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Autore: PrimPrime    16/09/2024    0 recensioni
Jim Gordon è un uomo distrutto quando esce da Blackgate, incapace di tornare da Lee o di riprendersi il suo vecchio lavoro, alla GCPD.
Verrà aiutato proprio da Oswald Cobblepot, distrutto a sua volta dalla perdita del padre.
Ma Oswald, a differenza di Jim, è pronto a ricominciare, e al suo fianco avrà la persona che ama e che spera possa ricambiarlo.
Il che, quando Jim lo scopre, è scioccante e inaccettabile.
Ma perché è così turbato dal fatto che Oswald farebbe pazzie per Edward Nygma?
“Non posso aspettare, devo confessargli i miei sentimenti.”
“Da,” gli rispose la cameriera.
“Spero che sia uno scherzo,” disse Jim, decidendo di essere sincero riguardo a ciò che pensava.
Ambientata tra la fine della seconda stagione e l'inizio della terza. Non tiene conto di Alice e Jervis Tetch, quindi non ci sono le conseguenze della loro comparsa.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Edward Nygma, Harvey Bullock, Jim Gordon, Oswald Cobblepot
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 2

 

 
Quella mattina, Jim Gordon era rimasto a dormire più del previsto. Che poi, non sapeva perché fosse rimasto così a lungo a casa di Oswald, malgrado il suo appartamento fosse ormai sicuro.
 
Forse il motivo erano i pasti caldi cucinati a mano, la stanza sempre pulita e il fatto che potesse andare e venire senza preoccupazione alcuna. Sì, probabilmente era questo.
 
Mettendo il tutto sui piatti di una bilancia immaginaria, pesava poco il fatto che stesse vivendo sotto lo stesso tetto del boss della malavita di Gotham, e che a volte organizzasse delle riunioni con gli altri criminali locali. Dopotutto, Jim non c’era quasi mai e alla fine non gli interessava.
 
La sera prima era stata tosta, tra Harvey preso in ostaggio da Fish Mooney, la folla di gente all’esterno e poi Barnes che insisteva perché tornasse alla GCPD. Ma, ancora una volta, Jim aveva rifiutato e poi se n’era andato via insieme al suo nuovo datore di lavoro.
 
Non sapeva che ore fossero adesso, perché non aveva ancora preso in mano il cellulare, ma aveva deciso di restare a letto ancora un po’, a oziare mentre ripercorreva nella mente tutte le cose sbagliate che aveva fatto nella sua vita, prima fra tutte dire a Lee di dimenticarlo e andare avanti. Anzi, non chiamarla subito quando era uscito da Blackgate.
 
Chissà se allora sarebbe stato ancora in tempo per poterla riavere con sé… Ma ormai non l’avrebbe mai saputo.
 
Quando finalmente si decise a smettere di autocommiserarsi, si vestì e scese al piano di sotto nella speranza di trovare qualcosa da mettere sotto i denti, ma venne accolto da una scena da brividi, che andava ben oltre ciò che avrebbe mai potuto immaginare.
 
Edward Nygma era libero ed era lì.
 
“Prego Ed, potrai vivere qui finché non ti sarai sistemato. Dopotutto, lavoreremo insieme,” stava dicendo Oswald, e Jim rimase fermo sulle scale come se fosse stato pietrificato.
 
Nygma aveva l’aria stanca ma era molto diverso dall’ultima volta in cui si erano visti, perché si era dato una ripulita. Indossava un completo nero con una cravatta verde e quegli abiti gli davano una parvenza di normalità, ma lui sapeva quale razza di pazzo criminale si celava dietro quell’aspetto.
 
Era lui il motivo per cui era finito a Blackgate, per cui era stato separato da Lee e lei aveva perso il bambino. Era lui la causa di tutto il suo dolore.
 
E quando lui alzò lo sguardo notandolo sulle scale, benché non ebbe alcuna reazione particolare nel vederlo, Jim si sentì percorrere dalla rabbia. In un attimo era arrivato al piano di sotto, pronto a scagliarsi su di lui con un pugno che Edward non riuscì a evitare.
 
