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Autore: Shadow writer    02/08/2024    2 recensioni
"Si erano fissati in silenzio, come se fossero state rubate loro le parole. Fino a qualche settimana prima, erano stati gli amici che uscivano a passeggiare prima di sera per raccontarsi la giornata, quando il sole calava e la luce si faceva dorata, ma in quel momento si erano guardati come estranei, come se già si fossero allontanati per due vite diverse."
***
Maxine si è sempre sentita fuori posto e così, finite le scuole superiori, se ne è andata dal piccolo paese in cui è cresciuta, troncando ogni rapporto con amici e familiari. Quando la malattia del padre la costringe a tornare dopo tanti anni, le cose sono cambiate e le sembra impossibile ambientarsi di nuovo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 9
La libreria
Marzo
 
In Hampstead High Street tirava un’aria fredda. Max la sentì pungere il suo volto non appena uscì dalla metropolitana. Era già metà marzo, ma le temperature non accennavano ad alzarsi. Quella mattina, sul bus, aveva sentito due signori discutere su quell’aria che arrivava dalla Russia e avrebbe portato freddo per le settimane successive. «Come se il riscaldamento non costasse già abbastanza» aveva concluso uno dei due.
Sollevò la sciarpa di lana per ripararsi e vide che, poco lontana da lei, Daisy si stava infilando un paio di guanti. L’altra ragazza indossava un cappotto di cachemire verde oliva che le arrivava alle ginocchia, benché dovesse essere stato pensato per arrivare a metà coscia a una persona di altezza regolare. Max sapeva che l’amica non era una tipa da tacchi, eppure quella sera indossava dei tronchetti neri che offrivano il vantaggio di slanciare la sua figura piccola e paffuta, ma allo stesso tempo le facevano assumere un’andatura incerta.
Max le offrì un braccio per l’equilibrio. Daisy accettò con un sorriso e commentò: «Forse avrei dovuto chiedere un corso rapido di tacchi a Thea».
«Quelli sono sandali per lei» ribatté, facendola ridere.
Max si sentì grata di poter avere quell’amica nella sua vita. In Daisy c’erano una dolcezza e sincerità che l’avevano fatta sentire a casa. Tra eredi di famiglie importanti, come Thea e Hannah, Daisy era quella più le assomigliava. Suo padre era un idraulico e sua madre si occupava di affittare stanze a studenti stranieri, così la ragazza era cresciuta nel Brent in una casa perennemente affollata e aveva trovato nella letteratura il suo rifugio. 
«Sembri stanca» le disse Daisy, mentre indicava la via che dovevano imboccare. «Ti stanno distruggendo al lavoro?»
Max annuì. «Farò di tutto per prendere quel posto».
Da un paio di settimane alla TKZ, il canale televisivo per cui lavorava, girava voce che l’assistente regia di Colin Beck si sarebbe trasferita negli Stati Uniti e già si cercava chi avrebbe potuto prendere quel posto. Beck gestiva un programma registrato on tape nella fascia preserale, che si occupava di musica e di intrattenimento in generale. Max era al canale da solo sei mesi, ma da quando era solo una stagista aveva visto come rapidamente potessero scomparire quelli che non piacevano alla direzione. Se era stata assunta, significava che qualcuno credeva in lei. E avrebbe lavorato anche quindici ore al giorno per avere quel posto. 
«Eccoci».
Daisy si fermò davanti all’unica vetrina illuminata della via. Era una libreria dall’aria antica, incastrata in un edificio in mattoncini rossicci. Il legno che circondava le vetrate era dipinto di un verde brillante, che si abbinava con le rigogliose piante decorative intorno all’ingresso. All’interno si vedeva una discreta folla che si muoveva tra gli scaffali.
Dopo la laurea, Daisy era stata assunta da una piccola casa editrice della City in seguito allo stage che il loro professore di Teatro Contemporaneo le aveva procurato. Aveva lavorato come redattrice al libro di poesie che veniva presentato quella sera e Max non aveva esitato ad accettare di accompagnarla come sostenitrice al suo primo debutto. 
«Sei pronta?» chiese, rivolgendosi verso la ragazza ancora aggrappata al suo braccio. Le guance di Daisy erano arrossate, ma i suoi occhi brillavano. Fece un cenno di assenso — forse più a se stessa che a Max — e si staccò dal braccio per andare ad aprire la porta, dondolando sui tacchi.
All’interno furono accolte dal riscaldamento prodotto da una stufetta elettrica. Come avevano visto dall’esterno, la libreria era già gremita e poche erano le sedie rimaste libere. Erano state rivolte verso una scrivania, ricolma delle copie del libro che debuttava quella sera; ai due lati della scrivania un paio di poltrone di velluto aspettavano gli ospiti d’onore.
Max si separò dall’amica, lasciando che si spostasse nelle prime file per raggiungere i suoi colleghi, e cercò un angolo in cui infilarsi prima che iniziasse la lettura. Lo trovò accanto allo scaffale delle novità, schiacciato contro il muro. Alla sua destra stava un’anziana signora stretta in un piumino rosa pastello. Qualcuno le aveva offerto la propria sedia, ma la donna aveva rifiutato con uno schiocco di lingua e l’aria sdegnata. Poco davanti a Max c’era una coppia di ragazzi. Lui indossava una giacca di pelle e aveva due anelli alle orecchie, mentre lei portava un caschetto di capelli scuri che la faceva apparire come la protagonista di un film indie. 
Cercò di mimetizzarsi tra le persone, mentre quello che identificò come il capo di Daisy cominciò a parlare.
 
