La comparsa di quel forestiero aveva causato nuova agitazione nella sala. Il momento di panico di prima si era placato, ma non altrettanto i sussurri nervosi della gente.
Tessa non sapeva come descrivere il tumulto di emozioni che sentiva nel petto, in lotta perpetua l’una con l’altra: era stupita, preoccupata ma anche, stranamente, incuriosita da quel giovane. Lui continuava a dare le spalle alla folla, mentre attendeva in silenzio che qualcuno dicesse qualcosa; eppure, nonostante la calma apparente, si guardava intorno con nervosismo, come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro. Solo quando i suoi occhi si posavano sul suo volto sembrava rasserenarsi per qualche secondo.
“Bran...” si ripeté nella testa la ragazza. Non aveva mai udito un nome simile, così breve e, allo stesso tempo, così musicale alle sue orecchie. Un nome straniero, in una lingua a lei sconosciuta.
“Cos’altro hai in serbo per me?”
«Bugiardo!»
Una voce stridula, che apparteneva a un cardinale dalla pelle incartapecorita, si alzò dal pubblico. Il vecchio avanzò in prima fila, mentre puntava un dito accusatore: «Quel covo di demoni non esiste più da duecento anni! Con quale coraggio vi dichiarate discendente di quei pagani!»
Tessa vide una specie di lampo risplendere per un attimo negli occhi del giovane; quest’ultimo squadrò il vecchio chierico e, nonostante la rabbia, mantenne la calma. Si sfilò un anello d’oro dalla mano destra e lo alzò sopra la testa, in modo che tutti potessero vedere: «Questo anello apparteneva a mio padre e ha inciso lo stemma di Kerdarach. Fatelo pure esaminare dai vostri storici, se non mi credete.»
«E se fosse un falso?» chiese Ferdinando, con una nota di superiorità. Bran lo guardò di sbieco: «Allora posso dire che il fuoco brucia, che l’acqua è trasparente e che voi avete due occhi, e mi dareste del bugiardo a prescindere». Tessa nascose un sorrisetto dietro la mano, notando il volto paonazzo del marchese dopo quella risposta.
Giulio avanzò con fare aggressivo: «Siete soltanto un millantatore! Vile pagano!» lo accusò, sfilando un pugnale da dietro la schiena.
Ruggero e Ludovico scattarono in piedi contemporaneamente, allarmati da ciò che voleva fare: «Barone, fermatevi immediatamente!» tuonò il re, ma il colpo era già partito.
Il tempo sembrò rallentare mentre Tessa assisteva a qualcosa di incredibile: il pugnale di Giulio si avvicinava pericolosamente al petto del sedicente re, che con un movimento rapido della mano creò una specie di disco di luce violacea davanti a sé. Il barone colpì quella strana barriera e venne sbalzato all’indietro di una decina di passi, frastornato dal contraccolpo.
«Non fatemi perdere tempo» sibilò Bran, guardando con ansia la clessidra, ormai svuotata della metà.
Tessa sobbalzò, sconvolta dalla piega che stava prendendo la sua prova. La reazione di Giulio le era sembrata fin troppo esagerata, ma nei suoi occhi c’era ancora la luce della barriera magica. E fu in quel momento che si girò verso suo padre e udì qualcosa che non aveva mai sentito prima.
«Stregone. Lo sapevo...» ringhiò, come se la parola che aveva appena pronunciato fosse un insulto.
La folla tacque, trattenendo sussulti sconcertati. Bran dissipò la sua barriera, ormai certo che nessun altro avrebbe tentato di aggredirlo e si girò verso il re, sostenendo il suo sguardo di fuoco. Ruggero fece qualche passo verso di lui, sovrastandolo grazie ai gradini su cui erano posizionati i troni: «Dopo quello che ci avete fatto, come osa uno della tua razza presentarsi davanti a me.»
Tessa osservò Bran assumere un’espressione turbata, come se fosse stato colto alla sprovvista, tanto che indietreggiò di un passo. Diede un’altra occhiata alla clessidra, poi rispose al re: «Non ho niente a che fare con qualsiasi cosa vi sia successa. Se ragionaste così per ogni crimine commesso, l’umanità si sarebbe già estinta da secoli.»
