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Autore: Pervinca Potter 97    10/09/2024    1 recensioni
In una frase: Rebecca, figlia d'arte sotto i riflettori social, stringe amicizia con l'attrice dei suoi deep fake pornografici, scoprendo un lato di sé che non conosceva.
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Matilde è una cantante che per le visualizzazioni farebbe di tutto. La sua relazione con Chris, famoso ereditiere e pessimo attore, è sempre al centro dei social. Quando però è la loro figlia Rebecca, dalla nascita sotto i riflettori, a volere un cellulare tutto per sé, i genitori non sono molto contenti. Ottenutolo, dopo non poche fatiche, Rebecca scopre che su internet ci sono deepfake pornografici che la ritraggono. Ha quattordici anni appena. La sua denuncia, attraverso gli schermi, suscita grande clamore. Hay Ley, che di anni ne ha diciannove, di mestiere fa l'attrice a luci rosse: ha prestato il suo corpo per quei video. Tra le due nasce un legame.
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Matilde, Rebecca, Hay Ley sono tre donne in tre diverse fasi della vita: il romanzo racconta il loro rapporto in coppia e con gli altri, sempre sotto gli occhi di tutti.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Scolastico
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Deep Fake






Click.
I morsi della fotocamera sono i più voraci dell’intera sala. Sovrastano il brusio della folla che si è radunata all’ingresso del ristorante. Una anziana signora, riccioli bianchi e occhiali da sole, sporge il collo in avanti per guardare al di là della mia spalla. Sono divaricato come una stella marina. Un ragazzino tenta di scivolare nello spazio che sto lasciando sotto le braccia. Il suo viso testimonia che non ha più di tredici anni, nonostante il petto largo e le braccia pompate. Lo afferro per il cappuccio della felpa, lui si spinge indietro e alza i palmi delle mani verso l’alto. I brufoli fanno da costellazione attorno a una smorfia di disgusto. Per placcarlo ho lasciato scoperta la mia sinistra. Due donne identiche, sguainati i telefoni, si slanciano per riprendere stralci della cantante che pranza con la figlia. Pablo ferma la prima, allunga una gamba per intralciare l’altra, a cui cade per terra il telefono. Con la coda dell’occhio vedo la signora inveire e, ancora più in fondo, la schiena della bambina e la pettinatura ciliegia della madre. Il motivo per cui mezzo quartiere è qui.
Il giovedì è il mio giorno libero, la vibrazione della chiamata mi ha svegliato nel mezzo del sonno. La voce di Aurora era calma, in contrasto col casino che regnava nella cucina del ristorante. Urla, passi, conversazioni concitate rendevano inintelligibili le parole della mia responsabile. Ho protestato.
“Re Ardito. Vieni alle undici”, ha sussurrato allora lei, soffiando sul microfono.
“Porta delle penne!”, ha urlato Sofia, prima di sbattere una ceramica nel lavello.
“Ma io…”, mi sono zittito. Le mie orecchie si specchiavano nel silenzio, Aurora aveva riattaccato. Mi sono vestito in fretta ma la colazione l’ho fatta con calma, lasciando andare sketch di stand-up comedy in sottofondo.
“Niente palmare, prendo io l’ordine”, ha sentenziato Aurora non appena ho varcato la soglia di Pescaurìa. La faccia che ha fatto Sofia dietro di lei parlava da sola. Era chiaro che Aurora sperasse di finire fotografata in un post di Matilde Re, anche solo di striscio.
“Avida”, mi ha sussurrato Ilaria più tardi, “la citazione al ristorante basta e avanza. Da domani, ma figurati, da oggi pomeriggio, avremo il pienone”.
E addio al mio giovedì libero.
“Fratello, dai, e dai fratè”, la voce del ragazzino è un saliscendi. Lo fisso scioccato. È chiaro che rivolgermi la parola gli stia costando fatica. Solo i bianchi sanno darti confidenza pur schifandoti, loro e, più in generale, gli uomini con le donne. “Fammi passare fra. Fammi passare, ci metto un secondo”
“Sta’ indietro”, lo ammonisco, “e porta rispetto, che hai appena finito di sporcare il letto col piscio per macchiarlo di…”
“E quanto parli?”, mi interrompe. “Voglio solo dare questa a Rebecca”
Tira fuori un piccolo oggetto dalla tasca della felpa. “Ti prego, dagliela quando hanno finito di mangiare. Se gliela dai me ne vado”.