“Jim!” esclamò Oswald, frapponendosi tra di loro prima che potesse dargli un secondo pugno. “Sei impazzito?”
 
“Cosa ci fa lui qui? Dovrebbe essere ad Arkham,” sottolineò, mentre Oswald controllava che stesse bene.
 
“È guarito, ha un certificato che lo attesta,” lo difese, e anche quando Jim ebbe abbassato il pugno non si spostò da davanti a lui.
 
“Ne dubito fortemente.”
 
“Adesso sediamoci e parliamone con calma, va bene?” provò a mediare, ma questo riuscì solo a farlo arrabbiare di più.
 
“Non va bene un cazzo,” ribatté, stringendo i denti. “Io me ne vado, tanto il mio lavoro qui è finito e non hai più bisogno di me,” aggiunse, superandoli e riservando un’occhiata di fuoco a Nygma.
 
“Non è vero, ho ancora una proposta per te! Jim!”
 
E anche se lo stava chiamando, lui non si voltò mai indietro.
 
 
Il suo appartamento era uno schifo, e Jim lo sapeva perché c’era passato diverse volte a prendere della roba. Roba che aveva lasciato, stupidamente, alla villa di Oswald. Si sentiva un idiota per questo, ma quando aveva visto Nygma aveva capito di non poter restare lì un minuto di più.
 
La prima cosa che fece, una volta tornato a casa, fu aprire la dispensa, tirare fuori il primo alcolico che gli capitò sottomano e scolarsene mezza bottiglia.
 
Adesso avrebbe dovuto capire cosa fare. Aveva evitato di pensarci fino a quel momento, e aveva messo da parte un po’ di soldi nel frattempo, ma non aveva un lavoro. Tornare alla GCPD sembrava lunica opzione sensata, ma non voleva ancora tornare sui suoi passi.
 
Con questo in mente, decise di prendersi un giorno per riflettere e invece lo passò ad autodistruggersi.
 
Era successo, non aveva più uno scopo. Trascorse quella giornata un po’ a dormire e un po’ a bere, e quando si accorse di aver terminato gli alcolici decise di dedicarsi completamente a dormire.
 
Rivedere Nygma gli aveva riportato in modo chiaro alla mente tutto il dolore che aveva provato a causa sua, che ancora sentiva quotidianamente.
 
Era sera quando sentì suonare il telefono. Lo prese e senza guardare chi fosse rispose.
 
“Sì?” chiese, la voce più bassa del solito.
 
“James, stai bene? Sono Oswald,” sentì, dopo un istante di silenzio.
 
“Che vuoi?”
 
“Speravo tornassi. Ero serio quando ho detto che avevo un lavoro da proporti.”
 
“Lasciami in pace,” ribatté, per niente interessato a qualsiasi proposta avesse per lui.
 
“James, ho ancora bisogno di te. Mi serve una guardia del corpo per le mie apparizioni pubbliche, e chi meglio di te che hai catturato gli ultimi mostri di Arkham a nome mio? James, sei ancora lì?”
 
La voce di Oswald da preoccupata si era fatta infastidita, ma a lui in quel momento non importava.
 
“Ci sono.”
 
“Allora ti prego di pensarci. Se sei interessato, ti aspetto da me domani.”
 
E Jim chiuse la chiamata emettendo un lungo sospiro, senza rispondere.
 
 
L’indomani si svegliò tardi e il mal di testa gli rammentò ciò che era successo. Malgrado tutto, però, gli serviva un lavoro e tanto valeva provare a fare ciò che gli proponeva Oswald, se non voleva ancora tornare alla GCPD.
 
Così si preparò e si fece passare il mal di testa con un’aspirina, intenzionato a tornare a casa sua. Anche se, più ci si avvicinava, più sentiva che stava commettendo uno sbaglio… perché lì c’era Nygma.
 
Quando arrivò scoprì che il piano terra era diventato il quartier generale per lo sviluppo della campagna elettorale. Ovunque c’erano persone intente a preparare cartelloni e altro, e tutto quel fermento lasciò per un attimo stordito Jim.
 
