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Autore: Psyker_    04/09/2024    0 recensioni
Si racconta che il Luthus, un prezioso minerale di origini antiche, sia stata la causa dell'estinzione dei maghi, sebbene originariamente fosse fonte del loro potere. Questo è ciò che racconta la storia, eppure uno ne è sopravvissuto, divenendo l'ultimo della sua specie. Accolto dalla famiglia reale di Kubara quando era solo un bambino, Valerian, l'ultimo Mago, imbraccia le armi e diventa uno dei suoi più potenti soldati già in tenera età. Il motivo della sua immunità rimane però un mistero irrisolto, che torna pressante quando la guerra contro un regno rivale scuote il continente del Ventus. Da queste premesse parte il suo viaggio, alla ricerca di verità sul proprio passato che porteranno alla luce ombre ben più oscure potesse immaginare.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era un tempo in cui i maghi erano i dominatori di tutte le terre conosciute. La loro forza era uguagliata soltanto dalla loro intelligenza e ambizione, e grazie al dominio che esercitavano sulle forze naturali, si erano elevati a esseri quasi divini, capaci di creare e distruggere senza curarsi di alcuna conseguenza. Erano i sovrani del mondo in cui vivevano, e avevano il potere, se lo avessero voluto, di espandersi oltre i misteriosi confini delle profonde acque degli oceani, o di erigere difese che ne rafforzassero la stabilità. Dopo secoli di potere assoluto però, fu la comparsa di alcune creature altrettanto prodigiose a minacciare il loro dominio sul mondo, entità divine che sembravano possedere il controllo sulla Realtà stessa: il loro nome era "Ebrion", creature simili a colossali Rapaci che si erano appropriati dei cieli, divenendone in breve tempo i sovrani. Gli Ebrion erano divisi in quattro diverse tipologie, riconoscibili dal colore del loro manto piumato, e ogni tipo era legato a un aspetto fondamentale della Creazione: l'Ebrion Dorato era il guardiano della Vita, della Rinascità e della Luce; l'Ebrion Nero lo era della Morte, dell'Oscurità e della Trasformazione; l'Ebrion Rosso lo era della Distruzione, della Guerra e del Caos, e infine, l'Ebrion Bianco, rappresentava l'Equilibrio, la Pace e l'Ordine. Sebbene dunque la loro influenza sul mondo si fosse immediatamente dimostrata assoluta e fondamentale, i maghi consideravano la loro comparsa come una minaccia che rischiava di intaccare secoli di dominio incontrastato. Nel cielo gli Ebrion e sulla terra i maghi, si ritrovarono destinati a vivere in maniera complementare, divenendo formidabili alleati per la costruzione di una civiltà che avrebbe scritto la storia. Erano gli anni della Creazione, un secolo di crescita rigogliosa durante il quale nacquero i primi castelli, le prime legislature e i primi grandi regni. I maghi però, a differenza degli Ebrion che sembravano “perfetti”, traevano la maggior parte della loro forza da un particolare materiale che in origine, avevano scoperto, potesse amplificare in maniera portentosa la loro capacità di interagire con la natura: il Luthus, un minerale estremamente duttile e malleabile che si trovava in natura in qualsiasi forma, solida, liquida e gassosa. Potevano usarlo per costruire armi, intrugli medici ma soprattutto come materia prima per i loro incantesimi, per interagire con i quattro doni naturali. Quando i primi maghi scoprirono i giacimenti di Luthus a Nord, lì svilupparono il loro impero, costruendo grazie a questo materiale tutta la loro fortuna. Divenendo sempre più potenti dunque, cominciarono a studiarlo più approfonditamente, scoprendone caratteristiche uniche. Come ogni risorsa però, era destinata a finire e il tentativo di emularne la composizione da parte degli alchimisti, provocò un disastro prevedibile e da tempo annunciato dai più lungimiranti. Il Luthus rimanente finì per corrompersi e ciò che per secoli aveva reso simili a divinità i maghi, finì invece per distruggerli.

Erano passati secoli dalla Creazione, e di maghi ne era rimasto soltanto uno.



