Capitolo 15
Clitemnestra
Clitemnestra
Novembre
I freni del taxi non avevano ancora finito di stridere quando Max spalancò la portiera e si slanciò all’esterno. Imprecò sottovoce contro i tacchi che aveva deciso di indossare quella sera e le impedivano di salire nell’appartamento alla velocità che avrebbe voluto.
Sentì Elias che pagava l’autista, ma non aspettò di sentire le portiere chiudersi e si diresse rapidamente verso l’ascensore. Pigiò sul pulsante di chiamata una volta, poi un’altra e un’altra ancora e un’altra, fino a che le porte si aprirono con un ding davanti ai suoi occhi.
Si infilò all’interno e schiacciò il numero del suo piano.
«Max!» gridò Elias. La sua voce riecheggiò nell’atrio insieme al rumore delle sue suole che sbattevano sul marmo del pavimento. La raggiunse in tempo per vedere lo sguardo inceneritore che lei gli rivolse, poi le porte si richiusero, separandoli. L’ascensore si sollevò, accompagnato dal verso di frustrazione che Elias emise dall’esterno.
Il ragazzo dovette fare i gradini a due a due, perché Max se lo ritrovò davanti all’arrivo. Ne vide prima i capelli scompigliati che cadevano sul suo volto piegato verso il basso. La corsa gli aveva mozzato il respiro e si era fermato con le mani sulle ginocchia, ansimante. Quando lui alzò il capo, Max notò che anche il suo sguardo mandava saette.
«Vuoi dirmi che cazzo ti prende?» le sbottò in faccia.
Lei lo superò e si diresse verso la porta del loro appartamento. Si era assicurata di avere le chiavi in borsa mentre litigavano in taxi. Cercò di infilare quella giusta nella serratura, ma si accorse che, come al solito, l’aveva sbagliata. Si erano trasferiti da un paio di mesi e ancora si confondeva.
Il palmo aperto di Elias sbatté contro la porta, davanti al suo viso. Max si voltò per fronteggiarlo. «Vogliamo parlare di come hai detto a metà degli invitati che hai una fidanzata complessata con problemi nel rapporto con la madre?»
«Non ho mai usato quelle parole».
La ragazza riuscì a trovare la chiave giusta e spalancò la porta, entrando nell’appartamento buio. Abbandonò la giacca sull’appendiabiti dell’ingresso e prese a slacciarsi i tacchi. Elias entrò subito dopo di lei, richiudendosi la porta alle spalle.
«Il fatto che io non vada d’accordo con mia madre, non significa che ci sia un grande complesso dietro. Abbiamo solo caratteri incompatibili».
«Non credevo fosse un segreto» ribatté lui, superandola e dirigendosi verso la piccola cucina sulla sinistra.
Max lasciò i tacchi accanto all’appendiabiti e si diresse a destra, verso il salotto. «Non lo è, infatti. Ma tu hai ingigantito tutto, come fai sempre».
Si gettò sul divano e abbandonò il capo contro lo schienale. Sentì i passi di Elias avvicinarsi e lo vide comparire sulla soglia della stanza.
«Ora sei tu che stai esagerando» le disse, puntandole l’indice contro.
Max si raddrizzò e incrociò le gambe sotto di sé. «Oh, starei esagerando? Ti rendi conto che sei tu quello che mi ha fatto apparire come una pazza di fronte a quello stronzo? Uno stronzo che, tra l’altro, era uno scrittore».
Elias alzò gli occhi al cielo. «E quindi?»
«Be’, lo sai che gli scrittori sono sempre a caccia di storie, non hai resistito. Hai dovuto creare il meraviglioso racconto dei due giovani dal passato difficile. Quello che è scappato di casa a diciotto anni e la sua complessata ragazza».
«Perché cazzo devi dire così?» Elias entrò nel salotto, incrociò le braccia al petto, nervoso, poi cambiò idea e si mise a camminare avanti e indietro. Si bloccò e le rivolse ancora l’indice. «Hai bevuto troppo, come al solito. E scusa, se ho cercato di dare peso ai tuoi sentimenti. Forse sei solo una ragazzina viziata che ingigantisce i propri problemi».
