Il dolore che unisce
Capitolo 1
James Gordon era solo questa volta.
Quando aveva detto a Barnes che non sarebbe subito tornato al lavoro, dopo l'arresto di Nygma, aveva immaginato che avrebbe percorso una strada oscura e solitaria, ma non immaginava certo ciò che gli sarebbe successo davvero.
Dopo giorni trascorsi a raccogliere informazioni sulla Dama, stava aspettando l'arrivo di Harvey che si era offerto di aiutarlo e invece, una volta aperta la porta del suo appartamento, si era trovato davanti Barbara Kean.
La sua ex era evidentemente uscita da Arkham, anche se Jim non aveva idea di come fosse potuto accadere, né di quale fosse il suo stato mentale attuale.
Ritrovarsela improvvisamente davanti bastò a riportargli alla mente quella fatidica notte di diversi mesi prima in cui era quasi morto per mano sua e, soprattutto, aveva quasi perso Lee.
Lee, la persona che amava e che era stato sul punto di sentire appena qualche giorno prima, prendendo il suo nuovo numero dal biglietto che Barnes aveva insistito per lasciargli.
E lei aveva effettivamente risposto alla sua telefonata, ma la sua nuova missione aveva preso il sopravvento insieme alla consapevolezza che non avrebbe dovuto coinvolgerla di nuovo, non finché il caso Wayne era ancora aperto.
Era qualcosa di grosso, troppo grosso per far tornare la sua amata nella sua vita e sperare che entrambi ne uscissero illesi.
…sempre se lei lo stesse ancora aspettando.
Jim l'aveva pregata, quando era stato portato a Black Gate, di andare avanti, di dimenticarlo, e poi lei aveva perso il bambino.
Era stato un dolore indicibile per lui, e immaginava che per lei fosse stato ancora peggio, eppure non aveva provato a contattarla in nessun modo.
E neanche in quell'occasione, quando lei aveva risposto alla sua telefonata, aveva trovato il coraggio di parlarle, di dirle anche solo una parola, anche solo per farle capire che si trattava di lui.
No, perché il dolore e il senso di colpa lo avevano trattenuto… ma principalmente era stata la sua intenzione di chiudere il caso Wayne prima di provare a ricucire rapporti con lei a prevalere.
E adesso che Jim aveva di fronte Barbara Kean, apparentemente calma e pentita, era felice di non aver coinvolto di nuovo Lee nella sua vita. Già, perché chissà cosa avrebbe potuto fare sapendoli di nuovo insieme, o ritrovandoseli davanti, insieme in quell'appartamento e in quello stesso momento.
Non credette nemmeno per un istante che Barbara fosse cambiata, quindi le disse di nuovo addio sperando che fosse davvero l'ultima volta.
Rivederla, però, gli fece capire che non poteva contare su nessuno. Non aveva alleati, nemmeno Harvey, perché appoggiarsi a qualcuno significava metterlo in un potenziale pericolo qualora Barbara avrebbe fatto la sua mossa successiva.
E lui non poteva permettere che succedesse. Dopotutto, sapeva sin dall'inizio che la sua sarebbe stata una battaglia oscura e solitaria, quindi tanto valeva attenersi al piano.
“Ti farai ammazzare, Jimbo,” aveva commentato Harvey Bullock, al suo tentativo di chiudere la loro collaborazione quella sera dopo avergli propinato delle scuse.
Harvey doveva aver intuito che non si trattava delle sue vere preoccupazioni, e che il suo problema era soltanto Barbara, ma non commentò oltre. Lo aveva visto, però, precipitarsi nell'appartamento con l'affanno dopo averla incrociata sul pianerottolo, quindi anche lui doveva essere consapevole dell'effetto che la donna aveva su Jim.
Quantomeno dopo che aveva tentato di uccidere lui e la sua fidanzata.
Jim sottolineò che Harvey non poteva permettersi di fare niente di anche solo vagamente illegale, con Barnes a capo della polizia. Alla fine il suo amico cedette alla sua insistenza e lasciò il caso nelle sue mani, facendogli promettere però che lo avrebbe cercato in caso di necessità.
E Jim forse lo avrebbe fatto, perché sapeva bene che Harvey era un ottimo detective e anche un caro amico su cui contare, ma sperava che non si arrivasse a tanto.
E così riprese a raccogliere informazioni da solo.
La Dama. Sul suo conto si sapeva ben poco, ma dopo che gli aveva sguinzagliato contro tutti i suoi assassini nell'appartamento di Galavan era rimasta sola, o almeno così si poteva presumere.
