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Autore: Yukino    29/05/2005    7 recensioni
Non esisterò più in nessun mondo e la cosa mi rassicura in fondo, ma forse è solo il suo alito gelido che mi confonde i pensieri e la mente, tutto diventa sconnesso. E io cado
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LABIRINTI DI FOLLIA

Ci sono tante cose per cui valga la pena vivere…questo pensavo mentre mi aggiravo per i boschi come un automa, la mente tesa a capire, a cercare un senso, un qualcosa, un eternità che mi era stata appena rivelata e che io anelavo con tutto me stesso, un eternità data dalla mia follia, un eternità fuggevole e ingannatrice, amara eppure dolce. Non sapevo cosa fare.

Ci sono tante cose per cui valga la pena vivere.

Quali?

Qualcuno può elencarmele? Carta e penna le ho, le ho sempre avute, eppure nessuno mi soccorre, nessuno mi enuncia quali sono queste cose, tutti dicono la stessa frase e poi quando io li guardo loro si bloccano e fuggono lo sguardo non sapendo assolutamente cosa dire, cosa fare, come continuare.

Ci sono davvero tante cose per cui valga la pena vivere?

Me lo chiedo in un sospiro, una volta lo pensavo, una volta mentre ero sul palco e la musica mi trapanava le orecchie mi veniva da pensare che quella era vita, quella scarica in corpo di adrenalina, il pubblico che mi acclamava, la gente che si accalcava per sentirmi, e la musica, l’unica compagna della mia vita, la musica sovrana, la musica regina sanguinaria di tutti coloro che vivono per lei e offrono la propria anima alle sue spire tentatrici. Lei è sempre stata l’unica a capirmi, amarmi, consolarmi, lei è stata l’unica che mi ha offerto un rifugio dal mondo e in cambio mi ha solo chiesto di prestarle la mia anima per lasciarla vagare nel mondo e arrivare dappertutto. La musica è una sovrana esigente, pretende tutto dai suoi sudditi.

E io ho dato tutto.

Ho lasciato che penetrasse in me e io ero solo lo strumento con il quale lei si esprimeva, le mani partivano da sole e io ero in grado di creare canzoni che sgretolavano l’anima e la riducevano in brandelli, erano un urlo, una richiesta, erano la disperazione, la miseria, la rabbia, l’orgoglio e ,raramente, l’amore.

Ero tutto.

E non ero niente.

Avevo tutto ma niente mi apparteneva sul serio, tutto era suo, tutto era dovuto a lei, alla mia esigente regina, la mia unica amante, la mia unica confidente. Non avrei mai potuto amare nessuno tranne lei, anche se ho tentato. Ho tentato di amare mia moglie ma non ci sono mai riuscito, era solo una pallida sostituta di lei, era la sua ombra che fuggevole si aggirava per i corridoi oscuri della mia anima, portando con se un pallido lumino per cercare la strada.

Ma non l’ha mai trovata.

La luce era insufficiente, non bastava a illuminare il labirinto.

Mentre lei, la mia sovrana, recava con se il fuoco che non si spegne mai, recava con se la luce eterna che risplenderà sempre, lei sola era capace di trovare la strada, lei sola era capace di slegare il mostro incatenato nel profondo e liberarlo nel mondo senza che nessuno si ferisse.

La mia sovrana.

La mia schiava.

Io le ho dato tutto ma alla fine…chi era di chi?

Ero come divorato da un demone che mi inseguiva e che afferrava lentamente i pezzi del mio corpo e della mia mente per poi ridarmeli a brandelli, per anni ho continuato a fuggire scatenando la mia rabbia su chi mi ascoltava eppure non sono mai riuscito a trovarlo, il senso.

Non sono mai riuscito a capire perché mai io dovessi vivere in questo modo, in questo mondo, con una tale maledizione sulla testa, con la mia regina che mi offriva riparo e contemporaneamente negava la mia esistenza.

Io…chi ero?

Mi ero perso anche io nei labirinti della mia mente? Credevo di essere il sovrano almeno di me stesso, della mia mente se non della mia anima votata a lei, ma era una speranza illusorio e beffarda, troppo tardi mi sono reso conto che lei mi aveva rovinato tutto.

Tutta la vita che avrei potuto avere, tutto l’amore che avrei potuto dare a mia moglie, tutto l’amore che avrei potuto provare per mia figlia… mi aveva portato via tutto.

E la mia rabbia si è tramutata in stanca accettazione.

Prima cercavo di fuggire, di assoggettarla al mio volere, di vivere avendo lei come schiava, poi ho lasciato che facesse.

Che mi usasse, che mi finisse.

Ecco. Voglio solo questo.

Che mi finisca.

Lei mi ha reso grande e lei può uccidermi.

Perché io avrei potuto essere grande, avrei potuto portarla nel mondo e lasciare che tutti si lasciassero soggiogare da lei, assoggettare al suo amore, eppure mi sono lasciato usare da gente incompetente che non voleva la mia anima ma solo la mia fama. Ho seguito i piaceri del mondo dimenticando che solo lei avrebbe potuto amarmi, usarmi senza farmi sentire vuoto, amarmi senza condurmi alla follia.

