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Autore: Glenda    27/07/2024    2 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nego il mio consenso

 

“Dobbiamo ridimensionare le aspettative, Xeiratog. Non c’è possibilità che Yèlveran Devenya possa diventare un alleato: sono certo che in questo momento si starà interrogando se Luxei lo abbia ingannato, ma non lo tradirà… e non possiamo neppure considerarlo una risorsa per l’attuazione del piano: per quanto il suo potere sembri così adatto a colpire il nemico minimizzando i rischi fra le nostre fila, quel ragazzo non avrebbe mai il coraggio di uccidere volontariamente nessuno, neppure nell’improbabile caso che lo ritenesse giusto.”

Xeiratog ascoltava impassibile prendendo mentalmente nota dei fatti.

“Non importa che abbia il coraggio: posso costringerlo a fare qualsiasi cosa.”

Iruvàn ciondolò la testa. Poteva? Non ve ne era alcuna certezza, e fallire provandoci avrebbe provocato danni peggiori dei benefici.

“Anche a questo proposito ho dei dubbi.” spiegò “Ha resistito alla Persuasione del Cuore, e, se analizziamo nel dettaglio il racconto di Xau, deve aver resistito anche a quella dei Sensi.”

“Forse non ti sei impegnato abbastanza.” lo rimproverò bonariamente con un sorriso a metà “Hai sempre avuto un debole per i giovani. Ma ogni buona serratura non può reggere alla pazienza di un Persuasore che esercita la propria arte, e, per quanto allievo di Luxei, non può aver imparato a fare resistenza a tutte le Persuasioni.”

Il ragionamento di Xeiratog non faceva una piega, ma quel ragazzo era la piega: era la crepa nel sistema, la variabile imprevista.

“La persona con cui abbiamo a che fare non segue una normale procedura di difesa. Il sistema che usa non è una tecnica che si studia nelle enclavi, e lui stesso ha ammesso che non l’ha appresa da Luxei. Pare che abbia imparato ad usare la Persuasione dei Confini al di fuori dello spazio fisico: dice di riuscire ad applicare la visualizzazione alle intenzioni e creare un confine intorno ad esse. Di fatto, è un sistema per bloccare l’effetto di una Persuasione.”

“Detto così, pare proprio irrealistico.”

“Già, ma gliel’ho visto fare. Certo, devono servirgli tempo e un livello di concentrazione altissimo. Sicuramente quando fa questo non può permettersi di prestare attenzione a nient’altro, rendendosi, di fatto, completamente vulnerabile. Non solo: per quanto sia estremamente percettivo, se si confrontasse con qualcuno capace di nascondere bene i propri intenti, non avrebbe materiale su cui costruire il suo Confine. Ma, detto questo, non possiamo negare che il piccolo Devenya abbia aperto alla stregoneria nuove e illuminanti prospettive…”

Xeiratog mugugnò qualcosa.

“Non capisco se ne sei turbato o affascinato.”

Iruvàn pensò a Luxei, a quanto dovesse essersi divertito ad addestrare un ragazzo così brillante: aveva sempre amato le menti originali, gli imprevedibili e i ribelli.

“Oh, la seconda, Xeiratog. Trovo questa intuizione sorprendente e geniale. Ma proprio perché penso questo, lo ritengo una minaccia da tenere sotto controllo.”

“Oppure di cui sbarazzarci.”

Lo disse con una naturalezza che per un attimo lo irritò.

“Noi non uccidiamo le Maledizioni.” tagliò corto.

Ma il fastidio che provava non era verso il compagno, era verso se stesso: Xeiratog si era limitato a dare voce a qualcosa che anche lui non poteva fare a meno di pensare. Poteva tenere quel ragazzo imprigionato lì, trovare un sistema per isolarlo – anche se si era convinto che Yèlveran non avrebbe fatto uso del proprio potere per nuocere, se non fosse stato direttamente minacciato – e lasciarlo libero solo una volta che tutto fosse stato compiuto, ma questo avrebbe comportato affidare a qualcuno dei suoi il compito di sorvegliarlo, riducendo le loro già scarse fila. Inoltre non poteva sapere se Luxei non avesse preso misure di sicurezza per proteggere il proprio allievo: non sapeva quanto il messaggero eshkarti fosse a parte dei suoi segreti né se avesse altri complici a cui chiedere supporto. Certo, stando ai resoconti di Xau e Meirem sembrava che quei due viaggiassero completamente soli, come degli sprovveduti, ma Luxei uno sprovveduto non lo era mai stato.

