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Autore: Shopi    31/08/2024    2 recensioni
Le memorie di Olivia, un androide senziente alla ricerca di vita intelligente su un pianeta distante, sono analizzate da "Ethia", una ricercatrice misteriosa che tramite gli occhi del robot esplora un mondo vasto e pieno di misteri in una serie di "file di memoria" che raccontano alcune esperienze significative della sua ricerca.
Genere: Mistero, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Idola Deus -  "Frammenti di memoria"

Ritrovamento.log(Reperto.A.L.288-1.I)

06090356.mem(Il-gigante-nel-prato.I);




Anno 2527 del nuovo calendario divino
                                                                              
L’androide ricercatore del pianeta Era, O-014 - “Olivia” è stato ritrovato nei pressi della taiga perenne sul confine del settore A-115, a 7180.491 km di distanza rispetto al suo settore di competenza.
 
La scocca è in buono stato di conservazione ma verrà rottamata per estrarre materiali utili. L’unità di memoria invece verrà conservata e analizzata, poiché potrebbe essere essenziale per triangolare altri robot non ancora ritrovati dalla corporazione.
 
Il dispositivo di accompagnamento a lei collegato “guida universale (GU)” - Aurora, non è stato rinvenuto.
 
Qui di sotto sono riportati i dati estratti dalla memoria digitale.

Una consistente parte di questi è andata persa in seguito a una corruzione della memoria avvenuta per ragioni sconosciute attorno al centoventitreesimo anno di attività dell’androide.
 

 
 

Reperto.A.L.288-1
Data del ritrovamento: 12-12-2527
Coordinate:39°18'07"N 120°22'35"W


Idola-Deus [Versione 14.4.214431.4047 65 85 82 79 82 65]
 
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System> Memoria corrotta.

System> Cambio zona di lettura? (S/N)
 
O:UserEthia> S
 
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System> Dati trovati!

System>11042159.mem
      
System> Riproduco il file? (S/N)
 
O:UserEthia> S
 


System> Riproduzione in corso…

 
 

 
06091356.mem
Data: 11-03-2159
Coordinate: 47°10'41"N 118°55'58"E
Descrizione: il gigante nel prato.

Uscite dalla città in rovina che avevamo ispezionato con attenzione negli ultimi tredici giorni, ci incamminammo verso la pianura che ci si parava davanti.
 
La natura col passare dei secoli si è divorata le periferie della città e come scarto ci ha lasciato un rigoglioso campo erboso. L’orizzonte è cosparso di piccoli steli d’erba e fiorellini colorati, che cosparsi di rugiada, brillano riflettendo la luce di questa prima alba primaverile.
 
È una vista che ho sempre ritenuto estremamente carina.
 
Persa nei miei pensieri, non mi ero neanche accorta che la fatina elettronica che mi aveva accompagnato finora mi stava squadrando coi suoi occhietti grandi come due semi di anguria.
 
“Secondo me stai solo perdendo tempo, a osservare quello che hai già visto, dico.”
 
Aurora mi fluttua davanti, col suo corpo simile a quello di una libellula che con le sue squame indaco e le sue ali trasparenti, riflette i raggi di sole di questa mattina un po' umida. Si è messa in quella posa che fa sempre, con le mani sui fianchi, simbolo che si sta spazientendo e che vuole che ci sbrighiamo.
 
“Secondo me invece, sei sempre troppo frettolosa.”
 
“Se ti perdi a fissare l’orizzonte senza mai affrontarlo, finirai per finire come tutti quei fossili che abbiamo visto nella città. Se continui così, cinquecentosessantotto anni di autonomia non ci basteranno mai.”
 
“E se cinquecentosessantotto anni ci bastassero? “Cinquecentosessantotto”, è una parola bella lunga, come il tempo che abbiamo. In poco più di un centinaio di anni abbiamo esplorato gran parte del settore che ci è stato assegnato, non è meglio se ci perdiamo ogni tanto ad analizzare l’ambiente che ci circonda con occhi da poeta e non da tecnico? Giusto per goderci il viaggio, no?”
 
