Bridge si occupò delle mie dimissioni dalle cure ospedaliere. La mia testa mi faceva ancora male, ma non era niente che non potevo sopportare. Ero ora in corsia verso Mirefield, nel sedile del passeggero della modesta automobile di Bridge.
C'era un silenzio imbarazzante in quella macchina, la ragazza che sedeva sul retro aveva lo sguardo rivolto verso l'esterno, mentre osserva con occhi distratti la vegetazione ancora avvolta dalla foschia.
A quanto pare lei non era chi pensavo chi fosse. Nonostante l'impressionante somiglianza con una mia vecchia conoscenza, la ragazza che si unì a noi nel nostro macabro viaggetto verso il Roadside Motel, non era altro che una sottoposta a Bridge, anche lei membro della Dreamcatcher.
Il suo nome era Tiala Redmane, una ragazza piuttosto taciturna, sempre un pò nel suo mondo. Il colore della sua pelle era un po 'pallida, dagli occhi scuri, malinconici e opachi, dal fisico magro e minuto. Ad essere onesto avevo il timore che potesse avere un attacco anemico da un momento all'altro, non sembrava affatto essere in salute.
"Eccoci, siamo arrivati" disse Bridge, rompendo finalmente il silenzio. Come volevasi dimostrare una scena del crimine non passava di certo inosservata. La scientifica era già sul posto, con tre automobili della polizia che erano parcheggiate lì vicino. Anche i mass media bazzicavano da quelle parti, speranzosi di avere qualche informazione su cui parlare.
Una donna oltre i cinquanta anni, con indosso una divisa da poliziotta marrone, accolse Bridge con un cenno. Aveva tra le mani una tazza di carta con dentro del caffè. Le indagini sembravano già concluse e tutte le prove erano in custodia, gli agenti si stavano dunque godendo una pausa. Nessuno di loro aveva un bell'aspetto, l'omicidio suicidio di Sanders lì aveva probabilmente tenuti tutti svegli durante la notte.
"Sceriffo Hawthorne, l'area è sgombra?" Chiese Bridge, tirando il freno a mano.
"Ah ti sei fatto vivo alla fine" rispose la donna in divisa "Potete dare un'occhiata se volete, anche se vi avverto, non troverete un bello spettacolo lì dentro".
L'idea di entrare nel luogo dove avevo vissuto quella esperienza traumatica, seppur non reale, non mi riempiva di gioia, ma dovevo togliermi ogni dubbio sulla natura del mio sogno.
"Ok, andiamo…" Disse Bridge rivolgendosi a noi "Tiala, sei sicura di voler venire? Forse dovresti rimanere qui".
"No sto bene" rispose lei decisa "Voglio venire anche io…".
E così, con l'animo ricolmo d'ansia, feci ingresso nel Motel Roadside, ripercorrendo passo passo ciò che avevo fatto nel sogno. Tuttavia una volta varcata la soglia che portava alla reception, mi resi subito conto di vari dettagli che mi agitarono a tal punto da portarmi a immobilizzarmi e guardarmi attorno con sgomento. Non ero mai stato in quel Motel prima d'ora, eppure avevo sognato proprio quel posto, nei minimi maniacali dettagli. Tutto era al suo posto, la radio, le chiavi, e il corridoio dove si era consumato il tutto. Come potevo aver avuto un sogno così dettagliato, di un luogo che materialmente stavo visitando per la prima volta in quel momento? Era impossibile e assurdo, eppure non c'erano dubbi a riguardo: sogno e realtà combaciavano alla perfezione. Era come vivere lucidamente un eterno deja-vu, e quello che provai in quel momento fu paura e alienazione da una realtà che tradiva la mia percezione.
"Cosa sta succedendo qui? Com'è possibile…?".
Sia Bridge che Tiala mi guardarono come se entrambi si aspettassero una reazione simile. C'era ancora tanto che non mi avevano detto, tante troppe cose, forse per risparmiarmi ulteriore confusione. Ma non potevo sopportare di restare all'oscuro un minuto di più, volevo una spiegazione valida per l'assurdità che stavo vivendo.
"Avrai tutte le spiegazioni che vorrai, ma prima di ciò è imperativo che tu ci dica cosa hai visto qui dentro, come sono andate le cose? Cosa ha fatto Sanders nel tuo incubo?" Disse Bridge.
Con la gola annodata condussi lui e Tiala verso il corridoio. Anche lì, come nella reception, i dettagli topografici combaciavano con ciò che avevo sognato, così come quelli dell'omicidio suicidio. La sagoma bianca tracciata intorno al cadavere di Sanders evidenziava il punto in cui era morto, proprio nella stessa posizione in cui gli avevo sparato, con la stessa macchia di sangue sul muro. Potevo ancora vedere me stesso con la pistola in mano, sotto shock e col braccio indolenzito dopo aver fatto fuoco. Era tutto identico, ogni cosa… tranne per una.