L’ho dimenticata.

Cercando di renderla mia schiava ho dimenticato che lei sola avrebbe potuto donarmi quel senso di cui avevo disperatamente bisogno. Il senso che cercavo da anni.

Sono stato stupido e cieco, e non potevo dare la colpa ad altri se non a me stesso.

Non mi sono accorto che la stavo perdendo, non mi sono accorto che ero io che mi nascondevo da lei nel labirinto e nascondendomi mi sono perso io stesso.

Lei mi negava ogni forma di esistenza che non fosse sua ma mi dava anche il coraggio e la forza per non soffocare. Mi dava la libertà di esprimermi e capire cos’era la vera vita.

Lei.

E quindi adesso, adesso che sono qui e vago come un fantasma in un mondo che non mi appartiene più, adesso io la stò cercando.

Mi ha rovinato eppure nello stesso tempo salvato.

Fino ad adesso.

Adesso non ho nemmeno lei a consolarmi, adesso le mie dita sono anestetizzate e la mia mente vuota, adesso non sono capace di creare niente.

Mi ha lasciato, abbandonato come un pezzo di carbone che senza la sua luce non splende più ma rivela tutta la sua bruttezza e inutilità.

Senza di lei che cosa sono?

Lo penso fissando il fuoco che ho acceso per scaldarmi la notte, non mi è rimasto più niente e nessuno, nessuno che possa colmare il vuoto che sento, nessuno che può ridarmi un senso paragonabile a quello che mi dava lei. Adesso posso sentire i fischi gelidi del vento che spira nel labirinto e porta con se solo più tenebre e freddo. Non riscalda, non brucia, non illumina anche se fiocamente, no, oscura e basta.

E sono io che l’ho corteggiata.

Ho corteggiato la follia e l’ho adulata per indurmi a prendermi, l’ho invitata a bere un caffè e lei ha deciso di rimanere.

E adesso non penso.

Non penso, non voglio niente, nemmeno sentire l’ipocrisia di gente che mi chiede come stò solo per poter poi sfruttare di nuovo il mio nome e la mia fama. Cosa desidero davvero? Forse solo morire, solo che questo fuoco che crepita davanti a me possa penetrarmi dentro. Ma so che è impossibile, so che la follia non lo permetterebbe mai, e ora è lei la mia nuova sovrana. Ora è lei sola che io amo e venero, e non c’è spazio per nessun altro. Ho provato a farmi percorrere di nuovo dal caldo brivido della folla che mi acclama eppure non è più la stessa cosa, non sento più quell’eccitazione che si espande in me e mi esalta, mi sento sempre più lontano, più distaccato, non me ne importa niente di nessuno.

Resto così tutta la notte, a osservare il fuoco quasi con desiderio, forse l’unica cosa che vorrei davvero è farmi possedere di nuovo dalla musica, ma la mia mente ormai non regge più, la mia musica è sparita e ora la mia mente vacilla sotto i colpi del vento.

Vacilla.

Vacilla.

Fra un po’ non sarò più in grado di controllarla e sparirà anche lei, è già sparita dal mondo, non esiste più, niente esiste più e io mi stò perdendo.

Questi sono gli ultimi barlumi di lucidità prima dell’attacco definitivo, poi non sarò più in grado di controllarmi.

Ed è questo che io voglio, agogno,

L’oblio,

La luce malata,

L’oscurità.

Non vedrò,

Non sentirò,

Non capirò.

Il mondo è come un enorme scatola buia dove mille formichine brulicano e si affannano e non si rendono conto che non potranno mai varcarne i confini.

Invece io li varcherò.

Io uscirò, strapperò i confini di questa stupida gabbia e sarà solo luce.

Luce malata ma pur sempre luce che abbaglia e ferisce.

La luce che emanano le dimore dei defunti.

Uscirò.

Uscirò.

Ce la farò.

Ecco.

Arriva la follia a prendermi, posso sentire il suo alito gelido sfiorarmi il viso, scostarmi i capelli e accarezzarmi il corpo,

Arriva

E io con un bacio silenzioso mi butto

Sensuale

Nelle sue braccia

Diafane

E malate,

Vedo la luce

Scomposta

Evanescente

Ma nitida.

Emana da lei e da me,

Mi avvolge

Mi penetra

Divento lei,

E lei diventa me in un amplesso furioso

Ma elegante.

Non ci sarò

Non esisterò più in nessun mondo e la cosa mi rassicura in fondo, ma forse è solo il suo alito gelido che mi confonde i pensieri e la mente, tutto diventa sconnesso.

E io cado

Cado

Cado

Cado

Cado

Cado

Cado

Cado

C’è nessuno che mi può aiutare adesso?

Dove sono?

-fine-

 

 

 

 

 

   
 
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