(Crediti all'autore del disegno di Actarus, che non è mio: l'ho solo usato per comporre l'immagine digitalmente)
E niente… gira e rigira, alla fine mi sveglio definitivamente, stravolta dal caldo e da sogni assurdi e inquietanti.
Non sono abituata a dormire sola, soprattutto nella casa al mare, ma i ragazzi ormai sono grandi e, lavorando nelle vicinanze di casa, quest’anno hanno scelto di non trasferirsi qua per l'estate. Mio marito mi raggiungerà nei prossimi giorni a causa di alcuni impegni e, per farmi guadagnare qualche giorno di mare e di sole, mi ha spinta a venire prima, facendomi portare con me la nostra gatta, con la scusa che così mi fa compagnia. Il che è verissimo, ma è anche vero che così non devono preoccuparsi loro, che sono in tre, di cibarla e cambiarle la lettiera. Ma vabbè… in ogni caso, è sempre un piacere occuparmi della mia miciastra selvatica!
Uffaaa, ho davvero perso il sonno, ormai: meglio alzarmi, va’.
Raggiungo il terrazzo, dopo aver afferrato il mio pc portatile, sperando di trovare lì un po’ di refrigerio, sotto la volta stellata a un passo dalla pineta e dal mare. Accendo il computer e apro la cartella delle stupidaggini che scrivo per hobby; sbircio i titoli dei vari files: ci sono due storie originali ferme da mesi – ma che dico mesi: anni! – di cui fra l’altro ho scritto solo i primi capitoli, e due fanfiction, una su City Hunter e una su Capitan Harlock, che stanno subendo lo stesso destino.
Sob, non riesco davvero più a scrivere… e pensare che è stato, per alcuni anni, il mio hobby principale insieme al disegno, riscoperti entrambi dopo almeno un ventennio di inattività. Ma da qualche tempo non partono più né la tastiera, né le matite…
Attraverso la portafinestra che dà nel salotto, l'occhio mi cade sul tavolino su cui luccicano le chiavi della macchina, agganciate a un portachiavi di metallo che riproduce un vecchio personaggio dei cartoni animati giapponesi degli anni settanta, un robottone guerriero dalle grosse corna gialle: un regalo di diversi anni fa, da parte dei miei figli che conoscono le mie passioni da boomer e vecchia nerd quale sono.
Goldrake… che bei ricordi…
Una specie di fulmine a ciel sereno, nella forma di uno strale azzurro che va a spegnersi, con uno stranissimo suono a metà tra un sibilo e un fischio, oltre le cime dei pini, verso la spiaggia, mi riscuote di colpo dal ricordo del vecchio anime. La Micia, che è sopraggiunta con un salto repentino sul tavolo, sgrana gli occhioni verdi e rizza la pelliccia bianca e tigrata, soffiando spaventata e camminando sulla tastiera.
– Per la miseria, Micia, alla faccia della stella cadente! – esclamo, accarezzandola per calmarla.
Osservo lo schermo e ciò che le zampe della Micia hanno prodotto:
Klofhnjieu&€£@$ggggseerfmnkl!?3#@dhsue,!>}[AAAtlas.
Solo le ultime cinque lettere mi restano impresse nella retina: Atlas…?
Atlas Ufo Robot era il titolo con cui Goldrake venne trasmesso sulla RAI, la bellezza di quarantasei anni e spiccioli fa…
– Micia, che fai, vorresti darmi degli input?
E così, alquanto svogliatamente, comincio a pestare sulla tastiera, stupita di come, a un certo punto, le parole comincino a fluire con facilità sullo schermo del pc: era davvero un pezzo che non mi capitava!
Assorta nello scrivere, lì per lì non mi accorgo di nulla, finché la Micia smette di sfregare la guancetta pelosa sull’angolo del monitor e, di nuovo, soffia e drizza il pelo, fuggendo poi in casa e rifugiandosi sotto il divano.
– Ehi, ma che succede, sciocchina? Che hai visto?
Mi alzo e faccio un passo per entrare in salotto, perplessa, ma mi blocco immediatamente: ho la sensazione di intravedere una persona in casa, appena un’ombra tra le ombre. Il cuore mi manca un colpo e mi viene la pelle d’oca: ti pareva che non capitasse qualcosa di brutto e pericoloso, come un ladro o peggio, proprio mentre son qua da sola? Cacchio, cosa faccio adesso? Non sono mica giovane, agile e intrepida come le protagoniste delle mie fantiction, io!
Resto immobile, trattenendo il respiro, e spero che rimanendo qui, sul terrazzo, addossata al muro a fianco della vetrata, l’intruso non mi veda; ma certo, come non avessi appena parlato col gatto! Mi avrà sentita…
A proposito della Micia, la intravedo nella semioscurità uscire guardinga e curiosa dal suo nascondiglio e avvicinarsi quatta allo sconosciuto per… annusargli le caviglie…?!
Curiosità uccise il gatto, recita un vecchio adagio… levati di lì, miciona stupidona!
Con mia sorpresa, però, l’ombra umana, tutt’altro che minacciosamente, si china e accarezza dolcemente le orecchie della mia felina, che – me lo aspetto, conoscendola – si rivolterà soffiando!
E invece!
La vaccona si rotola per terra e si produce in sonore fusa! Bah, l’ho sempre detto, io, che sarebbe stato meglio un cane da guardia, invece di un gatto pigro e mercenario, pronto a vendersi per due grattatine sulla crapa.
È a quel punto che l’intruso – ladro, malvivente, rapinatore, stupratore…? Che poi… come accidenti è entrato…? Ormai tutte le cose peggiori mi stanno passando per la mente e mi chiedo se non mi convenga scappare scivolando giù per la grondaia… Sì, ovvio, alla mia età, è la soluzione migliore… per fare la fine della prugna troppo matura! – insomma l’intruso, dicevo, parla tranquillamente con la Micia!
– Salve, tu…1
Ma che mi pigli un colpo secco! Perché ‘sto maledetto ha la voce di un giovane Romano Malaspina? Sbircio appena dallo stipite della porta: uno con una voce così non può essere un delinquente. Oddio, Romano Malaspina ha doppiato svariati personaggi, positivi ma anche no, e pure il Generale de Jarjayes, il padre di Lady Oscar, che non era esattamente un simpaticone, ma…
– Ehi, Mari, ciao anche a te.