Per trovarla, Jim interrogò con mezzi poco ortodossi tutti i criminali di Gotham che riuscì a rintracciare e che potevano aver avuto a che fare con lei. Non si risparmiò, sfogando su di loro tutta la rabbia e la frustrazione di quel periodo.
Doveva trovarla, perché sicuramente era collegata a Machis e a chi gli aveva commissionato l'assassinio dei coniugi Wayne. Questa volta non avrebbe seguito le vie della legge e non si sarebbe fermato per nulla al mondo.
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Oswald Cobblepot era da poco tornato in sé dopo un lungo periodo buio.
Era stato rinchiuso ad Arkham, quanto? Alcuni mesi? I suoi ricordi riguardo a quel periodo erano confusi.
Ma l'importante era che adesso era tornato quello di un tempo, anche se era accaduto nel peggiore dei modi.
Aveva conosciuto suo padre e poco dopo lo aveva perso, trovandosi a essere l'unico a piangere la sua scomparsa. Sua moglie Grace gli aveva concesso di restare nella grande casa di famiglia con lei e i figli, impiegandolo come servo a costo zero.
Oswald presto si era reso conto del fatto che il suo povero padre era morto a causa di un veleno datogli dalla moglie, ed era stata proprio questa scoperta a farlo rinsavire.
Suo padre era malato, ma non aveva così poco da vivere… inoltre aveva promesso di lasciargli tutto, ma non aveva fatto in tempo a ufficializzarlo. E quella donna, oltre a portargli via l'unico affetto che gli era rimasto, gli aveva portato via anche tutto il resto.
Oswald era stato l'ombra di se stesso, nel breve periodo passato a servire in casa sua. Era qualcosa di cui si vergognava.
E così, quando aveva compreso del veleno, aveva attuato la sua vendetta.
Aveva preparato a Grace il suo tanto agognato arrosto ed era rimasto a guardare, godendosi il momento che precedeva la rivelazione che ciò che stava mangiando non era altro che carne di… beh, dei suoi figli. E poi aveva ucciso anche lei.
La donna giaceva morta sul tavolo, lì dove lui l'aveva lasciata, e per il momento gli importava ben poco di liberarsi del corpo e ripulire.
Pinguino era tornato, anche se Gotham ancora non lo sapeva, e stava vivendo il lutto per suo padre a modo proprio, ovvero evitando di sbarazzarsi dei cadaveri di chi l’aveva ucciso e vivendo pigramente in quella casa, ora sua.
Solo dopo, quando decise che quel periodo di indolenza era durato anche troppo, contattò i suoi collaboratori più fidati di un tempo perché lo raggiungessero. Era consapevole che adesso lavoravano tutti quanti per Butch Gilzean, ma non riusciva a immaginarlo a capo della malavita di Gotham e anche per questo sperava che i suoi sottoposti passassero dalla sua parte. Dopotutto, Oswald intendeva tornare potente e derubare Butch del posto che, secondo lui, gli spettava di diritto.
Gabriel e Victor Zsasz lo raggiunsero presto, dichiarando che Butch era un mollaccione perdigiorno. Lui e la sua seconda in comando, ovvero Tabitha Galavan.
Il loro primo incarico, una volta giunti alla villa di Pinguino, fu quello di dare una pulita alla sala da pranzo.
Poi li mandò per le strade di Gotham in cerca di scagnozzi che intendessero voltare le spalle a Butch, in favore dei vecchi tempi in cui era lui a comandare e tutto andava per il meglio. Voleva stringere rapporti con loro, capire chi potesse essere interessato a passare dalla sua parte e quali informazioni gli avrebbero offerto, per aiutarlo a raggiungere il suo scopo.
E poi accadde l'inaspettato. Una sera, Gabe tornò alla villa portando con sé James Gordon, incosciente e ridotto male. Era nel territorio gestito direttamente da Butch quando lo aveva trovato, il che faceva pensare che qualcuno dei suoi si fosse divertito con lui. Ma che ci faceva lì e cos'era successo davvero?
Prima ancora di chiederselo, Oswald provò sentimenti contrastanti nel rivedere dopo tanto tempo il suo vecchio amico. Si accorse però di essere sollevato nel saperlo ancora vivo, malgrado fosse ridotto in quello stato, e decise che se ne sarebbe occupato lui.
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Quando Jim riaprì gli occhi si accorse di essere in una stanza che non conosceva. Si trattava di una camera da letto elegante e dall’aria antica, spaziosa persino.
