CAPITOLO 1
RINNOVAMENTO
Anche se non doveva fare i conti con le vette impervie
del Khoral o le tormente che duravano per giorni e
giorni, anche l’Eirinn Orientale ogni anno veniva messa a dura prova dall’inverno.
La neve forse non
cadeva abbondante e fitta come all’ovest, ma le temperature rigide avevano poco
da invidiare a quelle di Dundee o Basterwick.
Prima ancora che
iniziassero le nevicate erano stati in molti a temere per la propria sorte,
vista la situazione disastrosa in cui la guerra aveva ridotto il Granducato.
Invece tutto era
stato portato avanti con precisione e preparazione assolute. L’esercito dello
Stato Libero era stato molto attento nella sua avanzata a non danneggiare i
campi e le fattorie, ma i mercenari al servizio del Granducato che avevano
fatto razzie prima di darsela a gambe non erano stati altrettanto accorti e
generosi.
La situazione più
delicata naturalmente era quella nella capitale. Anche se l’attacco era durato
relativamente poco i danni erano stati ingenti, soprattutto nelle zone più
vicine alle mura della città. Per non parlare della Lancia di Gaia, che con un
solo colpo aveva spazzato via interi ettari di terreno coltivabile.
In tutto ciò
l’esercito di occupazione una volta insediatosi, andando a dare un’occhiata ai
conti pubblici, non aveva trovato altro che casse svuotate e debiti spaventosi.
In poche parole,
Eirinn era una nazione sull’orlo della bancarotta.
Chiunque si
sarebbe preso quel poco che era rimasto e avrebbe abbandonato la nazione al suo
destino.
Ma non Daemon
Haselworth.
Fin dal giorno in
cui aveva instaurato il suo nuovo governo provvisorio, era stato molto chiaro
nel riaffermare la sua volontà di fare tutto ciò che era necessario per rimettere
in piedi Eirinn e salvare il suo popolo dal disastro.
Per prima cosa, ci
si era detto, servivano soldi. Tanti soldi.
Per ottenerli,
Daemon aveva avuto un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria; l’unione di
tutti i prestatori di soldi e dei banchi di famiglia del Granducato e dello
Stato Libero nella Banca Nazionale.
Ad essa Daemon,
oltre ad accollarsi tutti i debiti contratti da Victor per finanziare la
guerra, aveva quindi chiesto un grosso prestito, arrivando a dare in garanzia
persino la sua baita sulle montagne di Dundee e le proprie quote di
partecipazione nelle miniere dell’Ovest. E la banca era stata più che felice di
concederglielo, permettendo in questo modo a fiumi di denaro di riversarsi
nelle casse nazionali.
«Spero tu sia
consapevole che da questo momento sei probabilmente la persona più indebitata
di questo mondo.» aveva detto Mary nel momento in cui, come direttore
provvisorio, aveva dovuto controfirmare l’atto di prestito. «Al tuo confronto
l’Imperatore Ademar sarebbe considerato un debitore
quasi solvente.»
Con quei soldi si
era provveduto anzitutto ad acquistare dall’Unione grano e cereali più che
sufficienti a superare l’inverno.
Subito dopo era
stata la volta dei lavori pubblici, impiegando cittadini rimasti senza casa e
senza lavoro per riparare i danni più gravi e predisporre nuove semine il più
in fretta possibile, anche ricorrendo anche al sistema delle terrazze che all’Ovest
facevano presagire per la prossima primavera un raccolto strepitoso.
Faria era una
città bellissima, ma fuori delle sue mura Eirinn non era certo un modello di
virtù e di buona gestione, al contrario semmai.
Il passo
successivo quindi era stato il miglioramento delle strutture vitali già
esistenti e l’edificazione di nuove opere d’interesse collettivo come ponti,
strade e stazioni di scambio, oltre alla creazione di un sistema postale
totalmente ripensato sul modello di quello già attivo da mesi nello Stato
Libero.
Tutto ciò aveva
migliorato enormemente la situazione generale, e anche se tutti sapevano di
trovarsi in una situazione di pace sospesa, in cui tutto poteva cambiare da un
momento all’altro, era tornata la speranza ad Eirinn.
E più la vita rifioriva
più aumentava il lavoro, anche perché nel mentre bisognava occuparsi anche
dello Stato Libero, che a sua volta aveva sofferto non poco le conseguenze dei
quasi tre mesi di guerra.
Questo aveva
obbligato Daemon a dividere i suoi collaboratori tra le due province, rimanendo
personalmente a Faria per gestire la ricostruzione e rimandando la maggior
parte dei suoi compagni al Castello.
E come spesso
accadeva, toccava a Septimus il compito di fungere da collegamento.
Quasi ogni giorno
i due si incontravano di prima mattina nello studio del Granduca, dal quale
Daemon ormai usciva solo per recarsi in visita a qualche cantiere o attività in
giro per la regione.
«Sì, sembra tutto
in ordine.» disse firmando il documento che l’amico gli aveva sottoposto. «Darò
l’autorizzazione. Dì a Grog che può iniziare gli scavi. Il nuovo tunnel della
miniera deve essere aperto entro la prossima primavera.»
«Sarà fatto.»
rispose Septimus, per poi cercare vanamente di nascondere uno sbadiglio
«Stanco?»
«Ieri ho
accompagnato Athreia in un’ispezione al villaggio dei centauri. Siamo tornati
quando ormai era quasi buio.»
«Non mi sorprende.