Max scattò in piedi. «È proprio questa la questione!» esplose. «Credi che ogni persona, per essere interessante, debba avere una cicatrice dentro di sé, altrimenti sono solo dei noiosi borghesi indegni della tua attenzione».
Lo superò a grandi passi, dirigendosi verso la cucina. Improvvisamente, aveva voglia di un bicchiere d’acqua. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che lui la stava seguendo. Aprì il frigorifero ed estrasse una bottiglia. «Quasi ti vergognassi della mia banalità — una normale ragazza amata dai genitori, anche se non sempre va d’accordo con loro — hai dovuto inventare una storia senza senso per far credere a tutti che fossi più intrigante». Prese un bicchiere dalla mensola a vista e lo riempì fino all’orlo, continuando a parlare: «Non ho bisogno di una backstory tragica per interessare alle persone, grazie».
Elias si era appoggiato con una spalla allo stipite della porta e il suo volto era contratto in una smorfia. «Oh giusto, per attirare l’attenzione ti basta sbattere le ciglia a qualche fotografo e rivolgergli paroline dolci, no?»
Max terminò di deglutire l’acqua e lasciò cadere rumorosamente il bicchiere nel lavandino. «Che cosa stai insinuando?»
«Lo sai perfettamente. Ho visto come guardavi quel coglione».
Lei lo fissò con gli occhi sgranati, prima di scoppiare a ridere. «Io?» chiese tra una risata e l’altra. «Quel fotografo era molto molto simpatico e anche il suo fidanzato, che è stato con noi tutto il tempo. Vogliamo parlare della modella con cui sei sparito sulla terrazza a metà della festa?». Lo sguardo di Max si fece glaciale. «Mi sono sentita umiliata».
«Quindi ora si definisce “umiliazione” il non essere al centro dell’attenzione?».
Lei strinse i denti. «C’è una differenza tra l’egocentrismo e il non voler essere traditi».
Fu il turno di Elias di ridere. Una risata secca, ruvida. «Quindi per tradirti basta andare su una terrazza ad una festa con un centinaio di invitati. Molto credibile, neanche fossi andato in un’altra stanza».
Max sollevò le sopracciglia e assunse un falso tono accondiscendente. «Ah, vuoi dire come hai fatto invece con quella rossa al compleanno di Arthur, due settimane fa?»
Elias sospirò. «Ti ho detto che c’era una cosa che dovevo farle vedere».
Lei si finse pensierosa. «Mm, lasciami indovinare, qualcosa nelle tue mutande?»
«Vaffanculo, Max» ribatté lui e uscì dalla stanza.
La ragazza lo seguì e vide che si stava rimettendo la giacca in ingresso. Lui si voltò a guardarla. «Non ha senso discutere con te ora, sei ubriaca».
«Anche tu, coglione» rispose lei.
Elias scosse il capo e uscì, sbattendo la porta.
Max aveva appena cominciato a scaldarsi sotto alle coperte — non aveva avuto la forza di infilarsi il pigiama dopo essersi tolta il vestito — quando sentì la porta della camera da letto aprirsi scricchiolando. Socchiuse gli occhi e vide l’ombra di Elias proiettata sulla parete di fronte a lei grazie alla luce che filtrava dalle tende aperte. L’ombra si spogliò e lasciò gli abiti sulla poltrona in un angolo della stanza.
Elias sollevò il piumino e un’aria gelida fece accapponare la pelle nuda di Max. Il materasso si piegò leggermente mentre lui si stendeva alle sue spalle. Lei non si mosse. Lo sentì sospirare. Non passò molto tempo prima che lui ricominciasse a muoversi. Max percepì le sue dita che le sfioravano la schiena nuda. Il suo tocco era delicato, esitante. La accarezzava, poi si ritraeva e attendeva, con il fiato sospeso, come aspettandosi una replica contrariata. Continuò così fino a quando la ragazza si mise con la pancia in su e si voltò a guardarlo. Elias era steso su un fianco e la fissava. Max riusciva a distinguere il suo volto nella penombra. Gli prese la mano che aveva abbandonato sul materasso, se la portò alle labbra e la baciò.
