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Autore: NonLoSo_18    04/07/2024    3 recensioni
[SECONDO VOLUME DEL "CICLO DEGLI ELEMENTALI"]
Dall'attacco di Terrarossa, Vanyan ha capito una cosa: Borea non scherza, ed è veramente disposto a tutto per ottenere quello che vuole: vedetta contro gli Elementali. Per ottenerla, però, deve prendere qualcosa da Vanyan, solo che lui non sa cosa sia. Insieme ad Alys deve andare a Cava di Cristallo, a scoprire cosa si cela dietro le azioni dei suoi nemici, e su suo padre stesso.
Ma qualcuno trama nell'ombra, e niente è come sembra...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ciclo degli Elementali'
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Rifugio
 
Come sempre accadeva di anno in anno, ottobre stava cedendo il passo a novembre, e il freddo si faceva sentire. O almeno, questo era ciò che pensò il giovane Fireal, Vanyan Momonoi, stringendosi le spalle e rabbrividendo. Alys, che camminava di fianco a lui, non sembrava stare soffrendo poi così tanto. O forse era così perché era una Iceal, e loro evidentemente non sentivano il freddo, così come lui non sentiva il caldo.
 
Avevano lasciato Terrarossa non più di due o tre giorni prima, dopo quella simpatica discussione con le due guardie, ed essersi presi in accollo una bambina mezza Umbreal di incerte origini, molto probabilmente fonte di guai, che in quel momento dormiva portata in spalla da Vanyan stesso.
E dire che era partito con l’idea di continuare il viaggio da solo.
 
E comunque, il panorama era così maledettamente uguale a sé stesso, che sembrava non cambiare di una virgola durante il tragitto.
 
Per fortuna non avevano incontrato nessuno in giro, lì dentro.
 
Buona parte delle città del Protettorato Fireal, sorgeva alle pendici di un enorme vulcano attivo, per cui i primi tempi erano circondati da sabbie nere, e polvere, e soprattutto da un caldo innaturale per quel periodo dell’anno, che a lui non dava problemi, ma che stava letteralmente soffocando Alys, e anche Argenthea non è che se la passasse bene.
 
Avevano camminato tenendo il vulcano sulla sinistra, e Alys aveva guardato affascinata la lava che scendeva a rivoli lungo le pareti scoscese. La si vedeva ricoprire solo un fianco del vulcano, e tutto intorno sorgeva la boscaglia. Lo spettacolo, dovette ammettere, era davvero affascinante.
Ma non potevano fermarsi a guardarlo a lungo: dal terreno erompevano, di tanto in tanto, soffi di gas rovente, e molto probabilmente tossico. Non aveva molta voglia di scoprirlo da solo.
 
E quei soffi non erano l’unico problema di Van: lì in mezzo aveva visto nidi di scorpioni giganti, il che significava che i genitori non erano molto lontani.
Al solo pensiero rabbrividì: quegli affari potevano arrivare fino a dieci, quindici metri di lunghezza, buona parte dei quali andavano alla lunga coda munita di pungiglione, il cui veleno era in grado di uccidere un uomo in pochi secondi… figuriamoci una donna e una bambina.
 
Le scaglie erano resistenti come acciaio, impermeabili al fuoco, e le chele potevano spezzare un tronco d’albero in due.
Ed erano un ottimo intrattenimento per certe serate al Buco: nulla soddisfa più vecchi annoiati di un quattordicenne mandato contro uno di quei bestioni. Di guadagnare bene si guadagnava bene, ricordò Vanyan, ma ad essere onesti per come finivano spesso quelle serate, non aveva molta voglia di ripetere l’esperienza.
 
Grazie a quello, però, aveva appreso che per abbatterli bastava infilare il dito in mezzo a quelle scaglie, e sparare un getto di fuoco il più caldo possibile contro la carne nuda, ma, a dirla tutta, Vanyan non voleva vedere se ricordasse ancora come si faceva. Per il resto, bastava girare il più a largo possibile da quei nidi, e il gioco era fatto.
 