Rivolse quindi uno sguardo a Gabe, che era rimasto impassibile sulla porta. Senza bisogno che gli chiedesse niente, lui gli indicò con un cenno del capo dove poteva trovare Oswald.
 
E così Jim si avviò verso una delle altre stanze, fermandosi però in corridoio quando si accorse che anche Nygma era lì.
 
“Ma perché? Sarà solo un peso, l’hai detto che beve troppo,” stava dicendo.
 
“È comunque responsabile e farà bene il suo lavoro,” ribatté Oswald.
 
“Secondo me lo vuoi solo per mostrare a tutti che Jim Gordon ti sostiene. Ti serve la sua immagine, non lui.”
 
A quelle parole di Edward, Jim decise che ne aveva abbastanza. Bussò sullo stipite della porta e finalmente entrambi alzarono lo sguardo su di lui, accorgendosi della sua presenza.
 
Il sorrisetto che gli rivolse Nygma gli fece venire voglia di tirargli un secondo pugno, quello che non aveva potuto dargli il giorno prima.
 
“James, alla fine sei venuto,” disse Oswald, andandogli in contro per primo.
 
“Stavo pensando che potrei accettare il lavoro,” annunciò, anche se significava avere a che fare con l’uomo che più disprezzava.
 
“Splendido,” commentò Oswald. “Si tratta di restare al mio fianco nelle occasioni pubbliche e proteggermi. Oh, e adesso puoi restare qui quanto vuoi, non organizzo più riunioni della criminalità in questa casa, invito solo gli amici che hanno una reputazione pulita.”
 
“Come lui,” disse ironicamente Jim, rivolgendo lo sguardo a Nygma.
 
“A proposito, Jim, gradirei delle scuse per ciò che mi hai fatto ieri,” intervenne lui, come se niente fosse.
 
Jim sollevò un sopracciglio. Avrebbe voluto rispondere che lui non gli stava chiedendo di scusarsi per averlo fatto rinchiudere a Blackgate e per avergli fatto perdere Lee. Non glielo chiedeva perché non avrebbe mai accettato delle scuse da parte sua.
 
“Non avrai mai delle scuse da me,” sottolineò, fissandolo duramente.
 
“Per favore, James, vorrei che provaste ad andare d’accordo. O che almeno fingeste, se possibile,” disse Oswald, mettendosi di nuovo a protezione di Edward come se lui potesse scattare e picchiarlo da un momento all’altro.
 
E in effetti si sentiva così teso che avrebbe potuto farlo davvero.
 
“Per me non è un problema, Oswald.”
 
“Per me sì invece. Sarò la tua guardia del corpo, ma non farò niente più di questo,” stabilì.
 
E così iniziò il periodo delle elezioni.
 
 
Jim non si era ancora abituato a stare al fianco di Oswald mentre faceva discorsi in pubblico. Per fortuna a lui non era richiesto niente più che un compito di protezione, qualcosa che sapeva fare bene.
 
Sopportare Nygma era qualcosa che invece proprio non gli riusciva, ma stringeva i denti, spesso anche i pugni, e dopo i pasti prendeva un antiacido. Solo bere la sua bottiglia serale gli dava un po’ di conforto.
 
Aveva iniziato a portarne a casa una ogni sera, perché temeva che se ne avesse avute di più le avrebbe svuotate tutte, come era successo quel giorno quando aveva rivisto il criminale dopo tanto tempo.
 
Comunque c’era un lato positivo in quel lavoro, ovvero che tornava a casa relativamente presto la sera, e così poteva riposare per un numero adeguato di ore a notte. Questo, se avesse riposato, perché in realtà era tormentato prima da pensieri che non riusciva a scacciare e poi dagli incubi.
 
Il periodo delle elezioni si concluse con la vittoria di Oswald, che estese il suo contratto perché potesse rimanere ancora al suo fianco, a dispetto di Harvey che avrebbe voluto riaverlo alla GCPD.
 