Elias le accarezzò il viso con quella mano, poi scese sul suo collo, sulla spalla e giù fino al fianco. Max strisciò verso di lui e si allungò per baciarlo sulle labbra. La mano di Elias tornò su e si infilò nei suoi capelli. Senza smettere di baciarsi, la ragazza sollevò una gamba e si mise a cavalcioni su di lui. Poi si raddrizzò per poterlo guardare in faccia. I suoi occhi ne studiarono il naso dritto, gli zigomi alti, i capelli spettinati sul cuscino come un’aureola scura. Si chinò, lo baciò su una guancia, sull’altra, poi tornò dritta, spostando le mani sul petto di lui.
«Perché il nostro amore fa così male?» gli sussurrò.
Elias dischiuse le labbra. Le sue pupille dilatate tremarono. «Perché a noi piace così. Non lo vorremmo in nessun altro modo».
Max si lasciò cadere su di lui, accasciandosi contro il suo petto e appoggiando il capo sul cuscino, tra i capelli scuri di lui di cui riconosceva il profumo ormai familiare.
«Non sono sicura che l’amore dovrebbe fare male» mormorò.
Sentì che le braccia di Elias la stringevano in un abbraccio e la premevano contro il suo petto. «Non saprei, Max. Non sono mai stato innamorato prima di te. Questo è l’unico amore che conosco».
Lei deglutì e soffocò le lacrime, esausta.
Sentì Elias che pagava l’autista, ma non aspettò di sentire le portiere chiudersi e si diresse rapidamente verso l’ascensore. Pigiò sul pulsante di chiamata una volta, poi un’altra e un’altra ancora e un’altra, fino a che le porte si aprirono con un ding davanti ai suoi occhi.
Si infilò all’interno e schiacciò il numero del suo piano.
«Max!» gridò Elias. La sua voce riecheggiò nell’atrio insieme al rumore delle sue suole che sbattevano sul marmo del pavimento. La raggiunse in tempo per vedere lo sguardo inceneritore che lei gli rivolse, poi le porte si richiusero, separandoli. L’ascensore si sollevò, accompagnato dal verso di frustrazione che Elias emise dall’esterno.
Il ragazzo dovette fare i gradini a due a due, perché Max se lo ritrovò davanti all’arrivo. Ne vide prima i capelli scompigliati che cadevano sul suo volto piegato verso il basso. La corsa gli aveva mozzato il respiro e si era fermato con le mani sulle ginocchia, ansimante. Quando lui alzò il capo, Max notò che anche il suo sguardo mandava saette.
«Vuoi dirmi che cazzo ti prende?» le sbottò in faccia.
Lei lo superò e si diresse verso la porta del loro appartamento. Si era assicurata di avere le chiavi in borsa mentre litigavano in taxi. Cercò di infilare quella giusta nella serratura, ma si accorse che, come al solito, l’aveva sbagliata. Si erano trasferiti da un paio di mesi e ancora si confondeva.
Il palmo aperto di Elias sbatté contro la porta, davanti al suo viso. Max si voltò per fronteggiarlo. «Vogliamo parlare di come hai detto a metà degli invitati che hai una fidanzata complessata con problemi nel rapporto con la madre?»
«Non ho mai usato quelle parole».
La ragazza riuscì a trovare la chiave giusta e spalancò la porta, entrando nell’appartamento buio. Abbandonò la giacca sull’appendiabiti dell’ingresso e prese a slacciarsi i tacchi. Elias entrò subito dopo di lei, richiudendosi la porta alle spalle.
«Il fatto che io non vada d’accordo con mia madre, non significa che ci sia un grande complesso dietro. Abbiamo solo caratteri incompatibili».
«Non credevo fosse un segreto» ribatté lui, superandola e dirigendosi verso la piccola cucina sulla sinistra.
Max lasciò i tacchi accanto all’appendiabiti e si diresse a destra, verso il salotto. «Non lo è, infatti. Ma tu hai ingigantito tutto, come fai sempre».
Si gettò sul divano e abbandonò il capo contro lo schienale. Sentì i passi di Elias avvicinarsi e lo vide comparire sulla soglia della stanza.
«Ora sei tu che stai esagerando» le disse, puntandole l’indice contro.