Sobbalzo di colpo, stranamente non per la paura, ma come una scolaretta beccata a combinare qualcosa di sconveniente, quando lo sconosciuto varca la soglia del terrazzo e la luna lo illumina completamente.
Ma…? Che cos…? Bwahahaha, non è possibile! Vedi che alla fine ce l’ho fatta ad addormentarmi, evidentemente, perché sto facendo un bellissimo sogno… altrimenti non si spiega!
Davanti a me c’è nientepopodimeno che… Actarus in persona! Anzi, Duke, il principe di Fleed, con la sua tuta spaziale rossa e nera, aderentissima al fisico statuario e con le ali azzurre sui pettorali, sui quali brilla il ciondolo verde con al centro la pietra rotonda blu, simbolo della sua casata. Il famoso casco con la visiera gialla integrale è tenuto stretto in una mano guantata, così che io possa bearmi della bellezza di quel volto di cui, a dodici anni, ero perdutamente innamorata.
I capelli castani lunghi fino alle spalle vengono mossi da una lieve brezza e… vabbè, allora dillo, bel principe, che l’hai ordinata apposta per l'occasione e fare bella figura, eh? Perché fino a un attimo fa, sotto la cappa di afa, non muoveva una foglia!
E così scopro anche qualcosa che nell’anime non ci hanno mai fatto vedere, ovvero che Actarus, le orecchie, le ha! E, diciamolo, sono perfette anche quelle, come tutto il resto! Le labbra meravigliosamente disegnate – hihi, è proprio il caso di dirlo – sono piegate in un lieve sorriso che farebbe innamorare una pietra, per non parlare degli occhi, di quel blu del tutto unico, sotto alle folte sopracciglia e contornati da ciglia nere e lunghe da fare invidia a qualsiasi donna. Mi balena il ricordo di un amichetto delle scuole medie che mi diceva: – Ma come fa a piacerti Actarus, non vedi che sembra che abbia l’eyeliner come una femmina?
Al diavolo, che volete capire, voi maschi, di avvenenza virile? In quasi sessant’anni di vita non ho mai trovato un uomo in carne e ossa, né tra gli attori, men che meno tra quelli che ho conosciuto di persona, che potesse anche solo vagamente assomigliare a lui.
Con lentezza, oserei dire persino sensualità – mammamiaiutooo! – Actarus posa il casco sul tavolino del terrazzo e si sfila i guanti. E mi ha pure chiamata Mari, come fanno tutti i miei parenti e amici, marito compreso! Gesù, lo so, lo so!, che adesso ho gli occhi a cuoricino come un’adolescente scema e mi tremano pure le ginocchia, maledetta me! E quando la voce finalmente mi esce come un fiume in piena, penso che, con tutte le cose che avrei potuto dirgli, io, fedele a me stessa e alla mia proverbiale stupidera, tiro fuori quella più assurda del mondo!
– T-tu…! Tu, tu, tu… adesso, mi devi spiegare una cosa! Quando ti ho conosciuto, nel 1978, ero una bambina e tu eri troppo grande per me! E allora perché diavolo, ora, tu sei ancora il bellissimo giovanotto di quasi cinquant’anni fa, mentre io potrei essere tua mamma?
Actarus sorride e scuote appena la testa, e per un attimo mi aspetto che se ne esca con una frase tipo: – Perché io sono fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni…
Ossignór, ci mancherebbero pure le citazioni shakespeariane, per completare questo delirio, non ci capisco più niente! Come non bastasse, l’avvenente fleediano mi posa una mano sulla guancia, mi accarezza e… io la sento, quella mano sul viso!
Forse sto sognando, eppure sono sveglia… Vuol dire che sono sveglia, e sto sognando di dormire, o… piuttosto può essere che… che dormo e sogno di essere sveglia e mi chiedo se sto sognando!
– Stai sognando… – mi risponde lui con voce suadente.
Mi rendo conto, ridacchiando tra me e me, che ho pensato, e lui mi ha risposto, pari pari, con le parole precise di una scena di uno dei miei film preferiti. 2 Eh, beh, se non è un sogno questo…
E a quel punto, sbotto.
– Sì, certo, bel principe, è ovvio che sto sognando: tu non esisti e io sono solo una vecchia carampana che ha esagerato col fritto di paranza e il vinello frizzantino alla sagra giù al molo, stasera! Perché nient’altro avrebbe potuto produrre questo vaneggiamento! A meno che non sia un inizio di demenza senile, ma mi pareva un po’ prestino, sai com’è!
– Dai, Mari, non dire così. Non è un male, ogni tanto, tornare bambini e sentirsi ancora come a dodici anni. Guarda! – mi esorta il giovane, facendomi girare verso la vetrata sulla quale si specchiano due figure. Sì, due, anche lui si riflette sul vetro, ergo: non è un fantasma… Oddio, o forse sono i vampiri, quelli che non si specchiano? Va be’, non importa… Piuttosto, accanto a lui, non ci sono io. Cioè, sì, sono io, ma… quella è la Mari dodicenne, lunga e secca, tutta gambe e braccia e coi capelli corti da maschietto. Mi sfugge un sospiro rassegnato.
– Non ce la farò mai, a conoscerti nell’età giusta, vero? Del resto, quando l’età giusta ce l’avevo, ti avevo un po’ dimenticato, lo ammetto… ero troppo presa dalla vita reale, amici, lavoro, amori in carne e ossa…
– Com’è giusto che sia, no?
– Beh, ma anche tu eri un po’sparito dalla circolazione, diciamo la verità! Finché non è saltato fuori Internet era difficile trovarti o avere qualche notizia su di te, in TV non ti si vedeva più, si viveva solo di vaghi ricordi…
– Ora sono qui, però.
– Già, ma qui, dove? E soprattutto ora, quando? In che diavolo di epoca o universo siamo?
– Quelli che vuoi tu, direi! Sei in un sogno o, se vuoi, un universo parallelo dove puoi andare, fare ed essere quello che ti pare!
– Un universo parallelo… Ma allora quella scia azzurra che ha attraversato il cielo… eri tu con… Goldrake?
Actarus si limita ad annuire.
– Ehr… ma tu… insomma, voglio dire, che ci fai qui? Da dove vieni, dove vai?
Ecco, pure le domande esistenziali, tiro fuori; sono proprio senza speranza, una ciù, fatta e finita…
– Sono semplicemente tornato da Fleed, che ho lasciato in buone mani. In fondo, non ho mai desiderato davvero essere un principe, nemmeno quando era il mio destino e, soprattutto, dopo aver vissuto sulla Terra. Piuttosto… cosa vorresti tu, qui e adesso?