Jim aveva accettato di buon grado, perché tornare alla GCPD significava tornare alla vita di prima e lui non riusciva a concepirlo.
 
Con Oswald sindaco, iniziò un periodo prospero di apparizioni televisive, visite nelle mense dei poveri e nelle scuole, e Jim rimase sempre al suo fianco per assicurarsi che nessuno lo mettesse in pericolo.
 
Poi, durante un discorso pubblico, subirono un attacco da parte di una banda di incappucciati. Jim reagì in tempo per riuscire a proteggerlo, ma i membri della banda scapparono e lui si arrabbiò con sé stesso per non essere riuscito a fare niente.
 
“Da oggi ti fermi qui,” gli aveva ordinato Oswald quel giorno, quando erano tornati alla villa. “Voglio che tu sia sempre pronto a ogni evenienza, e per questo ti proibisco di portare alcolici in questa casa.”
 
“Che cosa?” aveva sbottato, incredulo. “Stai suggerendo che io abbia un problema con l’alcol?”
 
“Non lo so Jim, dimmelo tu,” aveva ribattuto, e avevano iniziato un litigio che era terminato con Jim che se ne andava, per tornare al suo appartamento a prendere delle cose.
 
Comprendeva la richiesta di Oswald di proteggerlo anche in casa sua, anche se comportava vivere sotto lo stesso tetto di Nygma, ma non che gli chiedesse una cosa del genere.
 
Poi però, mentre metteva dei vestiti in un borsone, si rese conto che beveva ogni sera da tanto tempo ormai, e che per fare quel lavoro era necessario essere lucido.
 
Il solo pensiero di rinunciare all’alcol, suo conforto serale, fu come una pugnalata nel petto… e anche questo gli fece capire che doveva smettere, prima che diventasse un problema sul serio.
 
Quando tornò alla villa e trovò Oswald che discuteva con Nygma, decise di non andare da loro né di dire altro. Aveva capito, quindi raggiunse la stanza che un tempo era stata la sua e si preparò a passare la notte senza ubriacarsi. La prima notte da sobrio dopo tanto tempo.
 
L’indomani si svegliò presto e provò una strana sensazione nel vedere il suo datore di lavoro che faceva colazione da solo. Era come essere tornato indietro nel tempo, a quando era stato ospite lì per la prima volta. A quando Nygma era ancora nel posto che gli spettava di diritto, ovvero dietro le sbarre.
 
“James, hai una pessima cera,” osservò Oswald, e dal suo tono lui capì che si era calmato rispetto al giorno prima.
 
“Già, mi sento uno schifo,” ammise. “Ma del caffè mi rimetterà in sesto.”
 
Quindi si sedette senza chiedere il permesso e se ne versò una tazza.
 
“Ero serio ieri, quando ti ho chiesto di smettere di bere. Mi darai ascolto?”
 
“Sì,” rispose duramente Jim, mordendosi la lingua per costringersi a non dire altro.
 
“Finché starai qui, non ti chiedo di restare in servizio tutto il giorno, per quello c’è anche Gabe, ma mi servi lucido,” sottolineò, mentre Jim finiva in fretta la sua tazza di caffè.
 
“A proposito di ieri,” disse, cambiando discorso. “I tizi che ci hanno attaccato, non possono essere i membri della banda di cappuccio rosso, li abbiamo già arrestati. Vorrei andare da Harvey alla centrale e chiedergli cosa ne sanno.”
 
“Mi sembra un’ottima idea. Vai pure,” gli concesse.
 
Jim decise di non perdere tempo. Dopotutto, più stava lì e più rischiava di incontrare Nygma già di prima mattina, e quello sì che gli avrebbe guastato definitivamente l’umore.
 
Harvey Bullock era già al lavoro sul caso quando Jim arrivò, chiedendo informazioni e offrendo il suo appoggio. Stava lavorando come guardia del corpo, ma nello spirito era ancora un detective e chissà che collaborare con i suoi vecchi colleghi non avrebbe riacceso l’interesse per quel mestiere.
 