 


                              Anno 137,  Era dei Quattro Regni

 

Solo il crepitio delle fiamme osava spezzare l'assordante silenzio della camera, ormai completamente pervasa da un pulviscolo denso e scuro. I raggi luminosi delle torce attaccate alle pareti faticavano ad abbracciare l'area, che lentamente cominciava a delineare i suoi confini: i quadri appesi erano anneriti, molti bruciati totalmente, così come i manichini da allenamento posti a un lato della stanza, pronti per essere presi ancora di mira da chissà quali diavolerie. Anche loro infatti erano bruciati, uno in particolare era ancora pervaso da piccole fiamme gialle e rosse, mentre un respiro cominciò a riecheggiare nella polvere. Non era stato un qualche tipo di crudeltà da parte di un mostro a creare quel disastro, ma un ragazzo, dalle vesti malridotte dall'allenamento e con alcune scottature sulle mani fino agli avambracci. I suoi capelli biondi erano sporchi di cenere, legare i più ribelli con un elastico formando un piccolo codino non era servito. Il giovane era chiaramente allo stremo, ma lontano dall'idea di abbandonare una sessione di allenamento tanto intensa, e probabilmente proficua. Sul più bello però, mentre era intento a concentrare altra energia tra le mani, il suono della porta che si apriva lo interruppe; tra l'altro, chi si trovava dall'altra parte doveva aver dato un paio di colpi decisi, bloccata com'era l'entrata. A ogni modo, dalla nube di polvere e cenere sbucò una ragazza dai capelli neri, che lentamente avanzò tenendo bocca e naso coperti con un braccio, e gli occhi socchiusi.
«Valerian… si sentivano esplosioni fin dalla sala comune. Ho dovuto rasserenare alcuni inservienti che chiedevano aiuto».
Valerian, era questo il nome di quel ragazzo dagli occhi azzurri come il ghiaccio, gli stessi che rivolse alla donna appena giunta, prima con uno sguardo deciso, poi più rilassato e gentile.
«Scusa Mera, oggi devo aver esagerato. Sono un po' teso per tutto quello che sta succedendo».
La fanciulla aprì lentamente gli occhi blu per abituarli al fumo, ma non si era ancora liberata del braccio. 
«Non sono venuta per rimproverarti comunque, so bene che non è un momento facile per nessuno. Comunque… mio padre vuole parlarti in privato».
«Il Re ha richiesto di me? Ti ha detto perché?» Chiese Valerian stupito, non era qualcosa che succedeva molto spesso.
Mera scosse il capo ma il suo viso la tradiva: sapeva qualcosa che non diceva e non doveva essere qualcosa di bello.
«Finisco e lo raggiungo allora, grazie» concluse il giovane, tornando in posizione di meditazione. Mera rimase ferma a fissare le spalle del ragazzo, un po' amareggiata, ma decise di non aggiungere altro, lasciandolo al suo allenamento. 
Passarono così le successive due ore, con Valerian intento a martoriare i suoi bersagli della camera di allenamento, e Mera che non era più uscita dalla sua camera regale. Era sera inoltrata ormai, ma si preannunciava una notte oscura: la luna aveva deciso di celarsi dietro alle nubi, e il Re di affrontare un’importante questione con il suo più potente soldato, nonché unico mago del castello.
Quando il ragazzo dai capelli biondi entrò nella sala del Consiglio, il Re si trovava in piedi davanti a una scrivania immersa nelle scartoffie: lettere, appunti, avvisi, richiami. C'era di tutto lì sopra, e non era qualcosa che si vedeva in un regno in pace. Il Re era un uomo sulla cinquantina, la barba appena fatta era scura, macchiata da qualche pelo d'argento. I capelli, coperti in parte dalla corona scintillante d'oro, erano brizzolati ma folti, ma tra tutti i dettagli del suo viso erano gli occhi a dire più di ogni altra cosa di lui: erano spenti, fiochi, di chi si era già rassegnato. Valerian fece qualche passo avanti attirando la sua attenzione, ma dovette prendere la parola per annunciarsi definitivamente.
«Mi avete mandato a chiamare». Il tono rispettoso era tradito dall'assenza di un qualsiasi titolo nel rivolgersi all'uomo. Il mago sapeva di trovarsi lì per una questione spinosa e avrebbe voluto saltare i convenevoli.
«Valerian, ti trovo un po' sfatto, stanco forse. Non ti starai allenando troppo?»
«Sto bene, solo non ho avuto molto tempo per riprendere le energie, sono corso qui appena ho finito». Un'altra frase pungente, ma il Re non ci badò troppo, anzi, sorrise per la lingua tagliente del ragazzo.
«Non ti farò perdere tempo allora, e andrò subito al sodo» - iniziò, finendo d'un sorso il vino rimasto sul calice al bordo del tavolo - «Tanarin vuole stabilire una base operiva lungo i monti Avis, al confine tra Kubara e Vhera. Come sai siamo ormai prossimi alla guerra, il Re di Vhera ha rifiutato l'accordo sui giacimenti di Luthus e il nostro esercito ha attaccato e sgomberato un avamposto Vheriano vicino al confine».
Valerian annuiva: sapeva che era ormai questione di giorni, o di ore perfino, prima che tutto sfociasse in un attacco ben più grande. Vhera era un regno di guerriglieri che aveva nelle mire i giacimenti di Luthus nel territorio Kubariano ormai da almeno un decennio, da quando il nuovo sovrano era salito al potere. A ogni modo, il mago era consapevole e pronto, e non aspettò per mettere in chiaro questo punto:
«Mi sono allenato duramente per questo, sono pronto. Se Tanarin avrà bisogno di me al fronte, allora partirò».
Il Re non batté ciglio, si limitò ad osservare il mago in silenzio, cercando le parole giuste per spiegare il motivo di quella convocazione.
«Tanarin ha richiesto proprio te, Valerian, e io non posso oppormi. In guerra, il generale ha il pieno comando sull'esercito».