Ma che domanda del menga è, anche questa? Ho davanti il protagonista di tutti i miei sogni di adolescente, e lui mi chiede cosa vorrei fare? Ah, già, dimenticavo che ora sono solo un’ingenua dodicenne… al massimo potrei chiedere che mi faccia salire sul bellissimo cornutone di acciaio e… beh, perché no?
E così parte la richiesta, consona all’età che dimostro in quel momento:
– Mi porti a fare un giro con Goldrake?
Actarus scoppia in una risata spontanea, meravigliosa, forse addirittura spensierata, come raramente ricordo di aver visto nella serie tv.
Si rimette i guanti, infila l’elmo e alza la celata… Dio, come lo adoro quando porta il casco in quel modo!
– Avanti, andiamo! – conclude poi, prendendomi per mano.
Non so come sia entrato in casa mia, ma per uscire usiamo, molto prosaicamente, la porta, per poi incamminarci lungo il sentiero che attraversa la pineta, chiacchierando come due vecchi amici. Cosa che, in fondo, siamo, no? Ci conosciamo da quarantasei anni, più vecchi di così!
Quando ci ritroviamo sulla spiaggia – e questa è davvero da ridere – mi accorgo che la Micia ci ha seguiti, anzi ha seguito lui, e continua imperterrita a sfregarsi, miagolando, contro le sue caviglie! Ah, felinaccia furbastra, persino tu sai riconoscere il fascino quando lo incontri, eh?
Guardati, bestiola soriana, ti lasci pure prendere in braccio da lui, senza pensarci minimamente a graffiarlo o morderlo, come fai con me! Anzi, addirittura giochi a zampatine con il suo ciondolo!
Abbiamo raggiunto Goldrake, incastonato dentro il suo disco rotondo, lo Spacer, e, silenzioso e imponente, sembra proteggere la spiaggia da invisibili nemici.
Alzando lo sguardo verso l’alto, vedo l’amato, immenso testone cornuto troneggiare su di noi, coronato dal cielo stellato.
Passo le mani sulla superficie lucida e riflettente dello Spacer, sentendo sotto i palmi il freddo del Gren, il metallo con cui il mio robottone preferito è stato costruito, e sorrido al mio riflesso di ragazzetta mentre gli rivolgo un pensiero, come se fosse un essere vivo.
“Tranquillo, mio grande amico metallico, la luna non è rossa, ma bella e bianca, luminosa e splendente, non c’è pericolo”.
Infatti l’astro argenteo fa brillare le piccole onde che, con un rumore ipnotico e rilassante, si infrangono regolari sulla riva,
E lui, Actarus, Dukefleed, Daisuke Umon, chiamatelo come accidenti vi pare, è proprio dannatissimamente strabello! Se non fosse che ho solo dodici anni – almeno nell’aspetto – penserei che la situazione sia dannatamente romantica… chi se ne fregherebbe di fare un giro su Goldrake, con un esemplare di cotanta figaggine al proprio fianco?
Se non che, ripensando a ciò che lui mi ha detto poco fa, e cioè che sono in un mondo in cui posso far accadere quello che mi pare, mi viene da sogghignare.
Basta un pensiero e ora, a guardarmi dalla luccicante fiancata dello Spacer, insieme a quello di Duke non c’è più il riflesso della secca dodicenne del ’78, ma quello della ventenne bionda, alta, slanciata – ahem, un po’ prosperosa sul davanti – di metà anni ottanta.
Il mio ghigno diventa più malizioso e, stavolta, sono io che alzo una mano e provo a toccare il suo volto. E la sua pelle, come prima, la sento! Che Dio mi aiuti, non è sicuramente fatta di carta o rodovetro… è tiepida, liscia, con un lieve accenno di ruvidità lungo la mascella, come ogni giovane maschio che si rispetti. E i suoi capelli sono folti e morbidi al tatto…
È a nemmeno un passo da me, e lo guardo negli occhi, quelle iridi meravigliose che sono le stesse da quattro decenni abbondanti, e per un attimo… per un attimo solo… me lo chiedo: come sarebbe baciare un sogno?
Fatto sta che nel giro di un secondo la testa mi si riempie di pensieri che si accavallano furiosi. In primo luogo emerge prepotente la sandronaggine 3 di cui a vent’anni ero affetta, e a causa della quale la vicinanza di un bel ragazzo mi paralizzava completamente e mi rendeva intraprendente quanto un’ameba ubriaca. Ecco, magari di quella, ora, se ne sarebbe potuto fare anche a meno, ma tant’è…
Dopo di che mi viene in mente che, anche se ho finalmente acquisito l’aspetto della ventenne che ero – la tanto desiderata età giusta per Actarus – sono sempre, in realtà, una signora di cinquantanove anni con due figli adulti e soprattutto un marito, al quale non farei mai un torto del genere.
Nemmeno in sogno…
E… no, nemmeno con Actarus, e non importa se qualcuna mi darà dell’imbecille!
E poi penso anche che c’è un’altra persona alla quale non farei mai questo sgarbo: una ragazza con un caschetto di capelli bruni, coraggiosa e indomita, che ha l'immensa fortuna di appartenere allo stesso universo da cui proviene questo alieno strafigo, che ha combattuto al suo fianco e lo ama praticamente da sempre…
La Micia, ancora in braccio al principe, mi guarda e… soffia!, allungandomi persino una zampata nervosa, come per dirmi: “Fatti in là, che vuoi? Giù le mani, che lui è mio!”
Abbasso la mano sconvolta e, mio malgrado, sorrido all’idea di essere appena stata sconfitta in amore, se così si può dire, non solo da una serie di indescrivibili scrupoli, ma addirittura da una gattaccia gelosa e permalosa! Che sogni del cavolo si fanno, a volte, proprio!
Ora comunque ho un'idea abbastanza chiara su cosa dire al mio primo amore televisivo.
– Dimmi che è per lei, che sei tornato.
– Certo che sì. Avevi dei dubbi?
La risposta è ferma, senza titubanze: Actarus ha capito immediatamente che la lei di cui parlo è Venusia. Lo so io, lo sa lui, non ci sono fraintendimenti. Anche perché le altre donne che avevano provato ad avanzare pretese su di lui – leggi Naida e Rubina – sono schiattate da mo’, tiè!, che una vena di perfidia ogni tanto dà pure soddisfazione!
