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Autore: Cj Spencer    11/08/2024    1 recensioni
Volume 6 di "Napoleon of Another World!"
La guerra contro Eirinn è terminata, ora è il momento di ricostruire
Ma la pace non è destinata a durare.
L'Imperatore Ademar ha fatto la sua mossa, e presto Daemon si troverà a dover fare i conti con un avversario molto diverso da tutti quelli affrontati finora.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1

RINNOVAMENTO

 

 

Anche se non doveva fare i conti con le vette impervie del Khoral o le tormente che duravano per giorni e giorni, anche l’Eirinn Orientale ogni anno veniva messa a dura prova dall’inverno.

La neve forse non cadeva abbondante e fitta come all’ovest, ma le temperature rigide avevano poco da invidiare a quelle di Dundee o Basterwick.

Prima ancora che iniziassero le nevicate erano stati in molti a temere per la propria sorte, vista la situazione disastrosa in cui la guerra aveva ridotto il Granducato.

Invece tutto era stato portato avanti con precisione e preparazione assolute. L’esercito dello Stato Libero era stato molto attento nella sua avanzata a non danneggiare i campi e le fattorie, ma i mercenari al servizio del Granducato che avevano fatto razzie prima di darsela a gambe non erano stati altrettanto accorti e generosi.

La situazione più delicata naturalmente era quella nella capitale. Anche se l’attacco era durato relativamente poco i danni erano stati ingenti, soprattutto nelle zone più vicine alle mura della città. Per non parlare della Lancia di Gaia, che con un solo colpo aveva spazzato via interi ettari di terreno coltivabile.

In tutto ciò l’esercito di occupazione una volta insediatosi, andando a dare un’occhiata ai conti pubblici, non aveva trovato altro che casse svuotate e debiti spaventosi.

In poche parole, Eirinn era una nazione sull’orlo della bancarotta.

Chiunque si sarebbe preso quel poco che era rimasto e avrebbe abbandonato la nazione al suo destino.

Ma non Daemon Haselworth.

Fin dal giorno in cui aveva instaurato il suo nuovo governo provvisorio, era stato molto chiaro nel riaffermare la sua volontà di fare tutto ciò che era necessario per rimettere in piedi Eirinn e salvare il suo popolo dal disastro.

Per prima cosa, ci si era detto, servivano soldi. Tanti soldi.

Per ottenerli, Daemon aveva avuto un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria; l’unione di tutti i prestatori di soldi e dei banchi di famiglia del Granducato e dello Stato Libero nella Banca Nazionale.

Ad essa Daemon, oltre ad accollarsi tutti i debiti contratti da Victor per finanziare la guerra, aveva quindi chiesto un grosso prestito, arrivando a dare in garanzia persino la sua baita sulle montagne di Dundee e le proprie quote di partecipazione nelle miniere dell’Ovest. E la banca era stata più che felice di concederglielo, permettendo in questo modo a fiumi di denaro di riversarsi nelle casse nazionali.

«Spero tu sia consapevole che da questo momento sei probabilmente la persona più indebitata di questo mondo.» aveva detto Mary nel momento in cui, come direttore provvisorio, aveva dovuto controfirmare l’atto di prestito. «Al tuo confronto l’Imperatore Ademar sarebbe considerato un debitore quasi solvente.»

Con quei soldi si era provveduto anzitutto ad acquistare dall’Unione grano e cereali più che sufficienti a superare l’inverno.

Subito dopo era stata la volta dei lavori pubblici, impiegando cittadini rimasti senza casa e senza lavoro per riparare i danni più gravi e predisporre nuove semine il più in fretta possibile, anche ricorrendo anche al sistema delle terrazze che all’Ovest facevano presagire per la prossima primavera un raccolto strepitoso.

Faria era una città bellissima, ma fuori delle sue mura Eirinn non era certo un modello di virtù e di buona gestione, al contrario semmai.

Il passo successivo quindi era stato il miglioramento delle strutture vitali già esistenti e l’edificazione di nuove opere d’interesse collettivo come ponti, strade e stazioni di scambio, oltre alla creazione di un sistema postale totalmente ripensato sul modello di quello già attivo da mesi nello Stato Libero.

Tutto ciò aveva migliorato enormemente la situazione generale, e anche se tutti sapevano di trovarsi in una situazione di pace sospesa, in cui tutto poteva cambiare da un momento all’altro, era tornata la speranza ad Eirinn.

E più la vita rifioriva più aumentava il lavoro, anche perché nel mentre bisognava occuparsi anche dello Stato Libero, che a sua volta aveva sofferto non poco le conseguenze dei quasi tre mesi di guerra.

Questo aveva obbligato Daemon a dividere i suoi collaboratori tra le due province, rimanendo personalmente a Faria per gestire la ricostruzione e rimandando la maggior parte dei suoi compagni al Castello.

E come spesso accadeva, toccava a Septimus il compito di fungere da collegamento.

Quasi ogni giorno i due si incontravano di prima mattina nello studio del Granduca, dal quale Daemon ormai usciva solo per recarsi in visita a qualche cantiere o attività in giro per la regione.

«Sì, sembra tutto in ordine.» disse firmando il documento che l’amico gli aveva sottoposto. «Darò l’autorizzazione. Dì a Grog che può iniziare gli scavi. Il nuovo tunnel della miniera deve essere aperto entro la prossima primavera.»