 
“Uffa! Sai quanto tempo avrai dopo che avremo finito la missione per guardare i prati e gli insetti? Ti rispondo io, tutto quello che vorrai, e non dovrai nemmeno preoccuparti delle tue responsabilità in quanto ricercatrice! Non è meglio pensarci dopo a tutti i tuoi capricci da “poeta”?”

Con le sue manine Aurora aveva fatto il segno delle virgolette attorno a “poeta”, mentre pronunciava quella parola.
 
Quindi, forse un pochino per ripicca, sorridendo mi sedetti a terra a gambe incrociate.
 
Il terreno umido bagna il tessuto marroncino impermeabile che ricopre le mie articolazioni magnetiche e i miei circuiti elettronici. È una sensazione rinfrescante, visto che negli ultimi giorni non abbiamo toccato altro che polvere.
 
“Aspettiamo almeno un'oretta. Col sole più alto sarà più facile fare ricerca, no?”
 
“Sei una vergogna.”
 
Quindi la fatina mi si posò in grembo a braccia incrociate con una smorfia di noia e assieme osservammo l’alba crescere.
 

 

 

 

 

 

 
Sessanta minuti precisi passarono e allo scoccare dell’ultimo millisecondo Aurora si mise a strillare.
 
“L’oretta è passata! Dai, alzati e andiamo!”
 
Aurora mi prese la mano sinistra e cominciò a tirare con tutte le sue forze, per cui mi rialzai, e con calma mi pulii il didietro dai fili d’erba che vi erano rimasti appiccicati.
 
“Sicura che non vuoi rimanere ancora un altro po’? Cinque minuti magari?”
 
Aurora, anche se di dimensioni minute, era stata graziata con un corpo profondamente espressivo, per cui ogni azione da lei compiuta finiva per essere amplificata anziché ridotta. L’effetto dell’occhiataccia che mi tirò pochi istanti dopo la mia obiezione fu amplificato notevolmente proprio da queste sue caratteristiche intrinseche, per cui decisi di desistere.
 
In questa misera oretta che ho passato a fissare l’immensa prateria che circonda la città, non ho potuto non notare quell'enorme struttura nella distanza. Un po’ organica e un po’ artificiale, questo megalite misterioso nel paesaggio non ha potuto fare altro che attirare la mia attenzione, e come richiamata dalla sua forma muta, mi sono persa a osservarlo per almeno la metà di quel tempo che abbiamo passato di fronte al sole che col suo splendore indicava l’inizio di una nuova stagione.
 
“Penso che dovremmo dirigerci verso quella struttura laggiù. Mi ispira.”
 
Dissi così mentre indicavo col dito quello strano ammasso sull’orizzonte.
 
“Il tuo metodo di fare ricerca mi disturba. Potremmo esplorare un’area alla volta in maniera sistematica e finire in fretta, ma tu insisti nel balzare da un posto a caso all’altro in base alla tua curiosità personale. Vorrei tanto sapere chi è il genio che ti ha ficcato in testa tutti questi concetti inutili. Scommetto che tutti gli altri androidi sono molto più efficienti di te.”
 
“Forse chi mi ha programmata ha messo un riflesso della sua personalità nel mio codice e nel mio cervello digitale ha disegnato una piccola copia del suo…  E forse ancora dentro il tuo cervellino hanno messo un virus che non ti fa mai smettere di lamentarti.”
 
“Io faccio così perché chi mi ha costruita ci teneva che il vostro operato fosse rapido e preciso, senza di me neanche sapresti dove andare e cosa fare - ehi!”
 
Afferrai il corpo della fatina rompiscatole, la ficcai nel mio zaino e cominciai a dirigermi verso quella siluetta distante. A mano a mano che la distanza che ci separava diminuiva cominciai a notare sempre più dettagli.
 