Max si raddrizzò e incrociò le gambe sotto di sé. «Oh, starei esagerando? Ti rendi conto che sei tu quello che mi ha fatto apparire come una pazza di fronte a quello stronzo? Uno stronzo che, tra l’altro, era uno scrittore».
Elias alzò gli occhi al cielo. «E quindi?»
«Be’, lo sai che gli scrittori sono sempre a caccia di storie, non hai resistito. Hai dovuto creare il meraviglioso racconto dei due giovani dal passato difficile. Quello che è scappato di casa a diciotto anni e la sua complessata ragazza».
«Perché cazzo devi dire così?» Elias entrò nel salotto, incrociò le braccia al petto, nervoso, poi cambiò idea e si mise a camminare avanti e indietro. Si bloccò e le rivolse ancora l’indice. «Hai bevuto troppo, come al solito. E scusa, se ho cercato di dare peso ai tuoi sentimenti. Forse sei solo una ragazzina viziata che ingigantisce i propri problemi».
Max scattò in piedi. «È proprio questa la questione!» esplose. «Credi che ogni persona, per essere interessante, debba avere una cicatrice dentro di sé, altrimenti sono solo dei noiosi borghesi indegni della tua attenzione».
Lo superò a grandi passi, dirigendosi verso la cucina. Improvvisamente, aveva voglia di un bicchiere d’acqua. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che lui la stava seguendo. Aprì il frigorifero ed estrasse una bottiglia. «Quasi ti vergognassi della mia banalità — una normale ragazza amata dai genitori, anche se non sempre va d’accordo con loro — hai dovuto inventare una storia senza senso per far credere a tutti che fossi più intrigante». Prese un bicchiere dalla mensola a vista e lo riempì fino all’orlo, continuando a parlare: «Non ho bisogno di una backstory tragica per interessare alle persone, grazie».
Elias si era appoggiato con una spalla allo stipite della porta e il suo volto era contratto in una smorfia. «Oh giusto, per attirare l’attenzione ti basta sbattere le ciglia a qualche fotografo e rivolgergli paroline dolci, no?»
Max terminò di deglutire l’acqua e lasciò cadere rumorosamente il bicchiere nel lavandino. «Che cosa stai insinuando?»
«Lo sai perfettamente. Ho visto come guardavi quel coglione».
Lei lo fissò con gli occhi sgranati, prima di scoppiare a ridere. «Io?» chiese tra una risata e l’altra. «Quel fotografo era molto molto simpatico e anche il suo fidanzato, che è stato con noi tutto il tempo. Vogliamo parlare della modella con cui sei sparito sulla terrazza a metà della festa?». Lo sguardo di Max si fece glaciale. «Mi sono sentita umiliata».
«Quindi ora si definisce “umiliazione” il non essere al centro dell’attenzione?».
Lei strinse i denti. «C’è una differenza tra l’egocentrismo e il non voler essere traditi».
Fu il turno di Elias di ridere. Una risata secca, ruvida. «Quindi per tradirti basta andare su una terrazza ad una festa con un centinaio di invitati. Molto credibile, neanche fossi andato in un’altra stanza».
Max sollevò le sopracciglia e assunse un falso tono accondiscendente. «Ah, vuoi dire come hai fatto invece con quella rossa al compleanno di Arthur, due settimane fa?»
Elias sospirò. «Ti ho detto che c’era una cosa che dovevo farle vedere».
Lei si finse pensierosa. «Mm, lasciami indovinare, qualcosa nelle tue mutande?»
«Vaffanculo, Max» ribatté lui e uscì dalla stanza.
La ragazza lo seguì e vide che si stava rimettendo la giacca in ingresso. Lui si voltò a guardarla. «Non ha senso discutere con te ora, sei ubriaca».
«Anche tu, coglione» rispose lei.
Elias scosse il capo e uscì, sbattendo la porta.
Max aveva appena cominciato a scaldarsi sotto alle coperte — non aveva avuto la forza di infilarsi il pigiama dopo essersi tolta il vestito — quando sentì la porta della camera da letto aprirsi scricchiolando. Socchiuse gli occhi e vide l’ombra di Elias proiettata sulla parete di fronte a lei grazie alla luce che filtrava dalle tende aperte. L’ombra si spogliò e lasciò gli abiti sulla poltrona in un angolo della stanza.