«Sarà fatto.» rispose Septimus, per poi cercare vanamente di nascondere uno sbadiglio

«Stanco?»

«Ieri ho accompagnato Athreia in un’ispezione al villaggio dei centauri. Siamo tornati quando ormai era quasi buio.»

«Non mi sorprende. Quel posto è già difficile da raggiungere in estate, figuriamoci in pieno inverno. La situazione com’è?»

«Abbastanza buona. Tutte le case sono state ricostruite, e hanno cereali e ortaggi a sufficienza. Lasik mi ha detto di darti questo.»

Al che Septimus mise sulla scrivania un juris, un semplice bastone di frassino coperto di simboli e geroglifici. Nella cultura dei centauri, donarne uno era una manifestazione sincera e incondizionata di rispetto ed amicizia, una sorta di sacro legame che non poteva più essere sciolto.

«Ringrazialo da parte mia.»

«Non mancherò. Ora però sarà meglio che vada. C’è ancora molto da fare al Castello.»

«Ti accompagno. Ho giusto bisogno di una pausa.»

Daemon quindi accompagnò Septimus fuori dall’ufficio; ma invece che all’ingresso, i due amici si recarono in giardino, davanti ad un piccolo arco di marmo. E quando Septimus toccò uno dei simboli arcani scolpiti nella pietra l’intera struttura si circondò di luce, aprendo una porta magica oltre la quale si poteva vedere il profilo del Castello.

«Chi l’avrebbe mai detto?» sorrise Septimus. «Un collegamento diretto tra Faria e il Castello. Immagino tornasse molto comodo all’epoca in cui Eirinn Orientale e Occidentale erano un’unica nazione.»

«Stando a quanto dice Lady Valera, esiste da tempo immemorabile. Poi quando l’Occidente è stato ceduto all’Impero è stato disattivato e dimenticato.»

«Naturale. Il fatto che per riattivarlo servano gli sforzi congiunti di due maghi che agiscano nello stesso momento impediva ad entrambe le nazioni di servirsene all’insaputa l’una dell’altra.»

«A proposito, quando parli con Oldrick ricordagli che Mary attende ancora il resoconto sui costi per le riparazioni di Grote Muren. È necessario che il nuovo bilancio venga approvato entro la fine del mese.»

«Lo farò sicuramente. Dobbiamo vederci stasera. Giselle compie gli anni, e ha organizzato una festa alla locanda.»

«E tu riesci a trovare il tempo per andarci?»

«Se non ci vado mi prende a pugni. Era già abbastanza arrabbiata quando le ho detto che tu non ci saresti stato.»

«Dille che mi dispiace. Mi farò perdonare alla Festa delle Stelle della settimana prossima. Voi ci sarete, immagino.»

«Tu che ne dici? È da quando sono bambino che sogno di vederla. Ci stiamo organizzando per venire tutti quanti.»

«Mi fa piacere. Sarà un evento memorabile, e voglio che tutti si divertano in quell’occasione.»

Anche Daemon a quel punto sbadigliò, ma nel suo caso bastava guardare le sue occhiaie per capire quanto doveva essere esausto.

«Dovresti riposarti.»

«Mi piacerebbe, ma c’è ancora troppo da fare. Due Paesi, doppie responsabilità. Dopotutto è anche un po’ colpa nostra se Eirinn ha dovuto affrontare così tanti problemi.»

«E dire che una volta eri tu a tenere a freno me.»

«Appena mi sarà possibile cercherò di allentare un po’ la presa. Di sicuro le celebrazioni per la Festa delle Stelle saranno un’ottima occasione per rilassarsi.»

«Lo spero davvero. Dopotutto se ti prende un colpo non sarai d’aiuto a nessuno.»

«Me ne ricorderò. A presto, amico mio.»

«Ci vediamo la settimana prossima.»

Dopo che Septimus ebbe varcato la soglia e il portale si fu richiuso, Daemon tornò sui propri passi. Lungo la strada per tornare in ufficio passò accanto al campo d’allenamento, dove Scalia e Isabela erano impegnate nel solito duello mattutino.

Quelle due erano come una coppia di gatte perennemente occupate a soffiarsi in faccia, ma anche se non l’avrebbero mai ammesso, con il passare dei mesi erano arrivate a rispettarsi l’un l’altra quasi come sorelle.

«Sei migliorata molto. Ormai non sembra neanche più che tu stia indossando un’armatura sacra.»

«Ho avuto un’ottima insegnante, e non vedo l’ora di dimostrarle di essere diventata più brava di lei.»

«Per quello hai ancora molta strada da fare, piccolo drago. Ora come ora sei solo un cucciolo che prova a sputare fuoco per impressionare gli adulti.»

Daemon restò qualche minuto ad osservarle divertito mentre si riempivano di botte con spade di legno come bambine al parco giochi, quindi tornò al suo ufficio e ai suoi molti impegni; tuttavia non poté dedicarvisi a lungo, visto che poco dopo Alfred venne ad annunciargli l’arrivo di un nuovo ospite.

 

Era quasi inconcepibile che con tutto quello che aveva da fare Daemon riuscisse a trovare il tempo per occuparsi anche di cose a prima vista meno importanti, ma che sembravano stargli comunque a cuore.