“Stiamo parlando della Maledizione che ha ammazzato il nostro compagno.” disse Xeriatog “Dal mio punto di vista, questo cambia parecchio le cose. Sono più che disposto a proteggere qualcuno che ha bisogno di essere protetto, ma questa Maledizione non sembra avere alcun interesse a proteggere i suoi simili: merita ugualmente il nostro supporto? Siamo stati costretti a mettere da parte i nostri personali principi etici molto tempo fa, quando abbiamo compreso che l’unica via per cambiare il mondo era l’omicidio… L’umanità non si divide tra Maledizioni e Persuasori, ma tra chi è con noi e chi ci ostacola. Soprattutto ora che siamo così vicini. Soprattutto ora che siamo più in pericolo che mai.”

E la colpa è solo tua, Luxei, pensò Iruvàn.

“Lascia che insista ancora un po’:” disse “questo è il mio campo. Se riesco a mettergli dei dubbi sulla bontà degli scopi del suo addestratore, posso renderlo più collaborativo. In caso contrario, valuteremo cosa è opportuno fare di lui.”

 

Mentre Xau avvicinava l’orecchio alla porta, la voce di Leu nella sua testa cercava di impedirgli di origliare: continuava a ripetergli che questo era contro le regole, che costituiva un tradimento alla fiducia che Iruvàn aveva riposto in loro, che Luxei era un infido doppiogiochista, che lui lo aveva sentito con le proprie orecchie dire che a loro non sarebbe accaduto nulla di male, e poi, invece, li aveva traditi… come poteva credere che il suo complice – un Devenya, porca puttana! - non fosse in cattiva fede? Ma Xau si sforzò di ignorarlo e concentrarsi sul dialogo tra i due Persuasori. Non voleva credere a quello che stava sentendo, eppure Xeiratog era stato molto esplicito nell’esprimere la volontà di condannare a morte il loro prigioniero solo per evitare che gli procurasse dei guai, e Iruvàn non aveva scartato l’ipotesi.

“Cosa ti aspettavi, che lo trattassero come un ospite d’onore?”

“È un Persuasore e ha ucciso uno di noi: è normale che diffidino!”

“Per cambiare il mondo bisogna avere un po’ di pelo sullo stomaco, Xau!”

Suo fratello continuava a parlargli, come aveva fatto mille volte, con quello strumento solo loro che li rendeva più che gemelli: vicini in ogni istante, anche quando erano lontani. Eppure, erano sempre stati lontani: Leu combattivo, pronto a fare la rivoluzione, arrabbiato come una creatura ferita, e lui… Lui no, non si sentiva ferito affatto. Non si sentiva in credito col mondo. Era grato a Iruvàn per averlo protetto, ma non c’erano né odio né desiderio di vendetta nel suo cuore, non c’erano mai stati. Avrebbe tanto voluto parlare con Luxei, adesso: capire le sue posizioni e forse trovarci dentro la strada giusta anche per lui, una strada che non contemplasse la possibilità di uccidere un uomo indifeso. Per fortuna che suo fratello non poteva ascoltare anche i suoi pensieri!

La conversazione nella stanza era finita.

Xau sentì i passi di uno dei due avvicinarsi alla porta e il buon senso gli suggerì di dileguarsi in fretta, ma qualcosa in profondità dentro di lui glielo impediva. Sapeva bene di cosa si trattava: era il suo legame con Iruvàn a bloccare le sue gambe sulla soglia, era il desiderio disperato di sentirlo smentire quelle parole, di poter credere ancora in lui. È stregoneria – si ripeté – è l’effetto della Persuasione del Cuore. Ma, per quanto ne fosse cosciente, quel sentimento era troppo forte.

La porta si aprì.

“Iruvàn.” Xau lo guardò negli occhi, reprimendo quel groviglio di emozioni che lo paralizzava “Voglio parlare con te.”

L’uomo sorrise, con la dolcezza vagamente altezzosa che lo aveva sempre caratterizzato, e gli passò un braccio attorno alla spalla allontanandolo dalla soglia.

“Non sta bene spiare.” disse “Pensi che se avessi bussato non ti avrei fatto entrare? Ti sbagli, saresti stato il benvenuto.”

