Capitolo 165 - Un esercito confuso conduce all'altrui vittoria -
Trento, 1° settembre
Il quartier generale austriaco era stato in movimento quei giorni, le ultime sconfitte subìte avevano generato sconforto tra le truppe, non si aspettavano di certo tanta resistenza da parte di quell'esercito di straccioni, guidati da un giovane generale che si stava rivelando veramente ostico da battere e mettere all'angolo. Tuttavia Wurmser, dall'alto della sua esperienza, sapeva che la forza di un esercito non poteva essere infinita, specialmente se privo di rinforzi adeguati, incapaci, quindi, di opporre loro un'efficace offensiva. Ne aveva avuto la conferma da parte del suo entourage, che aveva potuto vedere più da vicino le reali condizioni dell'esercito rivoluzionario francese.
- Ora più che mai dobbiamo approfittarne - aveva ribadito l'anziano feldmaresciallo: doveva ritornare a Mantova il prima possibile e doveva giocare d'astuzia, cercare di anticipare le mosse di Bonaparte, seppur non fosse affatto semplice. Ma da Vienna cominciavano a fare pressione, anche perché sembrava che la situazione fosse a favore dei francesi: le armate sul Reno erano uscite vittoriose dagli ultimi scontri e avrebbero potuto marciare verso la capitale - Probabilmente tale ordine è stato dato anche al generale Bonaparte - aveva riflettuto a lungo - Per questo è molto probabile che marcerà a nord, verso la nostra direzione, con l'intenzione di sconfiggere sia me, sia di ricongiungersi con l'armata principale
Seppur fosse una sua previsione, doveva rallentare i francesi ad ogni costo: per questo aveva dato direttiva al generale barone Davidovich di tenersi pronto ad ogni evenienza, come gli era stato ordinato da Vienna - Se riesco ad attuare il piano, molto presto sarò a Mantova - era allarmato dallo stato dei soldati appostati lì: l'estate era il periodo della malaria e delle zanzare, fra le paludi. Era anche quel motivo che lo spingeva a voler raggiungere la fortezza mantovana, non potevano resistere ancora per molto, era calato in Italia partendo proprio dalle zone in cui si era fermato nuovamente e voleva eseguire il suo compito il prima possibile. Non voleva deludere sua maestà e l'impero, ne andava del suo onore! Fece un profondo respiro e rientrò per diramare l'ordine, seppur cominciasse a sentirsi stanco: stava diventando troppo anziano per la guerra.
Verona, 2 settembre
Napoleone Bonaparte aveva ristabilito l'ordine nella città veneta, durante quelle settimane di agosto. Ultimamente la città veneta aveva opposto resistenza, seppur debole, ma comunque tenace: il corso aveva comunque minacciato il saccheggio indiscriminato, se non avesse ottenuto gli approvvigionamenti necessari all'armata. Calmate le acque, si stabilì assieme al suo quartier generale, ancora una volta grato alle spie assoldate e ad alcuni patrioti italiani che avevano deciso di aderire alla Rivoluzione e che erano in grado di tenerlo aggiornato quasi quotidianamente riguardo il nemico.
Venne così a sapere che Wurmser, o meglio il governo imperiale attraverso di lui, gli aveva dato delle direttive e stava facendo raggruppare circa 10.000 uomini tra Bassano del Grappa e Vicenza, alla cui testa vi era l'ungherese Johann Meszaros von Szoboszlò a cui si sarebbero aggiunti altri 10.000, unendo, quindi, le guarnigioni di Quasdanovich e Sebottendorf, dopo aver attraversato, insieme a loro, la valle del Brenta, tramite un aggiramento da est, superando il fiume Adige. Davidovich, invece, avrebbe mantenuto la difesa, sperando di attirare Bonaparte tra due armate - Volevate farmela eh? - aveva proferito il giovane, non appena venne a sapere del piano, puntando lo sguardo sulle cartine - Anche se la destinazione sembra essere sconosciuta, intuendo i suoi scopi, probabilmente vorrà raggiungere Mantova - gli occhi brillavano al pari di lame affilate - Non mi sfuggirete Wurmser, finché non avrò ottenuto ciò che voglio, ossia la vittoria, rimarrete la mia preda!