– Quindi hai scelto di restare sulla Terra con Venusia? A fare il fattore, coltivare campi e allevare e domare cavalli? E magari dare una mano al tuo padre adottivo al Centro Spaziale…
– Siamo nel tuo sogno, se ti fa piacere immaginarla così, così sarà. Il finale che hanno dato all’anime non è piaciuto neanche a me, non hai idea di cosa sia stato, su Fleed, sopportare Maria separata da Alcor. Riportarla da lui è stato un sollievo! Non che insieme siano più semplici da gestire, eh… – afferma, leggermente preoccupato, passandosi una mano sul viso.
– Sono sicura che saranno maturati anche loro, nel frattempo; a me piacciono, come coppia, come mi piacete tu e Venusia…
Actarus annuisce, con quel mezzo sorriso che scioglierebbe un iceberg, e qualcosa mi dice che non abbiamo più molto tempo… ma il mio sogno… non voglio che finisca, non ora! E se non posso avere lui, mi accontenterò di…
– Allora… questo giretto su Goldrake?
Non sono abituata a dormire sola, soprattutto nella casa al mare, ma i ragazzi ormai sono grandi e, lavorando nelle vicinanze di casa, quest’anno hanno scelto di non trasferirsi qua per l'estate. Mio marito mi raggiungerà nei prossimi giorni a causa di alcuni impegni e, per farmi guadagnare qualche giorno di mare e di sole, mi ha spinta a venire prima, facendomi portare con me la nostra gatta, con la scusa che così mi fa compagnia. Il che è verissimo, ma è anche vero che così non devono preoccuparsi loro, che sono in tre, di cibarla e cambiarle la lettiera. Ma vabbè… in ogni caso, è sempre un piacere occuparmi della mia miciastra selvatica!
Uffaaa, ho davvero perso il sonno, ormai: meglio alzarmi, va’.
Raggiungo il terrazzo, dopo aver afferrato il mio pc portatile, sperando di trovare lì un po’ di refrigerio, sotto la volta stellata a un passo dalla pineta e dal mare. Accendo il computer e apro la cartella delle stupidaggini che scrivo per hobby; sbircio i titoli dei vari files: ci sono due storie originali ferme da mesi – ma che dico mesi: anni! – di cui fra l’altro ho scritto solo i primi capitoli, e due fanfiction, una su City Hunter e una su Capitan Harlock, che stanno subendo lo stesso destino.
Sob, non riesco davvero più a scrivere… e pensare che è stato, per alcuni anni, il mio hobby principale insieme al disegno, riscoperti entrambi dopo almeno un ventennio di inattività. Ma da qualche tempo non partono più né la tastiera, né le matite…
Attraverso la portafinestra che dà nel salotto, l'occhio mi cade sul tavolino su cui luccicano le chiavi della macchina, agganciate a un portachiavi di metallo che riproduce un vecchio personaggio dei cartoni animati giapponesi degli anni settanta, un robottone guerriero dalle grosse corna gialle: un regalo di diversi anni fa, da parte dei miei figli che conoscono le mie passioni da boomer e vecchia nerd quale sono.
Goldrake… che bei ricordi…
Una specie di fulmine a ciel sereno, nella forma di uno strale azzurro che va a spegnersi, con uno stranissimo suono a metà tra un sibilo e un fischio, oltre le cime dei pini, verso la spiaggia, mi riscuote di colpo dal ricordo del vecchio anime. La Micia, che è sopraggiunta con un salto repentino sul tavolo, sgrana gli occhioni verdi e rizza la pelliccia bianca e tigrata, soffiando spaventata e camminando sulla tastiera.
– Per la miseria, Micia, alla faccia della stella cadente! – esclamo, accarezzandola per calmarla.
Osservo lo schermo e ciò che le zampe della Micia hanno prodotto:
Klofhnjieu&€£@$ggggseerfmnkl!?3#@dhsue,!>}[AAAtlas.
Solo le ultime cinque lettere mi restano impresse nella retina: Atlas…?
Atlas Ufo Robot era il titolo con cui Goldrake venne trasmesso sulla RAI, la bellezza di quarantasei anni e spiccioli fa…
– Micia, che fai, vorresti darmi degli input?
E così, alquanto svogliatamente, comincio a pestare sulla tastiera, stupita di come, a un certo punto, le parole comincino a fluire con facilità sullo schermo del pc: era davvero un pezzo che non mi capitava!
Assorta nello scrivere, lì per lì non mi accorgo di nulla, finché la Micia smette di sfregare la guancetta pelosa sull’angolo del monitor e, di nuovo, soffia e drizza il pelo, fuggendo poi in casa e rifugiandosi sotto il divano.
– Ehi, ma che succede, sciocchina? Che hai visto?
Mi alzo e faccio un passo per entrare in salotto, perplessa, ma mi blocco immediatamente: ho la sensazione di intravedere una persona in casa, appena un’ombra tra le ombre. Il cuore mi manca un colpo e mi viene la pelle d’oca: ti pareva che non capitasse qualcosa di brutto e pericoloso, come un ladro o peggio, proprio mentre son qua da sola? Cacchio, cosa faccio adesso? Non sono mica giovane, agile e intrepida come le protagoniste delle mie fantiction, io!
Resto immobile, trattenendo il respiro, e spero che rimanendo qui, sul terrazzo, addossata al muro a fianco della vetrata, l’intruso non mi veda; ma certo, come non avessi appena parlato col gatto! Mi avrà sentita…
A proposito della Micia, la intravedo nella semioscurità uscire guardinga e curiosa dal suo nascondiglio e avvicinarsi quatta allo sconosciuto per… annusargli le caviglie…?!
Curiosità uccise il gatto, recita un vecchio adagio… levati di lì, miciona stupidona!
Con mia sorpresa, però, l’ombra umana, tutt’altro che minacciosamente, si china e accarezza dolcemente le orecchie della mia felina, che – me lo aspetto, conoscendola – si rivolterà soffiando!
E invece!
La vaccona si rotola per terra e si produce in sonore fusa! Bah, l’ho sempre detto, io, che sarebbe stato meglio un cane da guardia, invece di un gatto pigro e mercenario, pronto a vendersi per due grattatine sulla crapa.
È a quel punto che l’intruso – ladro, malvivente, rapinatore, stupratore…? Che poi… come accidenti è entrato…? Ormai tutte le cose peggiori mi stanno passando per la mente e mi chiedo se non mi convenga scappare scivolando giù per la grondaia… Sì, ovvio, alla mia età, è la soluzione migliore… per fare la fine della prugna troppo matura! – insomma l’intruso, dicevo, parla tranquillamente con la Micia!
