CAPITOLO UNO
EDWARD HALE
EDWARD HALE
Ian Dawson sedò e legò il corpo prima di condurlo alla base. Lo trasportò con facilità attraverso i corridoi del laboratorio e lo adagiò sulla barella d’ospedale per permettere a Dominic Fletcher di esaminarlo, il quale lo privò dei suoi indumenti e lo coprì con un telo bianco, ad esclusione della nuca.
Edward si accomodò su una sedia. Da quell’angolazione poteva scorgere solo un ciuffo di capelli scuri, nascosti dietro il busto di Dominic.
«Non somiglia agli esemplari che già conosciamo. Sembra quasi umano», disse Dominic, incidendo la pelle della nuca col bisturi. Tolse un pezzetto di cuoio capelluto e lo depositò su un vetrino rettangolare.
Edward schioccò la lingua quando vide un rivolo di sangue scorrere sul collo del corpo.
«La tua opinione non ci interessa, Hale», disse Ian, fulminandolo con lo sguardo.
Edward non rispose, ma sorrise con fare provocatorio. Ian si lasciò sfuggire un grugnito infastidito e si volse verso Dominic che, nel frattempo, aveva richiuso la ferita e stava analizzando il pezzetto di pelle al microscopio.
«Allora?» chiese Ian, sporgendo il busto in avanti per tentare di vedere qualcosa.
Dominic sospirò. «Apparentemente sembra uguale agli altri, ma la sua temperatura corporea è sotto la media. Dovrei fare ulteriori esami, ma non penso vivrà abbastanza a lungo da permettermelo».
Ian cominciava a spazientirsi. Continuava a espellere anidride carbonica in modo rumoroso e alquanto fastidioso mentre tentava di darsi un contegno. Edward poteva chiaramente distinguere le sue mani chiudersi in pugni nelle tasche dei jeans e la vena sul collo pulsare ferocemente. I suoi occhi erano puntati sulle mani di Dominic, il quale tamburellava le dita sul ripiano in acciaio, freddo e asettico come l’aria che si respirava.
«Niente», sbottò Dominic, lanciando il primo oggetto che si trovò tra le mani sul pavimento di linoleum. Il bisturi rimbalzò due volte per poi fermarsi ai piedi di Ian, che si chinò lentamente per raccoglierlo e depositarlo nuovamente sul tavolo di lavoro.
«Niente», ripeté Edward. Stando ai risultati ottenuti, la situazione non era delle migliori.
«Cosa significa, Dom?» chiese Ian, cauto.
Dominic non rispose, ma lo fulminò con lo sguardo inducendolo a indietreggiare. Edward si alzò con innaturale lentezza, concedendo alle sue giunture di riassestarsi dopo la breve pausa. Sistemò la pistola nella cintura dei jeans sulla schiena in modo che rimanesse ferma e allentò il primo bottone della camicia. Si chiese perché continuasse a indossare indumenti così scomodi, nonostante avesse il guardaroba colmo di abiti più consoni e adatti alle missioni.
«Mi rincresce lasciarvi», disse, avviandosi verso la porta. «Io me ne vado. Ho altro da fare che stare qui a far da spettatore all’ennesimo fallimento. Perdonami, Dom».
«Ehi!» esclamò Ian, mentre Edward abbassava la maniglia. «Hale, aspettami. Non pensare di svignartela ancora, Jill ci ucciderà se le diamo buca».
Edward strinse i denti per l’irritazione. «Preferirei assistere alla vivisezione del corpo piuttosto di lavorare con te, fosse solo per un’altra ora. Jill manderà qualcun altro».
«Jill farà la vivisezione al mio di corpo se non ti presenti. In tutta sincerità, non mi piacerebbe farmi smembrare dal suo bisturi. Sperando non ti dispiaccia. Potresti rimetterci la pelle anche tu», ribatté Ian.
«Cosa le serve, ancora?» Edward uscì nel corridoio illuminato da dei neon vecchi, quasi pericolanti, che non vedevano una ristrutturazione da parecchio tempo. «Non le basta il materiale che le ho portato la settimana scorsa?»
«Dom, fammi un fischio se scopri qualcosa», fece Ian, chiudendosi la porta alle spalle. «Jill mi ha chiesto di dirti che la mente del corpo che stava esaminando ha ripreso la sua attività, ma che le serve il tuo aiuto per completare l’opera. Non so di cosa si tratti, esattamente», continuò.