Un sorrisetto si formò su quelle labbra sottili, Wurmser aveva sperato di superarlo in velocità, ebbene, Bonaparte pensò che dovesse sorprenderlo ancora una volta: aveva già preparato gli uomini alle loro posizioni, nei giorni precedenti, per cui sapeva perfettamente come doveva muoversi. E stava aspettando l'arrivo dei divisionali per riunirsi al consiglio di guerra. Uno dopo l'altro arrivarono, impolverati, stanchi, ma ancora desiderosi di combattere; avevano avuto del tempo per riprendersi dagli ultimi scontri, almeno coloro i quali non avevano dovuto scontrarsi con le milizie tirolesi, questi pur facendo parte dell'esercito nemico, agivano in maniera più autonoma e si erano dimostrate davvero resistenti, mettendo in seria difficoltà uno dei suoi generali.
- Eccovi qui cittadini - emise dopo averli visti accomodare nella sala riunioni e si era seduto a sua volta, si era riposato meno di tutti gli altri, eppure era ancora lucido e determinato - Come potete immaginare, se vi ho convocato qui, con una tale urgenza è perché ci sono novità - precisò il giovane, osservandoli attentamente. I generali potevano intuire che le novità riguardassero il comandante nemico, ciò non li rincuorava affatto, nessuno, però si lamentò o disse qualcosa, attendevano che Napoleone esponesse il suo piano - Il nostro caro Wurmser ha commesso un errore che può darci vantaggio: ha diviso ancora una volta l'esercito in due, una di attacco nella zona di Vicenza, una di difesa in Trentino - tale notizia non rincuorò molto i suoi sottoposti, compreso Berthier. Bonaparte non li rimproverò, anzi proseguì nella spiegazione - L'attacco sarà con ogni probabilità lento e macchinoso, nonostante egli sia convinto di spostarsi con rapidità, ebbene, noi gli faremo conoscere il vero significato di velocità! - aveva sollevato il pugno determinato.
I generali si guardarono tra di loro e deglutirono, leggermente spaventati, Bonaparte li avrebbe fatti sudare ancora una volta con marce interminabili e sfiancanti, soprattutto tra quelle zone montuose; si consolavano con il fatto che anche il comandante avrebbe condiviso le loro stesse fatiche. Lo videro scattare sulla cartina, come sempre, piena di segni e puntine: Vaubois avrebbe continuato a muoversi sulla zona occidentale del lago di Garda, le due divisioni di Augereau e di Masséna avrebbero proseguito anche loro sulla riva orientale - E nella stretta di Marco, poco distante da Rovereto, voi due vi congiungerete - sollevò lo sguardo per scrutarli, i due annuirono - Gli austriaci appostati lì non si aspetteranno un attacco improvviso e veloce - continuava Bonaparte, entusiasta - Approfittando della confusione nemica, lo si travolgerà a Trento, dopodiché superata la Valsugana e il Brenta, con effetto sorpresa, piombare a Bassano, proprio alle spalle dello schieramento austriaco posizionato lì - nel mentre parlava le dita sottili erano scivolate lungo il percorso.
- E quando inizierà questa avanzata cittadino comandante? - domandò Augereau, cercando di non mostrare il disagio che lo pervadeva: era anche peggio di quello che aveva immaginato. Sapeva, tuttavia, che non poteva e né voleva tirarsi indietro, in primo luogo perché godeva della stima incondizionata di Bonaparte.