Quel posto è già difficile da raggiungere in estate, figuriamoci in pieno
inverno. La situazione com’è?»
«Abbastanza buona.
Tutte le case sono state ricostruite, e hanno cereali e ortaggi a sufficienza. Lasik mi ha detto di darti questo.»
Al che Septimus
mise sulla scrivania un juris, un semplice bastone di
frassino coperto di simboli e geroglifici. Nella cultura dei centauri, donarne
uno era una manifestazione sincera e incondizionata di rispetto ed amicizia,
una sorta di sacro legame che non poteva più essere sciolto.
«Ringrazialo da
parte mia.»
«Non mancherò. Ora
però sarà meglio che vada. C’è ancora molto da fare al Castello.»
«Ti accompagno. Ho
giusto bisogno di una pausa.»
Daemon quindi
accompagnò Septimus fuori dall’ufficio; ma invece che all’ingresso, i due amici
si recarono in giardino, davanti ad un piccolo arco di marmo. E quando Septimus
toccò uno dei simboli arcani scolpiti nella pietra l’intera struttura si
circondò di luce, aprendo una porta magica oltre la quale si poteva vedere il
profilo del Castello.
«Chi l’avrebbe mai
detto?» sorrise Septimus. «Un collegamento diretto tra Faria e il Castello.
Immagino tornasse molto comodo all’epoca in cui Eirinn Orientale e Occidentale
erano un’unica nazione.»
«Stando a quanto
dice Lady Valera, esiste da tempo immemorabile. Poi quando l’Occidente è stato
ceduto all’Impero è stato disattivato e dimenticato.»
«Naturale. Il
fatto che per riattivarlo servano gli sforzi congiunti di due maghi che
agiscano nello stesso momento impediva ad entrambe le nazioni di servirsene
all’insaputa l’una dell’altra.»
«A proposito,
quando parli con Oldrick ricordagli che Mary attende ancora il resoconto sui
costi per le riparazioni di Grote Muren.
È necessario che il nuovo bilancio venga approvato entro la fine del mese.»
«Lo farò
sicuramente. Dobbiamo vederci stasera. Giselle compie gli anni, e ha
organizzato una festa alla locanda.»
«E tu riesci a
trovare il tempo per andarci?»
«Se non ci vado mi
prende a pugni. Era già abbastanza arrabbiata quando le ho detto che tu non ci
saresti stato.»
«Dille che mi
dispiace. Mi farò perdonare alla Festa delle Stelle della settimana prossima.
Voi ci sarete, immagino.»
«Tu che ne dici? È
da quando sono bambino che sogno di vederla. Ci stiamo organizzando per venire
tutti quanti.»
«Mi fa piacere.
Sarà un evento memorabile, e voglio che tutti si divertano in quell’occasione.»
Anche Daemon a
quel punto sbadigliò, ma nel suo caso bastava guardare le sue occhiaie per
capire quanto doveva essere esausto.
«Dovresti
riposarti.»
«Mi piacerebbe, ma
c’è ancora troppo da fare. Due Paesi, doppie responsabilità. Dopotutto è anche
un po’ colpa nostra se Eirinn ha dovuto affrontare così tanti problemi.»
«E dire che una
volta eri tu a tenere a freno me.»
«Appena mi sarà
possibile cercherò di allentare un po’ la presa. Di sicuro le celebrazioni per
la Festa delle Stelle saranno un’ottima occasione per rilassarsi.»
«Lo spero davvero.
Dopotutto se ti prende un colpo non sarai d’aiuto a nessuno.»
«Me ne ricorderò.
A presto, amico mio.»
«Ci vediamo la
settimana prossima.»
Dopo che Septimus
ebbe varcato la soglia e il portale si fu richiuso, Daemon tornò sui propri
passi. Lungo la strada per tornare in ufficio passò accanto al campo
d’allenamento, dove Scalia e Isabela erano impegnate nel solito duello
mattutino.
Quelle due erano
come una coppia di gatte perennemente occupate a soffiarsi in faccia, ma anche
se non l’avrebbero mai ammesso, con il passare dei mesi erano arrivate a
rispettarsi l’un l’altra quasi come sorelle.
«Sei migliorata
molto. Ormai non sembra neanche più che tu stia indossando un’armatura sacra.»
«Ho avuto
un’ottima insegnante, e non vedo l’ora di dimostrarle di essere diventata più
brava di lei.»
«Per quello hai
ancora molta strada da fare, piccolo drago. Ora come ora sei solo un cucciolo
che prova a sputare fuoco per impressionare gli adulti.»
Daemon restò
qualche minuto ad osservarle divertito mentre si riempivano di botte con spade
di legno come bambine al parco giochi, quindi tornò al suo ufficio e ai suoi
molti impegni; tuttavia non poté dedicarvisi a lungo, visto che poco dopo
Alfred venne ad annunciargli l’arrivo di un nuovo ospite.
Era quasi inconcepibile che con tutto quello che aveva
da fare Daemon riuscisse a trovare il tempo per occuparsi anche di cose a prima
vista meno importanti, ma che sembravano stargli comunque a cuore.
Marcel Grandier era un giovane e brillante autore di teatro che si
era fatto le ossa partendo praticamente da zero; le sue opere irriverenti e
burlesche erano molto amate dal popolo, ma la sua tendenza a mettere alla
berlina chiunque non gli era valsa molti estimatori nelle corti e nei palazzi.
