Whole
other world
Non avrebbe saputo dire da
quanto tempo avesse chiuso gli occhi. Probabilmente era stato solo per
pochi
minuti, perché gli uccellini cinguettavano ancora.
Eppure mancava qualcosa.
C’era troppo silenzio.
Riaprì gli occhi e si
ritrovò a fissare la folta vegetazione di una foresta. Decisamente
non si
trovava nel parco di Yellowsbourg.
Si alzò, stordita, e si
guardò attorno, girando su se stessa.
Ma dove diamine era
finita? Cioè, una
non poteva
nemmeno fare un pisolino in un parco, che subito si ritrovava da
un’altra
parte.
Prese un bel respiro e
cercò di calmarsi. Agitarsi non serviva a nulla, se non
entrare ancora più in
panico.
Cosa le avevano
insegnato al corso di sopravvivenza estivo? In caso di smarrimento
mantenere la
calma. Come se fosse stato
facile.
Si trovava in una dannata foresta ombreggiata, talmente fitta che il
sole era
praticamente invisibile sopra le chiome degli alberi e quindi
impossibile da
utilizzare come punto di riferimento. Non c’era neanche la
traccia di un
sentiero minuscolo, una pista qualsiasi, rami o foglie piegati che
facevano
presupporre il passaggio di qualcuno. Non c’era niente che
non fosse verde e
foglie, e foglie e verde. Era un dannato incubo verdastro.
Sbuffò esasperata e tese
le orecchie cercando di captare altri rumori oltre a quelli della
natura
circostante.
Lo sentì all’improvviso.
Sembrava acqua corrente.
Senza pensare, raccattò la
borsa e si avviò velocemente in quella direzione, facendosi
malamente largo tra
le piante. Non badò ai rami sporgenti o ai rovi che le
strapparono in basso il
jeans, continuò ad avanzare, quasi correndo,
finché non si ritrovò davanti ad
un ruscello che scorreva placido, indifferente a tutto il resto.
«Incredibile…» mormorò. Allora
il corso di sopravvivenza era servito a qualcosa.
Si avvicinò alla riva e si
rinfrescò il volto e le mani. Accaldata, legò i
lunghi capelli ricci in una
coda veloce e si scrutò attorno. L’unica cosa da
fare era uscire da quella
foresta, sperando di sbucare in un posto con un telefono o almeno dei
mezzi di
trasporto. Avrebbe sborsato fino all’ultimo centesimo delle
sue scarse finanze,
pur di tornare a casa.
Seguendo la corrente, si
mise in cammino.
Quando gli alberi
iniziarono a diradarsi le sembrò un miraggio. Aveva
camminato per quelle che
erano sembrate ore, fatto probabilmente migliaia di pause e imprecato
per la
metà del tempo, ma finalmente stava per uscire da quella
dannata foresta.
Con un saltello e un
sorriso, iniziò a correre verso il prato che vedeva
aldilà degli ultimi alberi.
Mancava così poco.
Corse a tutta velocità
sotto il sole caldo, ma qualcosa la indusse ad invertire di nuovo la
rotta e
ritornare come un animale spaventato all’ombra sicura della
foresta.
Davanti a lei si estendeva
una vasta prateria, il ruscello che aveva seguito fino ad allora si
allargava a
diversi metri di distanza e formava una secca sabbiosa.
L’erba sembrava abbastanza
rigogliosa e qualche masso era sparso qua e là, alternato a
piccole zone
arenose.
La posizione del sole
sembrava indicare la metà pomeriggio e la temperatura era di
diversi gradi più
alta di quella di Yellowsbourg.
Con un movimento lento,
Melissa si levò la felpa, appoggiandola di traverso sulla
borsa a tracolla, e
tirò su le maniche della maglietta di cotone che indossava.
Senza staccare lo
sguardo dalla scena che le si era presentata davanti
all’improvviso.
Nel punto esatto in cui il
fiume formava una grande secca, c’erano tre persone.
Una ragazza, vestita di
azzurro, era seduta su un masso e ogni tanto scoppiava a ridere, mentre
assisteva al combattimento che si svolgeva poco distante da lei.
Il clangore delle spade
giungeva chiaramente fino alle orecchie di Melissa, ormai frastornata
più che
mai.
Uno dei due combattenti,
con una massa di capelli biondi che risplendeva sotto i raggi del sole,
fece un
cenno di saluto beffardo alla ragazza, che ricambiò con un
bacio volante,
ridendo poi al movimento poco fluido che fece lui per scansare la spada
dell’avversario.