In ogni caso, non c’erano stati incidenti con quegli scorpioni giganti, e alla fine si erano lasciati alle spalle quel posto, che Alys odiava almeno più di lui.
 
E, muovendosi verso nord, era arrivato il freddo. Ma, peggio di ogni altra cosa, l’umidità.
Quella maledetta si infilava sotto la pelle, fin dentro le ossa, e non se ne andava.
Peccato che, visto il caldo di Terrarossa, non avessero pensato di prendere anche qualche abito un po’ più pesante. La maglia di Van era a manica lunga, ma dire che era troppo leggera era dire poco.
E la stramaledettissima pioggia sottile, che riusciva ad infilarsi sottopelle anche peggio dell’umidità stessa.
 
Alle sabbie scure, si era poi progressivamente sostituita l’erba, anche se per buona parte era ormai secca. Secca e alta fino alle ginocchia, per muoversi dovevano sollevare parecchio i piedi, e fare attenzione a non trovare nidi di qualche serpente in giro.
 
In tutto quel tempo, inoltre, non avevano rifugi, la tenda di Alys era stata rubata già a Città di Cenere, non c’erano altre simili nel palazzo, e non c’erano nemmeno locande. Di base avevano dovuto dormire all’addiaccio, riparandosi dalle piogge grazie al mantello impermeabile di Van tenuto su con i paletti.
 
Non che le notti fossero molto migliori, però; gli incubi non avevano abbandonato il ragazzo. Anzi, se possibile erano peggiorati: ora non solo si ritrovava a rivivere la morte di suo padre ancora e ancora, ma a questo si aggiungevano le scene che aveva vissuto durante l’attacco di Terrarossa, i corpi mutilati, i cadaveri bruciati. E riviveva i momenti della sua vergogna, di quel secondo incontro con Borea.
Solo che era tutto così maledettamente confuso. L’unica cosa che si manteneva vivida erano quei maledetti occhi azzurro ghiaccio, e quella maschera fluttuante nell’aria, che si divertivano a tormentarlo mentre dormiva, e gli ricordavano cosa fosse: un debole. Un debole che non solo non era capace di proteggere i suoi cari, ma era addirittura incapace perfino di vendicarli. Nel sonno, gli sembrava che lo deridessero, ancora e ancora.
 
Peccato per Alys e Argenthea, però: una notte aveva urlato talmente forte da far spaventare entrambe, che erano saltate su convinte che stessero per venire attaccati.
 
Alla fine, aveva acconsentito a prendere la medicina per dormire da Alys, più per evitare che le sue grida spaventassero le altre due richiamando anche qualche belva feroce, che per qualche altro motivo -anche se Alys l’aveva rassicurato, molti animali scappavano di fronte a versi del genere, e in ogni caso non era peggio del suo russare- ma tutto ciò che aveva ottenuto era stato un prolungamento del suo viaggio nel regno degli incubi.
 
Quindi ora erano lì. In quella cazzo di fredda landa desolata e dimenticata dagli eroi. Senza nemmeno un rifugio. E con un peso morto sulle spalle.
 
E, a proposito del peso morto…
 
Avevano parlato con Argenthea, nel tempo trascorso insieme. In realtà, lui ed Alys erano stati in silenzio mentre la bambina li riempiva di informazioni sulla sua vita.
Non conosceva i suoi genitori, il suo primo ricordo risaliva all’Istituto dove era stata fino all’età di cinque anni, pressappoco. Nessuno contava davvero le loro età, lì dentro. Poi quell’Istituto aveva chiuso, non si sapeva bene perché, ma probabilmente per mancanza di soldi -Il che significava che nessuno comprava gli schiavi da lì- poi ne aveva girati altri, fino all’ultimo, dalle parti di Terrarossa. Era rimasta lì fino a pochi mesi prima, quando dei tizi avevano messo tutto a ferro e fuoco e fatto scappare tutti, o almeno credeva, era tutto parecchio confuso, e Van scommetteva che erano quelli della cricca di Borea. Da allora viveva per strada, ricorrendo ad espedienti di vario genere.
Era stata fortunata ad essersela cavata fino allora, ma, continuando così, sarebbe potuta finire seriamente in brutti giri, e Van lo sapeva per esperienza. Aveva sentito al Buco che fine facevano le ragazze nei brutti giri.
 