- Questo stesso giorno, cittadino Augereau - rispose rapidamente Bonaparte, si rimise ritto, con le braccia conserte - E so cosa state pensando, ma il Direttorio mi ha inviato degli ordini, ossia di attaccare Innsbruck, assieme alle armate di Moreau, per arrivare alle porte di Vienna, minacciare l'imperatore Francesco e costringerlo alla pace - emise sospirando. Sulla carta un simile attacco poteva funzionare, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, specie con la pessima organizzazione dell'esercito francese, come aveva puntualizzato nelle sue lettere al Direttorio stesso; inoltre non sarebbe riuscito a collaborare alla perfezione con un altro comandante. Tuttavia in questo momento doveva attenersi alle regole e attendere l'evolversi della situazione - Anche se sono scettico, non possiamo restare con le mani in mano, cittadini e quindi ci muoveremo lo stesso - spostò le braccia lungo la schiena.
- Non voglio mettere in dubbio il piano, comandante, sul quale avete sicuramente meditato e studiato per molti giorni - riprese nuovamente a parlare Augereau, notò lo sconcerto nei volti dei suoi colleghi, come avrebbero potuto marciare in quelle condizioni? - Ma tra Trento e Bassano c'è una distanza di oltre 20 miglia e le strade sono strette e disagevoli, come la spostiamo l'artiglieria in quelle strettoie? - era una domanda legittima, che anche gli altri divisionali ribadivano, tra questi, perfino il Capo di Stato Maggiore Berthier, il quale, alla questione del collega, aggiunse - Se mi permettete, cittadino comandante, vorrei precisare che non possiamo usufruire dei più basilari servizi logistici, con un'azione di questo genere, ad una simile velocità - avrebbe potuto sorvolare, ma proprio perché si sentiva sempre più profondamente legato a quello strano generale di nome Bonaparte, aveva voluto farglielo presente.
- Pensate che non abbia calcolato le difficoltà di una simile impresa? - domandò retorico e calmo, rivolgendo i grandi occhi grigi in particolare al generale Berthier, questi si rimise seduto, senza dire più nulla - Certo, sono consapevole anche dei sacrifici che ci saranno, ma quella strada che tanto vi impensierisce, in questo preciso istante, è attraversato dalle truppe austriache o mi sbaglio? - sollevò leggermente le sopracciglia sottili, volendo ribadire qualcosa talmente ovvia da risultare banale quasi - Pure loro sono dirette a Bassano, alla fine e mi risulta che dispongano di artiglieria, esattamente come noi - Napoleone volle concludere citando uno degli uomini di guerra che più ammirava, stimava e studiava: Federico II il Grande, ex re di Prussia - A mezzo di marce forzate vi porterete il nemico alle spalle e taglierete sulle vie di comunicazione. Le migliori battaglie sono quelle in cui costringiamo un nemico riluttante ad accettarle - il suo tono di voce era sicuro e solenne, nessuno osava più contraddirlo, appena usciti fuori dal Quartier Generale si misero in viaggio per raggiungere le loro postazioni.
Ala, 3 settembre
Ma Bonaparte non era di certo rimasto fermo, deciso più che mai, si era preparato anch'egli e li aveva seguiti, scortato dai suoi aiutanti di campo e dalla guardia personale, guidata dal composto Bessières. In un momento di pausa tra uno spostamento all'altro, nel pieno dell'azione militare, che stava procedendo come sperato, il giovane corso era riuscito a trovare del tempo per scrivere alla sua amata 'Siamo in piena campagna, mia adorabile amica; abbiamo battuti i posti nemici, gli abbiamo presi otto o dieci cavalli con pari numeri di cavalieri. La truppa è allegra e ben disposta. Spero che faremo buoni affari, e che entreremo il 19 (5 settembre) a Trento'. E ciò confermava il grande valore del morale dei soldati, sul quale Napoleone contava moltissimo, soprattutto in situazioni difficili: la sua sola presenza era capace di ritemprare anche il più indolente, l'accoglienza che riceveva dai suoi uomini era la più sincera di qualsiasi altra.
'Nessuna lettera da te; questo veramente m'inquieta; ciò nullameno mi si assicura che stai bene, e anche sei stata a passeggiare al lago di Como'. E anche quando gli giungevano delle lettere da parte sua, continuava a trovarle fredde, prive persino del semplice affetto che uniscono due persone ormai intime. Inoltre era riuscito ad avere informazioni circa i suoi spostamenti, seppur con molta fatica, dovendo pensare principalmente alla guerra in corso. 'Aspetto ogni giorno con impazienza il corriere che mi porti tue nuove; tu sai quanto mi sono care. Io non vado più lungi da te, la felicità della vita è presso alla mia dolce Joséphine'. Tuttavia riusciva sempre a pensare alla sua adorata moglie, la quale, invece, continuava a mostrargli indifferenza o quanto meno sufficienza.
