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Autore: Bionik08    11/07/2024    3 recensioni
Nagoya, la solitudine. Tokyo, speranze e rimpianti. In mezzo un baratro.
È consigliato leggere prima "Il tuo respiro su di me", poiché questa shot ne rappresenta un finale alternativo che si apre al termine del capitolo n. 60, tutto quello che accadrà nei capitoli successivi sarà come se non fosse mai successo. Così ci ritroviamo avanti di un anno nel futuro e Ken Wakashimazu è a Nagoya. Chi c'è ora al suo fianco?
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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NOTA INTRODUTTIVA

Questa shot andrebbe affrontata solo dopo aver terminato la lettura della long "Il Tuo Respiro su di Me", di cui rappresenta un finale alternativo. Perlomeno arrivare al capitolo 60, da cui poi si dirama questo "what if": cosa succederebbe se, invece degli eventi successivi che si snodano dal cap. 61, Ken si limitasse a fuggire senza voltarsi indietro? Lo scopriamo un'anno dopo. Il brano che ha ispirato e accompagnato questo capitolo è Sacrifice dei London After Midnight. Credo sia il sottofondo perfetto, se avete Spotify, per affrontare le prossime righe. Buona lettura 💙








La vibrazione del telefono sul comodino svegliò Ken Wakashimazu. Aveva il sonno leggero da molto, troppo tempo, e questo si ripercuoteva sulla sua vita quotidiana, sulle sue prestazioni in campo, sulla sua mente, che stava scivolando nell'apatia giorno dopo giorno.
C'era un nuovo messaggio, era di Sawada. Rimise giù il cellulare, lo avrebbe letto più tardi, e magari nel frattempo avrebbe cercato di dormire un'altra mezz'ora visto che erano solo le 7 del mattino di un qualsiasi mercoledì di settembre.
Piovoso, tanto per cambiare.
Quel mese di merda sembrava non voler regalare nemmeno un briciolo di sole a quella cazzo di città, in perfetto accordo col suo umore.
La solitudine di quel piccolo appartamento di Nagoya gli andava stretta, avrebbe voluto dividerlo con qualcuno, uomo o donna, purché l'amasse. Avrebbe voluto fosse lui, ma molto tempo prima era stato costretto a tirarsi indietro e da allora si era negato ogni forma d'amore.
Gli era stato fatto del male e si era fatto volontariamente del male, cedendo infine il suo corpo a Wakabayashi, ogni volta con una sofferenza che gli lacerava il cuore, ma credeva di meritarselo. Aveva quasi ucciso suo padre, aveva dovuto fare una scelta e fatto soffrire Kojiro, prima ancora era toccato a Kyo, e in un barlume di onestà con sé stesso doveva ammettere che aveva lasciato un'altra vittima sul campo: Genzo. Aveva capito che, nonostante fosse consapevole del suo astio per ciò che lo aveva costretto a subire, lui lo amava sul serio nonostante tutto, ma non avrebbe mai potuto ricambiarlo. Quella maledetta notte aveva rappresentato uno spartiacque, aveva scavato un solco troppo profondo per poter essere colmato da qualcosa di più della tolleranza. E quando l'altro lo cercava, quando lo toccava, quando si faceva scopare, lui appunto lo tollerava. Il suo corpo rispondeva con gli ormoni, che agivano l'istinto, ma il resto di sé si limitava a sopportare. Perché avere qualcuno che lo cercava, che lo voleva, che lo toccava, era meglio che lasciarsi andare completamente alla deriva. Sapeva dio quante volte lo aveva desiderato... chiudere gli occhi, lasciarsi finalmente andare, non svegliarsi più.
In quel periodo Genzo era in Germania ed era arrivato a mancargli, questo gli dava l'esatta dimensione di quanto fosse vicino a toccare il fondo.
Non c'era niente per cui valesse la pena alzarsi la mattina. Odiava Genzo, odiava suo padre anche se era sopravvissuto per miracolo, odiava suo fratello anche se alla fine si era scusato, e stava iniziando ad odiare anche il calcio. Questa in realtà era l'unica cosa che lo aveva tenuto a galla in tutti quel tempo, ma poi aveva saputo un mese e mezzo prima che lui aveva accettato l'ingaggio in una squadra europea, la Juventus, in Italia. Lontano anni luce dal Giappone.
Non gliel'aveva detto di persona, forse perché non si parlavano più. Lo aveva scoperto dalla tv.
Qualcosa gli si era rotto dentro.
Una volta che fosse uscito definitivamente dalla sua orbita, non avrebbe avuto più un motivo per esistere.
Era un tipo sveglio, con un'intelligenza sopra la media, sapeva che stava scivolando verso un baratro chiamato depressione. Era solo all'inizio, poteva aiutarsi, poteva rivolgersi a qualcuno, ma l'unica cosa che voleva e riusciva concretamente a fare era continuare a farsi del male, più soffriva e più cercava di stare peggio, un circolo vizioso che lo stava distruggendo.
Lui sarebbe partito all'inizio della settimana successiva e poi il suo mondo sarebbe definitivamente crollato.