– Salve, tu…1
Ma che mi pigli un colpo secco! Perché ‘sto maledetto ha la voce di un giovane Romano Malaspina? Sbircio appena dallo stipite della porta: uno con una voce così non può essere un delinquente. Oddio, Romano Malaspina ha doppiato svariati personaggi, positivi ma anche no, e pure il Generale de Jarjayes, il padre di Lady Oscar, che non era esattamente un simpaticone, ma…
– Ehi, Mari, ciao anche a te.
Sobbalzo di colpo, stranamente non per la paura, ma come una scolaretta beccata a combinare qualcosa di sconveniente, quando lo sconosciuto varca la soglia del terrazzo e la luna lo illumina completamente.
Ma…? Che cos…? Bwahahaha, non è possibile! Vedi che alla fine ce l’ho fatta ad addormentarmi, evidentemente, perché sto facendo un bellissimo sogno… altrimenti non si spiega!
Davanti a me c’è nientepopodimeno che… Actarus in persona! Anzi, Duke, il principe di Fleed, con la sua tuta spaziale rossa e nera, aderentissima al fisico statuario e con le ali azzurre sui pettorali, sui quali brilla il ciondolo verde con al centro la pietra rotonda blu, simbolo della sua casata. Il famoso casco con la visiera gialla integrale è tenuto stretto in una mano guantata, così che io possa bearmi della bellezza di quel volto di cui, a dodici anni, ero perdutamente innamorata.
I capelli castani lunghi fino alle spalle vengono mossi da una lieve brezza e… vabbè, allora dillo, bel principe, che l’hai ordinata apposta per l'occasione e fare bella figura, eh? Perché fino a un attimo fa, sotto la cappa di afa, non muoveva una foglia!
E così scopro anche qualcosa che nell’anime non ci hanno mai fatto vedere, ovvero che Actarus, le orecchie, le ha! E, diciamolo, sono perfette anche quelle, come tutto il resto! Le labbra meravigliosamente disegnate – hihi, è proprio il caso di dirlo – sono piegate in un lieve sorriso che farebbe innamorare una pietra, per non parlare degli occhi, di quel blu del tutto unico, sotto alle folte sopracciglia e contornati da ciglia nere e lunghe da fare invidia a qualsiasi donna. Mi balena il ricordo di un amichetto delle scuole medie che mi diceva: – Ma come fa a piacerti Actarus, non vedi che sembra che abbia l’eyeliner come una femmina?
Al diavolo, che volete capire, voi maschi, di avvenenza virile? In quasi sessant’anni di vita non ho mai trovato un uomo in carne e ossa, né tra gli attori, men che meno tra quelli che ho conosciuto di persona, che potesse anche solo vagamente assomigliare a lui.
Con lentezza, oserei dire persino sensualità – mammamiaiutooo! – Actarus posa il casco sul tavolino del terrazzo e si sfila i guanti. E mi ha pure chiamata Mari, come fanno tutti i miei parenti e amici, marito compreso! Gesù, lo so, lo so!, che adesso ho gli occhi a cuoricino come un’adolescente scema e mi tremano pure le ginocchia, maledetta me! E quando la voce finalmente mi esce come un fiume in piena, penso che, con tutte le cose che avrei potuto dirgli, io, fedele a me stessa e alla mia proverbiale stupidera, tiro fuori quella più assurda del mondo!
– T-tu…! Tu, tu, tu… adesso, mi devi spiegare una cosa! Quando ti ho conosciuto, nel 1978, ero una bambina e tu eri troppo grande per me! E allora perché diavolo, ora, tu sei ancora il bellissimo giovanotto di quasi cinquant’anni fa, mentre io potrei essere tua mamma?
Actarus sorride e scuote appena la testa, e per un attimo mi aspetto che se ne esca con una frase tipo: – Perché io sono fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni…
Ossignór, ci mancherebbero pure le citazioni shakespeariane, per completare questo delirio, non ci capisco più niente! Come non bastasse, l’avvenente fleediano mi posa una mano sulla guancia, mi accarezza e… io la sento, quella mano sul viso!
Forse sto sognando, eppure sono sveglia… Vuol dire che sono sveglia, e sto sognando di dormire, o… piuttosto può essere che… che dormo e sogno di essere sveglia e mi chiedo se sto sognando!
– Stai sognando… – mi risponde lui con voce suadente.
Mi rendo conto, ridacchiando tra me e me, che ho pensato, e lui mi ha risposto, pari pari, con le parole precise di una scena di uno dei miei film preferiti. 2 Eh, beh, se non è un sogno questo…
E a quel punto, sbotto.
– Sì, certo, bel principe, è ovvio che sto sognando: tu non esisti e io sono solo una vecchia carampana che ha esagerato col fritto di paranza e il vinello frizzantino alla sagra giù al molo, stasera! Perché nient’altro avrebbe potuto produrre questo vaneggiamento! A meno che non sia un inizio di demenza senile, ma mi pareva un po’ prestino, sai com’è!
– Dai, Mari, non dire così. Non è un male, ogni tanto, tornare bambini e sentirsi ancora come a dodici anni. Guarda! – mi esorta il giovane, facendomi girare verso la vetrata sulla quale si specchiano due figure. Sì, due, anche lui si riflette sul vetro, ergo: non è un fantasma… Oddio, o forse sono i vampiri, quelli che non si specchiano? Va be’, non importa… Piuttosto, accanto a lui, non ci sono io. Cioè, sì, sono io, ma… quella è la Mari dodicenne, lunga e secca, tutta gambe e braccia e coi capelli corti da maschietto. Mi sfugge un sospiro rassegnato.
– Non ce la farò mai, a conoscerti nell’età giusta, vero? Del resto, quando l’età giusta ce l’avevo, ti avevo un po’ dimenticato, lo ammetto… ero troppo presa dalla vita reale, amici, lavoro, amori in carne e ossa…
– Com’è giusto che sia, no?
– Beh, ma anche tu eri un po’sparito dalla circolazione, diciamo la verità! Finché non è saltato fuori Internet era difficile trovarti o avere qualche notizia su di te, in TV non ti si vedeva più, si viveva solo di vaghi ricordi…
– Ora sono qui, però.
– Già, ma qui, dove? E soprattutto ora, quando? In che diavolo di epoca o universo siamo?