'Pensa a me. Scrivimi spesso spessissimo, che è il solo rimedio alla lontananza; essa è crudele, ma spero sarà momentanea'. Mai come in quei mesi la solitudine sembrava così pesante nel suo cuore, quando si amava non si sopportava più avere quel vuoto, si sentiva l'esigenza di doverlo riempire con il sentimento, con le fiamme. Però vi era soltanto il fuoco dei bivacchi a scaldarlo e quello delle armi a ricordargli di essere ancora vivo. Terminò la breve lettera con la sua consueta firma Bonaparte, la piegò e la consegnò al corriere. Si era lasciato andare, ora doveva far coincidere nuovamente il cuore con il cervello: si unì alle armate di Masséna che erano giunte da poco nella cittadina.
Rovereto, 4 settembre
- È così il generale Jourdan è stato sconfitto dell'arciduca Carlo d'Asburgo-Teschen, a Würzburg - Napoleone ripeté ciò che aveva appena saputo. In altre circostanze sarebbe stato contento, perché ciò gli permetteva di potersi concentrare esclusivamente sulla sua azione contro il corpo di Davidovich, tuttavia temeva che il fratello dell'imperatore potesse scendere in Italia e dare man forte a Wurmser. A quel punto sarebbe stato un problema per Bonaparte sconfiggere l'esercito nemico, con le sue sole e misere forze - Dobbiamo continuare ad agire rapidamente - ribadì il comandante, mostrando fiducia ed impazienza. Non tutto era ancora perduto: il piano doveva riuscire, a qualsiasi costo. Tale decisione lo portò ad abbandonare definitivamente ogni possibilità di unirsi al generale Moreau, che si trovava a Monaco di Baviera, per una breve incursione, e di raggiungere Innsbruck.
- Comandante, in lontananza ci sono le difese austriache di Marco, come avevate previsto - indicò con il grosso dito il generale nizzardo. Bonaparte prese il cannocchiale, lo posizionò sull'occhio sinistro e controllò rapidamente la situazione, l'impazienza cresceva nel suo animo - Il generale Victor è stato davvero bravo, come sempre del resto, nel liberare la strada, la puzza di austriaci si è allontanata con la stessa rapidità con cui si defila il loro coraggio e buon senso - aggiunse brutale e sarcastico Masséna.
- Lo conosco dai tempi di Tolone, cittadino, ancora prima di voi - rispose Napoleone giochellerando con il cannocchiale - Il nostro Beau soleil non mi ha deluso fino ad ora e continuerà a non farlo, mi fido delle sue abilità - così era stato soprannominato dai soldati il generale Claude Victor Perrin, per via del suo carattere schietto, franco, gioviale e vivace ed era entrato anche nelle simpatie di Bonaparte - Ebbene ora muovetevi e non siate voi la mia delusione - gli disse, pur sapendo che non sarebbe stato affatto così. Il nizzardo, punto nel suo orgoglio di militare e uomo d'armi, accettò la sfida lanciatagli da Bonaparte: gliela avrebbe fatta vedere anche questa volta chi era il generale André Masséna!
Napoleone lo vide sfrecciare, ridacchiando leggermente divertito, lo aveva provocato pure troppo, ma al corso piaceva anche per questo. Nel descriverlo al Direttorio, poco dopo la battaglia di Castiglione, non fu affatto avaro di complimenti nei suoi riguardi: 'Un comandante attivo e instancabile; è audace, sa sfruttare bene il terreno e ha la prontezza della decisione'. Da tali parole traspariva il grande stupore che Bonaparte provava nei suoi confronti, anche perché a differenza di molti altri generali e ufficiali, Masséna non aveva alcuna istruzione di base, aveva imparato tutto da solo, prima sulle navi, poi nell'esercito, come volontario a 17 anni. "Ma il fatto di avere buone capacità intuitive o un forte carattere non possono sostituire la sua incapacità di analisi". Ed era questa l'abissale differenza tra i due generali e che aveva portato ad essere prima colleghi di pari rango, quando Napoleone era artigliere, e successivamente l'uno a subordinare l'altro.