Lo guidò nella stanza d’ingresso, quella che era stata casa sua più delle altre, dove infinite volte aveva acceso il fuoco del camino e si era seduto sui cuscini insieme a Leu e Meirem, dove aveva aspettato i loro ritorni e aveva temuto per le loro vite, in silenzio, senza mai mostrarlo a nessuno, dove li aveva accolti con falsa strafottenza ogni volta che erano rientrati. Lui non era quasi mai quello che partiva: Leu si offriva sempre per primo, ed era evidente chi tra di loro Iruvàn prediligesse. E aveva ragione. Lui poteva solo essere un’appendice di suo fratello, vedere e sentire quello che lui vedeva e sentiva, ma nessuno si era mai chiesto quanto ne fosse partecipe.

Eppure i suoi occhi erano stati lì quando Leu aveva ucciso un uomo. Era stato come averlo fatto con le proprie mani, e Leu non aveva mai voluto parlarne. Non gli aveva mai detto cosa avesse provato, e non lo aveva chiesto a lui. Aveva trovato normale adattarsi alla violenza, tutti lo avevano trovato normale, persino doveroso, lo avevano preteso: lo avevano mandato in missione con Yurlan, lo avevano costretto ad essere complice di una tortura. Era stanco.

“Non puoi pensare davvero di voler uccidere quell’uomo!” proruppe “Si può sapere che ti ha fatto?”

Iruvàn si passò una mano tra i capelli: pareva stanco anche lui e Xau si sentì il petto stretto in una morsa. Gli sembrava di essere intrappolato in una contraddizione, una parte di lui voleva amarlo, l’altra gridava che non ne poteva più.

“Niente. Non mi ha fatto niente. È questo che vuoi sentirti dire, no? Non ha fatto niente a me personalmente, non ha fatto niente a te, Yurlan è stato un bastardo e lui si è solo difeso. Ma anche le bestie del bosco non fanno niente di male, tuttavia la gente le uccide quando si avvicinano ai villaggi: devono tenere al sicuro le proprie case.”

“Lui non è una bestia del bosco! È una persona con cui si può parlare!”

“Una persona con un potere che non sa controllare.”

“Sì, come me!” esplose Xau “Nemmeno io posso decidere che Leu senta ciò che sento: lo sta facendo anche adesso! Nemmeno io posso scegliere quali immagini mostrargli! E Meirem non può essere certa che la prossima volta che farà l’amore con un uomo non prosciugherà le sue energie fino ad ammazzarlo, come Teshdei non può sapere se un giorno o l’altro non manderà in pezzi questa stessa casa! Ma Luxei voleva insegnarci a vivere una vita normale: te ne sei dimenticato? No, non lo hai fatto: ma in questo momento qualsiasi cosa Luxei abbia detto o pensato per te va contraddetta ad ogni costo, perché non sopporti che ti abbia abbandonato! Non è Yèlveran Devenya il tuo problema, è la tua dannata frustrazione!”

Gli occhi di Iruvàn si ridussero a due mezzelune taglienti, ma sua voce restò calma e carezzevole.

“Non intendo far del male a quel ragazzo se non ci sarà d’ostacolo. Ma dobbiamo essere disposti a prendere in considerazione tutte le possibilità. Non sappiamo come si evolverà la faccenda, e non possiamo permetterci di cedere al sentimentalismo mettendo a rischio la nostra sola occasione. E tu devi scegliere le tue priorità, Xau: i tuoi compagni hanno bisogno di te. Io ho bisogno di te.”

No.

Non aveva mai avuto bisogno di lui.

Stava ancora una volta usando il suo carisma per fargli pesare la riconoscenza che gli doveva. Faceva male. Così male.

“Ti nego il mio consenso.”

“Cosa?”

Xau tenne il mento alto e sostenne il suo sguardo, nonostante tutto il suo corpo stesse tremando.

“Ti nego il consenso che ti diedi ad usare la Persuasione del Cuore con me. Adesso ne sono ancora vincolato, lo avverto ed è doloroso. Ma non durerà per sempre, senza la mia collaborazione.” due grosse lacrime scivolarono dai suoi occhi “Ti nego il mio consenso, Iruvàn.”

“Tu… ?”

Per un attimo un guizzo di sincero smarrimento passò sul viso del Persuasore. Indugiò su di lui con lo sguardo, come se all’improvviso dovesse rimettere a fuoco la vista, ridefinire i lineamenti di chi aveva davanti.

Poi scosse la testa e diede in una fioca risata.

“Xau, Xau… Ma che ti salta in testa? Scommetto che tuo fratello ti sta dando dell’imbecille in questo stesso momento!”