Edward sbuffò spazientito, incamminandosi verso lo studio di Jill, nonostante le sue gambe protestassero dalla stanchezza. «Avrà pur detto qualcosa a riguardo», disse. «Jill non è così incapace da non saper dare a un nome a ciò che le manca. Oppure tu non hai capito niente di quello che intendeva e sono più propenso verso la seconda».
«Nah, sciocchezze».
«Lo spero per il tuo orgoglio»
Jillian Camden – Edward non sapeva quanti anni avesse realmente, ma era certo che fosse sulla terra da molto tempo, nonostante il suo aspetto giovanile e gli occhi vivaci – aiutava Dominic nelle ricerche. Si interessava con vivo interesse agli esemplari femminili, coloro che secondo lei si differenziavano da quelli maschili per la determinazione. Perché, stando a quello che continuamente ripeteva, era quest’ultima che definiva la potenza di un potere.
«Allora?» lo incalzò Ian, quando arrivarono davanti allo studio di Jill. «Non vuoi entrare?»
Edward si lasciò sfuggire un sospiro carico di rassegnazione. Se solo avesse potuto svicolare e andarsene a dormire per le restanti otto ore prima di convolare a nozze con un’altra delle sue solite missioni, sarebbe stato l’uomo più felice della terra. «A te l’onore, Dawson».
Ian sghignazzò. Edward prese in considerazione l’idea di tirargli un pugno, uno di quei ganci che si mollano in una rissa perché qualcuno, con una sbronza colossale, ha fatto un complimento di troppo alla tua donna. Ma se lo avesse fatto avrebbe passato la prossima mezz’ora a ripulire il pavimento dal sangue e a raccogliere denti rotti, quindi no, non ne valeva la pena. Anche se…
Seguì Ian all’interno della stanza. Si chiese come facesse Jill a resistere alle pressioni a cui i corpi, che venivano recuperati ogni notte, la sottoponevano, ma abbandonò in fretta il pensiero perché non solo non riuscì a trovare una risposta, ma decise che non era una questione che lo riguardava. E poi, Jill li stava studiando, dando le spalle a una delle tante barelle presenti nello studio, coprendo di un quarto un corpo coperto da un telo bianco. In mano teneva un piccolo saldatore a stagno e sul viso un paio di occhiali protettivi.
«Non mi sorprende che Edward non abbia il desiderio di averti in missione con lui», disse, guardando Ian attraverso le spesse lenti. «Sarà al limite della sopportazione». Poggiò il saldatore sul tavolo da lavoro e si tolse gli occhiali. Due occhi blu, profondi come l’oceano, scrutarono Ian con attenzione, per poi soffermarsi sulla sua mano sinistra.
Edward seguì il suo sguardo. Il polsino del maglione di Ian era fradicio di una sostanza viscosa, rossa e appiccicaticcia. «Sei ferito, Dawson?» fece, con voce quasi annoiata, andando a sedersi su una sedia girevole. Ian, invece, invase lo spazio di Jill, accomodandosi pesantemente alla sua scrivania. Si strappò la manica del maglione e la lanciò nel cestino della spazzatura, per poi passare ad esaminarsi la ferita – roba di poco conto, pensò Edward, si era procurato ferite peggiori ed era ancora lì per raccontarlo. La pelle attorno allo sfregio aveva cominciato ad assumere un colore violaceo, ma niente che non guarisse con una buona medicazione e qualche giorno di antibiotici. Sarah, ne era sicuro, avrebbe saputo cosa fare se solo lui gliene avesse parlato.
«Questa?» fece Ian. «Non è niente. Il corpo si è ribellato prima che riuscissi a sedarlo. Ho dovuto lottare un pochino prima di riuscire a caricarlo sul furgone senza che mi creasse problemi. Quei bastardi sanno il fatto loro e sono ben addestrati, ma io sono più furbo. So addomesticarli».
«Sì, e portarli a fare una passeggiata come cuccioli di cane», osservò Jill.
Edward ghignò. Il corpo era in fin di vita, lo aveva visto coi suoi occhi, ma non disse nulla. Perché togliere quella briciola di gloria che gonfiava l’ego smisurato di Ian solo per vederlo imbestialirsi? Perché sarebbe stato dannatamente divertente, ecco, ma decise che era troppo stanco per punzecchiarlo, nonostante lo guardasse con aria di malcelata ironia. Quando Jill si volse per togliere il telo dal corpo ancora addormentato, Ian alzò un sopracciglio e gli fece un gesto non proprio consono alla situazione per invitarlo a visitare il paese che molti decantavano, con tanto di incitazione non verbale.