Ma a parte questo, non poté ignorare il mal di testa, né quello al viso o al ventre. Apparentemente qualcuno lo aveva usato come sacco da box ma era stato anche ricucito e bendato a dovere. Ne ebbe la conferma quando scostò le coperte costose e sollevò la maglietta che non riconosceva, per esaminarsi i punti dolenti.
Dove era finito e come? Chi lo aveva medicato e cambiato?
I ricordi della sera prima erano confusi e distorti. Era uscito per le strade di Gotham perché intenzionato a trovare altre informazioni sulla Dama e qualcuno gli aveva dato il nome di un club in cui avrebbe potuto trovarla, ma poi erano stati raggiunti da altre persone. Criminali che non si erano limitati a mandarlo via, ma che si erano sfogati per bene su di lui.
Jim aveva l'impressione di essere fuggito nel tentativo di non farsi ammazzare, ritrovandosi ormai ferito e disarmato oltre che in inferiorità numerica. Poi doveva essere svenuto da qualche parte.
La casa in cui si trovava adesso pareva antica e ricca quanto quella di Bruce, nella quale non aveva mai visto le stanze da letto in effetti, ma era assurdo pensare che proprio il ragazzo o il suo maggiordomo lo avessero soccorso.
Sì, perché si trovava in una zona malfamata della città, a rischio di essere ucciso. Inoltre era ragionevole pensare che Bruce e Alfred lo avrebbero portato in ospedale, anziché alla villa.
Il mal di testa gli annebbiava la mente rendendogli difficoltoso ragionare, ma Jim non intendeva arrendersi. La cosa migliore da fare sarebbe stata alzarsi e indagare, ma il dolore al ventre e la sensazione dei punti che tiravano bastarono a dissuaderlo.
Non gli restava che aspettare di scoprire dove fosse finito e decidere il da farsi di conseguenza.
Quando, poco dopo, la porta si aprì, si sorprese di vedere una signora che non conosceva affatto. Era stato davvero soccorso da un buon samaritano passato di lì per caso, che lo aveva accolto in casa sua?
La donna sembrava una cameriera, quindi Jim decise di provare subito a scoprirlo.
“Dove mi trovo? Come sono finito qui?” le chiese, ma la donna, che si era sorpresa per un istante vedendo che era sveglio, tornò impassibile e non gli diede l'impressione di voler rispondere.
Che non lo capisse?
Uscì dalla porta e tornò qualche minuto dopo, con un carrellino su cui trasportava quella che sembrava una zuppa calda. Nel vederla, Jim si scoprì molto affamato. Mentre lei posava il vassoio per lui sulla scrivania della stanza, e Jim continuava a osservarla con mille domande per la testa, qualcun altro varcò la soglia attirando su di sé tutta la sua attenzione.
Oswald Cobblepot, con indosso una vestaglia costosa, che lo guardava con aria sorpresa.
“Oswald? Sei uscito da Arkham…” osservò Jim, dopo un attimo di esitazione.
Non si aspettava di rivederlo tanto presto.
Rispetto al solito, notò che sembrava molto stanco e che non gli stava rivolgendo un sorriso.
“James... Sì, è successo da poco. Ma a te piuttosto, cos’è capitato?” gli chiese, continuando a studiarlo con lo sguardo.
“Sono stato a Blackgate,” rivelò aspramente. “Accusato di aver ucciso un collega. Adesso indago per conto mio.”
Oswald fece cenno alla cameriera di uscire e poi rivolse un sorriso timido a Jim, quasi di circostanza, molto tiepido rispetto a quelli che era abituato a vedere sul suo viso, quando parlavano.
“Accusato ingiustamente, se ti conosco quanto credo.”
“Sì, ma quella questione è ormai chiusa. Che ci faccio qui? Perché non sono in ospedale?”
“Gabe ti ha trovato e ti ha portato da me. Non sapendo cosa ti fosse successo, ho preferito gestire la cosa con discrezione, chiamando un medico di mia conoscenza. Riesci ad alzarti e a mangiare da solo?”
“Credo di sì…” rispose, e fece uno sforzo per mettersi seduto.
Sforzo che gli costò fatica e dolore.
Mentre si tirava in piedi, Oswald rimase fermo a osservarlo a distanza, e quando Jim tornò rivolto verso di lui notò che il suo sguardo era spento. Cosa gli era successo in quel periodo? Era questo il risultato delle cure ricevute ad Arkham?
Ora che era in piedi, Jim si accorse di non sentire poi così male e riuscì a raggiungere la scrivania, dove si sedette. Insieme alla zuppa e a del pane ci trovò delle medicine e così, dopo averle notate, scoccò un’occhiata al padrone di casa.