Elias sollevò il piumino e un’aria gelida fece accapponare la pelle nuda di Max. Il materasso si piegò leggermente mentre lui si stendeva alle sue spalle. Lei non si mosse. Lo sentì sospirare. Non passò molto tempo prima che lui ricominciasse a muoversi. Max percepì le sue dita che le sfioravano la schiena nuda. Il suo tocco era delicato, esitante. La accarezzava, poi si ritraeva e attendeva, con il fiato sospeso, come aspettandosi una replica contrariata. Continuò così fino a quando la ragazza si mise con la pancia in su e si voltò a guardarlo. Elias era steso su un fianco e la fissava. Max riusciva a distinguere il suo volto nella penombra. Gli prese la mano che aveva abbandonato sul materasso, se la portò alle labbra e la baciò.
Elias le accarezzò il viso con quella mano, poi scese sul suo collo, sulla spalla e giù fino al fianco. Max strisciò verso di lui e si allungò per baciarlo sulle labbra. La mano di Elias tornò su e si infilò nei suoi capelli. Senza smettere di baciarsi, la ragazza sollevò una gamba e si mise a cavalcioni su di lui. Poi si raddrizzò per poterlo guardare in faccia. I suoi occhi ne studiarono il naso dritto, gli zigomi alti, i capelli spettinati sul cuscino come un’aureola scura. Si chinò, lo baciò su una guancia, sull’altra, poi tornò dritta, spostando le mani sul petto di lui.
«Perché il nostro amore fa così male?» gli sussurrò.
Elias dischiuse le labbra. Le sue pupille dilatate tremarono. «Perché a noi piace così. Non lo vorremmo in nessun altro modo».
Max si lasciò cadere su di lui, accasciandosi contro il suo petto e appoggiando il capo sul cuscino, tra i capelli scuri di lui di cui riconosceva il profumo ormai familiare.
«Non sono sicura che l’amore dovrebbe fare male» mormorò.
Sentì che le braccia di Elias la stringevano in un abbraccio e la premevano contro il suo petto. «Non saprei, Max. Non sono mai stato innamorato prima di te. Questo è l’unico amore che conosco».
Lei deglutì e soffocò le lacrime, esausta.
***
Max sentiva l’acqua calda intorno al suo corpo, la ceramica liscia della vasca e il profumo avvolgente della schiuma. Teneva il capo appoggiato alle mattonelle della parete, con le palpebre abbassate e la mente leggera. Aiutava alla tranquillità la penombra della stanza, rischiarata da alcune candele e dalla pallida luce dei lampioni nella strada al di sotto.
Ciò che le impediva di rilassarsi completamente, erano gli sbuffi e i sospiri che sentiva al suo fianco.
Socchiuse gli occhi e lanciò un’occhiata a Elias. Il ragazzo stava appollaiato su una sedia di legno, che aveva portato dalla cucina, e piegato sulla soglia. Sfruttando la luce di una candela, scarabocchiava su alcuni foglietti e sul pavimento intorno a lui si erano accumulati quelli che, con uno sbuffo di frustrazione, aveva lanciato a terra.
Appallottolò l’ennesimo e lo lanciò, centrando pieno la vasca. Max glielo rispedì indietro e lui sobbalzò, spostando lo sguardo verso di lei.
«So che sei una fase artistico-produttiva, ma io ho avuto una giornata stressante e sto cercando di rilassarmi» gli disse storcendo il naso.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, sollevando i ricci dalla fronte.
«Sono bloccato». Allungò una gamba a terra, spostando con il piede i fogli intorno alla sedia.
Max fece un cenno di assenso e tornò ad appoggiare la nuca sulle piastrelle, chiudendo gli occhi.
«Non riesco a scrivere il monologo della moderna Clitemnestra. Eric mi ha chiesto di lavorarci».
«Ed è importante?» domandò lei.
Sentì dei movimenti al suo fianco e immaginò che Elias avesse cambiato posizione sulla sedia, inquieto.
«A dir poco. Il problema è che… Clitemnestra appare cattiva dalle sue azioni, ma questo monologo deve far capire al pubblico quali siano le vere motivazioni».