«Non vi azzardate a parlarmi così!» tuonò, facendo ammutolire la folla.
La principessa guardò con apprensione la battaglia di sguardi tra i due uomini, mentre il suo cervello tentava di capire perché suo padre fosse così furioso. Istintivamente si girò verso la madre, notando la sua agitazione e la foga con cui stringeva l’onice sul dito medio.
Suo padre, intanto, continuava a inveire contro il giovane: «La vostra è una stirpe dannata. Andatevene, prima che vi faccia arrestare» minacciò.
Un altro lampo, più violento, attraversò le iridi argentee di Bran. Guardò con rabbia il re, e la voce gli tremò appena mentre faceva valere le sue ragioni: «Non ho fatto nulla di illegale! Non sono il vincitore che speravate per vostra figlia? Non è colpa mia. Non potete cambiare il risultato solo perché non è di vostro gradimento!»
Ruggero lo guardò con sdegno, ma fu costretto a calmarsi. Tessa non riusciva ancora a capire il perché di tanto odio, ma le parole del giovane avevano costretto l’uomo a placare la sua furia al fine di non apparire un re egoista e ingiusto.
«Che cosa volete, stregone?» domandò con stizza.
Bran alzò il mento, sostenendo lo sguardo del re: «Lo sapete meglio di me cosa succede una volta che la prova è stata vinta». Il volto di Caterina impallidì, mentre quello di Ruggero assunse una pericolosa tonalità purpurea.
Bran ignorò il re, spostando la sua attenzione sulla giovane principessa: «Vostra Altezza, verrò a prendervi fra tre giorni» disse con gentilezza, stonando completamente con l’atmosfera incandescente di poco prima.
«No!»
Un singulto disperato, carico di paura, uscì dalle labbra di Caterina. Lacrime copiose le scendevano lungo le guance, mentre guardava la figlia.
Tessa non riusciva a capire: perché disperarsi così? Sembrava quasi che, invece di un fidanzamento, avesse assistito alla sua condanna a morte. Si alzò dal trono, incurante dei mormorii degli ospiti, e andò ad abbracciarla, nascondendole il volto piangente da ulteriori critiche e sussurrandole parole di conforto, in uno strano scambio di ruoli tra madre e figlia.
Voltò appena la testa, notando le espressioni di tristezza sui volti di Ludovico e Isabella; anche suo padre placò la sua ira, vedendo le condizioni della moglie. E poi guardò Bran dritto negli occhi, e vi trovò compassione.
Il giovane schiuse appena le labbra, mimando un muto “Mi dispiace”, ma in quel momento la clessidra emise un’inquietante luce rossastra e una nuova scia di fumo cominciò ad avvolgere lo stregone. Guardò con urgenza la ragazza, mostrandole tre dita per ricordarle il loro futuro incontro; fu l’ultima cosa che lei vide, prima che venisse avvolto dal vapore denso e, una volta dissipato, ricomparisse in forma di corvo.
Non appena il fumo scomparve del tutto, i quattro candidati si buttarono sull'uccello nel tentativo di catturarlo, come se si fossero messi d’accordo nel frattempo.
Raimondo si buttò di pancia, come se avesse voluto schiacciarlo, ma Bran si accorse in tempo e riuscì a fuggirgli, per finire tra le mani di Ferdinando. Il marchese stava già per sorridere trionfante, invece il suo viso si riempì d’orrore non appena vide che il corvo stava mutando in un serpente nero. Lo lasciò cadere, terrorizzato, e Bran cambiò nuovamente aspetto in un gatto dal pelo scuro, scappando verso la folla in preda al panico. Giulio ed Enrico lo inseguirono, ma lo stregone saltò su un tavolo e ancora verso l’alto, dove prese le sembianze di un gufo dalle piume color della notte e scappò, infine, da una finestra aperta.
