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Autore: Ghost Writer TNCS    20/07/2024    0 recensioni
Il racconto conclusivo del primo arco narrativo. Questa storia prosegue gli eventi di Eresia, La frontiera perduta e La progenie infernale.
È giunto il momento della resa dei conti. Ma quello che si prospetta all’orizzonte è un conflitto ben più grande di Tenko, di D’Jagger, e degli dei stessi.
Lasciato Raémia, le due fazioni si riuniranno con i rispettivi alleati, ma per tutti loro molte cose sono cambiate, e i loro obiettivi potrebbero non coincidere più.
Per qualcuno sarà la fine, per altri un nuovo inizio, una cosa è certa: nessuna fazione può dirsi davvero unita. Tra interessi personali e ideali opposti, le divergenze interne potrebbero determinare l’esito degli scontri più ancora della forza dei nemici.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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24. Il tempo degli dei

Il sole splendeva alto nel cielo, c’era una leggerissima brezza e la temperatura era ideale. Non potevano esserci condizioni migliori per celebrare il trionfale ritorno degli dei a Shakdàn.

La cerimonia era stata organizzata nell’enorme anfiteatro della città. Durante il summit il suo ampio spiazzo era stato sfruttato come base di atterraggio aggiuntiva per i draghidi, adesso invece era tornato alla sua funzione originale, e gli spalti erano gremiti di migliaia di persone: praticamente l’intera città si era radunata lì. Chi per sincera devozione verso gli dei, chi per ricevere la generosa ricompensa in denaro, e chi per il fondato timore che un’assenza avrebbe avuto ripercussioni spiacevoli sulla sua incolumità.

Al centro dell’anfiteatro erano già stati riuniti i ribelli che avevano osato tradire gli dei: quasi trecento persone. La maggior parte era stata arrestata proprio a Shakdàn, altri invece erano stati portati dai centri abitati vicini. Erano tutti incatenati, e come se non bastasse intorno a loro svettavano i terrificanti giganti al servizio degli dei. Erano dodici in totale: quattro erano protetti da una durissima armatura, tre erano ricoperti di fiamme, tre erano avvolti dai fulmini, uno aveva dei tozzi avambracci pieni di acido, e l’ultimo aveva un lungo braccio cavo utilizzabile come un cannone.

Nell’ampia tribuna d’onore, fino a quel momento vuota, cominciò a intravedersi del movimento: alcuni inquisitori erano apparsi, e tanto bastò a destare l’entusiasmo del pubblico. Gli applausi e le urla divennero scroscianti ovazioni appena gli dei stessi fecero la loro apparsa, fieri, solenni, maestosi. Perfino le persone più scettiche non poterono fare a meno di sentire un brivido di riverenza appena capirono di essere al cospetto delle sette divinità.

Gli dei risposero a quella manifestazione di devozione ostentando saluti misurati e sorrisi compiaciuti, beandosi del potere che stavano ricevendo da quel sontuoso raduno di fedeli.

«Negli ultimi mesi abbiamo voluto mettere alla prova la vostra lealtà» esordì Huitzilopochtli. Calò uno sguardo di sufficienza sui prigionieri nell’arena. «Alcuni di voi si sono fatti irretire dalle false promesse di alcuni folli che ambiscono a soggiogare il mondo,» allargò le braccia per rivolgersi alla folla sugli spalti, «voi, invece, avete dimostrato integrità e lungimiranza, e per questo sarete ricompensati!»

Di nuovo la folla si sollevò in un’ovazione.

«Questo è l’inizio di una nuova era!» esclamò Horus. «Alcuni dei hanno deciso di abbandonarvi, ma dopo una lunga e dolorosa riflessione, noi sette abbiamo deciso di farci carico del vostro futuro. Un futuro di prosperità e benessere come non potete nemmeno immaginare!»

L’autorevolezza del dio contagiò in un lampo l’intero anfiteatro, che scoppiò in un altro boato di gioia, ammirazione e riconoscenza. L’euforia era tale che l’enorme struttura parve tremare.

«Per celebrare questo nuovo inizio, è necessario lasciare indietro gli errori del passato» dichiarò Nergal. «E il primo passo per-»

Il dio della morte non riuscì a finire la frase perché ci fu un’altra scossa, e questa volta non poteva essere stata causata dalla folla in religioso silenzio. Le oscillazioni continuarono, leggere ma chiaramente percettibili, finché un gorgoglio sommesso cominciò a diffondersi dal centro dell’arena.

Il rumore divenne un fragore di rocce frantumate e terra scavata. I prigionieri nell’arena, capendo che qualcosa stava arrivando, si allontanarono per quanto potevano. Il punto dell’arena lasciato vuoto si sollevò come una bolla e scoppiò. Una sagoma mostruosa emerse dal buco: un enorme verme dotato di fauci così grandi e robuste da frantumare anche la pietra più dura.

