il fuoco di un camino, hai ragione, vecchio mio!”, esclamò Alain, volgendo il cavallo verso di lui per dargli una vigorosa pacca sulle spalle.
La forza dell’acquazzone si intensificò.
“Andiamo”, li esortò Oscar, spronando il cavallo con un leggerissimo tocco di tallone.
Un fulmine fece nitrire i cavalli, accendendo il velo brumoso che avvolgeva la foresta di Brocéliande.
Un cerchio di lunghe pietre, conficcate nella terra come lame di coltello, attirò l’attenzione di Lasalle. Lo scisto color porpora era ricoperto di licheni gialli sotto i quali si intuiva l’incisione di simboli arcani a lui ignoti.
Accertatosi che i compagni non badassero a lui, si fece il segno della croce e recitò silenziosamente una preghiera.
* * *
Dopo avere attraversato un piccolo ruscello che tra massi tondeggianti e rigogliose fronde, gorgogliava percosso da grasse gocce di pioggia, finalmente la videro.
La casa era una modesta costruzione rotonda, edificata con muri di pietra a secco, con un tetto conico di paglia ricoperto di muschio. Dal centro di quello, da un comignolo in ardesia, usciva il fumo bianco odoroso di resina che li aveva condotti fin lì.
Dalla finestrella, a lato della piccola porta di ingresso, una tenda bianca di garza di cotone ondeggiò lieve.
Oscar e suoi soldati smontarono dalla sella, conducendo con le briglie i cavalli al passo.
Erano tutti grondanti di pioggia.
Oscar porse ad André le redini di Cesar, poi fece un passo verso la soglia ed alzò l’avambraccio per bussare.
Ma non fece in tempo. In quel mentre la porta cigolò sui cardini.
Dal piccolo fienile, costruito a mano mancina rispetto alla casa, un’ombra, agile e fulva, schizzò via in direzione dell’uscio.
“Benvenuti, vi stavo aspettando”.
Un grosso gatto rosso saltò in grembo ad un’anziana donna.
Oscar trasalì, poi si convinse di avere frainteso e rispose.
“Sono il Colonnello Oscar François de Jarjayes della Guardia Francese. Chiedo ospitalità per me ed i miei tre soldati.”
La donna annuì e sbirciò fuori.
“Potete ricoverare i cavalli nel fienile. E’ riparato e troverete del fieno asciutto per rifocillarli”
“Ci penso io Comandante”, replicò Gerard, battendo i tacchi e volgendosi indietro per attendere lesto al compito.
“Naturalmente vi ricompenseremo per la vostra ospitalità”.
La donna agitò una mano in alto, ruotandone graziosamente il palmo all’indietro, diede loro le spalle, si chinò per lasciare giù il gatto, si rialzò e fece strada.
La casa, di un’unica stanza, era più spaziosa di quanto apparisse dall’esterno, imbiancata a calce e linda.
Nel mezzo, un focolare circolare di pietra arenaria diffondeva un confortevole calore. Una pignatta sospesa sul fuoco borbottava spandendo un profumo di aromi e spezie. Tutto intorno erano appesi a seccare, tra mestoli e padelle, rametti di timo e rosmarino, foglie d’alloro e salvia. Una bassa credenza con un ripiano di marmo era ricolma di albarelli, vasi e barattoli.
André ed Alain entrarono, dopo avere sfilato e scosso a lungo i mantelli per lasciare fuori la pioggia.
Oscar si avvide allora che stava sgocciolando in terra. Si sentì avvampare.
La padrona di casa sembrò accorgersene, si girò. L’orlo del vestito di fustagno marrone fluttuò appena.
“La mia umile dimora è a vostra disposizione, Colonnello”, dichiarò accennando un inchino, sorridendo con occhi da fanciulla, “il mio nome è Vivianne”.
Gli occhi a mandorla dall’iride grigia e dalla corona verde bosco brillavano vivaci su un volto rugoso incorniciato da folti capelli di lucente candore.
“Che donna singolare”, pensò Oscar, rendendosi immediatamente conto di quanto un simile giudizio suonasse paradossale se formulato da lei.
“E’ proprio una strana femmina”, ragionò fra sé e sé Alain, mentre si slacciava la tracolla della bandoliera e poggiava al muro il fucile con il calcio a terra.
Ne aveva osservato, quasi ammaliato, le labbra piene, morbide e rosee, che si schiudevano in una posa quasi seducente, mostrando una chiostra di denti perfetti come madreperla. Non dubitava che da giovane avesse fatto perdere il senno a molti uomini; se fosse nato trent’anni prima, non gli sarebbe dispiaciuto affatto ritrovarsi nel novero di quei folli beati.
