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Autore: EmmaJTurner    01/07/2024    4 recensioni
Isabel viene rapita, legata e minacciata: deve sposare Andre di Portomaggiore contro la sua volontà. Ma prima del momento più terribile, qualcuno arriverà a salvarla.
TRIGGER WARNING: tentato stupro, violenza grafica.
Genere: Angst, Dark, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Una bestia, non un mostro

Isabel viene rapita, legata e minacciata: deve sposare Andre di Portomaggiore contro la sua volontà. Ma prima del momento più terribile, qualcuno arriverà a salvarla. TRIGGER WARNING: tentato stupro, violenza grafica.

NB: questo racconto è poco più di un esercizio di stile: una scena simile era presente in un libro che stavo leggendo (non ricordo assolutamente il titolo, purtroppo) e ricordo di aver pensato che non le fosse stata resa giustizia. L’ho quindi riscritta con nuovi personaggi e nuovo setting per vedere se riuscivo a cavarne qualcosa di interessante.

Buona lettura!




 

Isabel si svegliò con un lancinante dolore allo stomaco e il desiderio bruciante di spaccare la faccia a qualcuno.

Era prona di traverso sulla sella di un cavallo, con le braccia piegate e legate dietro la schiena. Il pomo della sella le si infilzava dolorosamente nella pancia a ogni falcata del cavallo in corsa.

La sua mente annebbiata ci impiegò qualche minuto per registrare il suolo che scorreva veloce sotto gli zoccoli. Cespugli di mirtilli, felci, un sentiero battuto.  

La stavano riportando a casa.

Merda.

Analizzò la situazione. Oltre al sentiero non c’era molto altro: la sua visuale era ristretta al fianco nero del cavallo e allo stivale destro, infilato nella staffa, del cavaliere che lo montava. Lo osservò: era uno stivale di buona fattura, di pelle costosa, liscia e marrone, alto fino al ginocchio. Stivali di un nobiluomo. Il particolare che colse l’interesse di Isabel, però, fu il coltello da caccia che ci era infilato dentro.

Una possibilità. Se fosse riuscita a scivolare in avanti, forse poteva afferrarlo con i denti e poi lasciarsi cadere. E dopo? Ci avrebbe pensato in seguito, al dopo. Una cosa era certa: a casa non ci voleva tornare.

Non poteva muoversi troppo, o il cavaliere in sella si sarebbe accorto che si era svegliata. Decise quindi di approfittare della velocità del cavallo, scivolando in avanti con cautela, centimetro dopo centimetro, a ogni sobbalzo del galoppo. 

C’era quasi. Vedeva l’elsa incisa con ghirigori in argento. C’era quasi. Un altro sobbalzo e-

Un colpo violento sulla nuca. 

Tutto fu di nuovo buio.

***

Aprì gli occhi in una stanza in penombra. La luce del pomeriggio filtrava in un’unica striscia tra i pesanti tendaggi accostati alle enormi vetrate. Era sdraiata su morbidi cuscini in una camera di lusso. La camera di un palazzo. Il suo palazzo. 

Era a casa.

Si mosse per mettersi seduta, ma si accorse di essere ancora legata. Una corda le teneva le braccia tirate sopra la testa, ancorandole alla testata del letto.

“Ben svegliata”.

“Morirai male, Andre”.

Un’ombra si mosse nell’oscurità. “Non sei cambiata. Parli ancora come una villana”.

Un uomo si era alzato da una poltrona e avanzava verso di lei. 

Andre di Portomaggiore, bassovisconte dei Domini del Mare, avanzò fino ai piedi del letto. I suoi capelli biondi, di solito perfettamente in ordine, erano umidi di sudore e appiccicati alla fronte. Era lui il cavaliere che l’aveva portata lì al galoppo.

Combattendo contro le restrizioni ai polsi, Isabel si lasciò andare a un verso di frustrazione. 

“Non mi avrai mai” dichiarò.

“Mi ferisci, mia cara. Mi sono impegnato molto per trovarti, stavolta. Un vulcano attivo? Inaspettato. Complesso. È stata una trovata molto astuta, te lo concedo”.

“La tana di un cubisso sarebbe un posto migliore dove vivere che con te”.

“Non puoi scappare per sempre”.

“Lo farò, invece”.

“Siamo promessi”.