La centrale era rimasta come la ricordava e gli altri agenti sembrarono felici di rivederlo, però Lee non c’era più.
 
Per cercare di scacciare quel pensiero doloroso, Jim si concentrò sul caso.
 
 
I giorni successivi furono duri. Evidentemente il suo rapporto con l’alcol era già un problema, perché la sera si trovava a desiderarlo continuamente e di giorno si sentiva uno schifo. E anche se pian piano stava iniziando a stare meglio, questo influiva negativamente sul suo rendimento.
 
Avrebbe voluto trovare i cappucci rossi che avevano attaccato Oswald e seminato il caos in vari posti della città dove lui era stato, ma alla fine fu proprio Nygma a scoprire chi fossero, e che il loro capo non fosse altri che Butch Gilzean. Come aveva fatto Jim a non capirlo? Si sentiva uno stupido per questo, e temeva di essere stato inutile come Nygma aveva suggerito che fosse.
 
Il che gli faceva rodere il fegato enormemente.
 
Quella sera stessa, era sceso al piano di sotto con l’intenzione di infilarsi in cucina dove sperava di trovare dell’alcol, ma si era accorto che Oswald e Edward erano svegli, a parlare in salotto. E così si era fermato sul posto, domandandosi se fosse il caso di passare nel corridoio comunque, mentre iniziava a rendersi conto dell’idea stupida che aveva avuto.
 
Tempo di decidere di tornare in camera a bocca asciutta che sentì distrattamente le loro parole e si fermò, inorridito.
 
“Farei di tutto per te, Oswald,” gli stava dicendo Nygma, e Jim avvertì un senso di nausea prendere possesso di lui.
 
Tornò al piano di sopra in silenzio, intenzionato a dormire nella speranza di dimenticare quella scena.
 
L’indomani si svegliò e scese al piano di sotto con tante domande per la testa. Prima fra tutte, se potesse tornare a casa sua e avere a che fare con loro solo nei momenti in cui il sindaco doveva comparire in pubblico.
 
Aspettò a entrare in sala da pranzo perché si accorse che Oswald stava avendo una conversazione con qualcuno. Quando sentì le risposte in russo, capì che si trattava solamente di Olga.
 
“Non posso aspettare, devo confessargli i miei sentimenti.”
 
“Da,” gli rispose la cameriera.
 
A quelle parole, a Jim tornò in mente la scena a cui aveva assistito la sera prima. In effetti si era accorto dell’espressione con cui Oswald guardava Nygma, ma credeva che la sua fosse solo una profonda amicizia o magari ammirazione.
 
Le parole che Edward gli aveva rivolto la sera prima dovevano aver smosso qualcosa in lui, ma Jim non voleva crederci. Questo significava che avrebbe dovuto vedere Nygma ancora più spesso!
 
Forse era il caso di tornare finalmente alla CGPD, ma no, non avrebbe voluto farlo così presto.
 
Allora varcò la soglia della sala da pranzo, proprio mentre Oswald diceva a Olga che intendeva iscriverla a un corso perché imparasse la loro lingua.
 
E Oswald, vedendolo comparire all’improvviso, sbiancò.
 
“Spero che sia uno scherzo,” disse Jim, decidendo di essere sincero riguardo a ciò che pensava.
 
Oswald era il suo datore di lavoro, ma era anche una persona che conosceva da tempo e a cui non aveva mai mentito. Gli aveva sempre mostrato tutta la sua disapprovazione senza temere le conseguenze e questa volta non sarebbe stata diversa.
 
Olga li lasciò soli e lui sembrò a corto di parole, perché aprì la bocca un paio di volte ma alla fine non disse niente.
 
“Ho sentito, se è questo che ti stai domandando, e non ci posso credere,” continuò. “Come fa a piacerti quel bastardo con un palo nel culo?”
 
“Modera i toni, Jim, e rammenta che potrebbe arrivare da un momento all’altro.”
 
In risposta lui chiuse la porta, così se fosse arrivato almeno se ne sarebbero accorti, anche se in fondo non gli importava.
 