Max piegò il capo verso di lui e sollevò le palpebre. Elias si accorse di aver catturato la sua attenzione e proseguì: «Vedi, lei è la prima donna “virile”, la prima donna che osa prendere in mano un’arma, cosa strettamente legata all’ambiente maschile. Lei è una donna troppo forte per essere una donna».
Si bloccò un istante, come se qualcosa gli avesse attraversato la mente e si piegò per segnare qualcosa su un nuovo foglio. Poi alzò gli occhi, guardò fuori dalla finestra, il buio o forse il suo riflesso, ma scosse il capo e tornò a rivolgersi a Max.
«Tu sei una donna. E sei forte. Dimmi cosa si prova».
Max rise sommessamente e mosse l’acqua intorno a sé, facendo ondeggiare la schiuma.
«Credevo che fossi tu quello che deve vivere tutte le gioie e le sofferenze dell’essere umano.»
Lui scrollò le spalle. «Io sono un uomo che ha sempre voluto poter essere debole. Non di certo la persona adatta per parlare di una donna virile».
Max fissò lo sguardo nelle piastrelle di fronte a sé, poi scivolò in avanti, immergendosi fino a che il suo mento sfiorò l’acqua.
«C’è una sensazione che provo fin da quando sono piccola, che non saprei bene come descrivere. È come una tensione, costante e perenne, in qualsiasi cosa io faccia. Come se avessi un certo punto, un certo traguardo che devo raggiungere prima di essere presa sul serio».
«Credi sia così per tutte le donne?»
Lei scrollò le spalle, facendo scrosciare l’acqua.
«Non lo so. Per me è cominciato quando è nato mio fratello».
Elias annuì, scrutandola. Max sentiva che le stava frugando l’anima, che stava cercando di capirla, analizzarla, sezionandola e ricomponendola, come un artista.
«In che senso?» le chiese. Nella penombra della stanza, i suoi occhi rilucevano, in contrasto con i capelli corvini arruffati.
Il rumore di una sirena in lontananza riempì per una manciata di secondi lo spazio, prima di farli ripiombare nel silenzio della stanza.
Max prese un respiro profondo e ispirò i profumi aromatici degli oli che aveva mischiato nell’acqua. «Qualsiasi cosa facesse mio fratello era già abbastanza. Per me non è mai stato così. Ero sempre troppo disordinata, troppo rumorosa, troppo sbrigativa, troppo agitata, e per tutta la mia vita mi sono sentita in difetto perché non riuscivo a raggiungere quel livello che era considerato accettabile».
«E quindi cosa hai fatto?»
«Ho smesso di provarci. È stato liberatorio, ma anche distruttivo. Credo che mia mamma mi disprezzi. Non ho un rapporto con mio fratello e mio papà cerca di tenere i fili insieme a fatica. Se fossi rimasta in Italia sarei impazzita, ma a volte penso a tutto quello a cui ho rinunciato per essere qui. Un rapporto con la mia famiglia, le mie amicizie…»
«Ma ne vale la pena, no? Hai una carriera fantastica, Max, e sei davvero brava in quello che fai».
Lei si strinse nelle spalle e piegò la testa all’indietro, appoggiando la nuca sulla ceramica della vasca.
«Forse. Oppure, forse, una carriera è solo un lavoro che ti permette di mantenerti e niente di più».
«La carriera ci fa sentire realizzati, no?» replicò Elias. «Ho fatto tante cazzate nella vita, ma lavorare in teatro mi fa pensare che ne sia valsa davvero la pena. Non è così anche per te?».
Max non rispose. Scivolò lungo la vasca fino ad arrivare a sfiorare l’acqua con il mento e rimase in silenzio, lasciando che i suoi pensieri si dissolvessero come oli profumati nell’acqua.
Ciao!
Questi ultimi capitoli mi stanno mettendo un po' alla prova e spero che non risultino troppo confusi o frettolosi. Ci stiamo avvicinando sempre di più al presto e, presto, ricomincerete a vedere un'altra immagine all'inizio del capitolo ;)
Grazie di cuore a chi è arrivato fin qui, in particolare Antagonista e EleAB98. Le vostre parole sono molto importanti per me <3
Grazie anche ai lettori silenziosi che mi hanno seguita fino a questo punto <3
A presto,
M.