“Promessi? Quell’accordo è saltato quando-”.

“Basta, Isabel” la interruppe lui. “Questa volta è stato davvero troppo. Sono stufo di inseguirti per tutta la regione. Tu mi sposerai-”

“Mai!”.

Oggi. È tutto predisposto. Il prete sta arrivando”.

Il respiro le rimase incastrato in gola. 

“Un matrimonio con una donna legata, picchiata e sporca di sangue? Sei un mostro più infimo e bastardo di quanto pensassi, Andre”.

“Non mi hai lasciato altra scelta. Sei scappata tre volte da questo matrimonio. Tre volte in cui-”.

“Hai ucciso i miei genitori!”.

Ci fu una lunga pausa.

“Non ne hai le prove” soffiò infine il nobiluomo.

Incredula di fronte a tanta sfrontatezza, Isabel credette di implodere. “No. Non ho le prove. Questo non ti rende meno un assassino. E posso giurare sulla loro tomba che sei stato tu, brutta bestia schif-”

Uno sparo.

Andre aveva estratto la pistola dalla fondina e sparato un colpo alla testata del letto. Molto, troppo vicino ai suoi capelli neri sparsi sul cuscino.

“Se avessi imparato subito a restare al tuo posto, ragazzina, tutto questo non sarebbe successo” sibilò lui. Un ciuffo di capelli biondi gli ricadde davanti agli occhi. Aveva una luce folle nello sguardo. Era fuori di sé.

“Io…!”.

È colpa tua se sono morti. Colpa della tua incapacità di stare agli accordi. Della tua impertinenza. Sapevi che sarebbe finita così, e hai agito comunque come una piccola viziata, sprovveduta e arrogante”.

Con le labbra serrate, Isabel tremava di rabbia e respirava forte dal naso. Deglutì prima di trovare le parole.

“Sei un assassino” lo accusò a voce bassa. “Se mi obbligherai a diventare tua moglie, mi impiccherò con i resti dell’abito da sposa dopo averlo fatto a brandelli”.

Pistola in pugno, Andre si avvicinò al letto. La lama di luce che penetrava tra le tende gli tagliò il viso illuminando un occhio color acquamarina. 

“È così, eh?”. 

Il tono era basso. Spaventoso. Andre passeggiò come un predatore avanti e indietro ai piedi del letto senza mai staccarle gli occhi di dosso. Furente, ma indeciso. 

“È così? Ti ammazzeresti, piuttosto che avermi? Sei così determinata a togliermi quello che mi spetta?”.

Isabel non lo perdeva di vista. Sentiva i muscoli in fiamme, la mente all’erta.

Lui si fermò. “Meglio che approfitti dei miei diritti prima di celebrare lo sposalizio, allora”.

Un miscuglio di orrore e paura le paralizzò le membra tese. “Non oseresti…!” sfiatò.

Andre la fissò duramente. “Uno schifoso assassino. Un mostro, hai detto. È questo che pensi di me”. Rabbia cocente ribolliva sotto la superficie della sua voce. “Quindi perché non dovrei? Tra meno di un’ora sarai comunque mia, davanti alla legge e davanti a Dio”.

Si muoveva a scatti, furioso, avanti e indietro, ancora indeciso.

Isabel ingoiò il terrore. “Ti aspettano le fiamme dell’inferno. Per questo e tutto quello che hai fatto”.

Andre si bloccò. “Probabile” disse. Posò l’arma sulla cassapanca, salì sul letto in ginocchio e avanzò fino a torreggiare su di lei. “Tanto vale godersi quello che c’è prima, dunque”.

Si abbassò e la baciò a bocca aperta, oscenamente, ma subito si staccò con un grido di dolore. Aveva un labbro insanguinato. Isabel glielo aveva morso.

“Mi ucciderò!” ripeté lei, le lacrime agli occhi.

Lui si pulì il sangue con il palmo della mano.

“Potrai provarci. Ti terrò chiusa e legata qui finché non avrai un mio erede. Avrò quello che mi spetta, che tu lo voglia o no. Il principato di Dolonia vanterà la mia linea di sangue, come è stato promesso dai tuoi genitori”.

“Non osare parlare di loro, tu… tu…”. La voce scemò in un singhiozzo. Isabel prese un respiro tremante. “Tu ci hai ingannati” continuò, distrutta. “Con le tue belle parole, con i tuoi modi. Siamo caduti nel nido delle viverne e non ce ne siamo accorti”.