“Quelle le ha lasciate il medico per te. Sono solo antidolorifici, puoi fidarti. Conoscendoti, ti basterà un po’ di riposo e sarai qui fuori in un attimo.”
Jim lo ascoltò senza ribattere, stranito dal suo comportamento. Dato che aveva fame, decise di non aspettare oltre e assaggiò una cucchiaiata di zuppa. Era buona.
Oswald rimase fermo un paio di secondi, poi fece per andarsene senza dirgli nulla.
“Oswald,” lo chiamò allora Jim, e lui arrestò il passo appena prima di uscire dalla porta. “Per quel che vale, mi spiace non aver fatto niente quando mi hai chiesto aiuto, ad Arkham. Ho visto come ti hanno ridotto… ma non c’era davvero niente che potessi fare.”
Il padrone di casa stirò le labbra in un sorriso, ancora una volta di circostanza.
“Non importa più, James. Non sapevo che fossi tornato, e comunque non ricordo molto di quel periodo,” disse, senza nessuna inflessione particolare nella voce, e lo lasciò solo.
Jim finì di mangiare e prese le medicine, riflettendo sulla loro conversazione e sul suo atteggiamento. Giunse alla conclusione che sì, era a causa di Arkham se lui era ridotto in quello stato. Allora forse era per questo che lo avevano dimesso, forse adesso era un uomo nuovo.
Presto Jim tornò a letto dove in poco tempo si addormentò, stremato.
Venne svegliato quando ormai era buio, dalla cameriera di prima che era arrivata con un altro carrello. La cena, dedusse. Non vide Oswald questa volta, quindi si limitò a mangiare in silenzio e tornò a dormire.
L’indomani si sentiva inaspettatamente meglio. Il mal di testa era sparito, e anche i movimenti si erano fatti meno difficoltosi, così andò nel bagno comunicante con la sua camera e tolse tutte le bende per controllare la situazione da solo.
Dopo aver deciso che non ne aveva più bisogno, si diede una lavata con l’intenzione di andarsene da lì, per tornare sulle tracce della Dama.
Scese al piano di sotto sperando di trovarci Oswald, altrimenti gli sarebbe sembrato di andarsene di nascosto come un ladro, e mentre si muoveva per quella casa apparentemente enorme si chiese dove caspita fosse finito. Quella non era la villa di Falcone.
“Buongiorno Jim,” lo accolse la voce piatta di Oswald, e voltandosi lui si accorse che si trovava in sala da pranzo.
“Dove siamo?” si decise a chiedergli, per soddisfare la sua curiosità.
“Questa era la casa di mio padre,” rispose, e Jim aggrottò la fronte. “Prego, unisciti a me per colazione.”
Un altro sorriso di circostanza.
Jim si ritrovò combattuto a riguardo, ma alla fine decise che poteva fermarsi ancora un po’, giusto il tempo di bere un caffè e mangiare qualcosa. Inoltre aveva ancora tante domande, quindi prese posto alla grande tavola imbandita, scegliendo una sedia abbastanza lontana da quella di Oswald.
“Non pensavo che tuo padre fosse ricco,” buttò lì Jim, per riempire il silenzio che si era creato.
“Io non pensavo che fosse vivo,” ribatté Oswald, e questa volta l’ex detective colse un’inflessione diversa nella sua voce. “L’ho ritrovato quando sono uscito da Arkham. Ma ormai è morto davvero, avvelenato da sua moglie.”
Jim si sentì percorrere da un brivido freddo.
“È lei dov’è adesso?”
Oswald sorrise, e quello fu un sorriso amaro ma più genuino.
“Non è più qui,” tagliò corto, per poi portare alle labbra la sua tazza di caffè.
E Jim comprese che no, Oswald non era cambiato affatto. Era spento, prosciugato, ma in fondo era lo stesso uomo di un tempo.
Alla fine non osò commentare, anche perché non era più un detective ormai.
“Io adesso andrei,” dichiarò, dopo aver assaggiato qualcosa. “Ho una pista da seguire e non ho tempo da perdere.”
Non intendeva ringraziarlo, gli ci sarebbe voluto uno sforzo non indifferente per farlo.
“Chi stai cercando, James?” gli chiese, mentre si alzava con l’intenzione di raggiungere la porta.
Lui ponderò le sue prossime parole, domandandosi se fosse il caso di parlarne o meno. Ma che male avrebbe fatto? Dopotutto, era in cerca di informazioni e, anche se sapeva dove cercare il suo obiettivo, conoscere qualche dettaglio in più lo avrebbe sicuramente aiutato. Sempre se Oswald fosse intenzionato ad aiutarlo, perché Jim non comprendeva questa nuova versione di lui.