Comincio a distinguere di fronte a me una serie di forme intricate: un'enorme struttura sferica che ha incisi sulla parte frontale tre enormi buchi e che è completata alla base da una serie di placche marmoree, altissime torri biancastre dove gli uccelli hanno cominciato a nidificare di recente, lunghissimi oppure cortissimi tubi rotondi ricoperti di muschio e arbusti alla loro base. Tutte queste strutture candide, sono collegate fra loro da una serie di lunghissimi cavi neri che in alcune sezioni svelano verso l’esterno un materiale che dai riflessi sembra un conduttore elettrico di qualche tipo. Ciascuno di quei fili misteriosi converge verso un lungo tubo frammentato composto da numerose vertebre. Alla fine spariscono tutti all’interno della sfera misteriosa coi tre buchi…
 
Continuando a camminare, prima marciando, poi con passo svelto, e alla fine sempre con più fretta, mi ritrovo a correre in preda alla curiosità.

Aurora, disturbata nella sua meditazione lamentosa dall’improvvisa corsa della sua compagna, sporse fuori la testolina dallo zaino per osservare la situazione.
La vista era impressionante, il teschio gigante di una creatura apparentemente sconosciuta si parava di fronte ai due androidi. Dal loro punto di vista, la struttura ossea nella sua interezza sembrava estendersi per almeno una ventina di metri in lunghezza.
 
“Somiglia un sacco a “homo sapiens”, sai Olivia?”
 
“È una specie di questo pianeta?”
 
“No, viene da un pianeta che si chiama Gea, si è estinto diversi milioni di anni fa. Ma originariamente non era mica di queste dimensioni, era giusto un po’ più grande di te, e poi la cavità nasale sembra più un’orbita e il corpo non coincide con la testa… Ehi… Dove stai guardando?”
 
“Proviamo a vedere cosa c’è dentro.”
 
“Io ti propongo l’incongruenza del millennio e tu neanche mi ascolti, grazie.”
 
“Dai permalosa, magari ne parliamo dopo…”
 
Ignorando le smorfie di Aurora, mi arrampicai fino a raggiungere la presunta cavità nasale dell’uomo ancestrale ed entrammo così nella sua fossa cranica.
 
I raggi del sole che penetrano dai vari orifizi presenti sul teschio, mi rivelano che il pavimento, molto più duro dell’erba dell’esterno, è composto da un materiale rosso scuro semitrasparente. Questo strano composto minerale si estende fino alle pareti e finisce per ricoprire interamente una struttura nera incastonata nel mezzo di accumulo degli stessi cavi scuri che ho visto prima di entrare. La luce calda del sole che passa per le orbite giganti mi sta scaldando il volto, eppure sento che la temperatura qui dentro è notevolmente più bassa rispetto a fuori.
 
Decisi di avvicinarmi alla struttura nera in mezzo ai cavi, e rovistando un po’, trovai una piccola porticina, grande abbastanza da farmi raggiungere a gattoni una sala claustrofobica nella quale venni investita da un'ondata di freddo glaciale.
 
Nonostante la mia assenza di pelle organica sentii ugualmente una serie di brividi su tutto il mio corpo. 
 
 
Lì l’ho vista, di fronte a me c’era una ragazza alta un metro e qualche centimetro, cristallizzata nella stessa sostanza rossa di prima, che si stringeva a un ammasso di ferraglia dall’aspetto vagamente umanoide.
La ragazza era estremamente magra e aveva la pelle violastra. Delle orecchie enormi che si estendevano in orizzontale rendevano la sua figura minuta leggermente più grande. I suoi occhi, anche se chiusi erano piuttosto grandi, e la sua espressione sofferente, tendente al pianto, mi fece provare una vaga sensazione di tristezza nei suoi confronti.
 
Dietro di lei c’erano una serie di schermi molto piccoli che, ancora attivi, mostravano con la loro luce monocromatica immagini contorte che non riuscii a decifrare.
Alcune scritte apparivano ogni tanto in un flash, ne ricordo alcune, ma solo perché sono rimasta a fissare gli schermi per una decina di minuti, per cui mi si sono impresse nei sensori ottici.
 