Così da anni era
costretto a vivere quasi come un prigioniero all’interno del circolo culturale
creato negli anni dal vecchio Berthold, che gli
forniva protezione dai molti nemici che si era fatto tra le persone sbagliate.
Quando l’aveva
incontrato poco dopo la conquista di Faria, Daemon non solo gli aveva rinnovato
la promessa di protezione, ma anzi l’aveva spronato a mettere in scena la sua
prima, vera opera teatrale, abbandonando i dialoghi o le brevi scenette a cui
era abituato.
Vedendosi
accordare totale libertà creativa, Marcel era stato ben felice di raccogliere
la sfida, sfornando in poco più di un mese una commedia in tre atti che Daemon
aveva definito, senza mezzi termini, la più divertente che avesse mai visto.
Ora si trattava di
metterla in scena, ed era di questo che il giovane autore era venuto a parlare.
«Grandier, benvenuto.» disse Daemon accogliendolo
calorosamente. «Prego, accomodatevi. Aspettavo con ansia la vostra visita.»
«Desolato di
essere venuto a disturbarvi, so che siete molto impegnato.»
«Sciocchezze, ho sempre
tempo per voi e la vostra arte. Prego, ditemi pure. Spero che le prove
procedano bene, ormai manca poco alla prima.»
«Abbastanza. Però,
guardando gli attori esibirsi, mi sono venute in mente alcune modifiche da
apportare al copione, e ci tenevo a farvele vedere.»
«Perché mai? Ve
l’ho detto, potete scrivere quello che volete. L’unica cosa che vi chiedo è di
rispettare la memoria del Granduca evitando di metterlo in ridicolo.»
«Per carità, non
mi sognerei mai di farlo. Però sono comunque… come posso dire… diciamo che la
mia penna ha avuto ancor meno freni inibitori del solito…»
Daemon prese il
documento dandogli una rapida letta; e persino lui fece fatica a trattenere le
risate.
«È perfetto. Lo
dovete inscenare assolutamente. Vi autorizzo io.»
«Ne siete sicuro?
Voglio dire, vi siete fatto molti estimatori da quando siete qui, e non vorrei
che qualcuno si sentisse… beh, poco lusingato…»
«Se qualcuno si
dovesse sentire tirato in ballo o chiamato in causa dalla vostra commedia
vorrebbe dire che avete colto nel segno, e che quella persona avrebbe di che
sentirsi imbarazzata. Datemi retta, la commedia è la miglior rappresentazione
della realtà. Vizi e virtù mostrati senza maschere e senza ipocrisia.»
Daemon aveva un
modo di vedere le cose che lasciava senza parole chiunque lo incontrasse.
Per lui tutto era
un mezzo utile a nutrire la Rivoluzione di cui ormai era divenuto immagine, e
insegnarne i principi alle persone era importante tanto quanto difenderla da
chi la minacciava.
E Marcel come
molti altri si sentiva orgoglioso di poter dare il suo contributo alla causa,
perché prima d’ora nessuno si era mai preoccupato tanto della felicità e del
benessere del popolo.
«Riuscirete ad
assimilare le modifiche in così pochi giorni?»
«Lavoreremo giorno
e notte se sarà necessario. Gli attori sono i migliori con cui abbia mai
lavorato.»
«Ne sono
convinto.» rispose Daemon guardando il suo orologio. «Ora però temo di dovervi
congedare. La mia presenza è richiesta altrove.»
«Naturalmente.
Grazie ancora per il Vostro tempo. Vi prometto che con la messa in scena di questa
commedia, la Festa delle Stelle sarà un evento indimenticabile.»
Daemon a quel
punto raccolse il soprabito e scese nel piazzale d’ingresso, salendo a bordo
della carrozza che lo stava già aspettando. A dire il vero lui era solito dire
come detestasse andasse in giro con quel catafalco scintillante, ma Alfred ogni
volta non mancava di rispondere che in quanto facente funzioni di Granduca era
suo dovere apparire in un certo modo.
«Alla Banlieu.»
Poco oltre la porta ovest c’era un grosso agglomerato
di vecchi magazzini usati un tempo per stoccare il sale, ma che ormai da
diversi anni giacevano in stato di totale abbandono.
Durante la
battaglia un colpo di mortaio meno preciso degli altri li aveva centrati in pieno
dandogli fuoco, e quando si era riusciti a spegnere l’incendio di loro non era
rimasto niente.
Mentre ancora si
cercava di capire cosa fare di tutto quello spazio Daemon aveva avuto una delle
sue strane idee, bandendo una specie di concorso tra la cittadinanza e
permettendo a chiunque di presentare un proprio progetto di riqualificazione.
Jannik Fayol era visto da tutti come un visionario, un sognatore
le cui idee sembravano basate molto poco sulla logica e molto sulla fantasia, e
che per questo non era mai riuscito a farsi un nome tra gli ingegneri o gli
architetti al servizio della Famiglia Montgomery.
Questo però non
aveva impedito a Daemon, dopo appena due minuti di colloquio, di affidargli il
progetto di riqualificazione dei magazzini, dove avrebbe finalmente potuto
mettere in atto la sua idea per un nuovo processo produttivo.
In men che non si
dica quell’area infestata dalle erbacce e dall’incuria si era trasformata in
una sorta di piccola città dentro la città, un microcosmo cinto da un proprio
muro al cui interno vi era di tutto, dal mercato alle terme.