Marcel Grandier era un giovane e brillante autore di teatro che si era fatto le ossa partendo praticamente da zero; le sue opere irriverenti e burlesche erano molto amate dal popolo, ma la sua tendenza a mettere alla berlina chiunque non gli era valsa molti estimatori nelle corti e nei palazzi.

Così da anni era costretto a vivere quasi come un prigioniero all’interno del circolo culturale creato negli anni dal vecchio Berthold, che gli forniva protezione dai molti nemici che si era fatto tra le persone sbagliate.

Quando l’aveva incontrato poco dopo la conquista di Faria, Daemon non solo gli aveva rinnovato la promessa di protezione, ma anzi l’aveva spronato a mettere in scena la sua prima, vera opera teatrale, abbandonando i dialoghi o le brevi scenette a cui era abituato.

Vedendosi accordare totale libertà creativa, Marcel era stato ben felice di raccogliere la sfida, sfornando in poco più di un mese una commedia in tre atti che Daemon aveva definito, senza mezzi termini, la più divertente che avesse mai visto.

Ora si trattava di metterla in scena, ed era di questo che il giovane autore era venuto a parlare.

«Grandier, benvenuto.» disse Daemon accogliendolo calorosamente. «Prego, accomodatevi. Aspettavo con ansia la vostra visita.»

«Desolato di essere venuto a disturbarvi, so che siete molto impegnato.»

«Sciocchezze, ho sempre tempo per voi e la vostra arte. Prego, ditemi pure. Spero che le prove procedano bene, ormai manca poco alla prima.»

«Abbastanza. Però, guardando gli attori esibirsi, mi sono venute in mente alcune modifiche da apportare al copione, e ci tenevo a farvele vedere.»

«Perché mai? Ve l’ho detto, potete scrivere quello che volete. L’unica cosa che vi chiedo è di rispettare la memoria del Granduca evitando di metterlo in ridicolo.»

«Per carità, non mi sognerei mai di farlo. Però sono comunque… come posso dire… diciamo che la mia penna ha avuto ancor meno freni inibitori del solito…»

Daemon prese il documento dandogli una rapida letta; e persino lui fece fatica a trattenere le risate.

«È perfetto. Lo dovete inscenare assolutamente. Vi autorizzo io.»

«Ne siete sicuro? Voglio dire, vi siete fatto molti estimatori da quando siete qui, e non vorrei che qualcuno si sentisse… beh, poco lusingato…»

«Se qualcuno si dovesse sentire tirato in ballo o chiamato in causa dalla vostra commedia vorrebbe dire che avete colto nel segno, e che quella persona avrebbe di che sentirsi imbarazzata. Datemi retta, la commedia è la miglior rappresentazione della realtà. Vizi e virtù mostrati senza maschere e senza ipocrisia.»

Daemon aveva un modo di vedere le cose che lasciava senza parole chiunque lo incontrasse.

Per lui tutto era un mezzo utile a nutrire la Rivoluzione di cui ormai era divenuto immagine, e insegnarne i principi alle persone era importante tanto quanto difenderla da chi la minacciava.

E Marcel come molti altri si sentiva orgoglioso di poter dare il suo contributo alla causa, perché prima d’ora nessuno si era mai preoccupato tanto della felicità e del benessere del popolo.

«Riuscirete ad assimilare le modifiche in così pochi giorni?»

«Lavoreremo giorno e notte se sarà necessario. Gli attori sono i migliori con cui abbia mai lavorato.»

«Ne sono convinto.» rispose Daemon guardando il suo orologio. «Ora però temo di dovervi congedare. La mia presenza è richiesta altrove.»

«Naturalmente. Grazie ancora per il Vostro tempo. Vi prometto che con la messa in scena di questa commedia, la Festa delle Stelle sarà un evento indimenticabile.»

Daemon a quel punto raccolse il soprabito e scese nel piazzale d’ingresso, salendo a bordo della carrozza che lo stava già aspettando. A dire il vero lui era solito dire come detestasse andasse in giro con quel catafalco scintillante, ma Alfred ogni volta non mancava di rispondere che in quanto facente funzioni di Granduca era suo dovere apparire in un certo modo.

«Alla Banlieu

 

Poco oltre la porta ovest c’era un grosso agglomerato di vecchi magazzini usati un tempo per stoccare il sale, ma che ormai da diversi anni giacevano in stato di totale abbandono.

Durante la battaglia un colpo di mortaio meno preciso degli altri li aveva centrati in pieno dandogli fuoco, e quando si era riusciti a spegnere l’incendio di loro non era rimasto niente.

Mentre ancora si cercava di capire cosa fare di tutto quello spazio Daemon aveva avuto una delle sue strane idee, bandendo una specie di concorso tra la cittadinanza e permettendo a chiunque di presentare un proprio progetto di riqualificazione.

Jannik Fayol era visto da tutti come un visionario, un sognatore le cui idee sembravano basate molto poco sulla logica e molto sulla fantasia, e che per questo non era mai riuscito a farsi un nome tra gli ingegneri o gli architetti al servizio della Famiglia Montgomery.

Questo però non aveva impedito a Daemon, dopo appena due minuti di colloquio, di affidargli il progetto di riqualificazione dei magazzini, dove avrebbe finalmente potuto mettere in atto la sua idea per un nuovo processo produttivo.