È una busta. L’afferro senza dire nulla.
“Allora gliela dai?”.
Annuisco controvoglia. Dietro di lui, la fila per il ristorante si è intensificata. Ilaria e Jenny controllano le prenotazioni e fanno ricorso a tutta la pazienza possibile per mandare via chi non ne ha una. Chi più di tutti non può entrare intasa il traffico con i propri lamenti. Le spesse vetrate tengono fuori le urla dei fan, rimandando solo l’immagine di bocche spalancate e di striscioni fatti con lenzuola. Su uno c’è scritto, a lettere maiuscole, ‘tutto per noi’. I gruppetti che lo reggono ai lati impediscono di decifrare se la scritta ha un inizio o un seguito. Gli scatti di Matilde ipnotizzano i primi avventori, i fortunati che sono riusciti a fare blocco appena dopo la porta, ma lei non è rivolta verso di loro, verso di noi, verso lo striscione o verso quelli che l’aspettano fuori: indifferente a tutto, sta fotografando i piatti che ha ordinato. Sofia e Aurora si stanno dedicando solo a loro, le star. Aurora ha fatto bene a chiamare sul campo tutti i dipendenti di Pescaurìa, anzi, forse per la giornata di oggi avrebbe dovuto ricorrere ai rinforzi estivi. Matilde ha ordinato il menù completo.
Sulla schiena mi tocca una mano fredda, sobbalzo. Mi giro indispettito, pronto a buttare fuori l’insopportabile ragazzino, quando abbasso lo sguardo sui ricci di Aurora.
“Vieni in cucina”, sillaba, si tira la manica bianca della camicia sul polso e s’incammina alla mia destra. Pablo mi fa un cenno di assenso. Dopo aver chiuso il portone di ingresso ed esserci liberati delle gemelle e del ragazzino la pressione sul centro del ristorante è molto minore. Seguo Aurora affrettando il passo, scrutando la situazione al tavolo della cantante. Ci sono già diverse portate: spaghetti con le vongole, fritto misto, la spigola marinata nell’arancio con mandorle e maggiorana. Le posate sono ancora immobili sui tovaglioli, nonostante le braccia di Matilde abbiano un gran daffare in mezzo ai piatti. Sarà almeno mezz’ora che sta fotografando. Li sposta per elaborare composizioni sempre diverse. Sono quasi entrato in cucina quando incrocio lo sguardo di Rebecca, la figlia. Non ha ancora nove anni, la pelle è più chiara di quella che appare nelle fotografie. Dalla coda tirata stretta non fuoriesce nemmeno un capello. Nei suoi occhi luccica la fiamma della gola. Ha fame.
Il vapore della cucina mi colpisce all’improvviso, arretro per il terrore di sudare e uscire con gli aloni sotto le braccia. Aurora è al mio fianco, non ha nemmeno una gocciolina sulla fronte alta, nessuna sbavatura sulle sopracciglia disegnate a matita.
“Come al solito hai tutto sotto controllo”.
Aurora alza le spalle. “Invece sono parecchio nervosa”
“Non sembra. Comunque ti aiuto io”
“La signora Re ha ordinato anche il polpo alla catalana. Non riesco a trasportarlo da sola, ho paura che Sofia si sbilanci”, la richiesta e l’incertezza della voce di Aurora mi sorprendono, non la sta raccontando tutta. Abbassa lo sguardo, presa in fallo dalla mia perplessità. “Ok. La cantante ha chiesto di te. Come cameriere. Dice che sei fotogenico”.
Detesto il senso di importanza che mi provoca questa scoperta. Non mi interessa niente dei social. Non ascolto la musica, non mi piace avere le canzoni sempre in testa quando voglio stare concentrato su altro. Eppure, una famiglia da milioni di seguaci è nel ristorante dove lavoro. E vuole essere servita da me.
“Sorridi di meno che mi accechi coi denti”, commenta Aurora, ma si vede che è divertita. Forse Matilde l’ha già fotografata.
Il polpo è una delle poche pietanze che serviamo sui piatti in vetro trasparente, con elaborate fantasie tutte curve in rilievo. Sofia mi aspetta, in mano ha una delle bottiglie fatte stagionare in fondo al mare, col dorso graffiante di sabbia e conchiglie.