Tutti vivevano e
lavoravano al suo interno, visto che il complesso era dotato anche di grandi
appartamenti in cui gli operai risiedevano assieme alle loro famiglie.
Il cuore pulsante della
struttura –che Daemon aveva voluto chiamare Banlieu– erano
i tre enormi capannoni in pietra interconnessi, al cui interno lavoravano senza
sosta non meno di tremila operai, ognuno con una propria mansione specifica ed
un proprio posto.
E visto che il
lavoro era suddiviso in turni che coprivano tutto l’arco della giornata,
l’attività produttiva non si arrestava praticamente mai.
L’efficienza e la
differenziazione dei compiti erano così bene organizzate che era possibile
produrre una vasta gamma di prodotti anche molto diversi tra loro nello stesso
momento. Dai vestiti agli utensili fino alle armi, non c’era quasi niente che
non si potesse produrre nella Banlieu.
Daemon cercava di
recarsi in visita al complesso in tutte le occasioni possibili, meravigliandosi
di come quella possente e al tempo stesso delicata macchina industriale non
facesse che migliorare ad ogni sua visita.
«Sono davvero
senza parole.» disse mentre Jannik lo accompagnava a
visitare la struttura. «Non credevo possibile che riusciste a realizzare una cosa
del genere in così poco tempo.»
«Nulla di tutto
questo sarebbe stato possibile senza di Voi. Nessuno voleva ascoltarmi quando
cercavo di proporre questo nuovo modo di intendere il processo produttivo. Voi
non solo avete creduto in me, ma grazie al Vostro supporto ho potuto dimostrare
a tutti la bontà della mia teoria. E di questo vi sarò eternamente grato.»
«C’è stato un
tempo in cui ero poco restio a dare credito a progetti che mi apparivano troppo
insulsi o troppo fantasiosi, e ho avuto modo di pentirmene. Non commetterò più
lo stesso errore. Ora non giudico più l’idea in sé, ma colui che sostiene di
poterla realizzare. E quando ho guardato nei vostri occhi, ho visto lo sguardo
di una persona che era pronta a mettere in gioco tutto per dimostrare di avere
ragione. È bastato questo per convincermi a darvi fiducia, e ora so che è stata
una scelta saggia.»
«So che avete
intenzione di applicare il mio modello produttivo anche alle fabbriche che
avete costruito nello Stato Libero.»
«È un modello
efficiente, specie se come nel nostro caso abbiamo a che fare con operai a
bassa specializzazione.»
«Certamente.
Suddividendo il processo produttivo in varie fasi concatenate tra di loro, gli
artigiani capaci di realizzare un prodotto dall’inizio alla fine non sono più
necessari. A condizione di garantire un collegamento costante tra i vari
reparti, ora è sufficiente che un operaio impari a padroneggiare una singola
fase.»
«Questo
naturalmente abbassa in parte la qualità, ma di contro velocizza la produzione.
Inoltre il basso livello di mobilità e gli spazi ampi rendono possibile
produrre più beni in un unico posto. I miei più sinceri complimenti, Fayol. Dico davvero.»
«Vi ringrazio.»
Mentre
ispezionavano l’area in cui si producevano le parti in legno dei moschetti una
donna stramazzò a terra a poca distanza da loro.
«State male?»
chiese Daemon
«Non temete, mio
signore. Non è niente. Ora mi rimetto al lavoro.»
Ma bastava
guardarla per capire che non stava affatto bene.
«Questa donna
scotta da far paura. Dovrebbe essere a casa.»
«Gliel’abbiamo
detto più volte, ma insiste per restare al lavoro.» tentò di giustificarsi Jannik
«Vi prego mio
signore, non mandatemi via. Io ho bisogno di lavorare.»
«Voi state
bruciando di febbre. Se non vi riposate rischiate di stare peggio.»
«Mio marito è
morto a Mistvale, mio figlio maggiore è ancora convalescente dopo essere stato
ferito ad Alois. Sono rimasta sola ad accudire le mie due figlie più piccole.
Se non lavoro, loro non possono mangiare.»
Al che Daemon
prese una manciata di monete dalla borsa e le mise in mano alla donna.
«Mio signore…»
«Una settimana di
paga, più il necessario per comprare le medicine. Ora andate a casa e
riposate.»
Il gesto
ovviamente non era sfuggito agli altri lavoratori, che come l’interessata non
riuscivano a credere ai propri occhi.
«Lo Stato Libero
non è Eirinn o l’Impero. Qui non c’è nessuno che vi ordina di morire per un
pezzo di pane. Ognuno di voi può dare tanto per il proprio Paese, ma sarebbe
folle pretendere troppo da sé stessi. Quindi non abbiate paura di dire che vi
sentite male. Il medico locale è a vostra disposizione, e sarà pronto ad
esentarvi dal lavoro se riterrà che sia nell’interesse vostro e della fabbrica.
Per coloro che saranno costretti ad assentarsi per malattia stiamo approntando
un fondo che possa coprire le loro spese fino a quando non saranno in grado di
lavorare di nuovo. Perché ricordate che se uno di voi sta troppo male per
riuscire a tenere il passo è l’intera attività a risentirne.»
Rinvigoriti nello
spirito tutti si rimisero quindi al lavoro, mentre la donna venne presa in
custodia da alcuni dei guardiani che la accompagnarono a casa.
«Io davvero non so
come facciate ad avere sempre una soluzione per tutto. È come se non ci fosse
nulla capace di impensierirvi.»