– Quelli che vuoi tu, direi! Sei in un sogno o, se vuoi, un universo parallelo dove puoi andare, fare ed essere quello che ti pare!
– Un universo parallelo… Ma allora quella scia azzurra che ha attraversato il cielo… eri tu con… Goldrake?
Actarus si limita ad annuire.
– Ehr… ma tu… insomma, voglio dire, che ci fai qui? Da dove vieni, dove vai?
Ecco, pure le domande esistenziali, tiro fuori; sono proprio senza speranza, una ciù, fatta e finita…
– Sono semplicemente tornato da Fleed, che ho lasciato in buone mani. In fondo, non ho mai desiderato davvero essere un principe, nemmeno quando era il mio destino e, soprattutto, dopo aver vissuto sulla Terra. Piuttosto… cosa vorresti tu, qui e adesso?
Ma che domanda del menga è, anche questa? Ho davanti il protagonista di tutti i miei sogni di adolescente, e lui mi chiede cosa vorrei fare? Ah, già, dimenticavo che ora sono solo un’ingenua dodicenne… al massimo potrei chiedere che mi faccia salire sul bellissimo cornutone di acciaio e… beh, perché no?
E così parte la richiesta, consona all’età che dimostro in quel momento:
– Mi porti a fare un giro con Goldrake?
Actarus scoppia in una risata spontanea, meravigliosa, forse addirittura spensierata, come raramente ricordo di aver visto nella serie tv.
Si rimette i guanti, infila l’elmo e alza la celata… Dio, come lo adoro quando porta il casco in quel modo!
– Avanti, andiamo! – conclude poi, prendendomi per mano.
Non so come sia entrato in casa mia, ma per uscire usiamo, molto prosaicamente, la porta, per poi incamminarci lungo il sentiero che attraversa la pineta, chiacchierando come due vecchi amici. Cosa che, in fondo, siamo, no? Ci conosciamo da quarantasei anni, più vecchi di così!
Quando ci ritroviamo sulla spiaggia – e questa è davvero da ridere – mi accorgo che la Micia ci ha seguiti, anzi ha seguito lui, e continua imperterrita a sfregarsi, miagolando, contro le sue caviglie! Ah, felinaccia furbastra, persino tu sai riconoscere il fascino quando lo incontri, eh?
Guardati, bestiola soriana, ti lasci pure prendere in braccio da lui, senza pensarci minimamente a graffiarlo o morderlo, come fai con me! Anzi, addirittura giochi a zampatine con il suo ciondolo!
Abbiamo raggiunto Goldrake, incastonato dentro il suo disco rotondo, lo Spacer, e, silenzioso e imponente, sembra proteggere la spiaggia da invisibili nemici.
Alzando lo sguardo verso l’alto, vedo l’amato, immenso testone cornuto troneggiare su di noi, coronato dal cielo stellato.
Passo le mani sulla superficie lucida e riflettente dello Spacer, sentendo sotto i palmi il freddo del Gren, il metallo con cui il mio robottone preferito è stato costruito, e sorrido al mio riflesso di ragazzetta mentre gli rivolgo un pensiero, come se fosse un essere vivo.
“Tranquillo, mio grande amico metallico, la luna non è rossa, ma bella e bianca, luminosa e splendente, non c’è pericolo”.
Infatti l’astro argenteo fa brillare le piccole onde che, con un rumore ipnotico e rilassante, si infrangono regolari sulla riva,
E lui, Actarus, Dukefleed, Daisuke Umon, chiamatelo come accidenti vi pare, è proprio dannatissimamente strabello! Se non fosse che ho solo dodici anni – almeno nell’aspetto – penserei che la situazione sia dannatamente romantica… chi se ne fregherebbe di fare un giro su Goldrake, con un esemplare di cotanta figaggine al proprio fianco?
Se non che, ripensando a ciò che lui mi ha detto poco fa, e cioè che sono in un mondo in cui posso far accadere quello che mi pare, mi viene da sogghignare.
Basta un pensiero e ora, a guardarmi dalla luccicante fiancata dello Spacer, insieme a quello di Duke non c’è più il riflesso della secca dodicenne del ’78, ma quello della ventenne bionda, alta, slanciata – ahem, un po’ prosperosa sul davanti – di metà anni ottanta.
Il mio ghigno diventa più malizioso e, stavolta, sono io che alzo una mano e provo a toccare il suo volto. E la sua pelle, come prima, la sento! Che Dio mi aiuti, non è sicuramente fatta di carta o rodovetro… è tiepida, liscia, con un lieve accenno di ruvidità lungo la mascella, come ogni giovane maschio che si rispetti. E i suoi capelli sono folti e morbidi al tatto…
È a nemmeno un passo da me, e lo guardo negli occhi, quelle iridi meravigliose che sono le stesse da quattro decenni abbondanti, e per un attimo… per un attimo solo… me lo chiedo: come sarebbe baciare un sogno?
Fatto sta che nel giro di un secondo la testa mi si riempie di pensieri che si accavallano furiosi. In primo luogo emerge prepotente la sandronaggine 3 di cui a vent’anni ero affetta, e a causa della quale la vicinanza di un bel ragazzo mi paralizzava completamente e mi rendeva intraprendente quanto un’ameba ubriaca. Ecco, magari di quella, ora, se ne sarebbe potuto fare anche a meno, ma tant’è…
Dopo di che mi viene in mente che, anche se ho finalmente acquisito l’aspetto della ventenne che ero – la tanto desiderata età giusta per Actarus – sono sempre, in realtà, una signora di cinquantanove anni con due figli adulti e soprattutto un marito, al quale non farei mai un torto del genere.
Nemmeno in sogno…
E… no, nemmeno con Actarus, e non importa se qualcuna mi darà dell’imbecille!
E poi penso anche che c’è un’altra persona alla quale non farei mai questo sgarbo: una ragazza con un caschetto di capelli bruni, coraggiosa e indomita, che ha l'immensa fortuna di appartenere allo stesso universo da cui proviene questo alieno strafigo, che ha combattuto al suo fianco e lo ama praticamente da sempre…
La Micia, ancora in braccio al principe, mi guarda e… soffia!, allungandomi persino una zampata nervosa, come per dirmi: “Fatti in là, che vuoi? Giù le mani, che lui è mio!”