Era vero: glielo stava gridando. Gli stava urlando contro che era impazzito, che in tanti anni non aveva capito niente di Iruvàn, che lui non era un assassino, che non avrebbe mai fatto uccidere qualcuno per fare dispetto a Luxei. E probabilmente era vero, anche Xau lo sapeva: ma cosa alimentava quella certezza, un rispetto sincero o la Persuasione del Cuore?

La voce di Iruvàn si fece scura.

“È evidente che qualcosa ti è sfuggito, figliolo.” disse “Io non ho alcun bisogno del tuo consenso. Ho usato la Persuasione del Cuore con voi per una semplice questione di gentilezza. Volevo che stessimo bene, che collaborassimo come una famiglia, non come cospiratori che non hanno altra scelta. Ma la verità è che davvero non abbiamo scelta e tu meno di tutti. Tu non puoi tradirci, Xau, perché tu, a differenza di quel bastardo di Luxei che forse pensa di potersi lavare le mani da tutto e rifarsi un’altra vita, un’altra vita non ce l’hai. Sei una Maledizione, per il mondo là fuori sei un mostro da eliminare, ed io - se per caso non lo ricordassi bene - sono Persuasore d’Aria. Sei libero di andartene quando vuoi, ma nel momento in cui non godrai più del favore del Patto, tutti sapranno cosa sei: nella migliore delle ipotesi, condurrai il resto della tua esistenza come un animale braccato, ma è assai più facile che tu venga individuato e condannato a morte. Non sei mai stato un uomo d’azione: tuo fratello lo è.”

Xau non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva appena sentito – la Persuasione del Cuore glielo rendeva così difficile – ma la mente aveva recepito tutto con chiarezza: Iruvàn lo aveva appena minacciato di usare le proprie arti per renderlo un bersaglio. Gli stava dicendo che aveva la sua vita in pugno, la sua come quella di tutte le Maledizioni che aveva salvato. Eppure era logico: nella posizione difficile in cui si trovava, era giusto che Iruvàn usasse i propri strumenti per garantire la sicurezza della cospirazione… No, no: era ancora la Persuasione del Cuore a parlare. Non era affatto giusto. Chi aveva stabilito che Iruvàn fosse il loro capo? Chi gli aveva riconosciuto quel potere? Ciascuno di loro – Luxei, Xeiratog, lui e Leu – avevano lo stesso diritto di prendere decisioni: la loro voce, il loro parere, avrebbero dovuto avere lo stesso peso!

La voce di suo fratello nella mente continuava a dirgli di non essere vigliacco, di non comportarsi come un traditore, come quel traditore… Ma Xau non si sentiva traditore: si sentiva tradito. E si sentiva imprigionato, ferito, impotente.

Iruvàn gli diede le spalle.

“Leu.” disse, andandosene “So che mi stai ascoltando. Per te il piano non cambia. Ci raggiungerai a Feuzte nel giorno stabilito. Mi fido di te.”

 

Quella pioggerellina lieve e fastidiosa era penetrata fin dentro la testa di Heze, ma doveva essere grato che il cielo si stesse trattenendo dal rovesciare la sua furia sul mondo: così, almeno, poteva ancora seguire l’ombra di una traccia, anche se ormai si stava facendo sera. Aveva proceduto per quella che aveva sperato essere la direzione giusta, affidandosi ad un solo, minuscolo oggetto che ogni tanto stringeva in pugno, quasi desiderasse ricevere conferma di una qualche specie di magia. Ma la biglia si limitava a scivolare tra le sue dita, liscia e fredda, perfettamente rotonde e non c’era nulla di magico in quel contatto, nessun segnale da quell’insignificante sfera di vetro: nessuna buona sorte, nessuna visione del futuro, solo nostalgia. Nostalgia di quelle serate passate insieme ai Folli, delle volte che Yèlveran rideva, del modo in cui rideva. Non riusciva a pensarlo da solo e in pericolo: non riusciva a non sentirsi in dovere di proteggerlo. Eppure, aveva visto cosa sapeva fare: Yèlveran non aveva nulla da temere da quella ragazza né da altri, piuttosto il contrario. Né lui, né il suo addestratore lo avevano mai ingaggiato affinché lo “proteggesse”, doveva solo fare la guida, Yèlveran glielo aveva detto il giorno stesso in cui si erano incontrati, e aveva aggiunto di essere lui quello in grado di prendersi la responsabilità di altri. Quanta responsabilità si era preso accettando di trasportare quel messaggio? Quanta se ne era presa nei suoi confronti, in quelli della bambina che aveva salvato a Koudad, in quelli del suo maledetto e stramaledetto addestratore? Aveva abbastanza forza per tutta quella Responsabilità? Gli era mai stato concesso il diritto di essere irresponsabile? Oppure gli era vietato, come gli erano vietati i liquori, l’erba celeste e le emozioni?