La sala del trono era ormai un insieme di strepiti, urla e discussioni, e sia Ruggero che Ludovico stavano tentando di calmare i presenti. Ancora abbracciata alla madre, Tessa rimase ammutolita dalla piega che aveva preso la serata, ancora sconvolta da ciò che era appena successo. Sperò che fosse solo un sogno bizzarro, ma la clessidra ai suoi piedi le confermò che era tutto dannatamente reale.
*****
La mattina seguente il castello si svegliò in un’atmosfera surreale: le luci, la musica, l’allegria erano completamente scomparse, sostituite da una sensazione di tragica ineluttabilità.
Il re aveva convocato tutto il suo gabinetto per una riunione d’emergenza per decidere come affrontare la situazione. Caterina si era rifugiata nella sua camera in compagnia della nuora, che si era offerta di farle compagnia nel tentativo di farle dimenticare la sera prima. Tessa era insieme a Ludovico nella sartoria reale, ancora scossa dagli eventi appena trascorsi, incapace di rispondere alle domande del sarto: l’ultimo atto, prima della sua partenza, era prendere le misure per l’abito da sposa.
«Dunque... congratulazioni per il tuo fidanzamento» disse il fratello, con una nota di sarcasmo. La ragazza chiuse gli occhi, preferendo non rispondere. Ricordava ancora la rabbia di suo padre, non appena l’ultimo ospite se ne fu andato, quando le aveva finalmente rivelato il motivo di tanto astio: anni addietro, in quel tragico giorno, il primogenito Ferruccio era stato ucciso da una strega in forma di lupo.
«Ricordo quando lo trovai, con la gola squarciata. E quella vecchia era accanto al suo corpo, con i denti ancora sporchi del suo sangue, prima di mutare in lupo bianco e fuggire» le aveva detto, con la voce tremante di dolore.
Quella rivelazione l’aveva turbata profondamente, visto che non ricordava quasi nulla di quell’episodio. Ai tempi i medici le avevano detto che era un “meccanismo di difesa” del suo corpo a fronte di un evento traumatico, mentre le sue notti venivano tormentate da frammenti di memoria. Con il passare degli anni quella ferita sembrava essere guarita, ma Tessa sapeva che nella parte più profonda della sua mente doveva esserci ancora qualcosa; qualcosa che non poteva, o non voleva, rivivere.
«Vostra Altezza, dovreste dirmi quale modello preferite e quale stoffa utilizzare» chiese il sarto con garbo, ben conoscendo lo stato d’animo della ragazza. Tessa osservò senza interesse i bozzetti davanti a sé e i campioni di stoffa. Scosse la testa, abbozzando un sorriso: «Mi conoscete da anni, Mastro Sebastiano. Sono certa che saprete scegliere meglio di me» rispose. Gli occhi dell’uomo, di un brillante verde smeraldo, scintillarono d’entusiasmo, e cominciò a discutere fitto fitto con le sue assistenti, mentre stoffe, ricami e matite svolazzavano intorno a lui come a mimare il processo creativo in corso nella sua testa.
Un paio di colpi alla porta attirò l’attenzione dei due fratelli e, dopo che Tessa si fu rivestita, Baldassarre entrò e li salutò con un breve inchino.
«Devo chiedervi un favore» disse, usando per l’occasione un linguaggio meno formale. Estrasse da una tasca del farsetto la clessidra magica di Bran e la rimirò per un breve istante: «Tra poco ci sarà la riunione con vostro padre e gli altri ministri. Potreste cercare qualche informazione su questo manufatto in biblioteca, nel frattempo?»
I due fratelli accettarono e, dopo aver salutato l’uomo, presero la strada per la biblioteca reale.
Quella era una delle sale preferite di Tessa: file e file di scaffali alti fino al soffitto, che si snodavano per numerosi corridoi. Il profumo del legno e dei libri si mischiava a quello di alcuni fiori sistemati sui tavoli, mentre le finestre ampie e le pareti di colore chiaro riempivano di luce l’ambiente.
Al contrario di lei, Ludovico sbuffò, pensando alla noia di quel compito. La principessa sorrise, poi i due s’incamminarono verso una scrivania occupata interamente da libri messi uno sull’altro in equilibrio precario.
«Madama Mengarda?» chiamò Tessa.