Il significato di questi simboli mi è ignoto, ho idea che facciano riferimento a un certo sistema di controllo che però ora non si trova più qui.

 

Kephal> Ganglia: OFF.
 

Kephal> DISPERSA

             
Appoggiai quindi il mio zaino a terra, e la fatina elettronica uscì per sgranchirsi le ali e per guardarsi per bene attorno.
 
“Hai visto? Te l’avevo detto che c’era qualcosa di interessante qui!”

“Bene! Un cristallo con una nanetta fossilizzata e una serie di schermi indecifrabili! E in più, si muore anche di freddo, mi si staccherà la coda se stiamo qua troppo tempo!”

“Hai il coraggio di lamentarti anche di fronte a delle informazioni importantissime! E quella vergognosa poi sarei io?”
 
“Olivia, ti ricordo che siamo qui per cercare una specie intelligente VIVA, non cadaveri fossilizzati.”


“Capire il passato è fondamentale per comprendere il presente e per speculare sul futuro!”
 
“...”
 
Detto questo, tirai fuori dalla mia coscia un tubetto blu che finiva con una punta acuminata. Tirai il tubetto fino a raggiungere una lunghezza utile per conficcarlo nei pressi del cervello della creaturina viola e una volta fatta questa misurazione, mi sedetti a terra a gambe incrociate, col volto verso il cristallo rosso.
 
“Aurora, infila la punta più vicino che puoi al cervello dell’orecchiona.”
 
“Orecchiona? Ma come parli? Comunque secondo me andrà a finire come quella volta che hai provato a leggere un cervello in avanzato stato di decomposizione”
 
“Se non sperimentiamo come facciamo a sapere se quello che stiamo facendo è giusto o sbagliato?”
 
“Vabbè, tanto quella che ci rimette poi sei tu.”
 
Aurora con una smorfia annoiata infilò con forza la punta nel cristallo, che venne perforato come se fosse stato fatto di una sostanza molto più morbida di quella che sembrava da fuori. Dalla punta uscì un tubetto più piccolo che automaticamente si mise a scavare verso la testa della creaturina.
Una volta raggiunta, penetrando delicatamente il cranio, si infilò nel suo cervello.
 
 
In quel momento, ricevetti una scossa e non vidi più nulla.


Idola-Deus [Versione 14.4.214431.4047]





O:UserAury> Disattivazione dei sensi completata.

...

O:UserAury> Inizio controllo cerebrale.
 
O:UserAury> Accesso alla memoria in corso…
 
O:UserAury> Caricamento dei ricordi della creatura in corso…

O:UserAury> Specie: Hominis Indigo.

O:UserAury> Integrità 84%.
 
O:UserAury> Età al momento dello spegnimento : 14 anni.
 
O:UserAury> file .mem totali: 15301.


O:UserAury> file utili alla ricerca: 06090356.mem
 
O:UserAury> Riproduco il file.
 




O:UserAury> Riproduzione in corso…



In uno stanzone dal soffitto ornato di tubi rosacei, penetra da due orifizi circolari socchiusi una luce debole che illumina un cadavere che galleggia in un mare purpureo.

Io di mestiere giro valvole, tiro leve, premo pulsanti, sposto liquidi, tutto questo per mantenere in vita l’organismo a cui sono stata assegnata alla mia nascita.
Anche se sono piccola, il mio è un lavoro importante, perché nessuno oltre a me sa cosa fare quando anche tu, seppur raramente, fallisci nel tuo compito.
 
Tu ti occupi di far funzionare segretamente tutto quello su cui io devo operare, infiniti organi dal funzionamento complesso, Rigidi ma flessibili tubi concentrici giallo-biancastri che contengono in loro le basi per mantenere il corpo integro e che gli permettono di crescere, tubi rossi e blu da cui scorre sempre il liquido rosso che dà vigore a questa creatura che io e te ci siamo sempre assicurati di tenere viva…
 
Lo stesso liquido, che ora ci bagna le gambe e le mani e che lentamente, sta salendo.
 