L’attenzione di Heze fu attratta da uno dei solchi lasciati sul terreno dalle ruote dei carri: il mezzo doveva essersi accostato al ciglio della strada e poi essere ripartito. Perché? Non c’era nulla in quel punto, né tanto meno sentieri: solo un lungo fossato secco, un roveto che lo costeggiava e, oltre, una distesa di alberi bassi e spelacchiati. Heze chinò il naso quasi fino a terra, cercando di distinguere delle impronte, ma l’umidità aveva cancellato ogni cosa; non c’era alcun indizio che gli suggerisse che il cocchiere non si fosse solo fermato per un bisogno fisiologico, tuttavia, mentre studiava ogni dettaglio affilando lo sguardo nell’oscurità crescente, l’occhio gli cadde su un ramo del roveto: impigliato alle spine c’era un brandello di stoffa. Spostò il ramo, poi ne spostò un altro: con un po’ di cura non era difficile infilarcisi in mezzo. Si inoltrò tra i cespugli e si rese conto che alcune frasche erano spezzate: qualcuno era passato di lì. E infatti, superata la barriera di rovi, distinse un sentiero: era largo a stento da poter mettere un piede davanti all’altro – una specie di traccia di sassi tra le piante, un’indicazione più che un passaggio – e si snodava sulla sua destra attraverso quello sparuto boschetto. Non era un sentiero per viaggiatori: era il percorso di qualcuno che voleva nascondersi. Con profondo sollievo, Heze ebbe la certezza di trovarsi sulla strada giusta.

 

Yèlveran si sentiva solo come non lo era mai stato: solo di una solitudine assoluta e sterminata.

Era abituato da tutta la vita alla solitudine, aveva imparato fin da piccolo cosa significasse parlare senza essere ascoltati, ascoltare e non poter capire, conosceva bene la sensazione di essere una creatura minuscola che annaspa in un oceano, senza appigli e senza punti di riferimento.

Ma dal giorno in cui aveva accettato di afferrare la mano di Luxei era diventato capace di orientarcisi, perché anche alla solitudine Luxei gli aveva insegnato a dare un confine.

In quel momento, invece, tutti i confini erano scomparsi e attorno a lui si era spalancato un vuoto enorme, troppo grande per poterlo abbracciare con lo sguardo, troppo grande anche per precipitarci dentro. Se neppure Luxei era quello che pensava di conoscere, allora niente era come era. Niente era reale né sicuro.

Erano passate ore da quando Iruvàn aveva lasciato la stanza.

Meirem, dopo un lungo sforzo per rimanere sveglia, aveva chinato la testa sul tavolino e aveva chiuso gli occhi, ma bastò un lieve movimento di lui a farla svegliare di soprassalto dopo una manciata di minuti.

“Scusami, non volevo…”

Come punta da uno spillo, la ragazza si accertò con lo sguardo che la corda fosse ancora ben salda e nulla in quella stanza fuori posto.

“Cretina…” sibilò a se stessa, mordendosi il labbro inferiore.

“Hai ricevuto l’ordine di non dormire?” chiese Yèlveran “Non dormirai per tutto il tempo che sarò vostro prigioniero?”

Lei diede in uno sbuffo che era quasi uno sbadiglio.

“Mi è stato affidato il compito di sorvegliarti.”

“Mm.” avrebbe voluto rassicurarla che poteva anche riposare un po’, che lui non avrebbe fatto niente – del resto, che avrebbe potuto fare? Ucciderla? La sola idea lo faceva rabbrividire – ma già sapeva come lei avrebbe reagito. Meirem aveva ragione: era sempre stato un buon osservatore.

“Faresti qualunque cosa per lui, eh?”

“Senti da che pulpito. Parla l’uomo che porta nella testa un messaggio di cui non conosce il contenuto solo per fiducia cieca in colui che glielo ha affidato.”

Yèlveran rifletté su quella frase. No, non era esattamente così. Non lo aveva fatto per fiducia cieca, era più probabile lo avesse fatto per affetto. Ma in quell’abisso di incertezza anche le parole giuste non costituivano poi quel conforto che erano sempre state.