“Non sarebbe dovuta finire così male. Se siamo arrivati a questo punto è solo per colpa tua. I tuoi genitori sarebbero ancora vivi”.

Andre si tolse un fazzoletto dal taschino, ne fece una palla e, puntandole la pistola alla testa, glielo infilò in bocca.

“Ora vivrai con le conseguenze delle tue azioni”.

Le slacciò i pantaloni.

Isabel si contorse e urlò nel fazzoletto. Ne uscì un verso ovattato.

“Sei tu che me lo fai fare” reiterò lui, delirante.

Un colpo.

Qualcosa aveva colpito la porta. Andre, le mani sui calzoni, si voltò verso l’ingresso della camera da letto.

Un secondo colpo. Sordo, come il primo, di qualcosa che sbatteva. Seguirono urla e clamore confuso. Isabel si concesse di sperare. Stava succedendo qualcosa, al di là del muro. 

La porta, scardinata, si schiantò a terra con un botto che riecheggiò tra le pareti damascate.

Una figura incappucciata, con due daghe insanguinata in pugno, scavalcò una guardia a terra e entrò nella stanza. Il suo sguardo si posò su Isabel, legata e terrorizzata; si spostò poi su Andre, in ginocchio sul letto. Le sue dita si strinsero sull’elsa delle armi.

Impaurito, Andre indietreggiò fino a scivolare giù dal materasso. Recuperò forsennatamente la pistola e la impugnò.

La puntò verso il nuovo arrivato. “Chi sei?”. C’era del timore nella sua voce.

Isabel osservò il sangue sulle lame, osservò la guardia a terra.

La figura misteriosa non rispose. Sollevò una spada e la puntò verso il nobile in piedi.

Andre fece fuoco. Il proiettile venne deviato dalla lama dell’intruso misterioso e si conficcò da qualche parte nel buio. Con gli occhi spalancati dalla sorpresa e dalla paura, Andre non si mosse.

L’incappucciato avanzò a passi lenti.

Andre indietreggiò verso la tenda e tirò una cordicella. Risuonò uno scampanellio irreale.

“Chiama chi ti pare, Andre di Portomaggiore. Non uscirai vivo da questa stanza. Dopo quello che ho visto, avrò la tua testa su una picca e le tue palle in una brocca entro l’ora di cena”.

Quattro soldati armati di archibugio irruppero nella stanza. Andre si lanciò a terra dietro il letto. Isabel urlò un avvertimento, ma non fu necessario. Quattro colpi deflagrarono. Nessuno andò a segno.

I soldati estrassero le spade e aggredirono l’intruso tutti insieme. In un roteare di lame e schizzi di sangue, il combattimento durò meno di un minuto, dopo il quale solo la figura incappucciata era rimasta in piedi. L’aria si riempì dei gemiti orribili dei feriti.

Isabel gridò. Andre era uscito dal suo nascondiglio, l’aveva strattonata per i capelli e ora le puntava un coltello alla gola.

La figura incappucciata si girò verso di loro. Il mantello nero era sporco di sangue. Un rombo basso e pericoloso riecheggiò nella stanza. Un rombo che aveva molto, molto poco di umano.

“Non ti avvicinare” urlò Andre. La lama del coltello premette più a fondo nella mandibola di Isabel. “Oppure…!”.

“Tu non uscirai vivo da questa stanza, Portomaggiore. Lasciala andare. E renderò la tua fine meno dolorosa”.

Ogni parola venne enunciata con voce bassa e precisa. Andre fremette. Il suo respiro usciva in scatti ansiosi; i suoi occhi scandagliavano rapidi la stanza alla ricerca di vie di fuga. La minaccia stava sortendo il suo effetto.

“Perché… Perché fai questo? Chi sei? Che interessi hai qui?”.

La figura incappucciata non si mosse. 

“Liberala” disse solo.

“Possiamo raggiungere un accordo” continuò Andre. Allentò la pressione sul coltello.

Uno sbuffo, una rapida risata di gola. “L’unico accordo che io e te possiamo raggiungere è il numero di minuti in cui pregherai che io ti uccida, quando avrò iniziato con te”.

Isabel mugugnò contro il fazzoletto. Sapeva nelle ossa che quella minaccia non era una messinscena. E, capì, lo sapeva anche Andre.