“Si fa chiamare La Dama. Conosco il club che frequenta, devo solo convincerla a darmi l’informazione che mi serve.”
Oswald accennò un altro sorriso, ancora una volta solo di circostanza.
“Conosco l’elemento. Il club di cui parli è esclusivo, ti servirà una mano per entrare. Chiamo Victor.”
“Zsasz?” chiese Jim, incredulo.
Sentire quella proposta fu un’ulteriore conferma del fatto che no, Oswald non era cambiato, altrimenti non avrebbe avuto più contatti con l’assassino.
“Per favore, accetta questo aiuto James. Non ti ho soccorso perché andassi a farti ammazzare subito dopo,” disse, e prese il telefono da una tasca della sua vestaglia ricamata.
Quindi Jim tornò seduto, a costringersi a mangiare ancora un po’ in attesa che arrivasse Victor Zsasz. Non poteva credere alla situazione in cui si era ritrovato.
L’assassino non tardò ad arrivare e sembrò sorpreso di vedere Jim, ma il suo interesse scemò subito dopo. Oswald gli spiegò chi stava cercando e gli promise un compenso, al che Victor si dimostrò entusiasta del nuovo incarico.
“Non voglio ucciderla o altro, mi serve solo un’informazione,” precisò, non fidandosi di lui.
“Okay Jimbo, lascia fare a me,” rispose Victor, in un tono per niente rassicurante.
Prima di andarsene con lui, però, Jim rivolse un ultimo sguardo a Oswald, che era rimasto zitto e seduto come se niente fosse.
“Ho accettato questo favore, ma cosa vuoi in cambio?”
L’espressione stanca sul viso di Oswald non cambiò e la sua reazione fu quella di emettere un sospiro.
“Ho delle cose da fare, quindi non tornare tanto presto. Ho delle persone da vedere, un impero da riconquistare… e gradirei che tu non mi ostacolassi.”
Allibito, ma con niente in contrario, Jim si decise finalmente a varcare la soglia e ad andarsene.
E per un po’ sparì dalla vita di Oswald Cobblepot.
L’aiuto di Victor Zsasz si rivelò prezioso, perché grazie a lui Jim riuscì a farsi dire dalla Dama il nome del mandante dell’omicidio Wayne, ovvero un certo Filosofo. Riferendo l’informazione a Bruce e Alfred, loro arrivarono alla conclusione che si trattasse di Hugo Strange, attuale direttore di Arkham, e misero in atto un piano per contrastarlo.
In quel periodo Strange, forse sentendosi minacciato dalle attenzioni che aveva attirato su di sé, riportò in vita Theo Galavan sotto la falsa identità di Azrael, ordinandogli di uccidere Jim. E quando la vera identità del cavaliere mascherato era stata diffusa dalle emittenti televisive, lo scontro si era spostato a villa Wayne ed era terminato con Oswald, Gabe, un bazooka e pezzi di Galavan ovunque.
Jim si era sorpreso di rivedere Oswald in quell’occasione, e di essere salvato da lui. Inoltre gli parve che fosse tornato quello di un tempo, ma non poté confermare la sua impressione dato che subito i due se ne andarono.
Jim stava ancora affrontando un periodo buio. Il dolore per la perdita di Lee e del loro bambino non lo abbandonava mai, se non affogandolo nell’alcol la sera. Ma la questione non era ancora chiusa.
Le mosse successive nella risoluzione del caso Wayne lo portarono ad Arkham, con Bruce e Lucius Fox, dove tutti e tre rischiarono la vita ma riuscirono a rendere pubblici i piani di Strange e a catturarlo.
Solo dopo Jim andò a cercare Lee, e gli si spezzò il cuore quando vide che adesso era felice con un altro uomo.
Tornato a Gotham, non accettò di rientrare alla GCPD ma si mise a dare la caccia ai mostri evasi da Arkham come cacciatore di taglie, riuscendo a mantenersi con ciò che riscuoteva dalle catture.
Una sera però, il fuggitivo che non era riuscito a prendere lo seguì fino al suo appartamento, attaccandolo e compromettendone la sicurezza.
E così Jim, che non voleva portare guai ad Harvey, pensò bene di tornare dalla persona che lo aveva già accolto una volta quando si era trovato in difficoltà, a costo di rischiare che gli sbattesse la porta in faccia.