“Non dire niente”, si raccomanda, dalla bocca esce più fiato che suono. “Neanche il nome del piatto. Disturbi la sua concentrazione”.
Quando torniamo nel salone colleghi, clienti e fan si sono zittiti. Matilde e Rebecca stanno mangiando. Il cellulare ha smesso di scattare ma è rimasto con loro, sospeso sopra un cavalletto portatile. La cover blu attorno all’obiettivo mi fa pensare sia all’occhio sia al ventre di una balena. Matilde sta spiluccando con la forchetta delle fette di pesce. Rebecca sta mangiando patatine fritte. Ne prende tre o quattro insieme, le immerge nella salsa ketchup e le ingoia, leccandosi poi il sale dai polpastrelli.
“Non ci sono spine”, dico a Matilde. Sofia allarga gli occhi, ma la cantante non sembra essere scocciata dal mio intervento.
“Lo so. Mi piace moltissimo la presentazione dei vostri piatti”, sorride. “Guarda Rebecca, il polipo”
“Che bello, non vedevo l’ora. È il mio piatto preferito!”, grida la bambina con entusiasmo. Ha una dizione impeccabile, sembra uscita dritta dal mio cellulare. Sofia mi lascia il vassoio per fare ordine sul tavolo. Gli antipasti e i primi sono intonsi.
“Potete portare pure via tutto”, dice Matilde, portandosi alla bocca il tovagliolo. Non lo sfiora nemmeno con le labbra. “Siamo a posto”.
Sofia non dice nulla e prende i piatti dal tavolo. Appoggio il vassoio. Lo sguardo di Rebecca scivola sulla pasta e gli spiedini di pesce, sconsolato.
“Anche le patatine”, aggiunge sua madre. “Se no Rebecca si riempie e non riesce a mangiare il pesce”.
Sofia mi vede esitare e afferra per prima il piatto della bambina. Rebecca non dice niente, tira leggermente in fuori il labbro inferiore. Ne avrebbe mangiate altre. Le servo un po’ di pesce su un piatto intonso mentre si porta il bicchier d’acqua alla bocca. Attraverso il bicchiere sembra avere un naso enorme. Un altro morso della fotocamera, Matilde le ha scattato una foto. Valuto l’area di ripresa e mi chiedo se abbia inquadrato anche il mio braccio.
“Grazie”, ci congeda “qui è tutto buonissimo”. Sofia mette a posto la candela al centro del tavolo e le sorride.
“Grazie a lei”.
Ci allontaniamo dal tavolo col cuore in gola quando mi ricordo della busta del ragazzino. Mentre Sofia va da Aurora a raccontarle come sta procedendo il pranzo, mi apparto in bagno e tiro fuori la lettera dalla busta. È un foglio a quadretti, strappato da un quaderno ad anelli. Nella grafia obliqua e sperimentale che si ha alle medie, c’è scritta una richiesta oscena.





PP space ~

Deep Fake è un romanzo concluso già da quattro anni e presenta dei difetti dal punto di vista della trama, ma anche degli impreziosimenti che oggi so fare parte del mio stile e del mio modo di vedere il mondo.
La parabola degli influencers ha assunto nell'ultimo periodo contorni anche inaspettati, come il caso Pandoro e la frustrazione del pubblico per il mondo Supplied. La mia opera, da questo punto di vista, non sembra datata ma anzi anticipatoria della surrealtà che circonda certi ambienti e delle conseguenze sui minori. Mi viene da pensare a "Silvio", il nuovo cane di Fedez, che prende il nome della possibile nuova fiamma della moglie e che viene presentato sui social insieme ai bambini, dal volto coperto per evitare controversie legali nella separazione ma veri e propri personaggi della narrazione in rete dei genitori. Nel frattempo, le problematiche date dai deepfakes procedono, e sempre più donne insorgono contro di essi, in particolare questi giorni in Corea del Sud.
Penso che le piattaforme internet "dal basso" siano adatte alla pubblicazione del romanzo, anche se magari non sarà letto per intero da nessuno al di là di mia madre, la giuria del Premio Calvino e una squadra di beta reader a cui mi sono rivolta. Spero che sarò costante nella pubblicazione EFP dei suoi capitoli e delle opere successive, e anche che scrivere, dato che personalmente sto passando un periodo spiacevole, possa continuare a darmi conforto, speranza e autostima.
  
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