 
Due ore più tardi, Max ringraziò il cielo, quando la poetessa si decise a dire che si sarebbe dedicata al firma-copie e non avrebbe più parlato. Vide Daisy correre ad aiutare gli organizzatori, così si rassegnò ad aspettarla nell’angolo da cui aveva seguito tutta la lunga presentazione. Alcuni dei presenti si misero in coda, mentre altri uscirono dalla libreria, alzando i baveri delle giacche prima di affrontare l’aria fredda della notte.
Max sentì il ragazzo con la giacca di pelle commentare: «Sono contento che il libro le abbia dato una ragione per vivere. A me ne ha fatte venire in mente almeno una ventina per morire».
La sua compagna con il caschetto gli scoccò un’occhiata scocciata. «Perché devi essere sempre così polemico?»
Lui si strinse nelle spalle e l’altra, con aria infastidita, si allontanò per infilarsi nella coda per le firme. Max lo vide sbuffare e appoggiarsi alla parete con una spalla, incrociando le braccia al petto. Per ingannare l’attesa, decise di avvicinarsi a lui. «Se ti può consolare» gli disse, «anche io avrei preferito buttarmi nel Tamigi piuttosto che ascoltare un’altra poesia».
Lui le sorrise. «Grazie a Dio non sono da solo. Credevo di essere impazzito».
«In caso siamo in due» ribatté Max.
Notò che i suoi occhi, separati da un naso dritto, avevano le iridi di un verde scuro.
«Ti sei sorbita questa noia da sola?» le chiese.
Lei scosse il capo e indicò con un gesto della mano Daisy, che in quel momento stava aiutando a chiudere le sedie di metallo. «Ho dovuto accompagnare la mia amica».
Il ragazzo non rispose, ma si mise a scrutarla per qualche secondo.
«Io credo di conoscerti» disse infine.
Max lo guardò da sotto le ciglia degli occhi socchiusi. Un sorrisetto le increspava le labbra. «Sei qui con una ragazza e usi quella battuta con me?».
Lui scosse il capo e, in tono grave, disse: «L’hai sentita, sono troppo polemico. Entro domani mattina temo sarò di nuovo single».
Si guardarono per qualche secondo, divertiti l’uno dall’altra, senza parlare. Fu lui a interrompere il silenzio, aggiungendo: «No, seriamente, ci siamo già visti».
Max lo scrutò. I suoi capelli scuri erano abbastanza lunghi da formare dei ricci, ma non a sufficienza per nascondere gli anelli alle sue orecchie. Aveva una carnagione olivastra, ma difficile dire quali fossero le sue origini. Un’illuminazione la colpì. «Sei l’attore».
Lui si batté una mano sulla fronte. «Ora mi ricordo. Abbiamo parlato in quel pub… vicino alla tua università, giusto?»
Max annuì. «È giusto».
Lui le puntò un indice contro, ma senza perdere il sorriso. «Mi avevi rifiutato perché dovevi fare carriera. Non molto brillante come scusa» scherzò.
Max si strinse nelle spalle. «Non era una scusa».
«Dunque, di quale azienda sei CEO ora?» replicò lui, incalzante.
Lei si ritrovò senza parole. Stava cercando una risposta a tono, quando la ragazza con il caschetto scuro chiamò: «Elias!»
Il moro si voltò e le fece cenno che l’avrebbe raggiunta.
«Ti lascio alla tua scalata al successo, non vorrei esserti d’intralcio» disse a Max, ammiccando, e si congedò con un sorriso e sventolando la mano. 