Il ragazzo non capiva: «Perché dovreste opporvi? Sono un soldato, è il mio lavoro, e sono un mago, cosa che Vhera chiaramente non ha. Abbiamo un vantaggio strategico e militare, non...» non riuscì a terminare la frase che il Re tuonò la sua decisione: «Tu non prenderai parte all'attacco sui monti, rimarrai qui al castello a difendere la famiglia che ti ha accolto quando eri soltanto un bambino. Questa non è una decisione da Re, non posso ordinartelo, ma te lo chiedo come un padre farebbe a un figlio...»
«...Perché? Non capisco, non può succedermi niente, con me hanno molte più chance di vincere». L'uomo prese dalla scrivania alcuni fogli con dei disegni e degli appunti, poi gli affiancò una mappa della regione:
«La base operativa dell'esercito si trova esattamente sopra dei giacimenti di Luthus. È la migliore posizione per un attacco diretto a Vhera, e su tre lati gode della protezione delle montagne. È un'ottima scelta per l'esercito, ma non per te. Il Luthus finirebbe per ucciderti o peggio... Se davvero vuoi aiutare Kubara allora dovrai farlo da qui, dal castello».
Valerian afferrò nervosamente la mappa, osservando la posizione della base rispetto ai giacimenti: non c’era alcun dubbio, quello che diceva il Re era vero ma non sembravano argomenti abbastanza convincenti, non per il ragazzo almeno. 
«Io sono immune al Luthus, devo esserlo per forza o mi avrebbe già ucciso…» 
«Non puoi esserne sicuro». 
«Sono l’unico mago rimasto nel mondo!» 
Il Re batté un pugno sul tavolo per l’insistenza del protetto, stava perdendo le staffe ed era chiaro come a quella “richiesta” il giovane non avrebbe mai potuto opporsi in realtà. Valerian lo capì e intuendo di non poter fare altro, sospirò amareggiato prima di congedarsi, cercando di ritrovare la calma. 
«Vi pentirete di questa decisione, spero solo non succeda quando sarà ormai troppo tardi». 
Si prospettava una lunga notte al castello, tra chi doveva fare i conti con le proprie decisioni, e chi invece con le conseguenze che queste avrebbero portato. Tra tutti era Mera a stare peggio in quel frangente, primogenita della famiglia reale nonché principessa del regno di Kubara. Se ne stava nella sua stanza, con gli occhi sgranati a guardare il soffitto, pensierosa e in attesa di qualcosa, o qualcuno. Forse era semplicemente speranzosa di poter dire qualcosa a Valerian prima che prendesse una qualsiasi decisione, ma in fin dei conti non sapeva nemmeno lei cosa avrebbe dovuto dirgli. La ragazza sapeva già della scelta del Re, e in parte ne condivideva i timori, ma Valerian era un mago, un grande soldato, e non avrebbe mai rinunciato alla battaglia in prima linea.
Qualcuno bussò alla porta della sua stanza proprio in quel momento, quando la notte era ormai sovrana del cielo e il mormoriare dei corridoi del castello avevano lasciato il posto a un piacevole e assoluto silenzio.
«Avanti...» Mera era al settimo cielo quando si rese conto che era proprio il mago venuto a farle visita, ma l'euforia durò giusto un istante, finché non si rese conto che adesso le toccava affrontarlo in un modo o nell'altro.
«Mera, ho parlato con il Re». Il giovane entrò scuro in viso, con una sovraveste con cappuccio largo, tipico vestiario di chi partiva in missioni esplorative lungo il perimetro della foresta reale.
«Val, anch'io ero piena di dubbi quando mio padre me ne ha parlato, ma pensaci, potrebbe essere davvero pericoloso, e se rimani puoi rimanere a proteggere me e il castello come ultima linea difensiva!»
Il giovane sorrise appena scuotendo leggermente il capo, con aria rassegnata: «Ero certo che sapessi già tutto, per questo prima avevi quella faccia da funerale».
«Ero in pensiero, lo sono ancora! Anzi, tutti lo siamo».
Il mago avanzò verso la giovane principessa sfiorandole il viso con la mano. Sul suo volto vi era uno sguardo serio, consapevole, ma anche malinconico. Le sfiorò una ciocca di capelli, sistemandola dietro l'orecchio e serrò la mascella per scacciare gli ultimi dubbi che ancora l'attanagliavano. Si prese poi qualche secondo per spiegare quel gesto, o qualsiasi cosa volesse dirle quella sera, con quella visita notturna.
«Non rinuncerò mai alla battaglia, non posso starmene con le mani in mano mentre veniamo massacrati da Vhera». Allontanò la mano e fece un passo indietro - «pensi sia la verità che la scelta del Re sia dovuta alla presenza del Luthus al fronte? Che in quanto mago possa uccidermi?»
Mera si stupì della domanda. Non capiva il perché di un dubbio del genere, o se fosse solo una domanda retorica.
«C-che cosa vuoi dire? Certo. Lo sai anche tu che le montagne nascondono tantissimi giacimenti di Luthus grezzo, e i maghi...» «I maghi si sono estinti per colpa del Luthus, sì, conosco la storia. Ok allora».
Valerian si voltò tirandosi sù il cappuccio scuro, sparendo all'ombra della veste.
«Che cosa vuoi fare? Non farmi questo, non scappare da Tanarin». Mera era quasi in lacrime. Sapeva quanto potesse essere cocciuto il ragazzo, ma fino a quel momento aveva creduto di poterlo fare ragionare, almeno lei.
«Troverò un rimedio al Luthus, te lo prometto, e dopo parteciperò alla guerra al fianco del generale e dell'esercito». La lasciò con quelle parole, senza ulteriori saluti, senza dire altro. Mera scivolò lungo il bordo del letto, frastagliando i suoi lunghi capelli corvini per le lenzuola di seta, e lasciando che le lacrime accumulate sgorgassero docili lungo le sue guance. Non poteva lasciarlo andare in questo modo, ma non sapeva nemmeno se ingabbiarlo al castello fosse la scelta giusta. Voleva solo il suo bene, e che potessero superare insieme quei mesi di guerra e di morte.