Ma Gabe, che aprì la porta della villa di Oswald per vedere chi fosse, lo fece entrare senza battere ciglio.
La casa era molto diversa da come Jim la ricordava. Più luminosa, più viva. E quando Oswald emerse dal salotto per domandare chi fosse arrivato, gli sembrò anche lui più vivo.
Era visibilmente sorpreso dalla presenza di Jim, infatti aveva sgranato gli occhi e schiuso le labbra. Forse stava per cacciarlo, questo pensò il cacciatore di taglie.
“James, che ci fai qui? Sei di nuovo ferito?” gli chiese, e lui scosse la testa.
Si stava preoccupando per lui, il che forse era un buon segno.
“No ma mi chiedevo se potessi ospitarmi per la notte. Sono appena stato attaccato nel mio appartamento, da uno dei mostri di Strange,” spiegò.
Oswald gli sorrise e abbassò lo sguardo, e nell’attesa di ricevere una risposta Jim pensò che stesse per mandarlo via.
“E va bene, non sarà un problema. Ma non farti vedere dai miei ospiti e non interferire con i miei piani,” disse, facendogli segno di salire al piano di sopra.
“Sarà solo per poco,” sottolineò Jim, che sperava di andarsene già l’indomani.
“È tardi adesso, ne parliamo domani,” ribatté Oswald, esortandolo ancora una volta a salire le scale.
Jim non insistette più e, mentre raggiungeva la stanza che aveva occupato tempo prima, si domandò se avesse fatto la scelta giusta.
L’indomani scese a colazione con l’intenzione di spiegarsi e di andarsene subito. Dopo un sonno ben poco ristoratore, anzi dopo essere stato tormentato dai soliti incubi che gli tenevano compagnia da tempo, Jim aveva preso la decisione di rimettersi alla ricerca del fuggitivo che lo aveva seguito fino a casa, così sarebbe potuto tornare subito al suo appartamento.
Trovò Oswald che faceva colazione in soggiorno, apparentemente di buon umore.
“Oh, James. Vieni a mangiare qualcosa,” lo invitò, mentre la cameriera lasciava la sala. “Olga ha preparato fin troppo cibo.”
Lui decise di approfittarne, anche perché così avrebbe potuto parlargli prima di andare.
“Mi spiace per essere piombato qui all’improvviso, ieri sera,” si decise a dirgli, perché gli sembrava il minimo.
“Non ti preoccupare. Siamo di nuovi amici, immagino, e tra amici ci si fanno dei favori.”
“Dopo che ti sei preso la colpa della morte di Galavan, e sei stato rinchiuso ad Arkham per questo?” sottolineò amaramente Jim, senza temere le conseguenze delle sue parole.
Oswald stirò le labbra in un sorriso di circostanza.
“Per quanto riguarda Galavan, è stata una mia scelta. Da allora, ho avuto la soddisfazione di vederlo morire una seconda volta e tu hai fatto arrestare Hugo Strange, quindi direi che non mi posso lamentare,” dichiarò.
Jim si versò una tazza di caffè, ma prima di portarla alla bocca notò il giornale che stava leggendo Oswald. In prima pagina c’era una foto scattata durante uno dei suoi ultimi discorsi pubblici, quando aveva sfidato Aubrey James e fomentato il popolo di Gotham alla cattura dei mostri di Arkham.
“Fai sul serio?” gli chiese, alludendo al tema dell’articolo, e Oswald ci mise un istante a capire a cosa si riferisse.
“Ma certo che sì,” rispose tranquillamente, come se fosse ovvio. “E a questo proposito, finché sei qui ti volevo proporre una collaborazione. Potresti continuare a fare il cacciatore di taglie per conto mio, mi farebbe comodo se la gente sapesse che mi sto impegnando attivamente nella causa, e che un ex detective come te mi sostiene.”
“Mi stai chiedendo un favore? E comunque avevo intenzione di andarmene subito.”
“Ma no, sarebbe un peccato. E in realtà la mia è un’offerta di lavoro, oltre a incassare le ricompense delle taglie avresti uno stipendio,” spiegò. “Comunque, pensaci su.”
“No grazie.”
“James… Se non vuoi che la tua immagine sia associata a me, è un po’ tardi, non trovi? Sei venuto qui. Quella che ti sto offrendo è una proposta più che vantaggiosa.”
Anziché rispondere, Jim sospirò e cercò di finire in fretta ciò che si era messo nel piatto.
“E comunque, ti chiederei di tornare nella tua camera per un po’. Aspetto degli ospiti e sarebbe meglio se non ti vedessero.”