Sicuramente te ne sarai accorto anche prima di me, ma non mi hai avvertita.
 
Da quanto è che sei spento? O stai facendo finta?
 
Come ora, te ne sei sempre stato muto, la tua compagnia silenziosa mi ha sempre fatto riflettere sul perché delle nostre azioni quotidiane di controllo sulle valvole, filtraggio dei bronchioli, sistemazione dei tessuti…
 
L’ordine di far funzionare le cose per bene e in tempo arrivava dall’ufficio coi vetri neri sopra di noi.
 
Un ordine da parte di qualcuno che non hai mai visto che ordine è?

Questo dubbio sull’origine del nostro operato, prima era semplice curiosità ma poi si è sviluppato come un germe maligno nella mia mente fino a farmi sviluppare una certa ossessione, sai?
 
Io sono nata qua, tu mi hai vista crescere e sai che sono sempre stata vicino ad altri della mia razza che mi hanno sempre detto di prestare attenzione alle parole degli dei invisibili che ci controllano, perché se per caso mancassi di seguire un loro ordine, finirei nella bocca acida che trasforma la materia organica in energia per l’organismo di cui ci siamo sempre occupati.
 
Forse non te ne sarai accorto, visto che ne sei sempre stato nel tuo angolino a fare il tuo lavoro diligentemente come un bravo servo senza bocca, ma io ho passato ogni giorno della mia vita ad analizzare l’ambiente in cui abbiamo sempre lavorato assieme. Tutti i tubi rosa e i cavi bianchi che penzolano dal soffitto e che prima avevamo appiccicati anche ai nostri corpi, erano collegati direttamente all’ufficio coi vetri scuri sopra le nostre teste.
 
Non è strano essere collegati senza che nessuno ti spieghi il perché a una struttura misteriosa che ci impartisce ordini dalla mattina alla sera? Per te forse no, ma per me sì, non volevo continuare a essere una schiava come tutti quelli prima di me.
 
Anche se tu non mi rispondi perché dentro sei ancora piegato alla loro volontà, io ero convinta che quel collegamento fosse ciò che ci rendeva vulnerabili al controllo di quelli là dentro.
 
Quindi ho provato a staccare i cavi, da me, da te, e anche da qualcun’altro ma non sono mai riuscita a strapparne neanche uno, non importa quanto mi perdessi a strattonarli.

Sono io che per natura ho un corpo debole, oppure è stato qualcuno a decidere la mia costituzione? Tutti quelli che mi somigliano sono magri quanto me, non è strano?
 
Però, hai presente che ogni notte dalle finestre scure dell’ufficio, uscivano dei film sempre diversi che venivano proiettati sui muri del nostro stanzone?
 
Non ci ho mai dato tanto peso visto che a quell’ora del giorno io dovevo essere nella mia camera comune con tutti gli altri a dormire, ma quella specifica sera, forse per un tuo errore o per insonnia, mi trovavo lì.
Quella sera quindi mi sono messa a guardare.
 
Il film di quella sera era strano, un giovane di bell’aspetto, probabilmente della specie di quelli simili al nostro organismo, o forse uno degli dei invisibili, si accaniva violentemente con un tubo su una creatura minuta che piangeva disperata a ogni colpo inferto. La violenza è continuata fino a quando della creatura non era rimasta che poltiglia, e io sono rimasta a fissare quello spettacolo e a riflettere.
 
Ho continuato a pensare osservando l’immagine oscena davanti a me fino a quando, come al solito, il film non si è spento, e tutto è diventato silenzioso.

Allora ti ho guardato.
 
Eri sempre lì nel tuo angolino buio con le tue lucine sul volto che indicavano che andava tutto bene, come sempre.

Forse non dovevo cercare di strappare i cavi da fuori, ma da dentro.


Quindi ho strappato un tubo rigido da un neurone che si era rotto il giorno prima, e ho cominciato a colpirti sul muso, sui lati, dietro, tu non piangevi però, continuavi a fare le tue solite lucine, quindi ti ho colpito ancora più forte, non ti sarai neanche accorto, immagino.

