Prologue
Melissa Trenton si
reputava una ragazza normale.
Aveva una famiglia
normale, una casa normale, una
vita normale.
La sua media scolastica
rimaneva fissa sulla B, non studiava spesso e odiava seguire le
lezioni. Come
la maggior parte degli studenti del suo college preferiva stare
all’aria
aperta, piuttosto che tra le quattro mura di un'aula. Non eccelleva in
nessuna
materia e nessuna era la sua preferita.
La sua unica passione era
lo sport. Amava correre, saltare e tirare con l’arco.
Fortunatamente per lei, il
centro sportivo di cui disponeva l’edificio era ben
attrezzato e Melissa sapeva
come sfruttarlo. Se avesse potuto ci avrebbe vissuto dentro.
Ma, così facendo, avrebbe
dovuto rinunciare alla comoda stanza da letto della sua villetta.
Le pareti azzurro intenso
la facevano rilassare e dimenticare tutti i suoi doveri. Avrebbe
passato ore ad
ascoltare la musica sdraiata sul morbido letto, senza che il pensiero
dei
compiti e dello studio la sfiorasse.
L’unica cosa che avrebbe
potuto distrarla sarebbe stata la voce acuta di sua madre, che la
chiamava per
la cena.
Non aveva fratelli e il
suo rapporto con i genitori era abbastanza buono. Litigavano ogni
tanto, ma si
volevano bene. Erano una famiglia normale, come se ne vedevano tante in
giro.
Melissa aveva preso tutto
dalla madre, tranne il carattere. Quello non si sapeva da dove fosse
uscito.
Era testarda e non sapeva
mai quando fosse meglio tacere.
Eppure, a guardarla, non
si sarebbe mai detto. I suoi occhi smeraldo incantavano e sembrava un
angelo,
con il volto delicato incorniciato da lunghi boccoli biondi.
Il suo fisico era snello e
ben proporzionato, le sue forme sempre nascoste da magliette sportive e
i
capelli raccolti. Non amava vestirsi da donna, le gonne la
infastidivano, le
scarpe col tacco erano un suicidio. Eppure, per il bene mentale di sua
madre e
l’evitare un infinito fiume di lacrime, a volte si lasciava
trasformare in una
bambolina. Con la lingua
troppo lunga.
Era un pomeriggio
soleggiato, uno di quei pochi giorni in cui aveva deciso di tornare
subito a
casa dopo le lezioni, senza fermarsi al campo sportivo.
Il motivo era semplice.
Si inoltrò nel parco,
zigzagando tra i folti alberi, cercando di seminare il suo appassionato
inseguitore.
Ormai avrebbero dovuto
capirlo che non voleva essere importunata. Lei
non lo voleva un ragazzo.
Non provava alcuna voglia di forti sentimenti o passioni improvvise.
Non voleva
l’amore.
Perché non lo capivano?
E anche se ci fosse stato
qualcuno che le fosse piaciuto, di sicuro non sarebbe stato quel
ragazzo con la
forfora che la chiamava a squarciagola, attirandosi gli sguardi di
disapprovazione delle mamme che curavano i loro pargoli.
Tirò un sospiro di
sollievo quando lo vide allontanarsi, probabilmente verso
l’uscita del parco.
Anche quella volta l’aveva
scampata.
Si appoggiò con la schiena
al tronco del primo albero che si trovò vicino. Sembrava una
quercia, per
quello che poteva saperne, ma le sue conoscenze sulla materia erano
piuttosto
limitate. Sapeva solo che era enorme e che sotto la sua fitta chioma si
stava
bene, al riparo dal sole caldo di un pomeriggio di primavera inoltrata.
Si sedette sull’erba
asciutta e chiuse gli occhi. Era stanca.
Non c’era un filo di
vento, eppure riusciva a sentire il rumore delle foglie sopra la sua
testa,
coperto in parte dal cinguettare degli uccelli.
Ma poi anche quel rumore
si spense e il sonno l’avvolse come una coperta calda.