Seppur la sagoma del cadavere del creditore bancario Sullivan fosse sul letto, non c'era sangue, né le scritte sul muro o l'orribile scenario mutilato e grottesco che avevo visto nel mio sogno. Quella era a conti fatti l'unica incongruenza che avevo notato. Sullivan nel mio incubo era stato ucciso a coltellate, nella realtà era morto con un colpo di pistola, la stessa usata da Sanders per togliersi la vita.
"Cosa c'è Nate? Hai notato qualcosa?" Chiese Bridge notando il mio lungo silenzio dopo aver visto quella stanza.
Indicai le mura "Qui, ovunque in questa stanza, c'era scritto Tally con le interiora della vittima".
Nell'istante in cui pronunciai la parola Tally, Tiala sbiancò dallo shock. Ora che ci pensavo, Tally sembrava un abbreviativo del nome Tiala, e ad ogni modo la sua reazione valeva come mille parole. Cosa ci faceva il suo nome nella stanza che avevo sognato? Più mi inoltravo in quel mistero, più assurdo diventava.
"No… non di nuovo," disse Tiala spaventata, portandosi le mani tremanti sulla testa.
Bridge cercò di calmarla, ma la ragazza scappò via, allontanandosi di corsa dalla scena.
"Tiala aspetta! Tsk… maledizione" Disse Bridge sospirando.
Ero a corto di parole. Avevo detto e mostrato tutto ciò che sapevo e non ancora avevo una spiegazione a tutto quella situazione delirante. Volevo costringere Bridge a vuotare il sacco, ma qualcun altro ci distrasse. Lo sceriffo Hawthrorne si avvicinò a passo lento, forse non si fidava di noi ed era venuta a controllare.
"Che succede qui? Avete trovato qualcosa? La ragazza qui fuori è in lacrime".
"Non è nulla sceriffo, è solo rimasta turbata dal sangue" rispose Bridge, mentendo spudoratamente.
"Capisco, beh vi avevo avvisato che non era un bello spettacolo. Voi di Rotundum siete davvero strani, come vi viene in mente a portare dei civili dentro una scena di un crimine efferato. Spero voi altri sappiate cosa state facendo…" Disse severa.
"Non si preoccupi sceriffo, stiamo facendo il possibile. Infatti potremmo aver trovato qualcuno che può aiutarci"
Nel dirlo si rivolse a me, anche se non avevo la più pallida idea a cosa si riferisse. Quel suo modo criptico di parlare mi dava sui nervi, perché tanta segretezza? Perché mentire ad uno sceriffo se stavano collaborando? Tutta quella faccenda puzzava, e Hawthorne non era stupida e nemmeno io. Potevo vedere nei suoi occhi il sospetto e la donna aveva gli occhi puntati su di lui, ma Bridge era davvero bravo a nascondere ad eludere la questione, tuttavia non poteva scappare in eterno, né tanto meno eludere le evidenti domande che continuavano a sorgere, man mano che ci si inoltrava nella faccenda.
"Tu eh?" Hawthorne mi osservò "Ti stavo giusto cercando figliolo. Non ti avevo riconosciuto all'inizio ma, tu sei Nate Ingram dico bene?".
"Ci conosciamo?" Chiesi io perplesso.
"È una lunga storia, non da fare qui in questo posto. Anche perché ho alcune domande da farti sul caso, vieni con me in centrale e possiamo parlarne".
Bridge portò la sua attenzione su di me.
"Va pure, io porto Tiala via di qui. Verrò alla centrale più tardi, ho anche io delle cose da discutere con te".
Detto ciò si congedò via lasciandomi da solo con lo sceriffo.
"Quel tipo proprio non me la racconta giusta, su forza andiamo…".
Prima di andare via osservai di nuovo la macchia di sangue sul muro. La sensazione di disagio non accennava a placarsi, se non altro era peggiorata. Ero ancora all'oscuro di tutto, e mi sentivo trascinato in qualcosa di parecchio più grande di me.
Al calar del sole, mentre la luce del crepuscolo tingeva la nebbia di una tonalità simile al miele, entrai nella volante della polizia assieme ad Hawthrorne. C'era un forte odore di sigaretta al suo interno, la donna doveva essere una fumatrice incallita, e infatti ne tirò fuori una dal pacchetto.
"Ti dispiace?" Mi chiese.
"No, nessun problema".