«Mi rivedrai su qualche copertina» lo salutò lei e lo vide sorridere mentre raggiungeva la sua ragazza. Quella lo afferrò per una mano e lo trascinò all’esterno della libreria, borbottando qualcosa sottovoce.
Daisy riuscì a liberarsi solo mezz’ora più tardi e ormai la maggior parte delle persone se n’era andata. Quando si spostarono nella via pedonale da cui erano venute, la trovarono deserta e avvolta nel silenzio.
«Come ti è sembrato?» le chiese Daisy. La serata pareva averle dato una botta di autostima, perché in quel momento camminava con maggiore sicurezza sui suoi tronchetti e aveva quasi perso l’andatura barcollante.
«L’evento? Interessante» rispose Max. «Le poesie…»
«Non dire niente!» rise Daisy. «Una palla assurda, lo so. Ho provato a dirlo al mio capo, ma lui ne era totalmente affascinato».
Max si fermò in mezzo alla stradina, costringendo l’amica a fare altrettanto. Daisy le scoccò uno sguardo allarmato. «Che c’è?»
«Tu sapevi che era un libro di merda e mi hai fatta venire comunque?»
Scoppiarono entrambe a ridere e si presero a braccetto allegramente.
«Aspetta» la fermò nuovamente Max. «Hai voglia di andare a Parliament Hill?»
L’amica la guardò per capire se stesse scherzando o fosse seria. Quando si accorse che non c’era ironia nella sua voce, sgranò gli occhi e scosse il capo. «È tardi, è notte e tu vuoi andare in un parco buio?»
«La vista ne vale la pena» ribatté Max.
La serata doveva aver fornito una dose extra di sicurezza a Daisy, perché si lasciò convincere abbastanza facilmente. Percorsero le vie in cui le case in mattoni si alternavano a villette di colori pastello che, nel buio della notte, apparivano come diverse sfumature di grigio. Commentarono quanto sarebbe piaciuto a entrambe vivere in quel quartiere. Max riusciva a vedere se stessa dietro alle grandi vetrate, a leggere un libro con una tazza di tè caldo. Si immaginò accoccolata su una poltrona, mentre piegava le pagine del romanzo verso la luce dorata del tramonto e alle sue spalle compariva una sagoma maschile, per portarle una coperta e lasciarle un bacio sulla fronte.
Strizzò gli occhi e scacciò quel pensiero scuotendo il capo. 
Avevano ormai raggiunto Hampstead Heath e proseguirono lungo le strade più illuminate. Per un po’ costeggiarono il parco, poi si infilarono all’interno, seguendo il sentiero punteggiato dai cerchi di luce dei lampioni. Superarono il circuito di corsa e si inerpicarono verso la cima della collina. I lampioni illuminavano il sentiero sterrato, mentre il resto del parco era avvolto dalle tenebre.
Max rioffrì a Daisy il sostegno del proprio braccio e l’altra accettò ben volentieri. Quando arrivarono alla fine sentiero, dove la strada spianava, si voltarono per godere della vista della città di notte e scoprirono che il cielo non era così limpido come si immaginavano.
I palazzi erano cubi tremolanti avvolti dalla luce. L’inquinamento luminoso tingeva il cielo di una strana sfumatura rossastra, come rosse erano le luci delle antenne sulla cima degli edifici. 
Rimasero a godere di quella vista in silenzio per alcuni minuti. 
«Quasi dimenticavo» disse ad un certo punto Daisy. «Ho conosciuto qualcuno».