Nell’arena, così come sugli spalti, si diffusero le prime grida di terrore, ma queste si fermarono appena il mostro si dissolse nel nulla, lasciando dietro di sé una specie di cunicolo. Fu proprio da quel cunicolo che emerse un orco muscoloso ma non particolarmente alto, forse un minatore a giudicare dai suoi vestiti. E non era solo: altri arrivarono dopo di lui, soprattutto orchi, ma c’erano anche alcuni semiumani. Persephone era tra questi, e subito evocò una grande cupola per isolare i prigionieri dai giganti e dal resto dell’arena.

«Presto! Nel cunicolo!» esclamò l’orco minatore.

Il verme gigante che aveva scavato la galleria era il suo spirito guida, materializzato grazie agli insegnamenti di Zabar. Il suo aiuto era stato fondamentale per creare una via di fuga per i prigionieri, e questi si affrettarono a sfruttarla.

L’arrivo della squadra di soccorso era anche il segnale che gli infiltrati stavano aspettando: in vari punti degli spalti diverse persone si alzarono e cominciarono a scagliare incantesimi dalle loro bacchette contro i giganti. Una manciata di loro evocò anche il proprio spirito guida e diverse fiere si unirono alla battaglia. Una di queste era il grifone del fulmine di Leonidas, un draghide di taglia media capace di assorbire e rilasciare elettricità a piacimento.

Appena il semiumano vide uno dei giganti di fulmini caricare un attacco, fece virare il suo spirito guida per intercettarlo. Le saette vennero raccolte dalle ali del suo grifone come se fosse un parafulmine, a quel punto Leonidas raccolse l’energia dal dorso della sua cavalcatura e la concentrò nella freccia che stava tendendo.

Stando alle istruzioni di Sigurd, i bersagli migliori contro cui scatenare quella carica elettrica erano i giganti corazzati, la cui armatura non li avrebbe protetti da un simile attacco.

Il semiumano scagliò il dardo e la punta di metallo rimbalzò sulla spessa placca del colosso, ma tanto bastò a folgorare il nemico. L’essere lanciò un gutturale grido di sofferenza, a cui fecero eco quelli dei giganti colpiti dagli altri ribelli.

Capendo che la situazione stava degenerando, le persone sugli spalti cominciarono ad accalcarsi verso le uscite, alla disperata ricerca di una via di fuga.

In mezzo a tutto quel caos, un minaccioso drago d’ossa apparve in cima all’anello più alto dell’edificio. Lanciò un ruggito fragoroso e planò delicatamente sopra la barriera di Persephone, catturando l’attenzione di tutti.

«Questa ridicola buffonata sarà il vostro ultimo sbaglio!» esclamò Havard, e la sua voce risuonò imperiosa in tutto l’anfiteatro. «Il tempo degli dei è finito! Voi siete finiti!» Puntò il suo bastone d’ossa verso la tribuna d’onore. «Arrendetevi, o morite!»

Le divinità, sorprese da quella dichiarazione così arrogante, ci misero qualche secondo per reagire, così come gli inquisitori incaricati della loro sicurezza. In quei pochi istanti di esitazione, Tenko apparve proprio davanti agli dei con i Nervi Taglienti già in posizione. Mosse le braccia e le fruste metalliche sgozzarono due inquisitori senza che nemmeno si accorgessero di lei.

Dagli spalti arrivarono due dragonidi – le guardie del corpo personali del rappresentante sauriano – che uccisero sul colpo altrettanti inquisitori, nello stesso momento una coppia di umani mezzidemoni perfettamente identici si occupò di quelli sul lato opposto. Gli ultimi due inquisitori vennero eliminati da Sigurd con un paio di fendenti di Balmung.

In pochi istanti gli dei si erano ritrovati circondati e completamente privi di protezione. Perfino i giganti erano troppo impegnati a respingere gli attacchi dei ribelli per intervenire.

Prima che le divinità potessero reagire, gli aggressori lanciarono delle reti anti-magia per bloccare i loro poteri.

«Siete degli stolti se pensate che questo possa fermarci!» tuonò Maahes, il dio della guerra dalla testa di leone. A riprova di ciò, afferrò le robuste maglie di metallo e le spezzò senza fatica.

Tenko nel frattempo era già tornata nella dimensione spettrale. Balzò alle spalle degli dei e sguainò la spada magica che aveva ricevuto il giorno prima. Quella era una delle armi sviluppate dai fabbri-alchimisti di Havard in collaborazione con alcuni specialisti sauriani; lo stesso rappresentante dei rettili aveva generosamente sovvenzionato il progetto grazie al suo immenso patrimonio.