Non c'era luna a illuminare quella notte. I prati reali e le strade secondarie fuori dal castello erano rischiarate soltanto dalle torce a olio delle guardie, che a turno si scambiavano di posizione per rispettare la fitta rete di ronde ordinata dal generale Tanarin. Raggiungere le mura più esterne non era però stato particolarmente difficile per Valerian, che muovendosi furtivo tra un'ombra e l'altra, era giunto a pochi metri dal cancello principale di Kubara, che apriva alla lunga strada in basso verso i borghi cittadini. Non era ben chiaro che cosa avesse fatto alle guardie principali del castello, ormai dietro di lui e con la faccia spiaccicata al suolo, immerse in un profondo sonno senza sogni. Quelle che rimanevano, le più fastidiose, andavano e venivano senza sosta dalla città al castello, controllando tutte le strade che portavano all'esterno del Regno. Valerian non era però un semplice bandito che stava cercando di infiltrarsi tra le mura reali, ma un mago ricco di particolari risorse, e per di più che cercava di uscire. Si mosse celere appena una coppia di guardie gli passò davanti, scivolando alle loro spalle, e proseguì lungo il sentiero che i carri percorrevano per raggiungere le praterie. Era proprio uno dei carri ciò che avrebbe sfruttato per crearsi l'occasione giusta, ma non si sarebbe nascosto insieme al suo carico, l'idea era molto più... pirotecnica.
«Spero non ci sia niente di troppo importante lì dentro. Vinta la guerra, il Re saprà perdonarmi». Congiunse le mani e chiuse gli occhi, concentrando una quantità tale di energia che l'aria intorno a lui cominciò a deformarsi, e la temperatura alzarsi. Aprì a quel punto i palmi delle mani, ponendoli uno di fronte all'altro, e quando aumentò la distanza tra loro venne a formarsi una piccola scintilla di fuoco. Quando riaprì gli occhi, le pupille erano scarlatte e la scintilla era diventata una vera sfera infuocata.
«Perdonami, Mera». La scagliò in direzione del carro generando una piccola esplosione ed ampie fiamme che l'avvolsero completamente in poco tempo. I cavalli impazzirono strattonando, mentre il cocchiere venne sbalzato via con violenza. Nel tumulto, Valerian si mosse celere occupando lo spazio non più sorvegliato grazie al diversivo, e finalmente imboccò la strada verso le praterie all'esterno del Regno. Si mise a correre lasciando dietro di sé Kubara e la gente che lo aveva accolto, accettandolo nonostante la sua particolare condizione, amato ed educato come membro onorario della famiglia reale. Il ragazzo però non poteva essere solo questo, e prima o poi, che fosse a causa della guerra, di Tanarin, o del Luthus, la natura di quella razza estinta sarebbe venuta fuori. La direzione che prese una volta all'esterno delle mura non sembrava però quella del campo del generale Tanarin, bensì l'Ovest, dove vi erano i labirinti della foresta reale e poi, verso Nord, il porto commerciale di Kubara. Era proprio il labirinto la prima tappa, un luogo pericoloso, dove veniva spesso mandato l'esercito ad addestrarsi o a scacciare le beste feroci che lo abitavano. Si raccontavano svariate storie sulla natura di quella foresta, o dei mostri che vi abitavano, ma quale che fosse la verità, una era vera di sicuro: raggiungere l'uscita Nord senza una mappa era praticamente impossibile.

