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Autore: Nina Ninetta    16/06/2024    7 recensioni
Prima classificata al contest “Continenti” indetto da mystery_koopa sul Forum di EFP.
Mattew Stewart è un agente immobiliare del Missouri che viene mandato dal suo dispotico capo a concludere un affare in Texas. Mattew non è contento del suo lavoro, aspira a qualcosa di meglio, ma proprio nel piccolo paesino texano la sua vita cambia radicalmente, quando a bordo dell'auto si ritrova una pistola puntata alla nuca e una sconosciuta che siede sui sedili posteriori, stringendo a sé una misteriosa custodia grigia. Gli ordina di accompagnarla fino a Washington DC, un viaggio lungo circa settecento miglia... Ma chi è veramente la clandestina che si fa chiamare Sarah? E cosa nasconde nella custodia, dalla quale sembra dipendere la sua intera esistenza?
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti care lettrici e cari lettori! 
Questa storia (scritta per il contest "Continenti" indetto da Mistery Koopa sul forum EFP) è il mio primo racconto thriller. Non è un genere che mi alletta particolarmente, ma nell'ultimo periodo ho visto diverse miniserie ispirate a questo genere e mi sono lasciata un po' trasportare. 
Siate clementi, quindi, nell'elargire sentenze ;)
Come sempre, con affetto, la vostra
Nina^^
 