“Ti sei bevuto il cervello?”
 
“Jim! Perché mi tratti così?”
 
“Perché…” iniziò, ma si zittì ed emise un ringhio di disapprovazione.
 
Non lo sapeva nemmeno lui il perché, ma il pensiero lo faceva impazzire. Forse non voleva vedere Oswald con Nygma più spesso di adesso, forse non voleva vedere Nygma felice, probabilmente entrambe le cose, Jim non lo sapeva ma tutta quella storia non gli piaceva affatto.
 
“Fa’ come ti pare, ma io me ne vado. Tanto non serve più che resti a proteggerti anche qui, no? Ci vediamo alla prossima intervista o al prossimo evento di beneficenza!" sbraitò, lasciando la villa senza guardarsi indietro.
 
E se avesse incontrato Nygma sulla strada da lì alla porta, allora un pugno non glielo avrebbe tolto nessuno.
 
 
I giorni successivi le occasioni pubbliche si sprecarono e Jim fu costretto ad assistere, stando in disparte, alle loro conversazioni. Mentre assaporava l’ennesimo antiacido, notò come Oswald fosse chiaramente perso per Nygma, mentre Nygma era solo il solito pazzo bastardo. Ma forse Jim aveva un filtro che glielo faceva vedere così, chissà.
 
In realtà si sarebbero potuti mettere insieme da un momento all’altro, per quanto ne sapeva, e il solo pensiero lo infastidiva enormemente.
 
“Ti sei calmato?” gli chiese Oswald, avvicinandosi a lui mentre Edward si allontanava per fare chissà cosa.
 
Glielo chiese con una punta di incertezza, quasi avesse paura che Jim si arrabbiasse con lui di nuovo, e in effetti l’ex detective si sentiva come un vulcano pronto a esplodere.
 
Ma non poteva, aveva già detto ciò che pensava e non avrebbe fatto una scenata inutile in pubblico, quindi dopo una breve lotta interiore sospirò.
 
“No, ma sto facendo finta,” rivelò.
 
E la conversazione sarebbe potuta andare avanti all’infinito, ma Jim era certo che non avrebbe cambiato idea.
 
 
---------
 
Oswald non riusciva a capire perché Jim se la fosse presa tanto.
 
Sapeva che lui non sopportava Ed, ma in fondo i suoi sentimenti per lui non lo riguardavano e quel comportamento era decisamente esagerato.
 
Si trattava di Jim, Oswald si sarebbe offeso se avesse iniziato a mentirgli, però adesso era diventato davvero incomprensibile per lui, e la sua sincerità, il suo volergli dire a tutti i costi cosa ne pensava su di loro, rasentava l’insopportabile.
 
“Devo forse pensare che sei geloso?” gli chiese con leggerezza, e la sua guardia del corpo si voltò verso di lui con gli occhi sgranati.
 
“Dei tuoi sentimenti per quel bastardo? Proprio no!” ribatté, ed era esattamente ciò che si aspettava.
 
“Preferirei che moderassi il linguaggio, è il mio migliore amico e s-sai che sono innamorato di lui,” disse, dopo essersi assicurato che nessuno fosse abbastanza vicino da sentirli.
 
“Già, ma non farò finta di riuscire a sopportarlo per questo. Scordatelo,” sottolineò duramente.
 
“Sei omofobo, Jim?”
 
“Cosa? Ma come ti viene in mente?” gli chiese, in un tono di voce alto che attirò l’attenzione delle persone più vicine. “La mia ex, Barbara, è bisessuale,” riprese parola, questa volta in un tono moderato.
 
“Già, ma quando sono donne va bene ed è persino interessante. Invece quando sono uomini…” commentò Oswald a sguardo basso, ma Jim lo interruppe prima che potesse finire la frase.
 
“Non è così, questo te lo assicuro,” disse e sospirò. “Lui è il mio problema, soltanto lui.”
 
Sentendoglielo dire, Oswald avvertì una stretta dolorosa al petto.
 