In men che non si dica quell’area infestata dalle erbacce e dall’incuria si era trasformata in una sorta di piccola città dentro la città, un microcosmo cinto da un proprio muro al cui interno vi era di tutto, dal mercato alle terme.

Tutti vivevano e lavoravano al suo interno, visto che il complesso era dotato anche di grandi appartamenti in cui gli operai risiedevano assieme alle loro famiglie.

Il cuore pulsante della struttura –che Daemon aveva voluto chiamare Banlieu– erano i tre enormi capannoni in pietra interconnessi, al cui interno lavoravano senza sosta non meno di tremila operai, ognuno con una propria mansione specifica ed un proprio posto.

E visto che il lavoro era suddiviso in turni che coprivano tutto l’arco della giornata, l’attività produttiva non si arrestava praticamente mai.

L’efficienza e la differenziazione dei compiti erano così bene organizzate che era possibile produrre una vasta gamma di prodotti anche molto diversi tra loro nello stesso momento. Dai vestiti agli utensili fino alle armi, non c’era quasi niente che non si potesse produrre nella Banlieu.

Daemon cercava di recarsi in visita al complesso in tutte le occasioni possibili, meravigliandosi di come quella possente e al tempo stesso delicata macchina industriale non facesse che migliorare ad ogni sua visita.

«Sono davvero senza parole.» disse mentre Jannik lo accompagnava a visitare la struttura. «Non credevo possibile che riusciste a realizzare una cosa del genere in così poco tempo.»

«Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza di Voi. Nessuno voleva ascoltarmi quando cercavo di proporre questo nuovo modo di intendere il processo produttivo. Voi non solo avete creduto in me, ma grazie al Vostro supporto ho potuto dimostrare a tutti la bontà della mia teoria. E di questo vi sarò eternamente grato.»

«C’è stato un tempo in cui ero poco restio a dare credito a progetti che mi apparivano troppo insulsi o troppo fantasiosi, e ho avuto modo di pentirmene. Non commetterò più lo stesso errore. Ora non giudico più l’idea in sé, ma colui che sostiene di poterla realizzare. E quando ho guardato nei vostri occhi, ho visto lo sguardo di una persona che era pronta a mettere in gioco tutto per dimostrare di avere ragione. È bastato questo per convincermi a darvi fiducia, e ora so che è stata una scelta saggia.»

«So che avete intenzione di applicare il mio modello produttivo anche alle fabbriche che avete costruito nello Stato Libero.»

«È un modello efficiente, specie se come nel nostro caso abbiamo a che fare con operai a bassa specializzazione.»

«Certamente. Suddividendo il processo produttivo in varie fasi concatenate tra di loro, gli artigiani capaci di realizzare un prodotto dall’inizio alla fine non sono più necessari. A condizione di garantire un collegamento costante tra i vari reparti, ora è sufficiente che un operaio impari a padroneggiare una singola fase.»

«Questo naturalmente abbassa in parte la qualità, ma di contro velocizza la produzione. Inoltre il basso livello di mobilità e gli spazi ampi rendono possibile produrre più beni in un unico posto. I miei più sinceri complimenti, Fayol. Dico davvero.»

«Vi ringrazio.»

Mentre ispezionavano l’area in cui si producevano le parti in legno dei moschetti una donna stramazzò a terra a poca distanza da loro.

«State male?» chiese Daemon

«Non temete, mio signore. Non è niente. Ora mi rimetto al lavoro.»

Ma bastava guardarla per capire che non stava affatto bene.

«Questa donna scotta da far paura. Dovrebbe essere a casa.»

«Gliel’abbiamo detto più volte, ma insiste per restare al lavoro.» tentò di giustificarsi Jannik

«Vi prego mio signore, non mandatemi via. Io ho bisogno di lavorare.»

«Voi state bruciando di febbre. Se non vi riposate rischiate di stare peggio.»

«Mio marito è morto a Mistvale, mio figlio maggiore è ancora convalescente dopo essere stato ferito ad Alois. Sono rimasta sola ad accudire le mie due figlie più piccole. Se non lavoro, loro non possono mangiare.»

Al che Daemon prese una manciata di monete dalla borsa e le mise in mano alla donna.

«Mio signore…»

«Una settimana di paga, più il necessario per comprare le medicine. Ora andate a casa e riposate.»

Il gesto ovviamente non era sfuggito agli altri lavoratori, che come l’interessata non riuscivano a credere ai propri occhi.

«Lo Stato Libero non è Eirinn o l’Impero. Qui non c’è nessuno che vi ordina di morire per un pezzo di pane. Ognuno di voi può dare tanto per il proprio Paese, ma sarebbe folle pretendere troppo da sé stessi. Quindi non abbiate paura di dire che vi sentite male. Il medico locale è a vostra disposizione, e sarà pronto ad esentarvi dal lavoro se riterrà che sia nell’interesse vostro e della fabbrica. Per coloro che saranno costretti ad assentarsi per malattia stiamo approntando un fondo che possa coprire le loro spese fino a quando non saranno in grado di lavorare di nuovo. Perché ricordate che se uno di voi sta troppo male per riuscire a tenere il passo è l’intera attività a risentirne.»

Rinvigoriti nello spirito tutti si rimisero quindi al lavoro, mentre la donna venne presa in custodia da alcuni dei guardiani che la accompagnarono a casa.