“Il fatto che io abbia rifiutato di collaborare con voi, non significa che non mi stia ponendo alcuna domanda.” ammise “Sono confuso. Ho paura. Di te, dell’uomo che vi guida, dei segreti di Luxei. Di morire. Ma la sicurezza di se stessi è una virtù sopravvalutata.”

Appoggiò le braccia sul tavolino a fare da culla alla testa.

“Se mi addormento io, a potrai farlo anche tu?”

Meirem tacque.

Yèlveran sapeva che la sua proposta non sarebbe stata percepita come sincera: tuttavia desiderò davvero addormentarsi, spegnere la luce e i pensieri, come gli accadeva in quelle notti umide nel chiostro.

Aveva amato la vita nell’enclave. Era grato a Luxei di averlo addestrato come Persuasore. Cosa poteva esserci di sbagliato in qualcosa che lo aveva fatto stare bene?

I Persuasori erano il Sistema. Le Maledizioni erano le vittime. Gli Eshkarti erano dei selvaggi. Chi offende un mago muore in trentatré ore.

Definire il mondo per muovercisi dentro.

Per non annaspare.

Ma poi le definizioni diventavano vere, e creavano confini.

Tra giusto e sbagliato.

Tra umano e non umano.

E nessuno meglio di lui avrebbe potuto spiegare agli altri che un Confine era solo il frutto di un buon lavoro di immaginazione.

“Gli devo tutto.” disse Meirem all’improvviso “Mi ha salvata.”

Yèlveran non sollevò la testa dalla sua posizione.

“Lo ami?”

Lei si irrigidì e lo schienale della sedia emise un lamentoso cigolio.

“So bene cosa stai per dirmi.” sbottò “Mi dirai che è opera della Persuasione del Cuore, che Iruvàn manipola i miei sentimenti, che non lo amerei altrimenti, che…”

“No.”

Si girò appena per poterla guardare in tralice.

“La Persuasione del Cuore spinge a provare istintivamente fiducia e lealtà verso il Persuasore che la pratica: infatuazione immediata, anche. Ma non ha nulla a che fare con l’amore. La Persuasione del cuore, nonostante il nome improprio, manipola la mente e niente altro che quella. Come la Persuasione di Sensi non agisce davvero sul corpo, ma su ciò che la mente percepisce nel corpo. L’amore è un’altra cosa, non lo si può indurre, o rubare: e tuttavia, l’amore non annebbia gli occhi… per questo si può non stimare chi si ama, e, al tempo stesso, rispettare moltissimo chi non si ama. Se l’uomo che ami ti dà un ordine che disapprovi, rifiutare di eseguirlo non è mancanza d’amore. Al contrario, è segno di un amore più attento. Se la persona che amiamo sta sbagliando, chi può dirglielo, se non noi? L’amore fa domande, l’amore discute e risponde. Probabilmente è il sentimento più attivo del mondo. Se, amando, ci si limita ad accettare, c’è qualcosa di sbagliato, credo…”

“Che ne sai dell’amore, tu?”

“Mm. Non so. Forse io non ho mai davvero amato. Ma mi sono sentito amato, credo…”

“Da Luxei?” chiese Meirem, come se questo potesse creare tra loro una qualche forma di complicità.

“Da Luxei.” fece eco “Da Heze.”

Lei sprofondò la fronte fra le mani.

“Heze.” fece eco “L’ho proprio trattato da stronza, eh?”

“Mm. Suppongo di sì. E anche io. Ho fatto la stessa cosa che Luxei ha fatto con me, credo.” soppesò le sue stesse parole, poi si rivolse solo a se stesso “Col silenzio non si protegge nessuno.”

 

Il crepuscolo avanzava quando Heze si trovò di fronte alla fine del sentiero. Davanti a lui c’era solo una distesa d’erba spelacchiata, con grovigli di rovi e cespugli aromatici che si addossavano a pezzi di una vecchia fortificazione di cui era rimasta in piedi solo una parte. Si sentì disorientato: gli pareva di trovarsi nel luogo più insignificante del mondo e avvertiva crescere dentro di sé una specie di senso di vacuità, come se lì non ci fosse proprio nulla da vedere, come se trovarsi lì fosse sbagliato. Si sforzò di lottare contro quel sentimento: se un sentiero segreto era stato tracciato per portare fino a quel luogo, una ragione ci doveva essere… e lui aveva viaggiato per un mese a fianco di un Persuasore di Confini. Aveva visto lavorare Yèlveran, aveva persino avuto l’occasione di osservare la sua arte dall’esterno: lo aveva sperimentato nella casa a Marvino, quando aveva visto come lo spazio aveva cambiato forma e avvertito l’irrazionale certezza che dove sapeva esserci la porta non ci fosse assolutamente nulla che valesse la pena guardare.