Come da raccomandazione, la demone stava indossando un guanto speciale per non toccare direttamente l’arma, eppure riusciva comunque ad avvertire l’aura nefasta che emanava. Al momento della consegna tutti quelli con un minimo di sensibilità magica avevano percepito la medesima sgradevole sensazione, ma avevano accettato comunque di usare quelle armi perché sapevano che erano la loro migliore – e forse unica – risorsa contro gli dei.

Tenko riapparve alle spalle di Horus – già liberatosi dalla rete – e si lanciò in un affondo. Il dio falco indossava solo una leggera veste cerimoniale, ciononostante la demone infuse tutta la sua aura carica di rabbia nella spada ammazza-dei. Il primo a insegnarle quella tecnica era stato Clodius, l’aveva raffinata insieme a Sigurd, e ora riusciva a potenziarla ulteriormente grazie al veleno della soffiamorte.

La punta aguzza raggiunse la pelle marrone ramato del dio, eppure la lama non voleva saperne di penetrare la carne.

«Schifoso mortale!» inveì Horus. Scatenò la sua aura solare e la demone venne sbalzata indietro.

Il dio si voltò e la sua testa da uccello rivelò tutto il suo disgusto. «Ancora tu!» Sparò un raggio di luce e Tenko dovette diventare uno spettro per non venire disintegrata, come invece accadde alla parete dietro di lei. «Nasconditi quanto vuoi! Questa volta mi assicurerò che tu muoia!»

Anche gli altri dei non rimasero a guardare: Huitzilopochtli si sollevò in aria e cominciò a sua volta a caricare la sua aura solare, Tezcatlipoca prese il suo specchio per sprigionare fumo velenoso e allontanare i ribelli dalla tribuna d’onore, Susanoo invece raccolse delle nuvole scure sopra l’anfiteatro.

Leonidas, che ben conosceva i poteri del dio delle tempeste, riconobbe subito dei piccoli lampi insieme alla pioggia. Un poderoso fulmine squarciò l’aria, diretto verso Havard, ma il semiumano lo intercettò con il suo grifone. La fiera – che pure era specializzata nell’assorbire l’elettricità – lanciò un grido acuto, di sorpresa e sofferenza, causato dalla straordinaria potenza di quel fulmine. Tuttavia, nonostante il dolore, la determinazione che condivideva con Leonidas le consentì di trasferire tutta quell’energia al suo proprietario, che a sua volta la face fluire nella sua freccia.

Il grifone cominciò a precipitare e lo stesso semiumano sentì le forze che lo abbandonavano. Con la vista già annebbiata, prese la mira e scoccò. Il proiettile divenne un fulmine a sua volta, distrusse l’arco di Leonidas e raggiunse uno dei giganti corazzati. L’impatto scatenò una fragorosa esplosione che disintegrò la freccia e sbilanciò il gigante, a cui seguì una devastante scarica elettrica. Questa volta il gigante non gridò. Semplicemente continuò a piegarsi in avanti fino a che non si schiantò sugli spalti di fronte a lui. E lì rimase, scosso solo da alcuni spasmi involontari, finché dopo alcuni lunghi secondi non svanì nel nulla. Al suo posto rimase un sauriano vestito da guardia, che a sua volta venne carbonizzato da un’esplosione per evitare che venisse catturato.

Quella che doveva essere una prova di forza degli dei, sortì invece l’effetto contrario, e galvanizzò ancora di più i ribelli che stavano combattendo i giganti.

Al contrario, i guerrieri incaricati di misurarsi con le divinità avvertirono un brivido di paura davanti a quella manifestazione di potenza. Sapevano fin dall’inizio che il loro era un compito quasi impossibile, ma adesso le loro chance di vittoria sembravano ancora più ridotte.

Forse erano stati davvero troppo arroganti a volerli affrontare in modo così diretto.

L’unica che nemmeno per un istante venne turbata da simili pensieri fu Tenko. Non era riuscita ad affondare la spada magica nel corpo del dio falco e in risposta questi l’aveva quasi carbonizzata, eppure la demone riusciva solo a vedere la piccola macchia di sangue sulla punta della sua lama.

Se poteva ferire un dio, poteva anche ucciderlo.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Dopo diversi capitoli di preparazione, eccoci finalmente allo scontro decisivo O.O

I ribelli sono riusciti a eliminare gli inquisitori e addirittura a mettere all’angolo i giganti, quindi ora gli dei stessi sono costretti a combattere in prima persona. Ma questo non vuol dire che i ribelli possono dirsi in vantaggio, anzi: la battaglia sembra più in bilico che mai.

Il tempo degli dei è davvero finito?

Grazie mille per aver letto e a presto ^.^

   
 
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