«Avrei voluto
essere stato così anche in altre occasioni. Continuiamo il giro?»
Ma evidentemente Gaia aveva deciso che Daemon quel
giorno non doveva avere un momento per dedicarsi alle scartoffie, perché quando
riuscì finalmente a tornare nel suo ufficio trovò ancora una volta qualcuno ad
aspettarlo.
Stavolta però, si
trattava di un ospite del tutto inatteso.
«Padre. Che cosa
ci fate qui?»
«Avevo bisogno di
parlarti. Ormai è da mesi che non torni al Castello.»
«Mi dispiace, c’è
talmente tanto da fare che a malapena trovo il tempo per dormire un po’. Voi
piuttosto, siete venuto fin qui a piedi dal Castello? Vi sarebbe bastato usare
il portale.»
«Dimentichi che
sono stato uno schiavo per secoli. Per me un centinaio di miglia di cammino non
sono niente, e poi mi è servito a schiarirmi le idee. La verità è che volevo
parlarti di una cosa importante.»
«Sono
tutt’orecchi.»
Zorech esitò, abbassando
la testa come se si vergognasse.
«Con il tuo
permesso, avrei deciso di presentare le mie dimissioni da Prefetto del Castello
e da membro dell’Assemblea.»
Erano poche le
cose capaci di spiazzare Daemon, e il suo sguardo faceva intendere che stavolta
era stato colto del tutto alla sprovvista.
«Per quale motivo?
Siete un ottimo Prefetto. Con voi il Castello è prospero e sicuro come non mai,
e la gente vi ama.»
«Ne sono
consapevole figliolo. Io ti sono grato per la fiducia che hai sempre avuto in
me, ma in verità non mi sono mai sentito davvero portato per questo incarico.
Non mi trovo a mio agio in un palazzo di pietra, circondato da responsabilità
che sento come troppo grandi per me. Aiutarti ad amministrare lo Stato Libero
era già un’impresa difficile, ma ora che i nostri compiti sono raddoppiati
assieme al territorio che governi, non credo di avere più la forza per fare ciò
che ti aspetti da me.»
«Si tratta solo di
una situazione temporanea, padre. Non ho alcuna intenzione di reclamare questa
terra.»
«Daemon, sii onesto.
Ho vissuto abbastanza a lungo da capire quando gli eventi prendono una certa
direzione. I progetti che hai avviato per Eirinn sono troppo grandi per essere
semplicemente un modo per aiutare questo Paese a rialzarsi. Sono disposto a
crederti quando dici che non avresti mai voluto arrivare a tanto, ma non mi
credere un ingenuo. Avevo capito fin dal primo momento che la Rivoluzione non
era destinata a fermarsi allo Stato Libero. Che sia tramite conquista o
alleanze, è chiaro che punti a diffondere le tue idee ovunque ci saranno
persone disposte ad ascoltarle. E forse è in questo che io posso esserti
utile.»
«Che intendi
dire?»
«Se me lo
consenti, vorrei andare ad est. Torian, Patria e Volkova sono terre dove la schiavitù è diffusa, e dove
molti nostri compagni ancora soffrono sotto il giogo degli umani. Se potessi
far conoscere anche lì i nostri ideali, forse potremmo spingere quelle persone
ad alzare la testa.»
«Sappiamo che ci
sono state altre rivolte in giro per Erthea negli ultimi mesi sull’onda delle
nostre vittorie, ma sono state tutte represse. Non bastano forconi, assalti ai
granai e nobili impiccati fuori dai loro palazzi a migliorare le cose. Quella
non è Rivoluzione, solo barbarie.»
«Per questo vorrei
andare. Quella gente vede noi e cerca di prenderci ad esempio, ma come hai
detto tu ignorano cosa sia veramente la Rivoluzione, e quali siano gli ideali
che ci muovono. C’è bisogno che qualcuno mostri loro la strada giusta, perché è
anche a causa di queste rivolte se le altre nazioni ci considerano una minaccia.
Come hai detto tu, il cambiamento non si può fermare. E se questo cambiamento
dovesse verificarsi in tutta Erthea nello stesso momento, anche i potenti
sarebbero costretti ad ammettere che tornare al vecchio mondo è impossibile. Dovranno
ascoltarci per forza.»
«Immagino tu sia
consapevole del rischio a cui ti esponi. Fino a quando le altre nazioni non ci
riconosceranno ufficialmente, chiunque di noi venga sorpreso là fuori nella
migliore delle ipotesi sarà arrestato e schiavizzato, ma più probabilmente
ucciso sul posto.»
«So badare a me
stesso. Fidati, sarò al sicuro.»
Daemon restò a
lungo in silenzio, come se stesse cercando di leggere negli occhi di suo padre.
Quindi, prese una pergamena e vi appose il suo sigillo.
«Non abbiamo
ancora valicato il fiume Seshir, ma sia nel
Principato che nell’Unione abbiamo già stabilito dei rifugi per i nostri agenti
e spie che operano in quei territori. Li troverai tutti in questa lista. Mostra
questo documento ai capi delle gilde e ti offriranno tutto ciò di cui hai
bisogno.»
«Non dovrebbe
essere necessario, ma lo apprezzo.»
«Scalia lo sa?»
«Non ancora, e
vorrei che non le dicessi niente fino a che non sarò partito. Non voglio
costringerla a dover scegliere tra il restare con te e il venire con me.»
«Come preferisci.
Ma non stupirti se al tuo ritorno non vorrà parlarti per un po’.»