“Sono in ostaggio?” chiese Jim, notando Gabe che gli si avvicinava.
“Certo che no,” rispose Oswald, ma non gli fece comunque cambiare idea.
Jim decise di collaborare e tornò al piano di sopra, ma solo perché il suo lavoro iniziava di notte, e perché a questo punto era curioso di scoprire chi fossero questi misteriosi ospiti.
Così, quando Gabe lo lasciò solo, riaprì piano la porta della sua stanza e rimase in ascolto.
Poco dopo arrivò effettivamente qualcuno alla villa, e tra le voci riconobbe quella di Butch Gilzean, ex boss della malavita di Gotham che evidentemente era tornato a lavorare per Oswald.
Jim non si era interessato a ciò che riguardava i criminali in quel periodo, concentrandosi sull’autocommiserazione e sulla cattura dei fuggitivi di Arkham. Forse, inconsapevolmente, aveva chiesto ospitalità a colui che era tornato a essere il Re di Gotham.
Quando poi sentì la voce di Barbara, gli si gelò il sangue. Allora fingeva davvero, quando aveva detto di essere pentita... Era rimasta la stessa, anzi aveva addirittura stretto rapporti con gente del calibro di Oswald e Butch Gilzean.
Jim strinse i pugni. Avrebbe voluto agire, non sapeva per fare cosa, ma stare lì con le mani in mano lo faceva infuriare.
Quando, più tardi, ebbe l’impressione che tutti se ne fossero andati, Jim scese con circospezione al piano di sotto, dove trovò Oswald seduto da solo in salotto. Vedendolo a sua volta, il criminale gli rivolse un accenno di sorriso.
“Ho sentito che c’era Barbara,” disse, andando subito al punto. “Non gli hai detto di me?”
“Certo che no, James. Solo Gabe e Olga sanno che sei qui,” rispose Oswald, sollevando le sopracciglia per la sorpresa. “Temi così tanto la tua ex?”
“Non ho paura di Barbara, ma è instabile e pericolosa. Anche tu faresti meglio a non fidarti di lei.”
Oswald corrugò la fronte e a Jim parve che le sue parole lo avessero confuso.
“Sono poche le persone di cui mi fido, non ti devi preoccupare.”
Jim avrebbe voluto ribattere che non si stava affatto preoccupando, ma quella conversazione lo aveva già infastidito abbastanza quindi si trattenne.
“Accetto il lavoro,” gli disse invece, perché ci aveva riflettuto tutta la mattina.
Forse si sarebbe dovuto trasferire a causa del bastardo che lo aveva seguito fino a casa, e in quel periodo non navigava certo nell’oro.
Oswald gli sembrò sorpreso all’inizio, ma subito gli rivolse un sorriso genuino.
“Molto bene, James.”
“Però voglio sapere per tempo quando aspetti questo tipo di ospiti, così da non dover rimanere bloccato qui. E non appena potrò tornare nel mio appartamento, lo farò.”
“Mi sembra più che giusto,” concordò Oswald, non dopo un attimo di esitazione.
“Jim, ma ti sei bevuto il cervello?” sbraitò Harvey, una sera che erano usciti a bere insieme.
Gli aveva appena raccontato di aver accettato di lavorare per Oswald, solo quello. Chissà cosa avrebbe detto sapendo che era ospite in casa sua.
“Ho bisogno di soldi, Harvey. Lui mi paga bene per fare quello che farei comunque, perciò ho accettato,” specificò.
“Sì ma potresti tornare alla CGPD! Barnes ti riprenderebbe, abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile in questo periodo, e lo sai!”
Jim sospirò.
“Già, ma sono io a non voler tornare. Non ancora, almeno.
Jim non era più lo stesso da quando era andato da Lee ed era tornato senza di lei, e lo sapeva bene. Anche la sua intenzione di ripulire Gotham era venuta meno, sostituita da quella momentanea di catturare i fuggitivi di Arkham e riscuotere le taglie.
Ma era solo un mero passatempo, un modo per guadagnarsi da vivere e per sfogare la frustrazione. Qualcosa che non sarebbe durato ancora molto, e dopo… chissà, forse Jim si sarebbe ritrovato davvero senza uno scopo, e sarebbe andato definitivamente in pezzi.
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Oswald Cobblepot aveva presto riacquistato la sua influenza di un tempo, sulla malavita di Gotham. Adesso ciò che restava da fare era diventare sindaco della città, così da riuscire a controllarla nella sua interezza.
I cittadini erano in fermento ora che i mostri di Arkham erano in libertà, e lui aveva sfruttato quel nemico comune per ottenere consensi.