«Bene», disse Jill, tornando a voltarsi verso di loro per dare al corpo il tempo di risvegliarsi completamente. «Mi duole interrompere la vostra conversazione silenziosa alle mie spalle, ma ho qualcosa da mostrarvi. Ian, non assolderei mai te come unico tutore di questa creatura se ne avessi la possibilità, ma sono sicura che il tuo sarà un aiuto prezioso. I tuoi muscoli ci saranno utili e ti chiedo di darmi la tua parola d’onore che presterai servizio agli ordini di Edward in qualsiasi caso, anche di fronte alla sua richiesta di gettarti nelle fiamme dell’inferno e sacrificarti per il bene comune. Intesi?»
«Cosa?!» esclamò Ian, alzandosi bruscamente in piedi. La sedia rovinò a terra, provocando un rumore sordo, ma nessuno se ne curò.
Edward si scoprì sorpreso ma, nonostante non conoscesse ancora le reali intenzioni di Jill, l’idea di avere Ian come inserviente lo stuzzicava parecchio.
«Non serve andare in escandescenza», osservò Jill. «Avrai anche tu la tua parte di gloria, te lo assicuro. Devi solo portare pazienza».
Il volto di Ian era paonazzo, lo sguardo acceso non di rabbia, ma di qualcosa che si avvicinava all’assomigliarle, tanto che alzò la sedia dal pavimento, la poggiò sbattendola e si sedette. Il tutto sbuffando come un toro davanti a un drappeggio cremisi. Poi prese a massaggiarsi il polso ferito con movimenti lenti ma decisi, lanciando occhiate di fuoco prima a Edward, il quale evitava con cura di incappare nel suo sguardo, poi a Jill.
«Ho già anticipato a Ian che mi serve il vostro aiuto per portare a termine il mio esperimento, perché non sono così temeraria da tentare l’impresa da sola», riprese Jill. «La TAC e la risonanza magnetica hanno mostrato una magnifica attività cerebrale, il che significa che il suo stato di coma è autoindotto. Immagino per preservare intatte tutte le sue funzioni vitali, dato che il suo cuore sta cedendo. Ho bisogno di un organo sano e compatibile per avviare le procedure per un trapianto. Trovate un donatore il più velocemente possibile. Sapevo che sarebbe tornata alla luce quando avrebbe capito che non ha nulla da temere».
«Donne», commentò Ian, quasi sputando.
«Esatto», disse Jill. «Non sia mai che io lavori su un esemplare maschio. Siete troppo complicati per le mie capacità e prendermi l’impegno di studiarvi e comprendere il vostro modo di pensare e ben lungi dal mio modus operandi. Quindi, trattala con deferenza, ragazzone».
«E se dovesse venirle la brillante idea di usare i suoi poteri contro di noi?» chiese Ian.
«Non succederà», rispose Jill. «Le ho impiantato un chip nel cervello in grado di farle molto male nel caso decidesse di attaccare uno di voi due o chiunque si trovi qui dentro. Dovrete apprendere da lei il più possibile. Da qualche tempo a questa parte circolano voci che Ward stia creando esseri perfetti, quasi irriconoscibili. Capire come vive questa gente potrebbe aiutarci».
«Fantastico», disse, Ian, sarcastico. «E quali sono i suoi poteri, se è lecito chiedere?»
«La sua temperatura corporea è di quarantasette gradi e non per colpa di qualche virus», rispose Jill. «Temo che il suo elemento predominante sia il fuoco».
«Potrebbe far scoppiare un incendio di dimensioni megagalattiche e carbonizzarci tutti», osservò Ian.
«O arrostirti qualche marshmallow per tenerti a cuccia», fece Edward.
«Non con il chip che le ho impiantato», replicò Jill, stroncando ogni possibile litigio. «Darà mostra di sé, se sono sicura, ma in proporzioni minime. Non preoccupatevi».
«Quindi dovremmo studiare la bestiola e riportare la lezioncina alla maestra», fece Ian, incrociando le braccia sul petto. Il sangue macchiò il tessuto, ma lui non ci fece caso.
«E se dovesse morire prima che troviamo un donatore compatibile?» chiese Edward, ignorando le occhiatacce nervose di Ian. «Perché vuoi tenerla in vita?»