«Io davvero non so come facciate ad avere sempre una soluzione per tutto. È come se non ci fosse nulla capace di impensierirvi.»

«Avrei voluto essere stato così anche in altre occasioni. Continuiamo il giro?»

 

Ma evidentemente Gaia aveva deciso che Daemon quel giorno non doveva avere un momento per dedicarsi alle scartoffie, perché quando riuscì finalmente a tornare nel suo ufficio trovò ancora una volta qualcuno ad aspettarlo.

Stavolta però, si trattava di un ospite del tutto inatteso.

«Padre. Che cosa ci fate qui?»

«Avevo bisogno di parlarti. Ormai è da mesi che non torni al Castello.»

«Mi dispiace, c’è talmente tanto da fare che a malapena trovo il tempo per dormire un po’. Voi piuttosto, siete venuto fin qui a piedi dal Castello? Vi sarebbe bastato usare il portale.»

«Dimentichi che sono stato uno schiavo per secoli. Per me un centinaio di miglia di cammino non sono niente, e poi mi è servito a schiarirmi le idee. La verità è che volevo parlarti di una cosa importante.»

«Sono tutt’orecchi.»

Zorech esitò, abbassando la testa come se si vergognasse.

«Con il tuo permesso, avrei deciso di presentare le mie dimissioni da Prefetto del Castello e da membro dell’Assemblea.»

Erano poche le cose capaci di spiazzare Daemon, e il suo sguardo faceva intendere che stavolta era stato colto del tutto alla sprovvista.

«Per quale motivo? Siete un ottimo Prefetto. Con voi il Castello è prospero e sicuro come non mai, e la gente vi ama.»

«Ne sono consapevole figliolo. Io ti sono grato per la fiducia che hai sempre avuto in me, ma in verità non mi sono mai sentito davvero portato per questo incarico. Non mi trovo a mio agio in un palazzo di pietra, circondato da responsabilità che sento come troppo grandi per me. Aiutarti ad amministrare lo Stato Libero era già un’impresa difficile, ma ora che i nostri compiti sono raddoppiati assieme al territorio che governi, non credo di avere più la forza per fare ciò che ti aspetti da me.»

«Si tratta solo di una situazione temporanea, padre. Non ho alcuna intenzione di reclamare questa terra.»

«Daemon, sii onesto. Ho vissuto abbastanza a lungo da capire quando gli eventi prendono una certa direzione. I progetti che hai avviato per Eirinn sono troppo grandi per essere semplicemente un modo per aiutare questo Paese a rialzarsi. Sono disposto a crederti quando dici che non avresti mai voluto arrivare a tanto, ma non mi credere un ingenuo. Avevo capito fin dal primo momento che la Rivoluzione non era destinata a fermarsi allo Stato Libero. Che sia tramite conquista o alleanze, è chiaro che punti a diffondere le tue idee ovunque ci saranno persone disposte ad ascoltarle. E forse è in questo che io posso esserti utile.»

«Che intendi dire?»

«Se me lo consenti, vorrei andare ad est. Torian, Patria e Volkova sono terre dove la schiavitù è diffusa, e dove molti nostri compagni ancora soffrono sotto il giogo degli umani. Se potessi far conoscere anche lì i nostri ideali, forse potremmo spingere quelle persone ad alzare la testa.»

«Sappiamo che ci sono state altre rivolte in giro per Erthea negli ultimi mesi sull’onda delle nostre vittorie, ma sono state tutte represse. Non bastano forconi, assalti ai granai e nobili impiccati fuori dai loro palazzi a migliorare le cose. Quella non è Rivoluzione, solo barbarie.»

«Per questo vorrei andare. Quella gente vede noi e cerca di prenderci ad esempio, ma come hai detto tu ignorano cosa sia veramente la Rivoluzione, e quali siano gli ideali che ci muovono. C’è bisogno che qualcuno mostri loro la strada giusta, perché è anche a causa di queste rivolte se le altre nazioni ci considerano una minaccia. Come hai detto tu, il cambiamento non si può fermare. E se questo cambiamento dovesse verificarsi in tutta Erthea nello stesso momento, anche i potenti sarebbero costretti ad ammettere che tornare al vecchio mondo è impossibile. Dovranno ascoltarci per forza.»

«Immagino tu sia consapevole del rischio a cui ti esponi. Fino a quando le altre nazioni non ci riconosceranno ufficialmente, chiunque di noi venga sorpreso là fuori nella migliore delle ipotesi sarà arrestato e schiavizzato, ma più probabilmente ucciso sul posto.»

«So badare a me stesso. Fidati, sarò al sicuro.»

Daemon restò a lungo in silenzio, come se stesse cercando di leggere negli occhi di suo padre. Quindi, prese una pergamena e vi appose il suo sigillo.

«Non abbiamo ancora valicato il fiume Seshir, ma sia nel Principato che nell’Unione abbiamo già stabilito dei rifugi per i nostri agenti e spie che operano in quei territori. Li troverai tutti in questa lista. Mostra questo documento ai capi delle gilde e ti offriranno tutto ciò di cui hai bisogno.»

«Non dovrebbe essere necessario, ma lo apprezzo.»

«Scalia lo sa?»

«Non ancora, e vorrei che non le dicessi niente fino a che non sarò partito. Non voglio costringerla a dover scegliere tra il restare con te e il venire con me.»