Kojiro Hyuga guardò in alto, verso le finestre del suo appartamento.
Se fosse stato coraggioso, avrebbe suonato, lo avrebbe fatto scendere, o sarebbe salito lui. E l'avrebbe costretto ad un confronto sincero, brutale se necessario. Dopo quasi quattro ore di macchina, in una giornata come quella, era il minimo. Presentarsi lì di persona, l'unico modo per non consentirgli una via di fuga.
Ma non riuscì a farlo. L'orgoglio, la paura di essere nuovamente respinto, lo bloccarono. Alla fine gli mancò il coraggio necessario.
Si attardò qualche altro minuto, ignorando la pioggia che lo aveva inzuppato, sperando che il destino conducesse Ken verso una di quelle finestre, che lo vedesse, che lo raggiungesse. Ma non accadde nulla, le finestre rimasero vuote, le tende immobili.
Voltò la schiena alla palazzina, ancora assurdamente convinto che avrebbe sentito la sua voce da dietro chiamarlo, raggiungerlo e abbracciarlo.
Salì in macchina. Nessuna voce, nessun abbraccio. Un'ultima occhiata verso l'alto e mise in moto.
Partì sgommando e la macchina slittò sul bagnato.


Ken, attraverso la finestra aperta con la serranda alzata di qualche centimetro, udì un potente stridìo di gomme.

Chi è il coglione che fa casino a quest'ora?

Si alzò, andò in bagno, si fece una doccia veloce, tornò in camera a recuperare il telefono e andò in cucina. Aveva dimenticato le serrande alzate la sera prima, che idiota. Si avvicinò e scostò una tenda, guardando prima l'orizzonte di tetti, poi in basso verso la strada. Due segni neri di gomme bruciate spiccavano sull'asfalto.
Lasciò ricadere la tenda e accese la macchina da caffè per scaldarla. Prese il telefono e aprì il messaggio di Takeshi. Non lo vedeva e non lo sentiva da secoli, era fuori da ogni chat di cui facessero parte i vecchi amici ed ex compagni di squadra. Aveva tagliato i ponti con tutti, in una sorta di autopunizione che sentiva di meritare.
Cosa c'era di così importante per contattarlo alle 7 del mattino?

S "Kojiro ha scritto nel gruppo per salutarci, ha anticipato la partenza a questa mattina alle 11,35, dice che ce lo ha scritto all'ultimo perché non voleva serate d'addio e robe del genere, in perfetto stile Hyuga. Pensavo dovessi saperlo".

Cosa significava che partiva quella mattina? Cosa cazzo significava?! Brutto imbecille, perché partiva così, all'improvviso?

A te che importa che parta oggi o martedì prossimo? Pensavi di tornare a Tokyo per salutarlo forse? Non l'avresti fatto, lo avresti lasciato partire senza una parola, senza fargli sapere la verità. Perché è un peso solo tuo, che non vuoi diventi anche il suo. Quindi cosa cambia?

"Non sono pronto a dirgli addio" disse a bassa voce, rivolto a sé stesso. Ora che la partenza di Kojiro era diventata reale, imminente, il velo che gli offuscava la mente si era squarciato all'improvviso.
"Non posso lasciarlo andare via così!" gridò alla cucina vuota, battendo il palmo della mano sul tavolo.
Guardò l'ora. Le 7,35.
Nagoya da Tokyo distava più di 300 km, poco meno di quattro ore di macchina, forse tre e mezza in moto, anche meno se tirava. Aveva entrambe in garage. Si vestì in fretta e furia, raccattando la t-shirt bianca e i jeans abbandonati sulla sedia in camera la sera prima. Infilò le sneakers senza calzini per non perdere altro tempo, prese al volo le chiavi della moto e il giubbotto di pelle dall'ingresso e scese le scale di corsa verso la fila di garage.
Pioveva ancora, non forte, quella pioggerella sottile e insistente, che ingrigiva tutto.
Partì a razzo in direzione dell'autostrada Tomei, che collegava Nagoya a Tokyo passando attraverso la costa del Pacifico.