«È stata prigioniera di Ward e non mi aspetto fallimenti, né potrò tollerarli, Edward». Jill lo guardò, nei suoi occhi c’era una fermezza che Edward non aveva mai visto e si chiese cosa fosse successo se avesse fallito. Jillian aveva lo strano potere di farlo sentire in soggezione e, per cancellare il senso di disagio che i suoi occhi gli avevano improvvisamente provocato, deviò lo sguardo.
«E?» chiese Ian, riuscendo a distrarla dal sondare l’anima del suo interlocutore. «In che modo dimostrerà la sua utilità? Ammesso che ne abbia una».
«Ci fornirà preziose informazioni sul conto di Ward. Potrebbe persino arrivare al punto di suggerirci la soluzione per vincere contro di lui. Noi, lei e quelli come lei abbiamo un nemico in comune».
«Dove l’hai trovata?» chiese Ian.
«Non lo vorresti sapere, ma l’inferno, a confronto, è un paradiso», rispose Jill, voltandosi. Edward aggrottò le sopracciglia, la voce di Jill aveva assunto una nota malinconica, ma forse era solo una sua impressione. La stanchezza stava cominciando a provocargli allucinazioni, per cui scosse la testa cercando di riprendersi. «Ma ora potete conversare con lei. Si sta svegliando. Vi prego solo di aspettare che la sua memoria si ricomponga, prima di cominciare a lavorare su quello che vi ho chiesto. Potrebbe volerci qualche ora, magari un paio di giorni. Sarà dura per lei aprire gli occhi dopo un sonno così prolungato».
In quell’istante, Ian si sporse sulla sedia per guardare ciò che le spalle di Jill nascondevano. Proruppe in un’esclamazione silenziosa che fece rabbrividire Edward perché, da che lo conosceva, non era facile coglierlo di sorpresa. I suoi occhi erano fissi sulla creatura che, nascosta dietro Jill, doveva essersi messa a sedere.
Edward si spazientì quando capì che Jill non si sarebbe tolta di mezzo per mostrargli quello che celava, ma lui voleva vedere la ragazza per accertarsi che fosse davvero eccezionale come gli aveva decantato. Ma, per una ragione che gli è tutt’ora sconosciuta, le sue gambe rimasero inchiodate sul posto quando un paio di occhi rossi, ardenti come lava e brillanti di una luce pura, lo fissarono impauriti da dietro la spalla di Jill.
Edward si accomodò su una sedia. Da quell’angolazione poteva scorgere solo un ciuffo di capelli scuri, nascosti dietro il busto di Dominic.
«Non somiglia agli esemplari che già conosciamo. Sembra quasi umano», disse Dominic, incidendo la pelle della nuca col bisturi. Tolse un pezzetto di cuoio capelluto e lo depositò su un vetrino rettangolare.
Edward schioccò la lingua quando vide un rivolo di sangue scorrere sul collo del corpo.
«La tua opinione non ci interessa, Hale», disse Ian, fulminandolo con lo sguardo.
Edward non rispose, ma sorrise con fare provocatorio. Ian si lasciò sfuggire un grugnito infastidito e si volse verso Dominic che, nel frattempo, aveva richiuso la ferita e stava analizzando il pezzetto di pelle al microscopio.
«Allora?» chiese Ian, sporgendo il busto in avanti per tentare di vedere qualcosa.
Dominic sospirò. «Apparentemente sembra uguale agli altri, ma la sua temperatura corporea è sotto la media. Dovrei fare ulteriori esami, ma non penso vivrà abbastanza a lungo da permettermelo».
Ian cominciava a spazientirsi. Continuava a espellere anidride carbonica in modo rumoroso e alquanto fastidioso mentre tentava di darsi un contegno. Edward poteva chiaramente distinguere le sue mani chiudersi in pugni nelle tasche dei jeans e la vena sul collo pulsare ferocemente. I suoi occhi erano puntati sulle mani di Dominic, il quale tamburellava le dita sul ripiano in acciaio, freddo e asettico come l’aria che si respirava.
«Niente», sbottò Dominic, lanciando il primo oggetto che si trovò tra le mani sul pavimento di linoleum. Il bisturi rimbalzò due volte per poi fermarsi ai piedi di Ian, che si chinò lentamente per raccoglierlo e depositarlo nuovamente sul tavolo di lavoro.
«Niente», ripeté Edward. Stando ai risultati ottenuti, la situazione non era delle migliori.