Ripresero lo scontro, tra
affondi e parate, eppure anche all’occhio inesperto di
Melissa era chiaro che
l’altro ragazzo, quello con i capelli scuri, fosse molto
più bravo. Muoveva la
spada con una destrezza inimmaginabile, i suoi riflessi erano ottimi e
non
faceva movimenti inutili. Le
sarebbe piaciuto essere abile come lui.
Buttando alle ortiche la
prudenza, Melissa uscì di nuovo dalla foresta, tendendosi
bassa e cercando di
mimetizzarsi.
Il biondo tentò un affondo
che venne prontamente scansato, il moro si allontanò di
qualche passo ed
entrambi girarono in tondo, invertendo le posizioni.
Continuarono a scambiare
ancora qualche colpo, finché la ragazza seduta sul masso non
aprì bocca,
facendo abbassare le armi ad entrambi.
Melissa li vide guardarsi
attorno, come in cerca di qualcosa, e li imitò circospetta.
Ma oltre a loro non c’era
nulla.
Fu quando il ragazzo moro
puntò gli occhi dalla sua parte e incrociò il suo
sguardo, che capì.
Era lei che stavano
cercando. Evidentemente si erano
accorti della sua presenza.
Con un’imprecazione poco
fine per una signora, si voltò indietro e scappò
tra il folto della
vegetazione, sperando di far perdere le sue tracce.
Che razza di giornata.
Prima si era svegliata in
ritardo, perdendo l’autobus, e aveva dovuto letteralmente
volare, per arrivare
in tempo a scuola. Ma non essendo un uccello era precipitata
direttamente
nell’ufficio del vicepreside. Di
nuovo.
Come se non bastasse aveva
preso una bella F in matematica che non aveva neanche più la
possibilità di
recuperare. Poi era stata inseguita sulla strada di casa. E per finire
in
bellezza, non aveva la più pallida idea di dove si trovasse,
dopo essere stata
risucchiata da una stupida quercia.
Sentì uno zoccolio poco
rassicurante alle sue spalle, ma non si voltò. Perché
avrebbe dovuto farlo,
poi? Per avere la conferma di essere inseguita da un cavallo
sicuramente
guidato da uno di quei tre? C’era
limite al peggio?
Corse più veloce che
potette, scansando e saltando gli ostacoli, cercando febbrilmente una
via di
fuga.
Ma il rumore era sempre
più vicino, nonostante il cavallo dovesse essere in
difficoltà con tutte quelle
barriere naturali.
Destino o sfortuna che
fosse, Melissa
inciampò in una
radice sporgente e cadde a terra, sulle ginocchia.
Emise un gemito
sofferente, troppo esausta per fare altro, e attese la fine.
Era sudata e affannata, la
spalla dove appoggiava la tracolla della borsa le faceva male, la sua
coda
ormai si era afflosciata e i vestiti erano sporchi di terra.
Il rumore di zoccoli si
fermò a pochi metri da lei. Serrando per un attimo gli
occhi, si voltò,
mettendosi a sedere scomposta.
All’improvviso si sentì
molto sporca e sciatta.
Perché quel ragazzo, anche
se aveva appena interrotto un combattimento con le spade, sembrava
molto più
fresco e riposato di lei.
Tirò su col naso e si
asciugò il mento con il dorso della mano, senza staccare gli
occhi da quelli
del ragazzo moro appena sceso da cavallo.
Lo vide avvicinarsi con
un’espressione dura e corrucciata che gli deformava i
lineamenti.
«Ebbene?» le chiese,
inarcando un sopracciglio.
Melissa tremò
impercettibilmente. Non aveva paura di lui, quello no. Probabilmente
aveva
paura della sua spada. Ma non era quello. Era
la sua voce.
Non aveva mai sentito una
voce così. Bastava una sillaba per incantare.
Si limitò a guardarlo,
senza dire una parola. E lui non si scomodò a parlare per
lei, ma fece scivolare
lo sguardo su tutta la sua figura, studiandola attentamente.
Quando il respiro sembrò
esserle tornato, si arrischiò ad alzarsi, sollevando la
borsa e agitando avanti
e indietro la maglietta, per farsi aria.
Ora che era in piedi, notò
che lui la sovrastava di quasi tutta la testa, aveva degli abiti strani
e la
perforava con i suoi occhi ambrati.