"Non osare andartene senza prima avermi detto addio, stronzo"


Kojiro stava percorrendo la Tomei da mezz'ora, si era sobbarcato quasi quattro ore d'auto in piena notte, con la convinzione che avrebbe avuto le palle per affrontarlo. Non le aveva avute. E ora altre quattro ore per il rientro, con la pioggia che non accennava a diminuire, anzi gli sembrò si stesse intensificando.
Dopo otto inutili ore d'auto, il viaggio in aereo per l'Italia lo avrebbe ucciso. Per fortuna avrebbe avuto tre giorni di totale riposo prima di affrontare le visite mediche con la nuova società, la conferenza stampa e tutti gli eventi pubblicitari che giravano intorno.
Accese la radio, si inserì in automatico la chiavetta usb che aveva ascoltato all'andata, era rimasto in memoria il brano Sacrifice di London After Midnight, che gli aveva passato Ken tanto tempo prima, prima che... Scosse la testa, basta, era acqua passata, lui si era fidanzato con Maki ufficialmente, lei lo avrebbe presto raggiunto in Italia. Voleva solo dirgli addio guardandolo negli occhi, ma era stato un codardo.

No, tu volevi delle spiegazioni. E se te le avesse date? Avresti rinunciato al tuo sogno europeo per rimanere qui con lui? O avresti lasciato Maki, per intrattenere una relazione a distanza col tuo bel portiere? Forse è un bene che non vi siate visti.

Rimandò indietro il brano, lasciò che fosse il sottofondo dello sconforto che provava in quel momento. Alzò il piede dall'accelleratore, cominciavano ad esserci pozzanghere piuttosto estese, c'era il rischio di un'aquaplaning.
Dopo qualche minuto gli sfrecciò accanto un moticlista su una Kawasaki Ninja H2 che andava a una velocità folle e che sparì quasi subito dalla sua vista. A parte la splendida moto, non aveva potuto notare altro.

È un pazzo, dove crede di andare? Finirà dritto all'altro mondo se procede a quella velocità. Idiota.

Passò una mezz'ora, quando il traffico rallentò all'improvviso. Si ritrovò a marciare a passo d'uomo, mentre in lontananza operatori stradali in tute fluorescenti, con dei fumogeni, deviavano il traffico in una sola corsia, per dar modo ai soccorritori di agire sfruttando lo spazio necessario. Quando arrivò all'altezza dell'incidente, vide a terra la Kawasaki Ninja. Il corpo del motociclista era nascosto da due sanitari che sorreggevano un telo bianco, per nascondere le operazioni di soccorso agli automobilisti che transitavano a fianco.
Kojiro fu scosso da un brivido che lo attraversò come una scarica per fermarsi allo stomaco, che gli si contrasse al punto che gli uscì un gemito di dolore.
Proseguì scosso, senza capire il perché di quella violenta reazione. Ne aveva visti altri di sinistri, non ne era rimasto mai troppo toccato e quello poi se l'era davvero cercata.
Quando il traffico tornò a scorrere, con la pioggia che stava via via esaurendosi, accelerò per recuperare il tempo perduto. Arrivato a Tokyo, era stravolto dalla stanchezza e non pensava già più all'incidente.
Lasciò la macchina in aeroporto, Sorimachi e Sawada gli avrebbero fatto il favore di riportarla nel garage di casa sua, aveva lasciato loro la copia di entrambe le chiavi, ma aveva chiesto loro di aspettare che fosse partito. Niente addii.
Quando si diresse al Terminal, la speranza di vederlo lì venne sopraffatta da un'opprimente sensazione d'angoscia. Non riusciva a spiegarselo ma lo stomaco si contrasse di nuovo, mandandogli ancora una volta una sensazione dolorosa.
Pensò a una gastrite da stress.

All'ospedale di Hamamatsu, era arrivata la famiglia Wakashimazu al completo, avvisata dalla polizia. Attendevano in sala d'aspetto, piangevano tutti, sua madre, suo padre, Kyoko. Shin stringeva i pugni a labbra serrate, lui non voleva cedere, sarebbe stato come arrendersi all'inevitabile.
Arrivò un medico che chiamò il loro cognome, li portò in una saletta vuota.
Pronunciò alcune parole.
Venne interrotto da Wakashimazu-san, che gridò qualcosa. Il medico scosse la testa, disse ancora qualcosa a testa china, con gli occhi sulla cartella clinica.
Alla madre cedettero le gambe, si accasciò a terra, piangendo. Kyoko le si inginocchiò accanto, abbracciandola.


Kojiro guardò in basso, vedeva solo una distesa di nuvole e sopra di esse il sole, quello che non voleva saperne di fare capolino al di sotto per regalare un'illusione di serenità. 
Senti una grande tristezza invadergli il petto.
Gli venne voglia di piangere e, senza nemmeno rendersene conto, una lacrima scivolò giù per la guancia.
Non la fermò, non fermò nemmeno le altre.
Le nuvole divennero cristalli lucenti.


























  
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