Rimasero in attesa per qualche secondo, poi udirono una voce provenire da uno dei corridoi: «Arrivo!»
Svolazzando senza indugio, una donna sui quarant’anni si precipitò alla scrivania. Raddrizzò i grandi occhiali tondi, stortatisi durante il tragitto, e si portò dietro le spalle i folti capelli ricci. Si stirò le maniche a sbuffo dell’abito variopinto e infine si sedette di peso sulla poltrona: «A cosa devo la vostra presenza?» chiese con un largo sorriso, mentre gli occhi color rosa pallido brillavano d’eccitazione.
Le mostrarono la clessidra e le spiegarono in breve da dove fosse arrivata. Mengarda ascoltò con attenzione, poi drizzò le orecchie: «Vi siete fidanzata? C'è già stata la prova?»
I fratelli rimasero perplessi. «Non lo sapevate? Ma se c’è stato un via vai di gente per giorni!» esclamò Ludovico.
La bibliotecaria si portò una mano al mento, pensierosa: «Adesso capisco chi fossero quei ficcanaso sconosciuti... E chi è stato il fortunato a vincere la vostra mano?»
Tessa sospirò, raccontandole dello strano corvo e della sua vera identità.
«Uno stregone? Ohibò, non se ne vedono tanti in giro! Spero almeno che fosse carino» commentò la donna con nonchalance. Ludovico si sbatté una mano sul volto, esasperato, mentre Tessa nascose il volto dall’imbarazzo.
Ormai spazientito, Ludovico prese la clessidra e la piazzò di fronte alla maga: «È diventato umano per breve tempo grazie a questa. Potete darci un’occhiata?»
Incuriosita, Mengarda afferrò una complicata lente d’ingrandimento e il manufatto e cominciò a osservarlo da tutti i lati, parlottando fra sé e sé: si sentì un borbottio, un “Affascinante”, qualche mugugno, finché non l’appoggiò sull’unico angolo ancora libero della scrivania.
Si sistemò di nuovo gli occhiali, ma adesso sul suo volto stava un’espressione seria: «Avete detto che è diventato umano nell’intervallo di tempo della clessidra? Strano, molto strano.»
«Perché?» chiesero in coro i fratelli.
La bibliotecaria fece loro un cenno con la testa, portandoli in una saletta da lettura con delle poltrone e un tavolino. Li invitò a sedersi e prese da un mobiletto alcuni biscotti e delle tazze, poi riempì una teiera con delle foglie e la scaldò con alcune fiammelle rosa. Con un movimento della mano versò l’infuso nelle tazze e le fece planare con grazia davanti ai due giovani.
Una volta sedutasi, Mengarda spiegò: «Dovete sapere che la differenza tra i classici maghi e i cosiddetti streghe e stregoni è l’abilità di questi ultimi di mutare forma in un animale. Perché possono farlo? Non si sa, semplicemente ci si nasce, un po’ come il mancinismo. Comunque, questa trasformazione viene padroneggiata durante i primi anni dalla sua scoperta, per poi diventare un qualcosa di assolutamente normale. La mia domanda è: perché questo giovane ha dovuto inventarsi un tale marchingegno?» terminò, portando la clessidra al centro del tavolino. Finì di bere la tisana e prese tra le mani l’oggetto, notando un piccolo stemma inciso sul fondo. Tessa osservò il segno, accorgendosi che era uguale all’anello che Bran aveva mostrato al pubblico per provare la sua identità: tre querce sovrastanti una fortezza, sotto alla quale si trovavano due spade incrociate.
«Non è possibile, non è assolutamente possibile...» borbottò Mengarda, che scattò in piedi e richiamò con la magia alcuni libri di storia.
«Che succede?» domandò Ludovico, mentre la maga sfogliava a mezz’aria due libri allo stesso tempo, finché non si fermò a una pagina che riproduceva lo stemma della clessidra.
«Dovete sapere che il regno di Kerdarach si estendeva più o meno in queste zone, tra Selvardita e Gran Monte. Dopo un periodo di guerre e conquiste, l’ultimo sovrano decise di isolarsi dal resto del mondo, incantando i boschi in modo che creassero una barriera magica. Ma circa duecento anni fa quel regno cadde all’improvviso a causa di un terremoto che, molti sostengono, fosse in realtà di natura magica.»