«Che c’è?» chiese
imbarazzata. Non c’era bisogno che la fissasse
così.
«Chi sei?»
Melissa si umettò le
labbra, esitando. «Nessuno» rispose infine, avendo
una voglia matta di
rimangiarsi la stupidaggine che aveva appena detto.
Lui continuò ad
osservarla, passando dai suoi jeans laceri e sporchi di terra, alla
maglietta
sudata, fino alla sua chioma sconvolta. E lì si
fermò.
«Dovresti legarti meglio i
capelli».
Cosa?
Un’espressione incredula
si dipinse sul volto della ragazza, che boccheggiò senza
sapere cosa dire. Aveva
appena ricevuto un consiglio estetico
da un ragazzo?
«Dovresti farti gli affari
tuoi» ribatté alterata.
Lui ghignò leggermente «Lo
dicevo per te».
«Anch’io».
I suoi occhi ambrati
brillarono divertiti «Bene. Allora dimmi chi sei».
Melissa incrociò le
braccia al seno. Non sapeva esattamente perché, ma quel tipo
iniziava a darle
sui nervi «Non sono affari tuoi».
«Invece temo di sì,
considerando che ci stavi spiando» il suo volto si
indurì «Chi ti ha mandato?»
Bella domanda. Avrebbe
tanto voluto saperlo anche lei.
Non rispose, continuando a
fissarlo duramente. Stava per scoppiare.
«Perché sei qui?»
«Mi sono persa, va bene!»
urlò tutta la sua frustrazione, buttando all’aria
le braccia e fulminando il
ragazzo che aveva davanti, come se lui fosse la causa di tutte le sue
disgrazie
«Ero appena riuscita a scappare dall’ennesimo
maniaco e me ne stavo tranquilla
per fatti miei, quando mi sono ritrovata in questo posto sperduto! Non
so
neanche dove siamo e come fare per tornare a casa! Ho dimenticato il
cellulare
in carica e non avrò nemmeno cinque dollari in tasca!
Figurati cosa mi
interessa stare a spiare voi tre come uno stupido James Bond di terza
categoria!»
Il ragazzo moro sembrò
confuso dalla sua lunga filippica e la guardò agitarsi e
calciare i sassi che
si trovava vicino ai piedi.
«E’ un nuovo modo per
depistare le vittime? Intontirle per poi colpire, intendo».
«Ringrazia che sia stanca,
altrimenti ti avrei già riempito di pugni»
sibilò Melissa. Lo guardò per
un’ultima volta e fece un verso stizzito «Beh, io
me ne vado. Non ho intenzione
di stare vicino alle tue radiazioni disgustose. Addio!» si
voltò di scatto, col
naso per aria, fiera di fare per una volta un’uscita di scena
decente.
Quello che non si
aspettava però era di venire caricata di peso sulla sella di
un cavallo e
trovarsi con gambe e testa a penzoloni e lo stomaco pressato sul cuoio
levigato.
«Che diavolo fai?! Fammi
scendere, idiota!» esclamò infuriata, agitandosi
il più possibile senza però
rischiare di cadere a terra e finire schiacciata dagli zoccoli del
cavallo
lanciato al galoppo fuori dalla foresta.
Lui non le rispose e si
limitò a buttarla giù poco gentilmente, una volta
raggiunti gli altri due.
«Era lei-?» iniziò stupito
il biondo, venendo subito interrotto dallo strillo acuto e irato di
Melissa.
«Razza di imbecille! Come
ti sei permesso?! Giuro che ti stacco la testa a morsi!»
Lui alzò un sopracciglio
divertito e la ignorò «Era lei. Sembra un animale
selvatico, più che una
donna».
«Come osi?!Razza di-»
«Da chi è stata mandata?»
chiese di nuovo l’altro ragazzo, ombrandosi per un istante.
Il moro scosse la testa
«Non l’ha detto. Afferma di essersi persa e altre
cose strane».
«Cosa strane?! E’ la
verità, idiota!»
«Cosa facciamo?»
«La facciamo confessare,
semplice».
«Non parlate come se non
ci fossi!»
«Però, magari ha ragione».
«Non mi sembra una spia,
ma è meglio essere sicuri».
«Ehi! Mi avete sentita?!»
«Allora, cosa-?»
«Fate silenzio tutti quanti!»
Melissa e i due ragazzi
ammutolirono di colpo, posando gli occhi sulla ragazza vestita di
azzurro, che
non aveva aperto bocca fino a quel momento.