Mancavano circa due ore all'alba, e il tumulto causato al castello avrebbe messo alle calcagna del mago l'esercito in men che non si dica. Valerian lo sapeva bene, ma nonostante gli appunti studiati sul percorso più funzionale per uscire dai labirinto, lo colse la sensazione di stare girando intorno già da un po': gli alberi erano alti, le pareti di foglie fitte e impenetrabili, e a meno di bruciare completamente tutto, non sembrava possibile passarci attraverso. Non aveva ancora beccato bestie o mostri, se le storie raccontavano la verità, ma quando un leggero filo di nebbia si alzò insieme alla consapevolezza di aver perso l'orientamento, cominciò ad avere un po' di tensione.
«Devo davvero bruciare tutto?»
Non fu possibile determinare quanta verità ci fosse in quella frase disperata, perché un suono alle sue spalle attirò la sua attenzione.
«Chi è là?» Il mago alzò un palmo verso l'alto e il vento intorno a lui cominciò ad abbattersi con più foga verso le foglie e gli alberi.
«Val! Fermati!»
«...Val?»
Solo una persona lo chiamava così, ma non poteva credere che avesse fatto tutta quella strada alle sue spalle senza che lui se ne accorgesse. Fece un paio di passi avanti per scovare il nascondiglio da cui era provenuta la voce, ma non dovette fare molta strada: i suoi due occhi grandi e blu la smacherarono immediatamente, nonostante anche lei avesse cercato di avvolgersi in una larga veste per non farsi riconoscere.
«Mera?! Che diamine ci fai qui?» La prima reazione fu di sgomento e rabbia, ma nello sguardo del giovane fu lampante anche un altro tipo di emozione: era felice di vederla, forse, tra le mura di quel labirinto nebbioso, era l'unica persona che avrebbe voluto rincontrare di Kubara.
La fanciulla provò a togliersi di dosso l'erbaccia e le radici che si erano attaccate mentre cercava di nascondersi, poi si portò una mano alla testa sorridendo colpevole: «Avevo capito subito che avresti fatto qualche follia, ma non credevo che avresti causato il panico alle porte. Non posso lasciarti andare da solo, sei una responsabilità della famiglia reale, e veglierò sulle tue azioni. Allora, dov'è che stiamo andando?»
«No, è troppo pericoloso per te, ti aiuterò a tornare indietro fino all'entrata della foresta e poi tornerai a Kubara». Il suo sguardo era serio adesso, non voleva metterla in pericolo in nessun modo.
«Dico d'avvero, Val. La guerra è alle porte, mio padre non ragiona lucidamente e Tanarin... lui non potrà temporeggiare in eterno con Vhera. Se c'è un modo per aiutarti con il Luthus io voglio darti una mano. Sarò più al sicuro con te che al castello. Beh... non mi sentirei al sicuro con nessun altro». Sembrava quantomeno determinata, e forse in quel modo il mago poteva davvero tenerla d'occhio e al sicuro più di quanto avrebbero potuto fare al castello in quel periodo.
«Sei sicura? Non è una gita sui colli del regno».
«Sono stanca di essere trattata come una bambina. È una mia decisione, e ne affronterò le conseguenze non appena tornerò al castello».
Proprio in quel momento, una voce interruppe i presenti, sembrava uno dei soldati del castello, e doveva essere vicino.
«D'accordo, rimani vicina a me, ne riparleremo non appena saremo al sicuro».





 
  
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