Per questo fece violenza al desiderio impellente delle sue gambe di invertire la direzione.

Guardò le gocce che cadevano sempre più grosse, trasformandosi da fastidiosa acquerugiola in pioggia. «Nessuno percepirà che qui c’è un luogo» - aveva detto una volta Yèlveran - «Ma se si mette a piovere, la pioggia ci bagnerebbe lo stesso. Non esistono confini invalicabili.»

Se quello era un Confine, Heze non sapeva cosa avrebbe trovato oltre. Forse dei Persuasori in agguato, forse un pericolo da cui non sarebbe mai uscito vivo.

Ma se quello era un Confine, là c’era anche Yèlveran.

Chiuse gli occhi e procedette dritto davanti a sé.

 

Xau fissava la fenditura nella fortificazione diroccata da cui, tante e tante volte ormai, aveva visto sbucare Leu di ritorno da una missione, o solo da una delle sue scampagnate, e si domandava se avrebbe mai avuto il coraggio di fare quel passo: sfidare la minaccia di Iruvàn, abbandonare i suoi compagni, chiamarsene fuori, come Luxei. Forse avrebbe potuto cercarlo, forse lui avrebbe saputo offrirgli un’alternativa… ma come raggiungerlo se tutti avessero saputo la sua identità? Non sarebbe arrivato vivo nemmeno a Peshparao, figuriamoci nell’Oltrefrattura. Si sentì di nuovo un vigliacco.

Una pioggerella sottile inumidiva gli abiti e i pensieri.

Era uscito per poter parlare con suo fratello lontano dalle orecchie di Iruvàn, ma dentro di sé sapeva che Iruvàn non lo avrebbe ascoltato: non gli interessava il suo parere, non gli interessava il suo dolore, non gli era mai interessata – lo aveva appena ammesso – neppure la sua devozione. Gli interessava solo che obbedisse: la sua ribellione non lo offendeva né lo feriva. Finché erano solo parole, finché poteva controllarlo, ciò che passava per la sua testa gli era del tutto indifferente.

La voce di Leu si era un po’ rabbonita.

“Non avercela con lui, concedigli le attenuanti che merita. È normale che sia nervoso: è lui quello che rischia più di tutti. Senza Luxei la sua mente non è protetta e se nell’enclave scoprissero qualcosa sarebbe accusato di alto tradimento senza nemmeno il beneficio del dubbio…”

Già, ma in che modo ammazzare un uomo avrebbe reso la sua mente più protetta? Al contrario, la consapevolezza di un atto simile lo avrebbe reso ancora più vulnerabile, a meno di non ammettere che il suo cuore fosse irrimediabilmente di pietra.

“Ha bisogno del nostro appoggio, non che ci mettiamo a filosofeggiare sui mezzi. Il fine ultimo non è cambiato!”

“Il fine ultimo, Leu?” si trovò a quasi a gridare “Il mio fine ultimo è sempre stato tenere al sicuro me e te!”

Era un pensiero egoista, ma era la verità.

“Al sicuro? Io non potrò mai sentirmi al sicuro in un mondo in cui non lo sono anche gli altri come me!”

“È vero. Ma Yèlveran Devenya è esattamente questo: uno come te. E se anche non lo fosse…”

Se anche non lo fosse, io non voglio che venga ucciso. Non voglio che muoia lui, come non voglio che muoia nessun altro…

Guardò di nuovo quel buco nel muro: un giorno, Leu era uscito di lì innocente ed era tornato assassino. Con lui era arrivata una Maledizione viva, alle spalle si era lasciato un Persuasore morto.

Un giorno sarebbe toccato a Meirem.

Il fine ultimo.

Ma quanto contava tutto quello che c’era in mezzo?

La pioggia si stava facendo più fitta; forse gli stava chiedendo di decidersi: di qua o di là dal recinto, al caldo del suo camino (Cuscino sotto il culo, già… ), in quella che aveva sempre considerato una casa, oppure fuori di lì, con la coscienza pulita e il vuoto attorno.