“I soldati scelti Alain de Soissons e André Grandier”, li presentò Oscar. “Ed il giovane che è andato ad accudire i cavalli è il soldato Gerard Lasalle”.
“Cosa aspettate allora? Avvicinatevi al fuoco per asciugarvi un po’! Potete accostare quella panca laggiù”.
Alain fece correre lo sguardo tutto intorno. Quattro finestre. Una per ogni quadrante. Ed una sola porta, quella dalla quale erano entrati, che interrompeva appena quell’armonia.
Nella sezione di semicerchio opposta al fienile, nel punto più lontano dall’ingresso, un fitto canniccio delimitava uno spazio più intimo ed il drappeggio di una spessa tenda color indaco faceva intravedere una piccola alcova, che sembrava confortevole, fra coltri di lana e guanciali bianchi di fresco cotone.
Dall’altra parte, un lungo tavolaccio di quercia era disordinatamente ingombro di pergamene, libri, ampolle, storte ed alambicchi. Sotto la finestra, in un acquaio in pietra serena, sgocciolava rovesciato un mortaio. Un secchio ricolmo d’acqua era di scorta.
Poco più in là, un tavolo fratino poteva ospitare almeno sei persone, comodamente disposte su due panche.
Alain ed André si diressero verso una di quelle, l’afferrarono ognuno da una parte e camminando di traverso la deposero davanti al fuoco. Poi restarono fermi, sull’attenti.
“Bene, Comandante, cosa ne dite di ordinare il ‘riposo’ ai vostri soldati? Orsù, porgetemi la cappa!”
Oscar non fece in tempo a portare la mano al fermaglio, che un colpo di tosse secca le tolse il fiato. Si precipitò fuori, alla ricerca di aria.
André la rincorse, afferrando al volo un mantello e sbattendo la porta alle sue spalle.
“Oscar …”
“Comandante, i cavalli sono a posto, ho preso le nostre bisacce, ma sembra tutto fradicio e …”
Gerard era uscito dal fienile e scorgendo la sagoma del Comandante aveva parlato. Ma poi si era zittito.
“Oscar …”, sussurrò quando la vide appoggiarsi con le braccia tese contro un albero ed il capo chino.
“Non ho bisogno di nulla, André”, ansimò.
André scosse la testa. Stava per accarezzarle delicatamente la guancia con il dorso della mano, ma si fece forza e si trattenne, sfiorandola appena.
Un nuovo accesso di tosse, più forte, la fece piegare. Portò la mano alla bocca. Il guanto bianco era sporco di sangue.
Chiuse il palmo, appena in tempo perché André non se ne avvedesse. Poi André sollevo su di lei il mantello per ripararla dalla pioggia battente.
“Che Dio mi fulmini, se ho mai visto un soldato così premuroso nei confronti del suo Comandante”, esclamò Vivianne, spalancando l’uscio.
Alain la guardò torvo.
“Ma sarebbe meglio che stessero all’asciutto. Ora preparo un buon infuso caldo per tutti!”.
“E’ proprio una vecchina bizzarra”, considerò André. Chiudendo gli occhi, ascoltandone solo la voce, gli parve di cogliere un’inflessione insolita.
Mentre André scortava Oscar, Gerard fece strada davanti a loro. Entrò e spalancò la bocca per lo stupore.
Gli parve una di quelle capanne incantate delle favole che la nonna gli raccontava nelle fredde sere d’inverno, minuscole dal di fuori, ma inverosimilmente grandi all’interno. E generalmente stregate.
* * *
“Potete togliervi quelle divise fradice. Là dietro …”, disse indicando la sua alcova “potete cambiarvi”. Rovistando in un vecchio baule aveva tirato fuori quattro paia di calzoni di cotone grezzo, altrettante camicie e qualche pezza per asciugarsi.
“Con questi”, aggiunse porgendo tutto il fardello ad Alain.
Nessuno si mosse. Sembravano in attesa di ordini dal loro Comandante, che però taceva, apparentemente interessata solo alle fughe del pavimento lastricato di pietra.
“Su, su, dépêche-vous mi state allagando la casa”, proruppe la loro ospite sospingendo Alain dietro la tenda. “Nel frattempo io e il vostro comandante ci scalderemo vicino al fuoco.”
Oscar alzò lo sguardo. L’interrogò con gli occhi. Vivianne rispose porgendo una coperta.