“Taglia le corde. Falla venire da me”.

Silenzio.

Adesso”.

Con mano tremante l’uomo scostò il coltello dalla gola della donna e lo portò alle funi che le imprigionavano le mani sopra la testa. Segò per qualche istante. Appena l’ultimo filamento di corda venne reciso, Isabel saltò in piedi, sputò il fazzoletto e si rifugiò dietro la figura ammantata di nero.

Il forestiero parlò di nuovo. 

“Vieni qui”. La sua voce vibrava carica di aspettativa elettrica, come le nubi prima di una tempesta.

Attratto da una forza ineluttabile, Andre aggirò il letto e si fermò davanti allo sconosciuto.

“In ginocchio”.

Andre obbedì.

La lama si sollevò. Scintillò per un istante incontrando il fascio di luce che filtrava dalle tende. 

“Sai quello che hai fatto. Sai che meriteresti una fine ben peggiore di questa”.

Andre tremava. La voce parve uscirgli dalla bocca tirata fuori con le tenaglie. “Lo so” ammise.

“Apprezza la benevolenza che ti è concessa”.

In un barlume di lucidità, Andre sollevò lo sguardo. “Chi sei? Perché fai questo?”.

Ci fu un attimo di silenzio. Poi la figura misteriosa rispose: “Perché io sono una bestia, non un mostro”.

La lama calò. La testa di Andre rotolò ai piedi del letto. 

***

La figura ammantata fece un passo indietro per bilanciarsi quando Isabel le si lanciò addosso e cominciò a balbettare ringraziamenti confusi.

“Sei qui… non pensavo che saresti… ho avuto così paura…!”.

Isabel alzò lo sguardo. Il cappuccio nero era caduto indietro, rivelando un viso a lei ormai caro.

Una donna con la pelle nera, gli zigomi alti da principessa, le labbra sottili e una fiera alterigia nello sguardo che avrebbe messo a disagio il più coraggioso tra i paladini. Dai capelli intrecciati, rosso fiamma, che le ricadevano ai lati del viso, spuntavano due corna ricurve.

“Va tutto bene, bambina. Ci sono io, adesso”.

Tremante, Isabel la guardò attraverso un velo di lacrime. “Non pensavo saresti venuta” singhiozzò.

L’altra ispirò. Un rombo basso le riempì la gola. “Mi insulta il fatto che tu abbia dubitato”.

Isabel la strinse in un abbraccio, piangendo contro il suo collo. Odorava di fumo e di carbone, esattamente come ricordava.

Melkir ricambiò la stretta. “Verrei in capo al mondo per te” le disse piano. “Non dimenticarlo mai”.

Rimasero così, abbracciate strette, finché non udirono rumori in fondo al corridoio. Altre guardie stavano arrivando.

“Andiamocene. Non dovrai più rivedere questo posto, se così desideri”.

“Lo desidero”.

“E allora prendi le tue cose e filiamo. Tengo d’occhio l’ingresso”.

“Chiudi la…” Isabel lanciò un'occhiata all’ingresso e cambiò idea. “Hai divelto la porta”.

“L’entrata in scena è importante”.

“Mai quanto le frasi a effetto. Da quanto te le tenevi pronte?”.

“Da quando mi hai parlato di quello stronzo per la prima volta”.

“Un bel po’, allora”.

Si lanciarono uno sguardo che era tante cose. E avrebbe potuto esserne ancora di più.

Isabel recuperò rapida i suoi effetti personali, perlopiù lettere, ricordi e qualche abito che avrebbe potuto tornarle utile. Non aveva preso nulla con sé quando era fuggita l’ultima volta.

“Fatto?”.

“Fatto”.

“Andiamo”.

Scostate le tende, Melkir spalancò la finestra e saltò giù. Prese al volo Isabel che si lanciò con sicurezza dopo di lei.

“Torniamo all’Hokla”.

“Torniamo a casa” la corresse Isabel con un sorriso.

L’altra ricambiò. Ma Isabel fece appena in tempo a vedere lo scintillare dei denti bianchissimi al sole, che Melkir non c’era più. 

Al suo posto, un enorme drago nero spiccò il volo e, in un violento spostamento d’aria, scomparve nel cielo azzurro del pomeriggio. 

   
 
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