Questo almeno eliminava il problema di avere gente alle costole che cercava di riprendersi la bambina, sempre che la sua storia fosse vera. Invece non eliminava affatto quello di capire cosa fare di lei; non potevano semplicemente portarla da Borea con loro. Si sarebbe fatta ammazzare, poco ma sicuro.
Ma nemmeno potevano lasciarla dove capitava: anche a volerla abbandonare al primo villaggio che avrebbero trovato, poteva non riuscire a trovare un posto in cui stare, e sarebbe finita di nuovo in giro senza casa.
Vanyan pensò quindi ad Angel: sua sorella non avrebbe mai rifiutato l’aiuto ad una bambina in difficoltà. Sarebbe bastato trovare un modo per mandarle una lettera, e magari chiederle di prendere Angel e…
 
… E rischiare di nuovo di incontrare sua madre, che era ciò che lui voleva evitare. Quella situazione era seriamente esasperante.
 
In ogni caso, Angel rimaneva la scelta migliore: alla prima città disponibile, avrebbe trovato il modo di mettersi in contatto con lei.
Magari riuscendo anche a non farsi seguire da Argenthea, ovviamente.
 
Viaggiarono per un tempo che gli parve interminabile in giro per stradine dimenticate pure dagli eroi, nella speranza di trovare un posto per dormire. E magari mangiare, visto che lo stomaco di Van aveva cominciato ad emettere rumori strani. Lo mettevano in imbarazzo, ma almeno gli altri due facevano finta di non notarli.
 
Poi, sul limitare del bosco, videro un rifugio. Era affacciato vicino ad un lago, anche se chiamarlo lago sarebbe stato fargli un complimento, visto che non era molto più grande di una pozzanghera, circondato dai boschi. A Vanyan piacque subito, perché gli ricordava la casa della sua infanzia.
 
E poi sembrava abbandonato, quindi sarebbe stato un ottimo posto in cui passare la notte, visto che tra le altre cose si sentivano tuoni in lontananza, che facevano presagire una tempesta autunnale.
 
Argenthea si stava svegliando in quel momento, stiracchiandosi sulle sue spalle, perciò Van la mise giù, mentre la bambina si toglieva la polvere dal vestito. Alla prima città, avrebbero dovuto assolutamente prenderle degli abiti puliti.
 
Alys creò una piccola chiave di ghiaccio, aprendo la porta del rifugio, e i tre entrarono in una stanza in penombra; quindi, Van accese una piccola fiamma sulla mano, per illuminare l’ambiente.
Come immaginava, la stanza aveva l’aspetto di un luogo rimasto chiuso per troppo tempo: dalle assi di legno si sprigionava un lieve odore di muffa, le pareti grondavano umidità e grosse macchie, e il giaciglio lungo il muro era deforme, coperto da un lenzuolo vecchio quanto le pareti, che a dormirci sopra si sarebbe potuta prendere una qualche malattia. Almeno nel camino c’era la legna, quindi potevano tenersi caldi per quella sera.
 
Il letto era abbastanza grande per due persone, peccato che loro fossero in tre. Forse però avrebbero potuto usare il sacco di tela pieno di paglia che si trovava sotto la finestra mezzo sfondata.
 