«Come preferisci. Ma non stupirti se al tuo ritorno non vorrà parlarti per un po’.»

Prima che Zorech lasciasse la stanza però Daemon fece qualcosa che negli anni non aveva fatto quasi mai, nemmeno con suo padre; lo abbracciò.

«So che probabilmente non è questo che immaginavi per il mio futuro, ma l’impegno che ho preso quel giorno di quasi un anno fa non è cambiato. Ti renderò fiero di me.»

Zorech esitò prima di contraccambiare, chiudendo le vecchie ali rinsecchite attorno al figlio come quando era piccolo.

«Abbi cura di te, ragazzo mio.»

 

Ogni volta che guardava alle proprie spalle, Aria non riusciva quasi a credere che tutto ciò stesse accadendo davvero.

Più di cinquantamila uomini che marciavano al suo seguito diretti a sud, dove ce n’erano altrettanti ad aspettare il loro arrivo.

Il più grande esercito mai messo assieme dalla fine della Guerra del Flor con Connelly.

E lei, generale Aria Montgomery, era il loro comandante.

Erano gli stessi uomini con i quali in dieci giorni aveva sbaragliato i Baroni, e che ora erano pronti a seguirla in un’altra impresa destinata a passare alla storia.

L’Imperatore Ademar in persona le aveva messo tra le mani il bastone del comando che ora conservava come una reliquia.

Il loro obiettivo, uno solo: schiacciare lo Stato Libero e la Rivoluzione con ogni mezzo necessario.

A questo scopo avevano marciato per più di cinquecento miglia da Maligrad fino al cuore dell’Impero.

Ormai nessuno si faceva più illusioni, non dopo la disfatta che aveva consegnato l’intera Eirinn nelle mani dei ribelli.

Quella non era più una banale rivolta, né una minaccia da prendere alla leggera: persino parlare di semplici ribelli ormai sembrava fuori luogo.

Daemon Haselworth era probabilmente la minaccia più grande che Erthea avesse mai visto per la sua stessa esistenza dai tempi del Signore Oscuro.

Muoveva gli eserciti con la stessa facilità con cui muoveva le coscienze, e conquistava intere nazioni contando tanto sulla forza delle armi quanto su quella delle idee.

Era successa la stessa cosa con la nascita dell’Unione, e già allora molte nazioni si erano coalizzate nel tentativo di impedire ad una nuova idea di germogliare nelle coscienze dei popoli.

Questo almeno fino a quando non ci si era resi conto che anche cambiando il nome ad uno stato o il modo in cui veniva governato, la sostanza più o meno restava la stessa: il potere vinceva sempre.

Ma stavolta era diverso; stavolta la minaccia era reale, proprio perché Daemon aveva dimostrato di avere non solo una nuova idea, ma anche la forza militare e carismatica per difenderla e diffonderla. E non si sarebbe fermato davanti a niente.

Occorreva dimostrare a tutti che le nazioni di Erthea erano ancora in grado di schiacciare chiunque provasse a mettere in discussione i principi su cui si fondava la loro esistenza.

Aria era consapevole dell’importanza della sua missione, e anche se cercava di mostrarsi forte quel peso era un fardello così gravoso da toglierle il respiro.

E la sua coscienza non era in condizioni migliori; lei che aveva dedicato tutti i suoi sforzi al sogno di portare qualcosa di nuovo e migliore nella società in cui viveva, stava andando a distruggere chi un nuovo mondo stava già provando a costruirlo.

In questi casi si aggrappava con tutte le sue forze alla convinzione che il cambiamento che lo Stato Libero voleva portare poteva anche essere giusto, ma era troppo radicale e distruttivo per arrivare così, dal giorno alla notte.

Il rischio era che i due mondi entrassero in collisione, proprio come stava accadendo, in una spirale di violenza che avrebbe distrutto ogni cosa.

«Generale, guardate.» disse Oreste che cavalcava al suo fianco. «Ecco Rhodes

Rhodes, detta anche la Seconda Capitale, il luogo da cui Saedonia amministrava i suoi territori meridionali.

Mentre le truppe allestivano l’accampamento fuori dalla città, Aria volle andare subito ad incontrare il Governatore Valerio Catone e il Generale Batiato, comandante dell’Esercito Meridionale, del quale avrebbe preso il posto.

«Benvenuta nel sud, Generale.» disse Nestore accogliendo lei e Oreste nel proprio palazzo assieme a Batiato. «Spero abbiate fatto un buon viaggio. Attraversare l’Impero in pieno inverno con cinque legioni non è cosa da poco.»

«Era necessario. Per ogni giorno che passa il nemico diventa più forte, e non potevamo permetterci di aspettare la primavera.»

«Purtroppo temo non abbiate altra scelta.» disse Batiato. «Anche quest’anno l’inverno ha colpito duro sul Khoral, e il passo è bloccato dalla neve. A meno che non vogliate fare il giro largo passando da Eirinn.»

«Muovere guerra adesso sarebbe folle. La stagione non lo consente, e anche se hanno ormai recuperato dalle fatiche dell’est i miei uomini sono ancora molto stanchi, specie dopo questa lunga marcia. La cosa importante era arrivare qui nel più breve impossibile.»