Con un sospiro, si sistemò
una ciocca sfuggita alla semplice acconciatura di capelli color mogano
e fece
passare lo sguardo su tutti loro.
«Non è una spia» affermò
con voce sicura «Lo potete vedere anche da soli».
Il biondo annuì, ma
l’altro ragazzo fece una smorfia «Potrebbe essere
un trucco».
«Ti sembra un’abitante dei
dintorni?» gli chiese ironica, accennando ai vestiti di
Melissa, che si sentì
ancora più a disagio.
Quella ragazza era
bellissima, pulita e profumata; lei, invece, era sporca e sudata. E
tutti la
stavano guardando. Non che di solito le importasse molto del giudizio
degli
altri, ma quella volta avrebbe accettato persino di mostrarsi conciata
come una
bambolina, piuttosto che com’era in quel momento.
La ragazza le sorrise
gentilmente e le porse una mano per aiutarla ad alzarsi. Melissa si
morse un
labbro indecisa e tese la sua, esitante. Quella mano era bianca e
pulita, non
voleva sporcarla. Ma l’altra gliela afferrò senza
indugi e tirò.
Così Melissa si ritrovò in
piedi, circondata da tre sconosciuti.
La ragazza castana piegò
leggermente il capo e, senza smettere di sorridere, si
presentò «Io mi chiamo
Selene. Tu sei?»
Non rispondere sarebbe
stato davvero da maleducati e sua madre se la sarebbe presa di certo,
dopo aver
faticato tanto ad insegnarle le buone maniere.
«Melissa» borbottò
imbarazzata, guardando ovunque tranne i loro volti.
«Come mai ti trovi da
queste parti, Melissa?» chiese Selene «Non passa
molta gente di qua».
Melissa puntò gli occhi
verdi dritti in quelli celesti dell’altra «Mi sono
persa» ammise controvoglia.
Selene ricambiò il suo
sguardo senza battere ciglio «Da dove vieni? Possiamo
aiutarti a tornare a
casa».
La bionda inarcò un
sopracciglio. Aveva un brutto
presentimento.
«Yellowsbourg» rispose
esitante.
I tre si scambiarono uno
sguardo perplesso.
«Yellowsbourg?» ripeté
Selene.
Melissa annuì «Nel
Colorado, vicino a Denver» tentò, vedendoli sempre
più confusi. Alla fine si
arrese «Qui dove siamo?»
«Nella contea di Harland,
nella parte occidentale del regno di Bradford».
Melissa spalancò gli occhi
«Cosa?!» Che
razza di posto era?
Selene la guardò
attentamente «Vieni da un’altra parte,
vero?» sorrise lievemente, come se
sapesse qualcosa in più «Sono quasi sicura che
sarà difficile, se non
impossibile, tornare a casa tua» storse appena le labbra e
poi aggiunse «E’ in
un altro mondo».
Melissa sbuffò «Lo so che
è lontano, dannazione! Avrei dovuto seguire meglio le
lezioni di geografia!» si
massaggiò le tempie, esasperata «Ma andiamo! Come
fate a non sapere dov’è il
Colorado! E’ in America! Conoscete l’America, no?!
Dove siamo qui, in Europa?»
I tre si guardarono ancora
confusi «America?» ripeté il biondo.
Melissa si pietrificò. Non
sapevano dove fosse l’America? Dov’era capitata?
«Te l’ho detto» riprese
Selene «E’ un altro mondo. Intendo
letteralmente».
«Cosa significa?» chiese
il moro, accigliandosi.
«Melissa viene da un altro
mondo, l’ho sentito» rispose sicura la ragazza
«L’ho percepita non appena è
arrivata nel nostro».
«Come “da un altro
mondo”?!» la interruppe Melissa «Che
diavolo significa?! Io voglio tornare a
casa mia!»
Selene sospirò «Ti ho
detto che è praticamente impossibile. Non so come sei
arrivata qui, né perché,
quindi non potrei mai mandarti indietro. E anche se lo sapessi, non
credo di
avere abbastanza potere per farlo».
Potere? Era una persona
importante o…
«Sono
una maga».
Le ci volle qualche
secondo prima di riuscire ad elaborare la notizia. Non era cosa da
tutti i
giorni avere qualcuno che dicesse tranquillamente di possedere poteri
magici.
Poi scoppiò in una risatina nervosa.
«Una maga? Divertente».