Naturalmente la stima che provava nei confronti del rude nizzardo non era tale da offuscarne i difetti enormi: l'avidità smodata, il suo amore viscerale per il denaro, in questo era simile ad Augereau, e soprattutto per le donne. Napoleone era consapevole che nemmeno i divieti valevano per un individuo del genere, aveva tentato, verso maggio, di vietare a qualsiasi ufficiale di qualsiasi rango di avere donne con sé. Masséna non nascose neppure la volontà di violare spudoratamente tale ordine, Bonaparte non ci aveva dato peso, sarebbe stato solo uno spreco di tempo e non poteva privarsi di un talento di quel calibro. Nelle ultime battaglie aveva dato tutto se stesso ed era convinto che avrebbe perseverato ancora e ancora, affamato di successi e di guadagni.
Marco
Il generale Victor guidava nuovamente l'attacco principale, respingendo il centro nemico, la fanteria leggera francese, alla cui testa vi era il generale Jean Joseph Magdeleine Pijon, specializzata negli attacchi dispersi, al pari di uno sciame, sparava lungo i fianchi per poter aggirare gli austriaci e farli arretrare. A quel punto Bonaparte mandò alla carica gli ussari, guidati dall'intrepido Paul Alexis Dubois, con il preciso scopo di confondere e sbandare ulteriormente gli asburgici: doveva distruggere ogni loro sicurezza e desiderio di rivincita. L'ussaro eseguì il tutto con un ardore impressionante, esponendosi al pericolo assieme ai suoi soldati, ecco che, però, nel momento più alto, quando il nemico era nel panico, incapace di respingerli, tre palle di moschetto trafissero proprio il corpo di Dubois.
I soldati più vicini, accortisi dell'accaduto, riuscirono a gettarlo fuori dalla mischia, portandolo sulle braccia. Il suo respiro pareva già essere diventato rantolo, ostacolato dal sangue che gli usciva dalla bocca, probabilmente era stato colpito in un punto vitale - Forse non c'è più niente da fare per lui - diceva uno dei soldati con profonda tristezza, nel mentre lo faceva sdraiare sulla nuda terra, era un peccato ogni volta veder spezzare una vita in quel modo terribile - B...Bona...parte - udirono flebile dalle labbra di Dubois, non aveva la forza per sollevare nemmeno il braccio e indicarlo - Oramai questo qui sta delirando! - stava ridendo amaramente uno di quei militari baffuti, nel girare la testa, si accorse di un uomo a cavallo, poco distante da loro che li stava fissando.
Ci misero un paio di secondi nel riconoscerlo e non appena compresero chi fosse, cadde il silenzio e si misero in posizione: era il comandante in persona. Era in perlustrazione, quando aveva scorto dei movimenti attorno alla zona e si era avvicinato per controllare - Ritornate a compiere il vostro dovere, cittadini, la Rivoluzione ha ancora bisogno di voi - disse loro Bonaparte, nella sua voce c'era un tono di riconoscenza, che quegli uomini avevano colto e immediatamente obbedirono. A quel punto Napoleone si mise ad osservare silente quel pover'uomo che, nonostante fosse morente, riuscì a convogliare le sue ultime energie per sollevarsi e proferire - Prima che io muoia, ditemi o generale, se noi siamo vincitori! - Ma ad un passo dall'ottenere la risposta, cadde a terra, privo di vita. Il comandante non potè far altro che poggiare il cappello sul petto, ringraziarlo per quanto aveva fatto, e augurargli il riposo eterno. Aveva 42 anni e aveva chiesto espressamente di unirsi all'Armata d'Italia per sostituire il deceduto Laharpe, incorrendo nello stesso infausto destino.