Il ɱio ɳuovo ȵome



Prologo.
Quando tutto ha inizio



Mattew uscì dalla tavola calda con il cellulare incastrato fra spalla e orecchio, mentre in una mano teneva l’hot dog che aveva appena acquistato e nell’altra una lattina di coca-cola. La differenza di temperatura tra l’interno del locale climatizzato e quella all’esterno era tale che la pelle gli si inumidì all’istante, rendendola appiccicosa.
«Matt, ci sei?» La voce dall’altra parte del telefono lo fece sussultare, avrebbe voluto asciugarsi la fronte, ma aveva entrambe le mani occupate.
«Sì capo, certo!» Mattew si guardò intorno, sperando di adocchiare un tavolino su cui adagiare il panino e la bevanda, una panchina o almeno un po’ d’ombra per respirare.
«Hai chiuso l’affare con gli Smith?»
«Capo, a tal proposito…»
«Co-sa
Ecco la classica intonazione nella voce che gli smuoveva le viscere e lo faceva sentire come quando la maestra lo sgridava davanti a tutti i compagni di classe perché non ricordava la tabellina del sei. In realtà, non era mai riuscito a memorizzarla bene, neppure adesso che aveva trentatré anni.
«Mattew, ti sei addormentato?»
«No, signore» Matt prese tempo schiarendosi la gola, socchiuse gli occhi, un rivolo di sudore gli scivolò dalla tempia alla guancia, fino al collo. Era completamente madido, avrebbe dato qualsiasi cosa per asciugarsi. «Gli Smith hanno chiesto duecentocinquanta mila dollari.»
«Cooomeee?» Urlò l’uomo dall’altra parte e Mattew poté sentire chiaramente il pugno che sbatteva sulla scrivania, lo immaginò così nitido nella sua mente che sobbalzò pur non avendolo di fronte. «Quella merda di casa, se così si può chiamare, non vale più della metà di ciò che hanno chiesto. Ora torni da quei bifolchi e gli offri centosettanta mila dollari, non un nichelino in più. Ci siamo capiti?!»
«S-sì» biascicò il ragazzo.
«Non ho sentito!»
«Sì, capo!»
«Bene!».
Mattew riprese a respirare quando sentì la conversazione interrotta. Si lasciò scivolare il cellulare oltre la spalla e l’afferrò con la mano che teneva l'hot dog, ma questo gli cadde sull’asfalto. Rimase a fissarlo per qualche secondo, come se fosse un incidente stradale: il wurstel a terra ricoperto di ketchup rosso sangue, le parti del panino aperte in due, così simili a braccia spezzate, inermi.
«Cazzo!» Imprecò, dando un calcio a ciò che rimaneva del suo pranzo, poi s’incamminò verso l’auto. Bevve un sorso di coca-cola, ormai non più freschissima. Era incazzato nero! Non aveva sprecato anni e anni dietro ai libri, laureandosi a pieni voti alla Saint Louis University per poi essere trattato alla pari di un garzone da un branco di prepotenti frustrati di mezza età.
Camminava a larghe falcate, con le spalle ingobbite e la consueta andatura dinoccolata, conseguenza del suo essere alto e magro. Distrattamente si terse la fronte e la base della nuca con un fazzoletto di stoffa che portava sempre con sé, l’unico che non gli irritava la pelle. Inoltre, nella fretta, aveva dimenticato di mettere in valigia la lozione solare per proteggersi dai raggi ultravioletti e sentiva già la pelle del viso tirare. Era di carnagione chiara, lentigginosa – regalo dei suoi avi irlandesi – quindi rischiava un eritema un giorno sì e l’altro pure durante la bella stagione. Figuriamoci lì, in Texas, dove il sole batteva più forte. Picchiava era il verbo giusto.
Bevve ancora, ma ormai la bibita era sfiatata e tiepida come urina, perciò la buttò nel primo secchio utile e si accinse ad attraversare la strada senza preoccuparsi di passare sulle strisce pedonali.
Dopo il diploma, nella minuscola Contea di Perry, in Missouri, Mattew si era trasferito alla St. Louis University per conseguire la laurea in Economia e Commercio, ramo Marketing, e sperare di trovare lavoro prima possibile. Durante gli studi, per arrotondare e farsi passare qualche sfizio in più, ad esempio invitare una ragazza al bowling o al cinema, aveva lavorato in un fast food. I suoi genitori non gli facevano mancare niente, è vero, ma lui era giovane e non voleva gravare ulteriormente sulle finanze familiari. Tuttavia, trovare un lavoro decente dopo la tesi non era stato facile, aveva trovato impiego in qualità di agente immobiliare, nel frattempo che lo assumesse un’azienda più importante e consona alla sua laurea.
Fin dall’inizio, il suo capo non gli era piaciuto, a pelle, era uno di quei datori dispotici e tirannici, però i soldi gli servivano, inoltre si era persuaso che non sarebbe stato per sempre. Un lavoretto temporaneo, insomma… peccato fossero giù trascorsi tre anni e la situazione non era migliorata, anzi: né un aumento di stipendio, né mansioni più rilevanti. In particolare, con quell’ultimo incarico, il capo aveva toccato il fondo. Solo il giorno precedente gli aveva riferito che c’era in ballo un affare in Texas, St. Antonio, perciò si doveva recare lì per concludere la trattativa. Mattew gli aveva fatto notare che St. Antonio distava circa cinque miglia e che ci avrebbe impiegato almeno tredici ore con la macchina, ma quello aveva fatto spallucce:
«E ti vuoi lamentare? È tutto pagato: hotel, viaggio. Tu devi solo preoccuparti di chiudere l’affare a un prezzo decente» il capo non chiedeva. Ordinava.
Così, Mattew si era messo al volante della macchina aziendale – una Ford Focus di colore bianco – ed era passato per casa a prendere giusto una cambiata pulita, con le viscere che gli si torcevano a causa della rabbia. Aveva guidato per circa quattordici ore, fermandosi solo una volta per andare in bagno e bere un espresso. La collera era aumentata quando, arrivato a St. Antonio, si era reso conto che il suo capo l’aveva preso in giro, per l’ennesima volta. L’abitazione che doveva acquistare non si trovava nella grande metropoli texana, bensì in un piccolo villaggio – perché definirlo paese sarebbe stato un complimento che non meritava – di appena sei mila anime, la cui insegna citava “Benvenuti a Floresville”, nella Contea di Wilson.
Come se non bastasse già quello a fargli venire la voglia di mandare tutti a quel paese, la casa in questione era sita ancora più fuori città, isolata per chilometri e chilometri, completamente circondata da aperta campagna. I proprietari, i signori Smith, si erano rivelati due ossi duri, nonostante l’età avanzata e i loro modi grezzi, Mattew aveva scoperto che il cervello per i fare i conti funzionava ancora perfettamente a entrambi, tanto che lo avevano portato a stilare un primo atto di duecentocinquanta mila dollari. Una cifra smisurata, l’agente di St. Louis lo sapeva bene, ma da quella abitazione, che puzzava di rancido, animali e vecchio, Mattew voleva solo andare via e tornare in mezzo alla civiltà, nel XXI secolo. Inoltre, non riusciva a trovare un solo motivo per cui il suo capo avesse accettato una trattativa in un altro Stato, forse per fare un piacere a uno dei suoi amici mafiosi? Non sarebbe mai potuto tornare indietro con un contratto del genere, l’avrebbe scuoiato vivo. Malgrado ciò, l’idea di trascorrere un’altra notte in quella stamberga, che lì si ostinavano a chiamare hotel, gli faceva venire un prurito che partiva dalla testa e finiva alle dita dei piedi. La stanza odorava di muffa; il parquet aveva macchie dalla dubbia origine; il piatto della doccia era ingiallito, per non parlare del lavandino… l’acqua bisognava farla scorrere per diversi minuti se si voleva sperare di non contrarre il colera.
Un incubo!
Adocchiò la Ford da lontano, almeno era all’ombra di una quercia e non avrebbe dovuto attendere che si rinfrescasse accendendo il climatizzatore. Si accomodò al volante e mise in moto, con entrambe le mani serrate sullo sterzo e lo sguardo fisso davanti a sé: due bambini stavano giocando in una fontanella, liberi e felici. In quel momento prese una decisione: quello sarebbe stato l’ultimo incarico della sua vita, di ritorno a casa si sarebbe licenziato. A tutto c’era un limite, e il suo capo l’aveva superato da tempo.
Accese la radio, cambiando frequenza distrattamente mentre cercava una canzone che gli piacesse, ma in Texas non sembravano buoni manco a trasmettere in radio qualcosa di decente. Si immise nella carreggiata e guidò fra le strade semideserte e infuocate della cittadina. I raggi bollenti creavano riverberi sull’asfalto, le campagne intorno erano un’immensa distesa gialla di grano ed erba secca. Ripeteva nella mente il discorso che avrebbe fatto ai coniugi Smith per convincerli a vendere la loro catapecchia – “casa, dannazione, devi usare la parola casa”, di disse – a meno della metà del valore che chiedevano. Completamente assorto, per poco non andò fuori strada quando avvertì un oggetto tondo e ghiacciato alla base della nuca. Una voce femminile, sconosciuta, che gli ordinava di proseguire per la statale, senza alcuna deviazione.


 
  
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