Selene fece un sorriso
sghembo «Se vuoi te lo dimostro».
Melissa ricambiò il
sorriso e incrociò le braccia al seno «Va
bene».
L’altra iniziò a fissarla
intensamente negli occhi, senza battere le palpebre nemmeno una volta
«Oggi sei
stata in un parco, ti sei addormentata vicino ad una quercia»
cominciò «E’
stato subito prima che arrivassi qui. Odi vestirti da donna, anche se
non
capisco il perché» si accigliò appena
«Eri davvero carina con quello strano
vestito nero».
Melissa arrossì di colpo.
L’unico vestito nero che aveva messo recentemente era un
tubino corto, molto
elegante. E aveva odiato ogni singolo istante passato stretta dentro
quel pezzo
di stoffa.
«Assomigli a tua madre e
sei molto brava a tirare con l’arco»
continuò imperterrita, persa dentro la
mente di Melissa «Ci sono delle cose del tuo mondo che non
riesco a capire. I
vestiti delle giovani e il comportamento della gente.
E’…sconveniente». Batté
le palpebre all’improvviso, riemergendo da quel flusso di
ricordi.
Melissa la fissava senza
parole. Allora aveva davvero
dei poteri magici.
«Hai finito di dimostrare
quanto sei brava?» chiese irritato il ragazzo moro,
risvegliando entrambe dai
loro pensieri.
«Scusate» mormorò Selene
«Ma il suo mondo è davvero…curioso. E
interessante» le fece un sorriso.
«Quindi, se ho ben capito»
cominciò il biondo « non può tornare a
casa sua. Non è il caso che venga con
noi, dunque?»
Selene gli sorrise radiosa
«E’ giusto quello che stavo pensando» poi
si voltò verso la bionda «Cosa ne
dici, Melissa? Puoi venire con noi, in fondo non conosci questo mondo,
ma
conosci noi. Ti prometto che mi impegnerò per cercare un
modo per farti tornare
indietro, a Yellowsbourg» le prese le mani e la
fissò impaziente.
Melissa si morse un
labbro. Alla luce dei fatti, forse era la scelta migliore. Ma non li
conosceva.
Non sapeva neanche il nome di quei due.
Come se le avesse letto
nel pensiero, Selene esclamò «Loro non si sono
presentati, vero? Che
incredibile mancanza!» si voltò di scatto verso i
due ragazzi, incitandoli con
lo sguardo.
Il biondo sorrise «Chiedo
scusa per il mio comportamento. Io sono Christopher» si
inchinò gentilmente e
fece un occhiolino a Selene, che ricambiò con una risatina
divertita.
Melissa posò lo sguardo
sul moro, che la stava fissando con i suoi occhi ambrati.
«E’ proprio necessario?»
lo sentì domandare annoiato.
Selene si imbronciò «Ti
vergogni a dire il tuo nome?»
Lui incrociò le braccia e
le lanciò un’occhiataccia «Intendo
ospitarla ad Harland».
«Non vorresti lasciarla
qui?» chiese Christopher alzando un sopracciglio.
«Non fare il sostenuto» lo
riprese Selene.
Lui scrollò le spalle e
rimontò a cavallo. Poi guardò giù,
fissandoli uno ad uno «Fate come volete»
disse, posando per un ultima volta lo sguardo su Melissa, prima di dare
un
colpo nei fianchi al cavallo e partire al galoppo.
Selene lasciò andare le
mani di Melissa con uno sbuffo irritato «Quel testardo!
Quando fa così proprio
non lo sopporto!»
«Non badare a lui»
consigliò Christopher alla bionda «Non va molto
d’accordo con la gente appena
conosciuta».
«Sì, lascia perdere! Dopo
che si sarà abituato a te, si comporterà
meglio!»
Melissa li ascoltò
perplessa, annuendo ogni tanto. La situazione non era ancora ben chiara
nella
sua testa, ma per il momento non voleva pensarci. Sapeva che Selene
avrebbe
cercato una soluzione al suo problema e quello le bastava.
Salì a cavallo dietro la
ragazza e partirono alla volta di Harland, seguendo il cavallo del
moro, già
diventato un puntino all’orizzonte.
«Come si chiama?» chiese
all’improvviso a Selene. Era l’unico di cui non
conosceva ancora il nome.
Lei la guardò con la coda
dell’occhio e sorrise «William».
N/A: Yellowsbourg ovviamente non esiste.