Abbasso la mano sconvolta e, mio malgrado, sorrido all’idea di essere appena stata sconfitta in amore, se così si può dire, non solo da una serie di indescrivibili scrupoli, ma addirittura da una gattaccia gelosa e permalosa! Che sogni del cavolo si fanno, a volte, proprio!
Ora comunque ho un'idea abbastanza chiara su cosa dire al mio primo amore televisivo.
– Dimmi che è per lei, che sei tornato.
– Certo che sì. Avevi dei dubbi?
La risposta è ferma, senza titubanze: Actarus ha capito immediatamente che la lei di cui parlo è Venusia. Lo so io, lo sa lui, non ci sono fraintendimenti. Anche perché le altre donne che avevano provato ad avanzare pretese su di lui – leggi Naida e Rubina – sono schiattate da mo’, tiè!, che una vena di perfidia ogni tanto dà pure soddisfazione!
– Quindi hai scelto di restare sulla Terra con Venusia? A fare il fattore, coltivare campi e allevare e domare cavalli? E magari dare una mano al tuo padre adottivo al Centro Spaziale…
– Siamo nel tuo sogno, se ti fa piacere immaginarla così, così sarà. Il finale che hanno dato all’anime non è piaciuto neanche a me, non hai idea di cosa sia stato, su Fleed, sopportare Maria separata da Alcor. Riportarla da lui è stato un sollievo! Non che insieme siano più semplici da gestire, eh… – afferma, leggermente preoccupato, passandosi una mano sul viso.
– Sono sicura che saranno maturati anche loro, nel frattempo; a me piacciono, come coppia, come mi piacete tu e Venusia…
Actarus annuisce, con quel mezzo sorriso che scioglierebbe un iceberg, e qualcosa mi dice che non abbiamo più molto tempo… ma il mio sogno… non voglio che finisca, non ora! E se non posso avere lui, mi accontenterò di…
– Allora… questo giretto su Goldrake?
☆☆☆
Lo Spacer atterra nuovamente sulla spiaggia, con quel fischio-sibilo col quale si era annunciato poco tempo prima. Quanto, però, non saprei davvero dirlo.
Vedere tutto il mondo dall’alto, e persino dallo spazio, è stato meraviglioso, esaltante, strepitoso, almeno quanto lo è stato sedere nell’abitacolo, dietro a Duke, e guardarlo pilotare il possente Goldrake… o Grendizer… o Goldorak, o qualunque altro nome con cui lo si possa chiamare. Actarus ha fatto persino quella cosa per la quale io e mio fratello ridevamo da ragazzini, ovvero gridare: “Goldrake, avanti!”, per poi tirare la leva… indietro!
La cosa assurda è che ha fatto tutto ciò… con la Micia che passava dallo stare seduta sulla sua spalla al saltargli su una coscia muscolosa fino ad esplorare il pannello dei comandi, e sembrava pure divertirsi una cifra nel guardare, rapita, fuori dalla vetrata principale! Cavoli, gattaccia, a me manca poco che mi sfregi se solo ti sollevo da terra, per non parlare dei pianti e miagolii devastanti per mezz’ora di auto, mentre a lui manca solo che vai pure a dargli i bacini sulle guance, ormai!
Io. Non. Ho. Parole!
Scendiamo nuovamente sulla spiaggia e stavolta capisco che il mio sogno sta davvero volgendo al termine, ma non mi sento triste; i bei sogni, generalmente, mi colorano vivacemente la giornata successiva.
Actarus, sempre tenendola in braccio, accarezza la testa e il collo della mia gatta soriana, osservando la medaglietta su cui è inciso il suo poco fantasioso nome, poi la solleva davanti a sé, come per salutarla. E… quella spudorata davvero allunga il musetto a sfiorargli il naso! Micia, ma come ti permetti, non ti vergogni?
Quindi lui mi porge la felina, che non pare molto contenta di staccarsi da lui: la devo tenere saldamente perché non mi scappi, e sicuramente mi ha bucato l’ennesima maglietta con quei cacchio di artigli.
Guardo di nuovo Actarus negli occhi e penso che sarebbe meglio non perdersi troppo in saluti e salamelecchi. È stato un bel sogno, ma i sogni, all’alba, svaniscono; e quella che riluce all’orizzonte, là ad est, tra cielo e mare, non può essere altro che l’aurora.
– Ciao, bel fleediano, è stato davvero esaltante conoscerti, anche se solo in sogno, e tornare giovane per un po’.
– Mari, le persone come te, capaci di sognare ancora le cose che amavano da ragazzini, sono e saranno sempre giovani. Qui… – e mi sfiora la fronte con l’indice guantato di rosso – …e soprattutto qui – e lo sposta all’altezza del mio cuore.
La Micia ne approfitta e si intromette, protendendosi e strusciandogli contro il dito il musetto peloso, ronfando sonoramente. Ma santo cielo, un momento serio è veramente impossibile, con questa animala di mezzo! Mi abbasso e, con un aggraziato saltino, lei scende a terra sedendosi, ovvio, accanto ai piedi di lui!
– Ciao, Mari, è stato un piacere far parte del tuo sogno e… anche conoscere questa simpatica pelosetta.
– Ciao, principe, fai buon viaggio, ovunque tu vada. Salutami Venusia… e tutti gli altri. E… quando volete venire a trovarmi in sogno, sai che siete sempre i benvenuti.
Actarus annuisce e poi, inaspettatamente, si avvicina di quel passo che ci separa, mi accarezza una guancia e sento le sue labbra, morbide e calde, posarsi… sulla mia fronte.
E io resto lì, annichilita, come l’inerte ammasso di gelatina in cui, come da copione, mi sono trasformata. Una roba che nemmeno Kaori Makimura con Ryo Saeba nel manga di City Hunter! 4
Quando riapro gli occhi, Goldrake si sta già sollevando in volo: pochi secondi e la sua sagoma scompare, fondendosi nell’arancione del sole nascente. Una perfetta scena da chiusura di un episodio dell’anime. Beh, lì di solito era il tramonto ma, suvvia, son dettagli!
Il miagolio della Micia ha qualcosa di disperato, quasi straziante, che, giuro, non so se ridere o muovermi a compassione per lei.
La prendo su e, stranamente più docile del solito, mi si accoccola tra le braccia e ronfa sonoramente, mentre ripercorro, attraverso la pineta, il sentiero che mi riconduce a casa.
☆☆☆
Miii, ma che diavolo ho combinato? Mi sono addormentata al tavolino del terrazzo, con la faccia sulla tastiera del pc? Aaarrgghhh! E la mia schiena sta gridando vendetta, mandandomi nei casini in tutte le lingue del mondo, comprese quelle morte!