La accese con un accendino e mise a moto. Mentre transitava verso la stazione, Hawthorne iniziò a parlare.
"Sei cresciuto parecchio Nate, probabilmente non ti ricordi di me, ma conoscevo quel combinaguai di tuo padre. Ti ho visto nascere, tua madre Dorothy era una brava donna".
Ora che la guardavo meglio aveva un volto famigliare. Non amavo riesumare il mio passato a Mirefield, ma una cosa la ricordavo spesso: io ero il figlio di quell'ubriacone che puntualmente finiva in stato di fermo per una rissa al bar. A scuola ero visto come uno scarto, destinato a fare la fine di mio padre, e la cosa che più mi feriva era vedere mia madre che tutte le volte lo andava a riprendere, prendendosi critiche, scherno e pregiudizi. Per quanto ne sapevo Hawthorne poteva essere una di quelle persone che si erano divertite a prendersi gioco di mia madre.
"Sei qui per tuo padre vero?" Mi chiese lei "Non potevi scegliere momento peggiore per tornare figliolo. Mirefield è sempre stata un po 'strana, ma stavolta si sta superando ogni limite".
Doveva riferirsi agli omicidi suicidio di cui parlava Bridge.
"Da come ne parla, i casi sono legati tra loro giusto?".
Hawthorne spense la sigaretta nel posacenere sotto il cruscotto.
"Troppe coincidenze e similitudini. Inoltre…" ma si bloccò nel dirlo.
"Inoltre?"
"Non è il caso che sia io a dirtelo figliolo. Meglio che tu lo veda con i tuoi occhi".
Viaggiammo in silenzio fino a giungere in città. Dopo quasi un decennio eccomi di nuovo qui. Stessi edifici, stessa atmosfera deprimente e desolata. Mirefield non era cambiata, se non altro la nebbia era solo più fitta del dovuto.
La stazione di polizia si trovava vicino alla scuola elementare, la stessa che frequentavo quando ero solo un bambino. Era tutto così surreale e stranamente nostalgico, nonostante odiassi quel posto con tutto me stesso, però ero realmente lì, dopo quello che sembrava essere passata un'eternità.
Hawthorne mi portò nel suo ufficio. C'erano un sacco di onorificenze esposte sul muro, la sua lunga carriera le aveva concesso il privilegio di diventare sceriffo e di ricevere lodi e premi dal sindaco. Sulla scrivania c'era una sua foto in compagnia di un grosso golden retriever dall'aria simpatica, a fianco ad un altra dove la ritraeva in compagnia di una donna.
"Da quanto tempo non senti tuo padre?" Mi chiese Hawthorne.
"Questo cosa c'entra col caso?" Risposi.
"Sono io che faccio le domande qui figliolo. Quando è stata l'ultima volta che hai visto o avuto contatti con tuo padre?".
Seppur contrariato, risposi di fronte alla sua insistenza.
"Al funerale di mia madre, otto anni fa. Non ci siamo nemmeno parlati. Ho sepolto mamma, sentito il sermone del sacerdote e sono partito subito per la Capitale. Poi non l'ho più sentito. Ora posso sapere per quale motivo mi sta facendo questa domanda?".
Hawthorne aprì il cassetto a fianco del suo studio e tirò fuori una lettera, poggiandola sulla scrivania, davanti a me.
"Aprila, è per te" disse lei.
Ebbi un brutto presagio. Lo sguardo di Hawthorne non mi piacque per nulla, cosa c'era in quella busta bianca? Con ansia crescente la aprii e lessi il suo contenuto. Ciò che trovai al suo interno incendiò ancora una volta quella spiacevole sensazione di alienazione, come un disegno che un passo alla volta collegava i pezzi di un puzzle ancora del tutto incomprensibile.
C'era un foglio bianco, un pò sporco e rovinato, con diversi strani scarabocchi abbozzati su di esso. Un solo nome era onnipresente in una caotica composizione fatta di inchiostro sbiadito: Tally.
Restai a fissare quella frase per un tempo che mi sembrò lunghissimo. Perché c'era il nome di Tiala ovunque anche lì? C'era purtroppo solo una risposta palese a tutto ciò, qualcosa che Hawthorne mi confermò subito dopo. Mio padre non era morto per malattia o altro, si era suicidato. A differenza di Sanders, non aveva ucciso nessuno nel suo raptus di follia, ma solo se stesso.
Cosa stava succedendo in quella città? Prima quel sogno, adesso mio padre, e in entrambi c'era il nome di quella ragazza, così dannatamente simile a quella ragazzina che di tanto in tanto spuntava nei miei tormentati ricordi, di quel terribile e sanguinoso giorno al Lago di Cradle tredici anni fa.
Continua…