Lui andò ad occuparsi del fuoco, mentre Alys usò il ghiaccio per rinforzare quella finestra e non far passare la pioggia, che nel frattempo aveva iniziato a cadere.
Van si girò verso Argenthea: «Mi raccomando, non toccare nulla, non sappiamo se ci sono strani animali dentro» Le disse, al che lei rispose, entusiasta: «D’accordo, signore»
Van si risentì, allargando le narici: «Signore un corno! Ho a malapena diciannove anni!» Ci mancava soltanto venire derisi in quel modo dai mocciosi!
Alys, ancora intenta a sigillare la finestra, si girò verso di lui: «Sul serio?» Lui si girò, abbassando il tono di voce: «Sì… perché lo chiedi?»
«Perché compirò vent’anni tra due settimane. Sei più piccolo di me!» Lo disse come se fosse una rivelazione assurda, anche se non era nulla di che, ma qualcosa mandò Van in crisi: «E che cazzo! Nemmeno così però!» Ribatté lui, arrossendo vivacemente. Alys scoppiò a ridere, e lui la guardò interdetto: era la prima volta dal Buco che la sentiva ridere, la cosa aveva un non so che di folle. «Ma non mi dire… sei un bambino!» Rideva quasi a crepapelle «E piantala!» Gli urlò lui, ormai sull’orlo di una crisi e con le guance in fiamme, ma non bastò a fermarla.
 
Più tardi, quando fu ora di andare a dormire, realizzò di non conoscerla affatto; il che era ridicolo, visto che viaggiavano insieme da mesi, ormai.
 
… E forse era meglio così. Dopotutto, l’avrebbe portata a Cava di Cristallo, poi l’avrebbe lasciata andare via.
 
Ripensò all’incubo più ricorrente che faceva: la lama di vento di Borea che tagliava in due Alys, in piedi davanti a lui come quel giorno. E lui che non era in grado di fare nulla per salvarla.
Quell’incubo aveva superato in frequenza perfino quello della morte di suo padre. Forse perché per Alys poteva fare ancora qualcosa. E quel qualcosa era allontanarla prima che fosse troppo tardi.
 
Si era pentito dell’impulso che l’aveva spinto ad accettare la compagnia di Alys, giù a Terrarossa. Avrebbe dovuto insistere di più, farla andare via, invece di accettare così tranquillamente che venisse con lui.
E questo perché era un maledetto debole, e lo sapeva benissimo. Aveva troppa paura di affrontare di nuovo Borea da solo, e così stava trascinando qualcun altro nei suoi casini. E, peggio di tutto quello, si vergognava ad ammetterlo.
Stava prendendo strade sempre più lunghe, perché voleva maledettamente evitare di incontrarlo di nuovo.
 
Ripensò con imbarazzo -e un pizzico di disprezzo verso sé stesso, e per il modo in cui era crollato- a come Alys si fosse presa cura di lui nel dopo, quando si era trovato ridotto in quello stato pietoso e umiliante, e a come lui sapesse di aver bisogno di Alys, se fosse successo qualcosa.
 
Oltre che debole, era un egoista.
 
Dopotutto, lui era solo un pericolo per le persone che gli venivano vicino. L’aveva visto con suo padre, con sua sorella, con sua madre, e con Alys.
 
Più chiunque fosse stato lontano da lui, meglio sarebbe stato per tutti.
 
… Solo che con Alys era così maledettamente difficile.


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Angolo autrice
Ma salve a tutti, come state? Spero tutto bene di là. Noi intanto ci rivediamo con la seconda parte!
Purtroppo gli impegni in estate si moltiplicano, anziché diminuire, ergo non sono riuscita a rispettare il limite dei sette capitoli che mi ero prefissata, ma il materiale per queste settimane è pronto, soltanto che qualche volta potrò essere... discontinua, ecco. Senza troppi problemi posso dire che ci rivedremo giovedì 11 se tutto va bene, intanto fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima❤
   
 
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