E l'esito stava volgendo a loro vantaggio. Il generale Vaubois era arrivato a dare man forte: la strada era aperta, gli austriaci e Davidovich venivano respinti verso Calliano - Alla fine quella che sembrava una posizione inespugnabile da usare a loro vantaggio, con montagne a strapiombo, innumerevoli strettoie, a cui si aggiungono un castello e delle mura, è diventata la loro trappola - constatò Bonaparte. Erano ad un passo dal quartiere generale di Davidovich e dalla vittoria, vennero costituite subito delle colonne che avrebbero risalito sulla destra i monti; sulla sinistra c'era da sistemare il forte della Pietra, non si persero d'animo e con ben otto cannoni riuscirono ad ottenere la resa del piccolo presidio.
- Onoriamo la memoria del generale Dubois, cittadini e completiamo la sua opera - aveva urlato il generale Bessières - Dimostriamo al comandante che le sue guardie personali sono all'altezza di tale compito - sguainò la spada aggraziato ed elegamente la sollevò in aria, accompagnato dalle grida degli ussari sotto il suo comando. Si lanciarono sul campo di battaglia impetuosi al pari di un'onda o addirittura di un terremoto, accompagnati dal resto della cavalleria rivoluzionaria, portando a termine la carica dell'ufficiale caduto. In poche ore quella resistenza austriaca fu vinta.
Calliano
- È un vero peccato dover disturbare qualcuno che mangia - emise Masséna, fingendosi dispiaciuto nel vedere il presidio appostato nel quartiere generale nemico, intento a consumare un frugale pasto e doverlo interrompere in modo tanto brusco - Ma in fondo non siamo gentiluomini durante un ballo di gala, e dopo ore di marce e combattimento anche noi abbiamo fame, meritiamo il nostro bottino - sogghignò perfidamente. Feroci come soltanto dei predatori affamati sapevano essere, assalirono quella guarnigione, colta del tutto di sorpresa e impossibilitata a reagire efficacemente. Gli austriaci poterono soltanto ripiegare, unendosi alla marea di altri connazionali che stavano compiendo lo stesso tragitto, ostruendolo.
Un'altra straordinaria vittoria si aggiunse alla lista da immortalare negli annali e nei manuali di storia: i caduti francesi furono soltanto 750, le perdite austriache 3000, di cui la maggior parte fatta prigioniera, oltre a 25 pistole e 7 stendardi. Il nemico era sempre più demoralizzato, Davidovich aveva fallito, non era riuscito a fermare l'avanzata di quel giovane generale di origine corsa che pareva inarrestabile. Si chiedeva quale fosse il suo segreto, come riusciva ad ottenere simili risultati con un'armata del genere. Wurmser correva un grosso pericolo, nonostante ciò il barone sperava che almeno lui riuscisse nel suo intento e giungesse a Mantova il prima possibile.
Trento, 5 settembre
Quando il comandante Bonaparte entrò nella città non trovò alcuna traccia nemica, vi era soltanto la popolazione locale che li osservava passare con evidente ostilità, molti di questi prestavano servizio come Tiroler Schützen, tiratori scelti tirolesi, che gli avevano opposto resistenza notevole. Le ragioni di tanta avversione stava nel fatto che agli occhi dei francesi non erano visti come una milizia militare locale, quanto alla stregua di ribelli. Di conseguenza venivano trattati barbaramente, molti vennero addirittura impiccati, come monito alla popolazione e avrebbero continuato a farlo, se necessario.
"In guerra non si deve esitare un istante con tali soggetti" rimuginava Napoleone durante il tragitto, scortato dal neo promosso comandante di squadrone Bessières e dal resto della guardia in direzione della sede dell'Arcivescovado, là avrebbe impiantato il quartier generale e pensato a come raggiungere Wurmser quello stesso giorno, era il suo ultimo ostacolo al raggiungimento della vittoria definitiva, totale e di conseguenza alla conclusione trionfale dell'intera campagna militare.