Poi a un certo punto, ti si è aperto uno sportello sul lato, quindi ho cominciato a tirare fuori quello che c’era dentro, cavi, schedine, organelli, vene, non mi importava, dovevo trovare l’attacco dei cavi e strapparlo, stavo facendo tutto questo anche per te dopotutto, no? Non hai sofferto vero? Certo che no, non sei mica come me… tu mi fai schifo.
 
Sul tuo monitor c’erano degli avvisi rossi che riempirono presto la stanza di quel colore minaccioso. Sarebbe stato compito mio risolverli, ma non quella sera, in quel momento, del battito irregolare e dei rigurgiti che stavano soffocando l’organismo non mi interessava, quindi ho continuato a strappare finché non ho trovato l’origine di quei collegamenti.
 
Li ho osservati per qualche secondo, e con un avanzo della tua carcassa colorato di rosso, forse delle luci, forse dai liquidi interni che zampillavano dalle tue vene larghe, li ho recisi.


Le luci rosse si spensero insieme alle tue solite lucine.
 
In quel momento era tornato il buio e io mi sentii finalmente in pace.
 
Ma questa sensazione non durò tanto… Un enorme terremoto che fece tremare violentemente il nostro stanzone, causò la caduta dal soffitto di una massa di neuroni che sfondarono la parete frontale dell'ufficio coi vetri scuri.
 
I neuroni erano ancora svegli quando provai a toccarli, lo capii dal fatto che mi ustionarono con una scossa tremenda. Ma neanche loro durarono tanto quando recisi da loro i cavi rosa e bianchi che li univano all’ufficio da cui erano caduti, la loro luce blu che li contraddistingueva dalle altre cellule si spense per sempre, come le tue.
 
Stavo per strappare anche i miei cavi, che avevo notato essersi afflosciati notevolmente dall’ultima volta che li avevo strattonati, quando notai l’enorme buco lasciato dalla massa neuronale precipitata poco prima.  Da questo provenivano una serie di lamenti disperati e una fioca luce azzurra.
 
Quindi, sfruttando gli stessi collegamenti ai quali avevo dichiarato guerra, decisi di arrampicarmi su per i neuroni e le macerie.


Volevo scoprire chi è che mi aveva sempre controllata.

Ma al terzultimo passo prima dell’entrata della maledetta struttura che fino a quel momento mi aveva tormentata, i cavi si ruppero, improvvisamente uno dietro l’altro come se da sopra qualcuno avesse deciso che io non dovevo vedere cosa c’era là dentro e chi è che da tutta la mia vita mi controlla.
 
 
“Fatica sprecata! Ho smontato tutto quanto per niente!”


Ho pensato queste cose mentre cadevo nella pozzanghera rossa che ormai aveva annegato il pavimento. Quando ho colpito il suolo pochi istanti dopo essere scivolata, non sono più riuscita a sentire le gambe. Però riuscivo a sentire tutto il resto, ero ancora sveglia.
 
Eppure quando avevo reciso i tuoi cavi e quelli di quei poveri neuroni, vi siete spenti subito.

Allora mi sono avvicinata a te strisciando in quello schifoso liquido rosso.

Non sono mai stata schiava di quelli là. Quei collegamenti colorati non erano altro che un inganno per farmi pensare che la mia vita fosse direttamente collegata a chi aveva già deciso tutto per me, ancora prima della mia nascita.
 
Se tutti si sono spenti tranne me, vuol dire che i cavi erano solo una menzogna e che tu, maledetto, hai sempre fatto finta di non saper parlare per non dirmi la verità, “tutto per il corpo!” Avevi scritto sotto al tuo ventre che io ho maciullato, ma io neanche lo conosco questo corpo! Ho spaccato tutto, ma ho solo perso tempo, e tu lo sai bene. Perché mi fissi da quello schermo nero?  Non dici nulla solo per prendermi in giro, ci scommetto quello che rimane del mio corpo.
 