“Io stavo con Lee quando sono stato incriminato a causa sua e mandato a Blackgate. E per la cronaca, là dentro volevano uccidermi,” raccontò, ed era la prima volta che sentiva il suo punto di vista su quella storia.
 
Edward gli aveva raccontato di come avesse iniziato a indagare sulla scomparsa di Kristen Kringle, e per questo gli aveva organizzato una trappola per liberarsi di lui. Non sapeva, però, come aveva passato Jim quel periodo, dopo il quale si era ridotto in quello stato. In effetti era qualcosa che aveva solo potuto immaginare, e senza un particolare interesse.
 
“Lee era incinta… Mancavano pochi mesi alla nascita ormai. Quando sono stato messo dentro, le ho detto di non aspettarmi. Pensavo che non sarei mai uscito… E lei ha perso il bambino, mentre non c’ero. Forse è successo per lo stress o per il dolore, non lo so. Non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo… E adesso sta con un altro,” disse, senza più guardarlo negli occhi, e Oswald percepì tutto il dolore che si nascondeva dietro quelle parole.
 
“Mi dispiace tanto, Jim…” si sentì in dovere di dirgli, anche se sapeva che sarebbe stato inutile.
 
Lui rispose con un sospiro.
 
“Non ha più importanza ormai. Ma non smetterò di credere che lui sia un bastardo e che non provi il minimo di rimorso per tutto ciò che ha fatto.”
 
“Anche io allora sono un bastardo che non prova rimorso per le sue azioni passate,” puntualizzò.
 
“Non paragonarti a lui, non insultarti così,” ribatté, mentre si metteva a braccia conserte, e Oswald rimase stupito.
 
Ciò che aveva sentito non cambiava i suoi sentimenti, ma adesso riusciva a capire un po’ meglio il nuovo Jim Gordon.
 
Un tempo, quando ancora non conosceva Ed, aveva provato qualcosa per lui. I suoi tentativi di instaurare un’amicizia nascondevano un secondo fine che avrebbe mantenuto segreto, almeno finché non avesse avuto una minima conferma da parte sua che potesse nascere qualcosa.
 
Conferma che non c’era mai stata, e in seguito Oswald aveva liquidato quei sentimenti come una cotta passeggera, durata molto sì, ma ormai esaurita.
 
E nell’ultimo periodo, con Edward, aveva iniziato a provare qualcosa di più forte, che premeva per essere rivelato. Lui non avrebbe aspettato, erano giorni che cercava di intavolare il discorso ma non ci riusciva mai, perché in fondo aveva paura che lo rifiutasse, o che prendesse male la sua dichiarazione.
 
Ma ora era finito il tempo di esitare.
 
“Lo inviterò a cena, questa sera, informandolo che ho una cosa importante da dirgli.”
 
“Ti prego, se devi farlo almeno non rendermi partecipe,” commentò Jim, e Oswald gli rivolse un sorriso tirato.
 
Non avrebbe smesso di lamentarsi, ormai lo aveva capito.
 
 
---------
 
L’indomani Jim venne svegliato da una telefonata di Oswald.
 
Era disperato, gli aveva detto che Edward non si era presentato alla cena, anzi non era proprio tornato a casa per tutta la notte. E così, più per dovere che per un vero e proprio interesse, si sbrigò a prepararsi e a raggiungere la villa.
 
Trovò Oswald nella sala da pranzo ancora imbandita, il che dava l’idea che avesse aspettato lì per tutta la notte.
 
“Jim!” esclamò, vedendolo. “Finalmente sei qui. Devo chiamare la polizia? Credo che gli sia successo qualcosa…”
 
Jim avrebbe tanto voluto che fosse così. Magari era stato investito la sera prima, il che lo avrebbe fatto godere un minimo internamente. Sarebbe stato il karma, anche se così avrebbe pagato solo un piccolo prezzo per tutto ciò che aveva fatto.
 
“Oswald!” sentirono, e si voltarono entrambi.
 
Edward Nygma - purtroppo per Jim - era vivo, aveva l’aria trafelata ma stava bene, e adesso si trovava in salotto con loro.
 