Prima che Zorech lasciasse la stanza però Daemon fece qualcosa che
negli anni non aveva fatto quasi mai, nemmeno con suo padre; lo abbracciò.
«So che
probabilmente non è questo che immaginavi per il mio futuro, ma l’impegno che
ho preso quel giorno di quasi un anno fa non è cambiato. Ti renderò fiero di
me.»
Zorech esitò prima di
contraccambiare, chiudendo le vecchie ali rinsecchite attorno al figlio come
quando era piccolo.
«Abbi cura di te,
ragazzo mio.»
Ogni volta che guardava alle proprie spalle, Aria non
riusciva quasi a credere che tutto ciò stesse accadendo davvero.
Più di
cinquantamila uomini che marciavano al suo seguito diretti a sud, dove ce
n’erano altrettanti ad aspettare il loro arrivo.
Il più grande
esercito mai messo assieme dalla fine della Guerra del Flor
con Connelly.
E lei, generale
Aria Montgomery, era il loro comandante.
Erano gli stessi
uomini con i quali in dieci giorni aveva sbaragliato i Baroni, e che ora erano
pronti a seguirla in un’altra impresa destinata a passare alla storia.
L’Imperatore Ademar in persona le aveva messo tra le mani il bastone del
comando che ora conservava come una reliquia.
Il loro obiettivo,
uno solo: schiacciare lo Stato Libero e la Rivoluzione con ogni mezzo
necessario.
A questo scopo
avevano marciato per più di cinquecento miglia da Maligrad
fino al cuore dell’Impero.
Ormai nessuno si
faceva più illusioni, non dopo la disfatta che aveva consegnato l’intera Eirinn
nelle mani dei ribelli.
Quella non era più
una banale rivolta, né una minaccia da prendere alla leggera: persino parlare
di semplici ribelli ormai sembrava fuori luogo.
Daemon Haselworth
era probabilmente la minaccia più grande che Erthea avesse mai visto per la sua
stessa esistenza dai tempi del Signore Oscuro.
Muoveva gli
eserciti con la stessa facilità con cui muoveva le coscienze, e conquistava
intere nazioni contando tanto sulla forza delle armi quanto su quella delle
idee.
Era successa la
stessa cosa con la nascita dell’Unione, e già allora molte nazioni si erano
coalizzate nel tentativo di impedire ad una nuova idea di germogliare nelle
coscienze dei popoli.
Questo almeno fino
a quando non ci si era resi conto che anche cambiando il nome ad uno stato o il
modo in cui veniva governato, la sostanza più o meno restava la stessa: il
potere vinceva sempre.
Ma stavolta era
diverso; stavolta la minaccia era reale, proprio perché Daemon aveva dimostrato
di avere non solo una nuova idea, ma anche la forza militare e carismatica per
difenderla e diffonderla. E non si sarebbe fermato davanti a niente.
Occorreva
dimostrare a tutti che le nazioni di Erthea erano ancora in grado di
schiacciare chiunque provasse a mettere in discussione i principi su cui si
fondava la loro esistenza.
Aria era
consapevole dell’importanza della sua missione, e anche se cercava di mostrarsi
forte quel peso era un fardello così gravoso da toglierle il respiro.
E la sua coscienza
non era in condizioni migliori; lei che aveva dedicato tutti i suoi sforzi al
sogno di portare qualcosa di nuovo e migliore nella società in cui viveva,
stava andando a distruggere chi un nuovo mondo stava già provando a costruirlo.
In questi casi si
aggrappava con tutte le sue forze alla convinzione che il cambiamento che lo
Stato Libero voleva portare poteva anche essere giusto, ma era troppo radicale
e distruttivo per arrivare così, dal giorno alla notte.
Il rischio era che
i due mondi entrassero in collisione, proprio come stava accadendo, in una
spirale di violenza che avrebbe distrutto ogni cosa.
«Generale,
guardate.» disse Oreste che cavalcava al suo fianco. «Ecco Rhodes.»
Rhodes, detta anche la
Seconda Capitale, il luogo da cui Saedonia
amministrava i suoi territori meridionali.
Mentre le truppe
allestivano l’accampamento fuori dalla città, Aria volle andare subito ad
incontrare il Governatore Valerio Catone e il Generale Batiato,
comandante dell’Esercito Meridionale, del quale avrebbe preso il posto.
«Benvenuta nel
sud, Generale.» disse Nestore accogliendo lei e Oreste nel proprio palazzo
assieme a Batiato. «Spero abbiate fatto un buon
viaggio. Attraversare l’Impero in pieno inverno con cinque legioni non è cosa
da poco.»
«Era necessario.
Per ogni giorno che passa il nemico diventa più forte, e non potevamo
permetterci di aspettare la primavera.»
«Purtroppo temo
non abbiate altra scelta.» disse Batiato. «Anche
quest’anno l’inverno ha colpito duro sul Khoral, e il
passo è bloccato dalla neve. A meno che non vogliate fare il giro largo
passando da Eirinn.»
«Muovere guerra
adesso sarebbe folle. La stagione non lo consente, e anche se hanno ormai
recuperato dalle fatiche dell’est i miei uomini sono ancora molto stanchi,
specie dopo questa lunga marcia. La cosa importante era arrivare qui nel più
breve impossibile.»
Prima che Aria
potesse parlare ancora però il Governatore le fece un cenno, quindi i servi
provvidero a chiudere tutte le porte e le finestre isolando di fatto la stanza
dal resto del mondo.