Max si voltò a guardarla, sollevando le sopracciglia in un’espressione perplessa. «Ah sì?»
L’amica infilò il mento nella sciarpa, difficile dire se per il freddo o per nascondere un sorriso imbarazzato.
«Lavora nell’ufficio amministrativo. Abbiamo pranzato insieme qualche volta e mi ha chiesto di uscire sabato sera».
Max le diede un’affettuosa spinta. «E quando pensavi di dirmelo?»
«Stasera, ma ero agitata per la presentazione e mi sono dimenticata» rise l’altra.
«Sono felice per te» le disse e si avvicinò per abbracciarla. 
Daisy pareva incapace di smettere di sorridere, nonostante tentasse di farlo – invano – per sminuire la propria gioia.
«E tu?» disse all’amica, per spostare l’attenzione da sé.
L’altra corrugò la fronte e la squadrò. «Io cosa?»
«Non ti senti con nessuno?»
Max scosse il capo. La sua mente fu colpita da un’altra sensazione, imprevista e indesiderata come quella che l’aveva attraversata mentre camminava vicino alle case dalle ampie vetrate. Questa volta si trattava di un suono, che aveva ascoltato realmente più di un mese prima. Anzi era una voce, che sentiva nella testa, che si era ripetuta tante volte prima di addormentarsi, cercando di ricordare ogni intonazione ed esitazione, rimpiangendo di non aver pensato di registrare quella chiamata. Non ricordava precisamente le proprie parole, ma quelle di Gabri le sapeva a memoria. Quando lei lo aveva chiamato per fargli gli auguri di compleanno, aveva percepito tutte le emozioni che si erano ammassate nel silenzio che aveva preceduto i suoi ringraziamenti. Felicità per la chiamata. Incertezza su cosa dire. Imbarazzo per come commentare il bacio con cui si erano lasciati l’ultima volta. Delusione, perché lei lo aveva ignorato nei mesi precedenti, ad eccezione di alcuni monosillabici messaggi. Ma Gabri era gentile e profondamente buono. L’aveva ringraziata e le aveva chiesto come stesse, simulando una felicità che Max avrebbe potuto smascherare subito. Aveva deciso di stare al gioco e gli aveva risposto con la stessa pacata serenità che il ragazzo aveva scelto di assumere. Non lo sentiva da allora.
«Be’, posso presentarti qualcuno se vuoi».
Daisy la strappò dai suoi pensieri. Max fece cenno di no. «Sto bene così, grazie».
L’amica le rivolse uno sguardo poco convinto, ma non aggiunse altro e tornò a guardare i palazzi sfumati della City.


 

Ciao!
Lascio alcune note qui 
👇
Hampstead è un quartiere residenziale nella zona nord di Londra molto ricco, famoso perché ospita diversi artisti e personaggi del mondo dello spettacolo, ma allo stesso tempo, grazie ai suoi edifici in mattoni rossi, sembra un villaggio più che un quartiere metropolitano. Hampstead Heath è il grandissimo parco che si trova all'interno del quartiere e dalla sua collina – Parliament Hill – si gode di una vista sui grattacieli della City, la zona finanziaria della città più a sud rispetto ad Hampstead, vicino al Tamigi.

Grazie a chiunque sia arrivato fin qui 
❤️ Spero che la storia non vi stia deludendo, ma se avete correzioni o consigli sono sempre felice di sentirli!
Vi ricordo che mi potete trovare anche su instagram.
A presto,


M.
 
   
 
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