Prima che Aria potesse parlare ancora però il Governatore le fece un cenno, quindi i servi provvidero a chiudere tutte le porte e le finestre isolando di fatto la stanza dal resto del mondo.

«Vi chiedo scusa, ma occorre essere prudenti. Sappiamo che la città pullula di spie ribelli. Appena ci hanno informati che eravate partita, abbiamo fatto di tutto per tenere nascosto il vostro arrivo.»

«Una scelta saggia.»

«Grazie.» disse Batiato «Anche se a questo punto è solo una questione di tempo prima che il nemico ne venga informato. Meglio non dargli più vantaggi di quanti già non ne abbiano. Stavate dicendo?»

«Lanceremo la nostra offensiva ai primi calori della primavera. Le correnti marine sono già cambiate, quindi è probabile che l’inverno finirà prima del solito.»

«E come intendete procedere?»

«Ho già un piano in testa, ma per ora preferisco non parlarne. Prima voglio incontrare i comandanti locali e sincerarmi dello stato delle legioni.»

«Non vi mentirò, Generale Montgomery. Sono più che felice di lasciarvi il comando. Conoscevo personalmente il Generale Ron; forse non era una cima nella tattica, ma sapeva come ispirare gli uomini e conseguire vittorie, e quel ragazzo lo ha annientato. La sola idea di trovarmelo di fronte bastava a togliermi il sonno.»

«Per non parlare del Generale Lefde.» disse Nestore «Ho conosciuto pochi comandanti altrettanto abili, eppure ad Haselworth sono bastate due battaglie per spazzare via l’esercito di Eirinn.»

«Sono perfettamente consapevole della forza del nostro avversario. Che ci crediate o no l’ho già incontrato, anche se è successo parecchio tempo fa. E già allora avevo capito che Daemon Haselworth non è come gli altri. La sua mente è un mistero insondabile, un pozzo da cui scaturiscono pensieri che non sembrano appartenere a questo mondo. Se vorremo batterlo, ogni uomo e ogni donna di questo esercito dovrà dare il meglio di sé.»

«Sembrate molto sicura di voi.» disse ancora Batiato. «Ma per quanto vi rispetti, vi invito alla cautela. Qui non siamo all’est, e le ultime vittorie hanno galvanizzato i ribelli come non mai. Per di più sembra che la popolazione non gli sia ostile, anche se abbiamo ricevuto rapporti circa un gruppo di guerriglieri che starebbero compiendo azioni di sabotaggio. Forse potremmo provare a contattarli.»

«Questa è una battaglia dell’Impero contro chi ha usurpato impunemente le sue terre. È vitale che tutti vedano che stiamo combattendo una battaglia di civiltà per riaffermare il dominio di Sua Maestà sull’occidente e della famiglia Montgomery sull’oriente. Quindi specialmente all’est non ci saranno atti ostili verso la popolazione, niente saccheggi, e soprattutto non ci accompagneremo in alcun modo a forze non appartenenti al nostro esercito.»

I due anziani ufficiali si guardarono un attimo tra di loro, ma ad entrambi bastò un’occhiata al bastone che Aria portava alla cintura per capire che era meglio non controbattere.

 

Anche se da subito dopo la conquista di Eirinn Daemon aveva dato avvio ad una massiccia opera di miglioramento delle infrastrutture stradali del Granducato, muovere grossi carichi dal Castello a Faria in pieno inverno era tutto fuorché semplice.

Inoltre nonostante i controlli ferrei che assicuravano l’ordine nei principali centri abitati e nelle zone attigue, la situazione nelle campagne e nei boschi non era per niente tranquilla, con bande di predoni che assalivano i viaggiatori.

Con la Festa delle Stelle ormai prossima il traffico lungo la Via Fariana era più intenso del solito, soprattutto quello delle merci destinate a foraggiare le celebrazioni, e i banditi lo sapevano.

Ma c’era qualcuno a cui non importava nulla di rubare, o che almeno non ne faceva la motivazione principale delle proprie azioni.

Si firmavano come i Guerrieri di Eirinn, benché il gruppo ormai fosse stato smantellato già da alcuni anni; attaccavano principalmente le carovane dei rifornimenti, ma non disdegnavano di tendere agguati anche alle pattuglie che proteggevano le strade. In un’occasione erano stati così audaci da tentare persino l’assalto ad un fortino della Grande Armata.

Quel giorno la loro furia si abbatté contro tre carri di vettovaglie diretti a Faria. Il convoglio era ben protetto, ma il loro assalto fu così violento che seppure al prezzo di alcuni compagni morti riuscirono ad avere ragione delle guardie; neppure i civili furono risparmiati.

Un simile bottino avrebbe fatto gola a chiunque, ma loro si limitarono a prendere solo qualche sacco di farina, per poi appiccare il fuoco a tutto il resto. E come al solito, prima di andarsene, lasciarono su una roccia vicina il solito messaggio inequivocabile vergato con il sangue.

Lunga vita ad Eirinn! Morte all’usurpatore!

 

«È successo di nuovo.» disse Adrian prima ancora di chiudere la porta dell’ufficio.

«Ancora i Guerrieri di Eirinn?»

«Hanno attaccato un convoglio vicino a Mablith. Sedici morti. Anche stavolta hanno ucciso tutti.»

«Sono degli idioti se pensano che questo li aiuterà. Come pensano di guadagnare consensi prendendosela anche con chi non c’entra niente?»