“Immagino che i vostri uomini ne siano a conoscenza”. Oscar seduta sulla panca vicino al fuoco, con la coperta accomodata sulle spalle stava sorbendo una bevanda bollente. Si era tolta i guanti e stringeva le dita intorno alla tazza.
Da dietro la tenda si sentiva il vocione di Alain che canzonava Gerard, mentre André li esortava a fare in fretta.
“Ignoro a cosa vi riferiate.”
André uscì fuori. Di bianco vestito. Ma i calzoni erano corti e la camicia tirava.
La scrutò angosciato. Era più pallida del solito.
“Agli ordini Comandante”, proruppe Alain, in una sgargiante casacca a scacchi rossi e blu troppo attillata, che però si abbinava perfettamente al fazzoletto rosso che nonostante fosse bagnato aveva legato al collo come suo solito.
“La buonanima di mio marito non era robusto quanto voi”, si scusò la donna.
Alle sue spalle fece capolino Gerard, che sembrava l’unico sul quale gli abiti imprestati, di un verde chiaro, calzassero perfettamente.
André, che aveva messo da parte per Oscar gli indumenti più caldi, si chinò verso di lei porgendole il cambio. “Posso vedere se nel tuo bagaglio è rimasto qualcosa di asciutto”, pispigliò.
Non ottenne risposta. Oscar si alzò, afferrò il fagotto e andò a cambiarsi. Non si accorse che assieme alla coperta anche i suoi guanti scivolavano a terra.
André seguì Oscar con lo sguardo, finché la tenda non si richiuse dietro di lei.
Vivianne afferrò i guanti e li nascose nel grembiale.
“E’ una persona molto riservata il vostro comandante”, sussurrò abbassando la voce, mentre il gatto strofinava beato il musetto contro le sue gonne.
“D’altra parte è un nobile, d’alto lignaggio, antica nobiltà di spada, n'est-ce pas?”
Un tuono fragoroso fece tremare l’aria. La grandine iniziò a picchiettare sul tetto, più rumorosamente quando colpiva le ardesie del comignolo.
André, solo lui, percepì il fruscio degli abiti che scivolavano sulla pelle di Oscar e cadevano giù.
“Il nostro Comandante non è nobile solo per nascita”, la zittì Alain.
Fuori il sole aveva perso definitivamente la sua battaglia contro il temporale. Gerard sbirciò fuori da una finestra.
Nonostante fosse ancora pieno giorno, le tenebre stavano inghiottendo il bosco intorno a loro. Chicchi di grandine, grandi come acini d’uva, brillavano sull’erba. Rabbrividì.
“E voi che mi dite”, chiese rivolta proprio a Gerard.
Gerard arrossì, poi balbettò: “cosa?”
“Cosa mi dite del vostro Comandante? Mi pare un ufficiale straordinario”
“Il nostro Comandante è la … la persona più coraggiosa e buona e generosa che …”
“Suvvia, se non fosse che è un uomo, potrei insinuare che ne siete innamorato!”
Le lentiggini che punteggiavano il naso di Gerard si fecero di fuoco.
“E se voi non foste la gentile Madame che il nostro Comandante è sicuro che voi siate, ed il nostro Comandante raramente si sbaglia, direi che siete una vecchia megera”, intervenne seccamente Alain.
Vivianne ridacchiò.
André, ad occhi chiusi, assorto in altri pensieri e distante da quel duello verbale, distinse, solo lui, lo strofinio del canovaccio con il quale Oscar si stava frizionando i capelli bagnati. Ne colse, solo lui, il profumo lieve di fiori di lavanda.
“Touché! Perdonatemi. Questa mia esistenza da eremita mi rende bramosa di vita.”
Alain bofonchiò qualcosa e poi tacque. Solo allora sembrò accorgersi che André, assai stranamente, non era intervenuto in difesa della sua Oscar.
L’osservò, seduto davanti al fuoco, la palpebra abbassata anche sull’occhio destro, eppure sveglio e perfettamente vigile, concentrato a sbrogliare chissà quale mistero.
“Il vostro compagno d’arme sta imparando a fare a meno della vista.”
“Cosa avete detto?”
Il gatto, che si era accoccolato ai piedi di Vivianne, soffiò spaventato inarcando la schiena.
“Merlino!”
Oscar, di nero vestita, in abiti troppo grandi per lei, implorava con gli occhi una risposta diversa da quella che il suo cuore temeva eppure la sua voce imperiosa pretendeva.
“Oscar, io …” mormorò André, avvicinandosi a lei.
Un colpo violento spalancò la porta.
Il fuoco nel camino avvampò.
Il velo impalpabile di bruma che avvolgeva la foresta, lentamente strisciò nella casetta ...