Mi sollevo a fatica, sbadigliando e tirandomi i capelli spettinati sulla testa, accorgendomi che, orrore, ho pure una bavetta all’angolo della bocca. Che dormita di peso, gente, alla fine sono davvero crollata, stanotte!
Ancora intontita mi dirigo verso il bagno e, mentre mi lavo la faccia con l’acqua gelata e le idee mi si schiariscono, mi torna in mente il sogno assurdo che ho fatto. Ma come si fa, alla mia età? Che poi, assurdo, sì, ma anche divertente e piacevole, devo ammetterlo! E con momenti tanto intensi da sembrare veri… come quando Actarus mi ha accarezzato il viso, o ho volato con lui su Goldrake… e quando lui mi ha baciata sulla fronte! Mi guardo allo specchio e mi sfugge una smorfia, mentre penso che, per fortuna del principe, in quel momento del sogno avevo l’aspetto di quando avevo vent’anni e, soprattutto, non avevo il segno a quadretti della tastiera del pc stampato sulla faccia!
Bene, ecco la felina, che nel mio delirio onirico era innamorata di Actarus almeno quanto la me dodicenne, che si palesa miagolando e reclamando la colazione.
Apro la scatoletta e metto il contenuto nella sua ciotola, sulla quale la soriana si fionda come se non mangiasse da un mese: decisamente, con la luce del giorno, tutto è tornato alla normalità.
Se non che… qualcosa fa un rumore metallico, sbattendo contro la ciotolina di acciaio del cibo della Micia.
La sollevo, nonostante le sue sentite rimostranze, e rimango semplicemente basita!
Mentre sfilo la strana catenina d’oro dal collo della Micia, mi dico che sto ancora sognando, non c’è altra spiegazione! Ma la miagolante e soffiante furia pelosa che mi assale ad unghiate e morsi per averla distolta dal suo pasto mattutino, mi fa ricredere all’istante: sono sveglia, sveglissima, i graffi che la piccola pantera incacchiatissima mi ha rifilato bruciano da morire, oltre a sanguinare che sembra abbiano scannato il porco!
E… anche il ciondolo rotondo verde e blu della dinastia di Fleed è dannatamente vero! Lo stringo, e il metallo e le pietre di cui è composto sono freddi, nello stesso modo in cui, nel sogno, era freddo il Gren di cui era fatto Goldrake sotto le mie mani; come era tiepido il volto di Actarus sotto le mie dita… e come erano morbide le sue labbra sulla mia fronte…
Mi disinfetto i graffi con l’acqua ossigenata e il bruciore mi convince sempre più di essere sveglia, ma la catena col ciondolo è sempre lì, che pare guardarmi.
Torno sul terrazzo, stringendo il gioiello tra le dita, e vi poso le labbra.
Il cielo sta schiarendo velocemente, è giorno, e io sono assolutamente sveglia.
E la Micia, finalmente a pancia piena e già dimentica di avermi appena massacrato un avambraccio, mi si struscia contro le gambe e miagola sommessamente. Stavolta, quando la prendo in braccio, non si ribella, addirittura mi sfrega la testina contro una guancia, con quel tenero e ruffiano fare gattesco al quale si finisce per soccombere e perdonare tutto.
E poi i suoi occhi, verdi come il ciondolo di Fleed, si perdono nel cielo, con quello sguardo assorto che solo i gatti riescono ad avere, come se vedessero cose che a noi umani sono precluse…
Un sorriso un po’ ebete mi si disegna sulle labbra…
I sogni svaniscono all’alba…
…o forse no.
E… anche il ciondolo rotondo verde e blu della dinastia di Fleed è dannatamente vero! Lo stringo, e il metallo e le pietre di cui è composto sono freddi, nello stesso modo in cui, nel sogno, era freddo il Gren di cui era fatto Goldrake sotto le mie mani; come era tiepido il volto di Actarus sotto le mie dita… e come erano morbide le sue labbra sulla mia fronte…
Mi disinfetto i graffi con l’acqua ossigenata e il bruciore mi convince sempre più di essere sveglia, ma la catena col ciondolo è sempre lì, che pare guardarmi.
Torno sul terrazzo, stringendo il gioiello tra le dita, e vi poso le labbra.
Il cielo sta schiarendo velocemente, è giorno, e io sono assolutamente sveglia.
E la Micia, finalmente a pancia piena e già dimentica di avermi appena massacrato un avambraccio, mi si struscia contro le gambe e miagola sommessamente. Stavolta, quando la prendo in braccio, non si ribella, addirittura mi sfrega la testina contro una guancia, con quel tenero e ruffiano fare gattesco al quale si finisce per soccombere e perdonare tutto.
E poi i suoi occhi, verdi come il ciondolo di Fleed, si perdono nel cielo, con quello sguardo assorto che solo i gatti riescono ad avere, come se vedessero cose che a noi umani sono precluse…
Un sorriso un po’ ebete mi si disegna sulle labbra…
I sogni svaniscono all’alba…
…o forse no.
FINE
Note
1 “Salve, tu…” In Star Wars Episodio IV – Una nuova speranza, ObiWan Kenobi saluta così il piccolo droide C1-P8 (o R2-D2 in originale) quando lo incontra per la prima volta.
2 Ebbene sì, la parte in corsivo è presa pari pari da una scena di LadyHawke, 1985, di Richard Donner, con Michelle Pfeiffer, Rutger Hauer e Matthew Broderick; uno dei film più belli degli ultimi quarant’anni (per me, ovvio 😉 )
3 Sandronaggine: termine che viene da Sandrone, maschera del folklore romagnolo, personaggio piuttosto sciocco e stupidone. Dare del sandrone a qualcuno equivale a dire che è poco sveglio, proprio come anche il citato ciù, ovvero allocco, sempre in dialetto romagnolo.
4 Nel manga (e credo anche nell’anime) di City Hunter, il protagonista Ryo Saeba dà un bacio sulla fronte alla sua socia Kaori, innamorata di lui, che poi rimane annichilita per ore sotto la pioggia.
Vabbe’, gente, abbiate pazienza e perdonatemi questa zavagliata (altro termine romagnolo: zavagliare = delirare), ma il caldo micidiale di questa estate e il fritto di pesce della sagra giù al molo, sono davvero una combo mortale per i miei neuroni già scrausi di loro! 🤣🤣🤣