«Cosa significa, Dom?» chiese Ian, cauto.
Dominic non rispose, ma lo fulminò con lo sguardo inducendolo a indietreggiare. Edward si alzò con innaturale lentezza, concedendo alle sue giunture di riassestarsi dopo la breve pausa. Sistemò la pistola nella cintura dei jeans sulla schiena in modo che rimanesse ferma e allentò il primo bottone della camicia. Si chiese perché continuasse a indossare indumenti così scomodi, nonostante avesse il guardaroba colmo di abiti più consoni e adatti alle missioni.
«Mi rincresce lasciarvi», disse, avviandosi verso la porta. «Io me ne vado. Ho altro da fare che stare qui a far da spettatore all’ennesimo fallimento. Perdonami, Dom».
«Ehi!» esclamò Ian, mentre Edward abbassava la maniglia. «Hale, aspettami. Non pensare di svignartela ancora, Jill ci ucciderà se le diamo buca».
Edward strinse i denti per l’irritazione. «Preferirei assistere alla vivisezione del corpo piuttosto di lavorare con te, fosse solo per un’altra ora. Jill manderà qualcun altro».
«Jill farà la vivisezione al mio di corpo se non ti presenti. In tutta sincerità, non mi piacerebbe farmi smembrare dal suo bisturi. Sperando non ti dispiaccia. Potresti rimetterci la pelle anche tu», ribatté Ian.
«Cosa le serve, ancora?» Edward uscì nel corridoio illuminato da dei neon vecchi, quasi pericolanti, che non vedevano una ristrutturazione da parecchio tempo. «Non le basta il materiale che le ho portato la settimana scorsa?»
«Dom, fammi un fischio se scopri qualcosa», fece Ian, chiudendosi la porta alle spalle. «Jill mi ha chiesto di dirti che la mente del corpo che stava esaminando ha ripreso la sua attività, ma che le serve il tuo aiuto per completare l’opera. Non so di cosa si tratti, esattamente», continuò.
Edward sbuffò spazientito, incamminandosi verso lo studio di Jill, nonostante le sue gambe protestassero dalla stanchezza. «Avrà pur detto qualcosa a riguardo», disse. «Jill non è così incapace da non saper dare a un nome a ciò che le manca. Oppure tu non hai capito niente di quello che intendeva e sono più propenso verso la seconda».
«Nah, sciocchezze».
«Lo spero per il tuo orgoglio»
Jillian Camden – Edward non sapeva quanti anni avesse realmente, ma era certo che fosse sulla terra da molto tempo, nonostante il suo aspetto giovanile e gli occhi vivaci – aiutava Dominic nelle ricerche. Si interessava con vivo interesse agli esemplari femminili, coloro che secondo lei si differenziavano da quelli maschili per la determinazione. Perché, stando a quello che continuamente ripeteva, era quest’ultima che definiva la potenza di un potere.
«Allora?» lo incalzò Ian, quando arrivarono davanti allo studio di Jill. «Non vuoi entrare?»
Edward si lasciò sfuggire un sospiro carico di rassegnazione. Se solo avesse potuto svicolare e andarsene a dormire per le restanti otto ore prima di convolare a nozze con un’altra delle sue solite missioni, sarebbe stato l’uomo più felice della terra. «A te l’onore, Dawson».
Ian sghignazzò. Edward prese in considerazione l’idea di tirargli un pugno, uno di quei ganci che si mollano in una rissa perché qualcuno, con una sbronza colossale, ha fatto un complimento di troppo alla tua donna. Ma se lo avesse fatto avrebbe passato la prossima mezz’ora a ripulire il pavimento dal sangue e a raccogliere denti rotti, quindi no, non ne valeva la pena. Anche se…
Seguì Ian all’interno della stanza. Si chiese come facesse Jill a resistere alle pressioni a cui i corpi, che venivano recuperati ogni notte, la sottoponevano, ma abbandonò in fretta il pensiero perché non solo non riuscì a trovare una risposta, ma decise che non era una questione che lo riguardava. E poi, Jill li stava studiando, dando le spalle a una delle tante barelle presenti nello studio, coprendo di un quarto un corpo coperto da un telo bianco. In mano teneva un piccolo saldatore a stagno e sul viso un paio di occhiali protettivi.