«Non sta a me dirti come portare avanti tutto questo, ma se vuoi sapere come la penso trovo che tu stia facendo un errore. Le persone che in questo Paese non ti stimano sono poche, ma sono molto rumorose. E la benevolenza che dimostri nei loro confronti non ci aiuta. Dovresti dare qualche esempio.»

«Se c’è una cosa che ho imparato nella vita è che reprimere il dissenso con la violenza è il modo più facile e sicuro per alimentarlo. Credevo che almeno questo l’avessi imparato vivendo per anni insieme a tuo padre.»

Adrian accusò il colpo e si morse la lingua.

«Non è con le fucilazioni o le impiccagioni che si conquista l’animo di un popolo. Queste sono solo soluzioni a breve termine che a lungo andare sortiscono l’effetto contrario. Migliorare la qualità della vita, implementare i servizi. Questo migliora le cose.»

«Suppongo quindi che anche la Festa delle Stelle di domani rientri in questo tuo progetto di pubbliche relazioni.»

«Più o meno. In realtà credo sinceramente che dopo un anno meritiamo tutti un momento di riposo. Questa celebrazione era l’occasione perfetta, non sei d’accordo? Se poi posso sfruttarla per far capire a questa gente il nostro punto di vista su determinate cose, ben venga.»

Daemon cercava di nasconderlo, ma si vedeva che ormai sembrava non farcela più a tenere quel ritmo.

«Visto che ne stiamo parlando, che ne dici se per oggi ti concedi un po’ di riposo? Domani avrai comunque parecchi impegni, ma tutta la città in pratica è già in festa. Potresti approfittarne.»

«Proprio perché le celebrazioni sono già iniziate non ho tempo di festeggiare. Devo assicurarmi che tutto sia in ordine.»

«Sciocchezze. Vedrai che non ci saranno problemi. Sappiamo tutti e due che a primavera dovremo vedercela con l’Impero. Se non ne approfitti adesso per distrarti almeno un po’ non ne avrai più l’occasione. Quindi ora dacci un taglio con questo atteggiamento e vai fuori a rilassati una volta tanto.»

«Ce l’ho già una madre. Molto rumorosa, per di più.»

«Se la cerchi, dovrebbe essere lì fuori da qualche parte. Lei e tutti gli altri sono arrivati dal Castello proprio stamattina. Quindi scegli, puoi andare là fuori, o puoi aspettare che venga qui lei a ripeterti questo discorsetto. E sono abbastanza sicuro che a lei non riusciresti a dire di no.»

Quando pensava a Lori, Daemon non riusciva a capire se l’idea di rivederla dopo tanti mesi di lontananza gli facesse piacere o lo facesse tremare di paura.

Ma su una cosa Adrian aveva ragione: a lei non sarebbe mai riuscito a dire di no.

«D’accordo, hai vinto. Sbrigo queste ultime pratiche, e poi vado a fare un giro. Sarà anche un modo per vedere come la gente di Faria si sta preparando per questa festa.»

«Così mi piaci. Allora, buona giornata. E mi raccomando, divertiti.»

Lasciando l’ufficio Adrian incrociò casualmente un furiere che sembrava piuttosto ansioso di riferire qualcosa a Daemon. Pensando che si trattasse dell’ennesimo problema da poco, e non volendo dare al suo compagno una scusa per rimandare la sua uscita, Adrian chiese di riferire a lui, ma ciò che il messo aveva da dire si rivelò tutt’altro che una sciocchezza.

«Mi stai dicendo che tre barili di polvere da sparo sono spariti dal magazzino?»

«Sì, Generale. Purtroppo ci siamo accorti della sparizione solo stamattina facendo l’inventario.»

«Quel posto è sorvegliato giorno e notte, mi spieghi come hanno fatto a portare via tutta quella polvere proprio sotto il vostro naso?»

«Davvero non lo so, signore. Abbiamo controllato l’edificio palmo a palmo senza trovare nulla. Non c’erano nemmeno segni di forzatura.»

«Sei sicuro che non ci sia stato un errore nel conteggio?»

«Purtroppo no, signore. Cento cinquantuno barili di polvere suddivisi in dodici depositi. Il numero è rimasto invariato per settimane. Stamattina invece ne risultavano cento quarantotto, e nessuno ha firmato bolle di carico o autorizzato prelievi.»

A quel punto poteva trattarsi solo di un furto, e il solo pensiero che ci fosse qualcuno là fuori con dieci chili di polvere da sparo in un momento simile era abbastanza per far cadere i capelli.

«Dobbiamo assolutamente riferirlo a Messer Daemon.»

«Messer Daemon non ha bisogno di altre grane. Me ne occuperò io. D’ora in poi qualsiasi informazione su questo caso dovrà essere riferita unicamente a me, sono stato chiaro?»

«Ma… ma io…»

«Sono stato chiaro?»

«… sì, Generale…»

«In quale deposito c’è stato il furto?»

«Alla porta meridionale.»

«Convoca tutti i capisquadra e le guardie. Voglio una lista di ogni singolo dipendente che abbia avuto accesso al deposito nelle ultime settimane. E voglio che interroghiate tutti, dal primo degli ufficiali all’ultimo dei bifolchi. E fai venire Raven nel mio ufficio. Dannazione, ci mancava solo questa.»

 

   
 
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