I due giovani rabbrividirono, ma ciò che aggiunse Mengarda li fece preoccupare ancora di più: «Questa clessidra è autentica, ne sono sicura. Se quello che sostiene quel giovane è vero, vuol dire che è diretto discendente di chi sopravvisse a quel tragico evento.»
«Grandioso!» esclamò Ludovico con sarcasmo «Uno stregone che può cambiare in più bestie, ma solo in certe circostanze, che magari vuole ripristinare il suo vecchio regno! Ti sei presa proprio il candidato più interessante, sorellina.»
Tessa avrebbe voluto protestare ma Mengarda parlò prima, interrompendola senza volerlo: «Che cosa avete detto? Più bestie!? Impossibile! Una strega o uno stregone possono trasformarsi solo e soltanto in una creatura, mantenendo lo stesso colore degli occhi umani. È così che si distinguono dagli animali normali» esclamò concitata.
Tessa avvertì un brivido gelido percorrerla lungo la spina dorsale: «Per scappare, si è trasformato in quattro animali diversi, tutti neri.»
Mengarda la guardò basita. Si pulì gli occhiali e poi, dopo un lungo sospiro, si rivolse alla ragazza: «Avete trovato un uomo molto intelligente e molto misterioso, mia cara. Dovete sperare solo che non abbia cattive intenzioni...»
*****
Mancava solo un giorno alla partenza di Tessa verso l’ignoto. L'assemblea si era risolta con un nulla di fatto e il verdetto dei consiglieri fu che la principessa avrebbe dovuto proseguire con la seguente parte della prova, quella riguardante la convivenza con il futuro sposo; qualche politico più belligerante aveva proposto di attaccare lo stregone, ma ben presto si era ritrovato in minoranza, dato che non si conosceva né la dimora né la potenza di quest’ultimo.
L'ultima cena della famiglia reale fu consumata in totale silenzio. Un silenzio carico di tensione, tristezza, di parole che volevano essere urlate e che invece venivano taciute. Per l’occasione la capocuoca aveva fatto preparare i piatti preferiti della principessa, ma la ragazza mangiava con poco appetito; spiluccava qualche boccone mentre sbirciava i suoi parenti, ognuno perso nei propri pensieri. Ma bastava guardarli in faccia per capire tutta la loro infelicità, tutto il loro dolore per l’imminente separazione.
Quando l’ultima portata venne terminata il re diede l’assenso per lasciare la stanza; tuttavia, fece segno a Tessa di rimanere, facendole un cenno con la mano verso la sedia posta al suo fianco. La ragazza si accomodò, osservando il cipiglio solenne sul volto del padre. Si mise le mani sul bacino, avvertendo il proprio nervosismo aumentare man mano che i secondi passavano in silenzio.
«Te l’avevo detto che sarebbe stata una stupidaggine» borbottò Ruggero, senza guardarla in faccia. Lei abbassò gli occhi, colpevole. Strinse con forza la stoffa della gonna tra le dita, attendendo il resto del discorso.
«Hai commesso un errore e ora ne paghi le conseguenze, ma questo non vuol dire che ti abbandoneremo» continuò lui.
La ragazza alzò la testa, presa in contropiede. Ruggero ora la stava guardando dritta negli occhi, il suo volto un misto di rassegnazione e risolutezza: «Voglio che, quando sarai da quello stregone, tu mi scriva tutto: dove si trova la sua dimora, quante persone vi abitano, cosa può fare con la sua magia. Ogni singolo dettaglio che possa aiutarci a sconfiggerlo, hai capito?»
Tessa annuì, sconfortata, e gli augurò la buonanotte per poi lasciare la sala. Una volta fuori trattenne un singulto, incamminandosi a capo chino verso la stanza di suo fratello: Ruggero non le aveva detto nessuna parola di conforto, ma l’aveva trattato alla stregua di una spia che andava a infiltrarsi nel campo nemico. Ma cosa avrebbe potuto fare lei, una comune mortale, contro qualcuno dotato di poteri sovrannaturali?