«Vi chiedo scusa,
ma occorre essere prudenti. Sappiamo che la città pullula di spie ribelli.
Appena ci hanno informati che eravate partita, abbiamo fatto di tutto per
tenere nascosto il vostro arrivo.»
«Una scelta
saggia.»
«Grazie.» disse Batiato «Anche se a questo punto è solo una questione di
tempo prima che il nemico ne venga informato. Meglio non dargli più vantaggi di
quanti già non ne abbiano. Stavate dicendo?»
«Lanceremo la
nostra offensiva ai primi calori della primavera. Le correnti marine sono già
cambiate, quindi è probabile che l’inverno finirà prima del solito.»
«E come intendete
procedere?»
«Ho già un piano
in testa, ma per ora preferisco non parlarne. Prima voglio incontrare i
comandanti locali e sincerarmi dello stato delle legioni.»
«Non vi mentirò,
Generale Montgomery. Sono più che felice di lasciarvi il comando. Conoscevo
personalmente il Generale Ron; forse non era una cima
nella tattica, ma sapeva come ispirare gli uomini e conseguire vittorie, e quel
ragazzo lo ha annientato. La sola idea di trovarmelo di fronte bastava a
togliermi il sonno.»
«Per non parlare del
Generale Lefde.» disse Nestore «Ho conosciuto pochi
comandanti altrettanto abili, eppure ad Haselworth sono bastate due battaglie
per spazzare via l’esercito di Eirinn.»
«Sono
perfettamente consapevole della forza del nostro avversario. Che ci crediate o
no l’ho già incontrato, anche se è successo parecchio tempo fa. E già allora
avevo capito che Daemon Haselworth non è come gli altri. La sua mente è un
mistero insondabile, un pozzo da cui scaturiscono pensieri che non sembrano
appartenere a questo mondo. Se vorremo batterlo, ogni uomo e ogni donna di
questo esercito dovrà dare il meglio di sé.»
«Sembrate molto
sicura di voi.» disse ancora Batiato. «Ma per quanto
vi rispetti, vi invito alla cautela. Qui non siamo all’est, e le ultime
vittorie hanno galvanizzato i ribelli come non mai. Per di più sembra che la
popolazione non gli sia ostile, anche se abbiamo ricevuto rapporti circa un
gruppo di guerriglieri che starebbero compiendo azioni di sabotaggio. Forse
potremmo provare a contattarli.»
«Questa è una
battaglia dell’Impero contro chi ha usurpato impunemente le sue terre. È vitale
che tutti vedano che stiamo combattendo una battaglia di civiltà per
riaffermare il dominio di Sua Maestà sull’occidente e della famiglia Montgomery
sull’oriente. Quindi specialmente all’est non ci saranno atti ostili verso la
popolazione, niente saccheggi, e soprattutto non ci accompagneremo in alcun
modo a forze non appartenenti al nostro esercito.»
I due anziani
ufficiali si guardarono un attimo tra di loro, ma ad entrambi bastò un’occhiata
al bastone che Aria portava alla cintura per capire che era meglio non
controbattere.
Anche se da subito dopo la conquista di Eirinn Daemon
aveva dato avvio ad una massiccia opera di miglioramento delle infrastrutture
stradali del Granducato, muovere grossi carichi dal Castello a Faria in pieno
inverno era tutto fuorché semplice.
Inoltre nonostante
i controlli ferrei che assicuravano l’ordine nei principali centri abitati e
nelle zone attigue, la situazione nelle campagne e nei boschi non era per
niente tranquilla, con bande di predoni che assalivano i viaggiatori.
Con la Festa delle
Stelle ormai prossima il traffico lungo la Via Fariana
era più intenso del solito, soprattutto quello delle merci destinate a
foraggiare le celebrazioni, e i banditi lo sapevano.
Ma c’era qualcuno
a cui non importava nulla di rubare, o che almeno non ne faceva la motivazione
principale delle proprie azioni.
Si firmavano come
i Guerrieri di Eirinn, benché il gruppo ormai fosse stato smantellato già da
alcuni anni; attaccavano principalmente le carovane dei rifornimenti, ma non
disdegnavano di tendere agguati anche alle pattuglie che proteggevano le
strade. In un’occasione erano stati così audaci da tentare persino l’assalto ad
un fortino della Grande Armata.
Quel giorno la
loro furia si abbatté contro tre carri di vettovaglie diretti a Faria. Il
convoglio era ben protetto, ma il loro assalto fu così violento che seppure al
prezzo di alcuni compagni morti riuscirono ad avere ragione delle guardie;
neppure i civili furono risparmiati.
Un simile bottino
avrebbe fatto gola a chiunque, ma loro si limitarono a prendere solo qualche
sacco di farina, per poi appiccare il fuoco a tutto il resto. E come al solito,
prima di andarsene, lasciarono su una roccia vicina il solito messaggio
inequivocabile vergato con il sangue.
Lunga vita ad
Eirinn! Morte all’usurpatore!
«È successo di nuovo.» disse Adrian prima ancora di
chiudere la porta dell’ufficio.
«Ancora i
Guerrieri di Eirinn?»
«Hanno attaccato
un convoglio vicino a Mablith. Sedici morti. Anche
stavolta hanno ucciso tutti.»
«Sono degli idioti
se pensano che questo li aiuterà. Come pensano di guadagnare consensi
prendendosela anche con chi non c’entra niente?»