“Non prendere iniziative finché non torno, Xau. Aspettami: ne parleremo insieme.”

“Leu…”

Un rumore di frasche smosse attirò la sua attenzione, distogliendo i suoi pensieri dal contatto col fratello. Proveniva dal passaggio, ma Iruvàn non lo aveva avvertito dell’arrivo di nessuno. Non che Iruvàn brillasse in trasparenza, ultimamente. Si mosse guardingo, costeggiando la parete: essere silenzioso era sempre stata una sua dote.

Distinse dei passi, poi vide un’ombra attraversare il pertugio.

Si addossò alla parete, ma non come se si stesse nascondendo: come se non comprendesse dove si trovava. La pioggia e i colori del crepuscolo rendevano difficile riconoscere se si trattasse di qualcuno dei loro.

“Chi sei?” disse, imprimendo alla voce quel poco di sicurezza che gli era rimasta.

Non fece in tempo a ricevere risposta.

L’uomo, con uno scatto inaspettatamente veloce, balzò oltre la fenditura e gli si gettò addosso spingendolo a terra con tutto il proprio peso.

“Non aprire bocca o ti ammazzo!" Xau sentì il gelo di una lama sotto alla gola “Stavolta sei tu il prigioniero!”

Adesso che si trovavano faccia a faccia, lo riconosceva bene: era il ragazzo dai capelli rossi che accompagnava Yèlveran Devenya. Per un attimo ebbe paura e l’attimo dopo si sentì come svuotato, quasi sollevato: il destino aveva appena fatto una scelta, non ci sarebbe stato bisogno di mettere spontaneamente un piede oltre quella soglia, sarebbe morto lì, o lo avrebbe ucciso Iruvàn, o sarebbe stato condannato dalla Grande Legge per complicità nel rapimento di un membro del Consiglio… Nessuna delle ipotesi era più spaventosa di un’altra: tutte erano ugualmente leggere, come le decisioni già prese.

“Fai come vuoi.” rispose, e lasciò andare le braccia nell’erba, stese lungo il corpo, senza fare alcun tentativo di difendersi.

Heze sollevò entrambe le sopracciglia, e la lama si allontanò dal collo.

“Mi prendi per il culo?”

Xau diede in una risata soffocata. Socchiuse gli occhi.

“Sei mio prigioniero.” ripeté Heze “Il concetto non mi piace, ma avete cominciato voi. Dimmi dov’è il mio amico!”

La sua voce aveva tremato. Xau se ne era reso conto già a Lafargau: quel ragazzo non era semplicemente un servitore o una guida, gli era sinceramente affezionato. Che ci faceva uno dei Nove con un eshkarti? E lui sapeva chi stava accompagnando? Probabilmente no. Aveva detto di non conoscere il suo nome, non ricordava nulla di Luxei… Si dovevano essere impegnati proprio bene per confonderlo. Come Iruvàn con tutti loro, del resto. Persuasione del Cuore, forse? No, era assodato che il giovane Devenya non la praticasse. E allora…

“Non sto scherzando: dov’è? Che gli avete fatto? Giuro che…”

“Ti consiglio di parlare piano” lo interruppe “non fare rumore e tieniti in ombra. Su quel lato della casa c’è una finestra. Se ci spostiamo di pochi metri sarai in un angolo cieco.”

Heze non mise via il coltello, ma lentamente si rialzò e gli permise di sollevarsi da terra.

“Non gli è stato fatto niente.” proseguì Xau “Il nostro…” capo? Maestro? Guida? No, nessuno di questi “Una certa persona voleva parlare con lui. Voleva offrirgli un accordo, che però il tuo compagno ha rifiutato. E sì, credo che questo lo abbia messo in una brutta posizione. Posso offrirti il mio aiuto, ma sarai costretto a fidarti di me.”

“Ci hai rapiti, torturati e…”

“Non io.”

“Come puoi assicurarmi che non sia una trappola?”

“Non posso. Non ho per te nessuna garanzia. Ma non sono un assassino e se tu ti porti via il tuo amico, io non divento complice di un omicidio e un innocente non muore. Può bastare?”

 

** Spazio autrice: ...e per sapere come se la caveranno i nostri eroi, adesso ci sarà da aspettare un po’! Si va in pausa estiva! Grazie di cuore a tutti quelli che leggono e che rendono questi personaggi più vivi coi loro commenti, e grazie anche a chi legge e non commenta. Buon agosto! **

  
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