Ludovico e Isabella la stavano aspettando su un divanetto, davanti al quale si trovava un tavolino con alcuni dolcetti e della tisana alla camomilla.
«Ti aiuterà a dormire» le disse Isabella con un sorriso dolce. Tessa la ringraziò in silenzio, sedendosi di fronte a loro e bevendo un paio di sorsi della bevanda calda.
Ludovico scuoteva la testa con nostalgia: «Mi sembra ieri quando io ero il candidato vincitore della tua prova, Isa. Ricordo ancora il giorno in cui arrivasti qui, timorosa come un cerbiatto» disse.
Sua moglie gli mise una mano sulla spalla, sorridendogli: «Lo ammetto, all’inizio ero terrorizzata: sola, in un luogo completamente nuovo e con gente mai vista prima. Ma poi mi sono abituata alla mia nuova vita, e voi siete stati così buoni... e nel giro di pochi mesi mi sentivo come a casa.»
Tessa li guardò, sentendosi un groppo in gola: «Siete una coppia stupenda. Anch'io vorrei tanto un amore come quello che vi lega...»
Isabella sospirò: «Lo so che hai paura, ne hai tutto il diritto. Ma magari quel Bran non ha cattive intenzioni» la incoraggiò.
Ludovico, al contrario, mugugnò: «Io non mi fido, sono certo che ci nasconda parecchie cose.»
La principessa strinse con forza la tazza tra le mani: «Se avesse voluto farci del male, lo avrebbe fatto senza problemi, magari anche in altre occasioni. Non credi?»
«Scusa se mi preoccupo per la mia unica sorella» ribatté lui, sardonico.
«Vi prego, non litigate. È l’ultima volta che starete insieme...» s’intromise Isabella per calmarli.
Aveva appena terminato queste parole, quando Ludovico si alzò di scatto e raggiunse la sorella, stringendola forte tra le braccia. Tessa trattenne il fiato, stretta al suo petto. Lo sentì singhiozzare, poi udì la sua voce tremula: «Promettimi che sarai prudente, che non ti farai abbindolare da quel fattucchiere e che tornerai fra sei mesi sana e salva. E se osa torcerti anche solo un capello, giuro che lo spenno e lo faccio arrosto.»
Tessa ricambiò l’abbraccio, mentre tratteneva a fatica le lacrime: «Andrà tutto bene, te lo assicuro. Tu, invece, devi promettermi di prenderti cura di mamma e papà, di Isabella e...»
Un forte singulto la interruppe. I fratelli si girarono e videro Isabella in lacrime, mentre si teneva una mano sul grembo. Un'espressione colpevole le era apparsa in volto, mentre guardava Ludovico.
Tessa la guardò sorpresa: «Non gliel’hai ancora detto?»
La donna scosse il capo: «Eravamo tutti così presi dalla tua prova, non... non volevo portare altra agitazione...»
Ludovico la guardò con gli occhi sgranati, il viso pallido come un lenzuolo: «Isa... sei incinta?»
Lei annuì debolmente, mentre le mani le tremavano inquiete: «Volevo aspettare il dottore... i-io voglio essere sicura...» cercò di spiegare, ma le parole le morirono in gola quando scoppiò a piangere. Si portò le mani al volto e Ludovico le fu subito a fianco; la strinse forte tra le braccia, massaggiandole con delicatezza la schiena nel tentativo di calmarla. Tessa li raggiunse, sedendosi dal lato opposto, e si unì a quell’abbraccio dolce e compassionevole. Avrebbe voluto rassicurarla, dirle che stavolta la gravidanza sarebbe andata a buon fine e che loro due sarebbero diventati genitori, ma dalla sua bocca non uscì nulla.
*****
Ormai era giunto ottobre e l’autunno era esploso in tutta la sua magnificenza. Le chiome degli alberi si erano tinte di rosso, bronzo e giallo dorato, mentre dalle case uscivano i profumi di zuppa di castagne e legna appena tagliata.
Una leggera nebbiolina aveva salutato la principessa, mimando il suo stato d’animo di quell’uggiosa mattinata: era giunto il momento della sua partenza.