«Non mi sorprende che Edward non abbia il desiderio di averti in missione con lui», disse, guardando Ian attraverso le spesse lenti. «Sarà al limite della sopportazione». Poggiò il saldatore sul tavolo da lavoro e si tolse gli occhiali. Due occhi blu, profondi come l’oceano, scrutarono Ian con attenzione, per poi soffermarsi sulla sua mano sinistra.
Edward seguì il suo sguardo. Il polsino del maglione di Ian era fradicio di una sostanza viscosa, rossa e appiccicaticcia. «Sei ferito, Dawson?» fece, con voce quasi annoiata, andando a sedersi su una sedia girevole. Ian, invece, invase lo spazio di Jill, accomodandosi pesantemente alla sua scrivania. Si strappò la manica del maglione e la lanciò nel cestino della spazzatura, per poi passare ad esaminarsi la ferita – roba di poco conto, pensò Edward, si era procurato ferite peggiori ed era ancora lì per raccontarlo. La pelle attorno allo sfregio aveva cominciato ad assumere un colore violaceo, ma niente che non guarisse con una buona medicazione e qualche giorno di antibiotici. Sarah, ne era sicuro, avrebbe saputo cosa fare se solo lui gliene avesse parlato.
«Questa?» fece Ian. «Non è niente. Il corpo si è ribellato prima che riuscissi a sedarlo. Ho dovuto lottare un pochino prima di riuscire a caricarlo sul furgone senza che mi creasse problemi. Quei bastardi sanno il fatto loro e sono ben addestrati, ma io sono più furbo. So addomesticarli».
«Sì, e portarli a fare una passeggiata come cuccioli di cane», osservò Jill.
Edward ghignò. Il corpo era in fin di vita, lo aveva visto coi suoi occhi, ma non disse nulla. Perché togliere quella briciola di gloria che gonfiava l’ego smisurato di Ian solo per vederlo imbestialirsi? Perché sarebbe stato dannatamente divertente, ecco, ma decise che era troppo stanco per punzecchiarlo, nonostante lo guardasse con aria di malcelata ironia. Quando Jill si volse per togliere il telo dal corpo ancora addormentato, Ian alzò un sopracciglio e gli fece un gesto non proprio consono alla situazione per invitarlo a visitare il paese che molti decantavano, con tanto di incitazione non verbale.
«Bene», disse Jill, tornando a voltarsi verso di loro per dare al corpo il tempo di risvegliarsi completamente. «Mi duole interrompere la vostra conversazione silenziosa alle mie spalle, ma ho qualcosa da mostrarvi. Ian, non assolderei mai te come unico tutore di questa creatura se ne avessi la possibilità, ma sono sicura che il tuo sarà un aiuto prezioso. I tuoi muscoli ci saranno utili e ti chiedo di darmi la tua parola d’onore che presterai servizio agli ordini di Edward in qualsiasi caso, anche di fronte alla sua richiesta di gettarti nelle fiamme dell’inferno e sacrificarti per il bene comune. Intesi?»
«Cosa?!» esclamò Ian, alzandosi bruscamente in piedi. La sedia rovinò a terra, provocando un rumore sordo, ma nessuno se ne curò.
Edward si scoprì sorpreso ma, nonostante non conoscesse ancora le reali intenzioni di Jill, l’idea di avere Ian come inserviente lo stuzzicava parecchio.
«Non serve andare in escandescenza», osservò Jill. «Avrai anche tu la tua parte di gloria, te lo assicuro. Devi solo portare pazienza».
Il volto di Ian era paonazzo, lo sguardo acceso non di rabbia, ma di qualcosa che si avvicinava all’assomigliarle, tanto che alzò la sedia dal pavimento, la poggiò sbattendola e si sedette. Il tutto sbuffando come un toro davanti a un drappeggio cremisi. Poi prese a massaggiarsi il polso ferito con movimenti lenti ma decisi, lanciando occhiate di fuoco prima a Edward, il quale evitava con cura di incappare nel suo sguardo, poi a Jill.
«Ho già anticipato a Ian che mi serve il vostro aiuto per portare a termine il mio esperimento, perché non sono così temeraria da tentare l’impresa da sola», riprese Jill. «La TAC e la risonanza magnetica hanno mostrato una magnifica attività cerebrale, il che significa che il suo stato di coma è autoindotto. Immagino per preservare intatte tutte le sue funzioni vitali, dato che il suo cuore sta cedendo. Ho bisogno di un organo sano e compatibile per avviare le procedure per un trapianto. Trovate un donatore il più velocemente possibile. Sapevo che sarebbe tornata alla luce quando avrebbe capito che non ha nulla da temere».