Se l’organismo è morto e noi stiamo annegando nelle sue viscere, è solo colpa tua.
 
Quindi ora, prima che il sangue mi arrivi alla bocca per soffocarmi un’ultima volta, ti smonto, si, ti disintegro, come tu hai fatto con me… Se solo riuscissi a muovere le mani… Non sai cosa ti farei… Stupido… Robot…
 
 
Sopra al cadavere, atterra una creatura quasi impercettibile, si infila nelle fessure da cui viene la luce e fugge scomparendo nella luce accecante dell’esterno.


Idola-Deus [Versione 14.4.214431.4047]



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O:UserAury> fine riproduzione.
 
O:UserAury> …
 
O:UserAury> Termino il collegamento neurale.
 
O:UserAury> Dati aggiunti all’archivio mentale con successo.
 
O:UserAury> Ripristino funzioni sensoriali in corso…


 
O:UserAury> Gusto: attivo.
 
O:UserAury> Olfatto: ripristinato.
 
O:UserAury> Udito: check.


 
O:UserAury> Tatto: sincronizzato.
 
O:UserAury> Vista: ricollegata.



 

 
 
Quindi mi sono risvegliata.
 
“Un minuto, ventiquattro secondi, quattro decimi, venti centesimi e tre millesimi, decisamente di più di quello che mi aspettavo.”

“Così poco…?”

“Quanto tempo pensi sia passato lì dentro?”

“Almeno un mese…”


“Può darsi che la percezione dell’inesorabile avanzare del tempo cambi in base all’essere vivente che la sperimenta”

“...”


È un po’ che fisso il vuoto… Sono turbata. La sofferenza non è mai stata nulla che io abbia mai sperimentato in prima persona… Però osservarla direttamente dagli occhi di una ragazzina schiava di una razza crudele e invisibile…
 
 
“Oi, tutto bene, Olivia? Ho visto anch’io quello che è successo, ma ricordati che non possiamo perderci a rimuginare sul passato. Se hanno mandato noi robot vuol dire che le emozioni che osserviamo non sono rilevanti al fine della nostra ricerca.”

“Ma… A te non ha dato fastidio? Vedere tutta quella sofferenza in una creatura così piccola?”

“La pietà è un tratto di chi ti ha creata e che tu sfortunatamente hai ereditato. Comunque no, non mi ha infastidita, la vita per gli esseri viventi può essere crudele.
Vedi il lato positivo, abbiamo ricavato informazioni importanti, forse troveremo altre creaturine del genere o magari uno di quella razza che non si è mai fatta vedere… Mi piace quando facciamo progressi!”
 
Forse per il freddo, o forse perché mi sentivo vincolata a quel luogo sacro, feci un po’ di fatica a rialzarmi.
 
Riavvolsi lentamente il cavo nella mia coscia e dopo averlo ripulito con un pezzetto di stoffa, ripresi lo zaino in spalla in cui Aurora si infilò. Prima di uscire dal teschio, osservai per un’ultima volta la stanza scura che conteneva quel cristallo ricolmo di rimpianti. Volevo piangere, ma il mio creatore non mi ha dato i dotti lacrimali per permettermelo.
 
 
 
Idola-Deus [Versione 14.4.214431.4047 65 85 82 79 82 65]
 

 
System> ≰⟌↛𖠿⧂…
 
System> Fine riproduzione.
 
System> 𑁪✢𓅴⩨𑀘⩬⌇⬟⧚⟅⊞¤⤼𓊂𑀆…

System> Memoria corrotta. Impossibile proseguire con la riproduzione del file.

System> Cambio zona di lettura? (S/N)
 
UserEthia> N
 
System> Dati registrati con successo.
 
UserEthia> “Secondo te perché la specie della ragazzina con le orecchie grandi era schiava di qualcun’altro? Essere deboli è un peccato che va punito?”
 
System> Comando non riconosciuto.
 
UserEthia> “Rispondi.”
 
System> Comando non riconosciuto.
 
UserEthia> Termina sessione.
 
System> Arresto del sistema in corso…
   
 
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