In più Jim Gordon aveva iniziato a lavorare per lui, anche se all’inizio Oswald credeva che sarebbe stato inutile cercare di convincerlo. E con Jim dalla sua parte, la sua lotta aveva attirato ancora più attenzione.
Si serviva di lui e lo pagava bene per questo. Senza considerare il loro rapporto lavorativo, però lo vedeva diverso. Jim gli era sembrato malandato, svogliato, e anche il fatto che si fosse trovato più volte sotto lo stesso tetto con dei criminali e non avesse mai fatto niente la diceva lunga.
Aveva meno amor proprio, probabilmente perché ormai aveva perso tutto.
In quei primi giorni di collaborazione, Oswald non lo aveva visto quasi mai. Gli aveva fatto sapere quando non avrebbe dovuto farsi trovare in casa, come da lui richiesto, ma non è che negli altri momenti ci fosse.
La sera tornava tardi e a volte si incrociavano a colazione, ma poi spariva chissà dove. Ogni giorno, pulendo la sua stanza, Olga trovava una bottiglia di whisky o di scotch vuota, segno che le comprava prima di rincasare e ne finiva una intera.
Oswald sapeva di non avere il diritto di rimproverarlo, soprattutto finché non creava problemi dal punto di vista lavorativo, e anche in casa si comportava come l’ospite perfetto.
Quelle poche volte in cui si vedevano, Jim lo trattava come al solito. A malapena lo guardava, e se lo faceva era con sospetto o con un’aria giudicante. A niente era servito offrirgli ospitalità e amicizia. Non che Oswald stesse facendo tutto ciò per ottenere qualcosa in cambio, ma vedere quell’atteggiamento da parte sua aveva un che di deludente.
Comunque fece sempre finta di niente, anche perché aveva altre cose per la testa.
Nei suoi momenti liberi andava spesso a trovare Ed a Arkham e non gli piaceva lo stato in cui versava il suo migliore amico. A lui aveva raccontato tutto di quel periodo: di suo padre, di Galavan, della caccia ai mostri e persino di Jim, ma non sembrava gli importasse di nulla.
In ogni caso, poter parlare con Ed era ciò che gli aveva permesso di non impazzire, e Oswald avrebbe tanto voluto poter fare qualcosa per lui.
Con questo e altri pensieri in mente, Oswald non aveva certo tempo di preoccuparsi per Jim, che aveva dimostrato di saper badare a sé stesso da solo.
Una sera, si era scoperto dove fosse Fish Mooney e così lui aveva radunato una folla fuori dall’edificio, con la speranza di riuscire a superare il perimetro creato dalla CGPD per entrare e intervenire personalmente.
Sembrava una situazione di stallo, almeno fin quando Jim non lo aveva chiamato, dicendogli che era entrato per aiutare il detective Bullock, e che gli avrebbe fatto avere Fish Mooney. Così lui aveva creato un diversivo e aveva seguito le sue indicazioni.
Quella sera avevano finalmente fermato gli ultimi fuggitivi di Arkham, segnando la fine della sua lotta a un nemico comune.
E ora che aveva seminato, era tempo di raccogliere. Era arrivato il momento di preparare la sua campagna elettorale, e quale migliore alleato di Edward, che era uno stratega oltre che suo migliore amico?
Quindi andò ad Arkham con l’intenzione di corrompere il nuovo direttore, o minacciarlo se necessario, al fine di fargli rilasciare Ed, con un certificato che attestava che fosse guarito. E con lui al suo fianco, Oswald lo sapeva, niente avrebbe potuto fermarlo.
Spazio di quella che scrive
Come promesso sono tornata con una nuova Gobblepot!
Inizialmente questa storia doveva essere molto diversa. Più lenta, riflessiva, con Jim e Oswald più tristi e arrabbiati e Barbara come cattiva della situazione. Questa è rimasta solo la premessa, perché in realtà l'ho sviluppata in un modo completamente diverso (che leggendo la trama avrete potuto intuire), che mi ha divertita moltissimo.
Questo capitolo conteneva delle parti che hanno fatto da "recap" di ciò che si è visto nella serie tv, che mi servivano per rendere chiaro il contesto preciso e stabilire i trascorsi che mi servivano tra Jim e Oswald. Dal prossimo capitolo queste parti, forse noiose per alcuni, non ci saranno, perché ci tufferemo a capofitto nel vivo della storia.
Spero di avervi incuriositi! La scrittura è già completa, perciò non credo che vi farò aspettare molto.