«Non sta a me
dirti come portare avanti tutto questo, ma se vuoi sapere come la penso trovo
che tu stia facendo un errore. Le persone che in questo Paese non ti stimano
sono poche, ma sono molto rumorose. E la benevolenza che dimostri nei loro
confronti non ci aiuta. Dovresti dare qualche esempio.»
«Se c’è una cosa
che ho imparato nella vita è che reprimere il dissenso con la violenza è il
modo più facile e sicuro per alimentarlo. Credevo che almeno questo l’avessi
imparato vivendo per anni insieme a tuo padre.»
Adrian accusò il
colpo e si morse la lingua.
«Non è con le
fucilazioni o le impiccagioni che si conquista l’animo di un popolo. Queste
sono solo soluzioni a breve termine che a lungo andare sortiscono l’effetto
contrario. Migliorare la qualità della vita, implementare i servizi. Questo
migliora le cose.»
«Suppongo quindi
che anche la Festa delle Stelle di domani rientri in questo tuo progetto di
pubbliche relazioni.»
«Più o meno. In
realtà credo sinceramente che dopo un anno meritiamo tutti un momento di
riposo. Questa celebrazione era l’occasione perfetta, non sei d’accordo? Se poi
posso sfruttarla per far capire a questa gente il nostro punto di vista su
determinate cose, ben venga.»
Daemon cercava di
nasconderlo, ma si vedeva che ormai sembrava non farcela più a tenere quel
ritmo.
«Visto che ne
stiamo parlando, che ne dici se per oggi ti concedi un po’ di riposo? Domani
avrai comunque parecchi impegni, ma tutta la città in pratica è già in festa.
Potresti approfittarne.»
«Proprio perché le
celebrazioni sono già iniziate non ho tempo di festeggiare. Devo assicurarmi
che tutto sia in ordine.»
«Sciocchezze.
Vedrai che non ci saranno problemi. Sappiamo tutti e due che a primavera
dovremo vedercela con l’Impero. Se non ne approfitti adesso per distrarti
almeno un po’ non ne avrai più l’occasione. Quindi ora dacci un taglio con
questo atteggiamento e vai fuori a rilassati una volta tanto.»
«Ce l’ho già una
madre. Molto rumorosa, per di più.»
«Se la cerchi,
dovrebbe essere lì fuori da qualche parte. Lei e tutti gli altri sono arrivati
dal Castello proprio stamattina. Quindi scegli, puoi andare là fuori, o puoi
aspettare che venga qui lei a ripeterti questo discorsetto. E sono abbastanza
sicuro che a lei non riusciresti a dire di no.»
Quando pensava a
Lori, Daemon non riusciva a capire se l’idea di rivederla dopo tanti mesi di
lontananza gli facesse piacere o lo facesse tremare di paura.
Ma su una cosa
Adrian aveva ragione: a lei non sarebbe mai riuscito a dire di no.
«D’accordo, hai
vinto. Sbrigo queste ultime pratiche, e poi vado a fare un giro. Sarà anche un
modo per vedere come la gente di Faria si sta preparando per questa festa.»
«Così mi piaci.
Allora, buona giornata. E mi raccomando, divertiti.»
Lasciando
l’ufficio Adrian incrociò casualmente un furiere che sembrava piuttosto ansioso
di riferire qualcosa a Daemon. Pensando che si trattasse dell’ennesimo problema
da poco, e non volendo dare al suo compagno una scusa per rimandare la sua
uscita, Adrian chiese di riferire a lui, ma ciò che il messo aveva da dire si
rivelò tutt’altro che una sciocchezza.
«Mi stai dicendo
che tre barili di polvere da sparo sono spariti dal magazzino?»
«Sì, Generale.
Purtroppo ci siamo accorti della sparizione solo stamattina facendo
l’inventario.»
«Quel posto è
sorvegliato giorno e notte, mi spieghi come hanno fatto a portare via tutta quella
polvere proprio sotto il vostro naso?»
«Davvero non lo
so, signore. Abbiamo controllato l’edificio palmo a palmo senza trovare nulla.
Non c’erano nemmeno segni di forzatura.»
«Sei sicuro che
non ci sia stato un errore nel conteggio?»
«Purtroppo no, signore.
Cento cinquantuno barili di polvere suddivisi in dodici depositi. Il numero è
rimasto invariato per settimane. Stamattina invece ne risultavano cento
quarantotto, e nessuno ha firmato bolle di carico o autorizzato prelievi.»
A quel punto
poteva trattarsi solo di un furto, e il solo pensiero che ci fosse qualcuno là
fuori con dieci chili di polvere da sparo in un momento simile era abbastanza
per far cadere i capelli.
«Dobbiamo
assolutamente riferirlo a Messer Daemon.»
«Messer Daemon non
ha bisogno di altre grane. Me ne occuperò io. D’ora in poi qualsiasi
informazione su questo caso dovrà essere riferita unicamente a me, sono stato
chiaro?»
«Ma… ma io…»
«Sono stato
chiaro?»
«… sì, Generale…»
«In quale deposito
c’è stato il furto?»
«Alla porta
meridionale.»
«Convoca tutti i
capisquadra e le guardie. Voglio una lista di ogni singolo dipendente che abbia
avuto accesso al deposito nelle ultime settimane. E voglio che interroghiate
tutti, dal primo degli ufficiali all’ultimo dei bifolchi. E fai venire Raven nel mio ufficio. Dannazione, ci mancava solo questa.»