«Donne», commentò Ian, quasi sputando.
«Esatto», disse Jill. «Non sia mai che io lavori su un esemplare maschio. Siete troppo complicati per le mie capacità e prendermi l’impegno di studiarvi e comprendere il vostro modo di pensare e ben lungi dal mio modus operandi. Quindi, trattala con deferenza, ragazzone».
«E se dovesse venirle la brillante idea di usare i suoi poteri contro di noi?» chiese Ian.
«Non succederà», rispose Jill. «Le ho impiantato un chip nel cervello in grado di farle molto male nel caso decidesse di attaccare uno di voi due o chiunque si trovi qui dentro. Dovrete apprendere da lei il più possibile. Da qualche tempo a questa parte circolano voci che Ward stia creando esseri perfetti, quasi irriconoscibili. Capire come vive questa gente potrebbe aiutarci».
«Fantastico», disse, Ian, sarcastico. «E quali sono i suoi poteri, se è lecito chiedere?»
«La sua temperatura corporea è di quarantasette gradi e non per colpa di qualche virus», rispose Jill. «Temo che il suo elemento predominante sia il fuoco».
«Potrebbe far scoppiare un incendio di dimensioni megagalattiche e carbonizzarci tutti», osservò Ian.
«O arrostirti qualche marshmallow per tenerti a cuccia», fece Edward.
«Non con il chip che le ho impiantato», replicò Jill, stroncando ogni possibile litigio. «Darà mostra di sé, se sono sicura, ma in proporzioni minime. Non preoccupatevi».
«Quindi dovremmo studiare la bestiola e riportare la lezioncina alla maestra», fece Ian, incrociando le braccia sul petto. Il sangue macchiò il tessuto, ma lui non ci fece caso.
«E se dovesse morire prima che troviamo un donatore compatibile?» chiese Edward, ignorando le occhiatacce nervose di Ian. «Perché vuoi tenerla in vita?»
«È stata prigioniera di Ward e non mi aspetto fallimenti, né potrò tollerarli, Edward». Jill lo guardò, nei suoi occhi c’era una fermezza che Edward non aveva mai visto e si chiese cosa fosse successo se avesse fallito. Jillian aveva lo strano potere di farlo sentire in soggezione e, per cancellare il senso di disagio che i suoi occhi gli avevano improvvisamente provocato, deviò lo sguardo.
«E?» chiese Ian, riuscendo a distrarla dal sondare l’anima del suo interlocutore. «In che modo dimostrerà la sua utilità? Ammesso che ne abbia una».
«Ci fornirà preziose informazioni sul conto di Ward. Potrebbe persino arrivare al punto di suggerirci la soluzione per vincere contro di lui. Noi, lei e quelli come lei abbiamo un nemico in comune».
«Dove l’hai trovata?» chiese Ian.
«Non lo vorresti sapere, ma l’inferno, a confronto, è un paradiso», rispose Jill, voltandosi. Edward aggrottò le sopracciglia, la voce di Jill aveva assunto una nota malinconica, ma forse era solo una sua impressione. La stanchezza stava cominciando a provocargli allucinazioni, per cui scosse la testa cercando di riprendersi. «Ma ora potete conversare con lei. Si sta svegliando. Vi prego solo di aspettare che la sua memoria si ricomponga, prima di cominciare a lavorare su quello che vi ho chiesto. Potrebbe volerci qualche ora, magari un paio di giorni. Sarà dura per lei aprire gli occhi dopo un sonno così prolungato».
In quell’istante, Ian si sporse sulla sedia per guardare ciò che le spalle di Jill nascondevano. Proruppe in un’esclamazione silenziosa che fece rabbrividire Edward perché, da che lo conosceva, non era facile coglierlo di sorpresa. I suoi occhi erano fissi sulla creatura che, nascosta dietro Jill, doveva essersi messa a sedere.
Edward si spazientì quando capì che Jill non si sarebbe tolta di mezzo per mostrargli quello che celava, ma lui voleva vedere la ragazza per accertarsi che fosse davvero eccezionale come gli aveva decantato. Ma, per una ragione che gli è tutt’ora sconosciuta, le sue gambe rimasero inchiodate sul posto quando un paio di occhi rossi, ardenti come lava e brillanti di una luce pura, lo fissarono impauriti da dietro la spalla di Jill.