Aiutata da Agata, indossò un abito comodo adatto per il viaggio, insieme a un mantello che l’avrebbe scaldata durante il tragitto. La serva tratteneva a stento i singhiozzi: «Mi mancherete tantissimo, Altezza» mugolò.
Tessa la guardò con affetto e, fregandosene delle regole, l’abbracciò stretta a sé. Sentì la ragazza irrigidirsi, per poi ricambiare il gesto.
«Tornerò, te lo prometto» la rassicurò, accarezzandole i capelli color grano.
Per l’occasione, tutta la servitù era accorsa a salutare la giovane signora: le guardie le riservarono un profondo inchino, mentre le serve, gli stallieri, i cuochi e i figli dei domestici le fecero i loro più sinceri auguri, dandole piccoli regali scaramantici per una permanenza sicura. Persino Giovanna, la burbera capocuoca, aveva lasciato il suo “regno” per darle personalmente un pensiero. «Se vi fa patire la fame, chiamatemi che lo sistemo io» aveva minacciato per scherzo; o forse no, pensò la ragazza con un lieve sorriso. Mengarda le aveva regalato un paio di libri sulla magia, e per una volta ignorò il protocollo e la salutò con un forte abbraccio.
Commossa da tutto quell’affetto, Tessa si incamminò verso l’ingresso principale del castello, dove l’aspettavano i suoi parenti e Baldassarre. Ludovico e Isabella la strinsero con benevolenza come la sera prima, sussurrandole parole d’incoraggiamento; Caterina le buttò le braccia al collo, incapace di trattenere le lacrime nonostante le rassicurazioni della figlia, per poi liberarla dalla sua stretta quasi controvoglia. Ruggero manteneva un’aria solenne, anche se i suoi occhi tradivano il suo dolore per l’imminente partenza. Abbracciò la figlia, ricacciando in gola un singulto, e le sussurrò all’orecchio le ultime raccomandazioni: «Cerca tutti i suoi punti deboli».
La ragazza sospirò, sentendosi come uno di quei poveri ragazzi che, superato l’addestramento militare, venivano mandati allo sbaraglio in battaglia. Cercò di distrarsi controllando per l’ultima volta i suoi bagagli, ma l’attesa per la comparsa dello stregone la stava rendendo sempre più nervosa.
«Santo cielo!» esclamò Baldassarre all’improvviso, attirando l’attenzione dei presenti.
Tra le nebbie si intravedeva una sagoma squadrata avanzare lentamente, con un lieve cigolio. Tessa trattenne il respiro, turbata, ma non appena vide cos’era quella presenza misteriosa i suoi occhi si spalancarono dalla sorpresa: una carrozza di legno scuro, decorata con motivi d’argento, avanzava nella loro direzione; ma ciò che li stupì fu il fatto che si muovesse da sola, senza cavalli né cocchieri, fermandosi infine davanti alla ragazza e spalancando da sola la portiera.
«Io non ci salirei neanche se mi pagassero...» borbottò Ludovico.
Ruggero, invece, lanciò al mezzo un’occhiata torva: «Nemmeno la decenza di venirti a prendere di persona. Chi si crede di essere?»
Nonostante lo trovasse inquietante, Tessa studiò il cocchio e trovò una nota scritta di Bran, dove il giovane si scusava di non essere potuto venire di persona e, al tempo stesso, la rassicurava sulla sicurezza del mezzo.
Mentre due servi caricavano i bagagli sul retro, Caterina abbracciò per l’ultima volta la figlia, per poi lasciare che Ruggero l’aiutasse a salire. Non appena la ragazza si accomodò sul sedile, la portiera si richiuse da sola e, con la stessa velocità dell’andata, cominciò a muoversi nella direzione opposta.
Tessa si sentiva a disagio su quel mezzo magico, ma fece del suo meglio per sorridere alla sua famiglia, affacciandosi al finestrino posteriore e salutandoli con la mano finché poteva ancora vederli. E così com’era apparsa, lentamente la carrozza sparì nella nebbia verso la sua misteriosa destinazione.