“Ed! Stai bene!” esclamò Oswald, che sembrava potesse crollare da un momento all’altro.
 
Gli corse in contro e lo abbracciò, e a quella vista Jim avvertì un fastidioso dolore al petto. Acidità di stomaco, probabilmente.
 
“Sto benissimo. Non ci crederai, ho conosciuto una persona!” annunciò.
 
Jim capì cosa intendeva, e sicuramente anche Oswald lo comprese, ma non disse nulla.
 
“Adesso vai pure a riposare, sarai stanco. Mi racconterai tutto dopo con calma,” lo invitò, e Nygma annuì.
 
Era così felice che sembrò non notare nemmeno la presenza di Jim, che lo guardava con palese astio.
 
Un attimo dopo si ritrovarono nuovamente soli, perché Edward se n’era già andato verso la sua stanza.
 
Oswald era rimasto fermo in un punto della sala, da dove l’aveva guardato andare via.
 
“Oswald…” provò a chiamarlo piano Jim, avvicinandosi per mettere una mano sulla sua spalla sinistra.
 
Lo sentì emettere un gemito strozzato.
 
“Ha c-conosciuto una persona la sera stessa in cui volevo confessargli i miei sentimenti? Com’è successo, Jim? Perché a me?” si lamentò, senza voltarsi verso di lui.
 
Jim lo aggirò per poterlo guardare in faccia e vide che non stava piangendo, ma era chiaro che fosse disperato.
 
“Che ne pensi di andare a dormire anche tu? Sei rimasto ad aspettarlo per tutta la notte…”
 
“Come potrei riuscire a dormire adesso?” ribatté.
 
“Per lo sfinimento, ci riuscirai,” ipotizzò.
 
Non sapeva bene cosa dirgli. Vederlo in quello stato lo faceva sentire male, ma non aveva parole di conforto visto che l’altra persona era proprio Nygma. Così insistette finché non riuscì a convincerlo e lo accompagnò fin dentro la sua stanza.
 
Oswald indossava già la vestaglia, segno che a un certo punto della notte si era cambiato, e sembrava ancora sconvolto quando si mise a letto.
 
“Vedrai che lo dimenticherai,” si decise a dirgli alla fine, ma questo sembrò peggiorare soltanto la situazione. “Senti, ma come ti è successo di innamorarti di quello là? Non capisco proprio come sia possibile…”
 
“È per il modo in cui mi guarda, Jim… Nessuno, a parte mia madre, mi ha mai guardato così.”
 
“È davvero solo questo?” gli chiese la sua guardia del corpo, con la sorpresa ben udibile nel tono di voce.
 
“Beh, no, anche il fatto che è sempre molto gentile con me e mi aiuta…”
 
Jim si coprì metà del viso con la mano destra, allibito.
 
“Anziché startene lì a giudicarmi, perché non mi dici cosa ti ha fatto innamorare della dottoressa Thompkins?” ribatté, con il tono improvvisamente agguerrito, e quelle parole arrivarono a Jim come una coltellata al petto.
 
Visto che la conversazione rischiava di andare per le lunghe, prese una sedia e si accomodò accanto al suo letto.
 
“Non certo per il modo in cui mi guardava, anzi all’inizio credevo di non piacerle affatto,” specificò. “Siamo stati colleghi per un breve periodo, ho visto quanto era bella e intelligente… Ci siamo anche occupati di un caso insieme e quella volta temevo che sarebbe morta. Qualcosa è scattato.”
 
“E dimmi, perché i tuoi motivi dovrebbero essere migliori dei miei?” sottolineò Oswald, corrugando la fronte.
 
“Perché Nygma è un bastardo! E questa sera te lo ha dimostrato. Doveva venire qui, invece ha incontrato una donna e ci ha passato subito la notte insieme, senza nemmeno avvisarti. È stato spregevole!”
 
Nella penombra della stanza, che a quell’ora del mattino aveva ancora le tende tirate, Jim si accorse che adesso Oswald stava per piangere davvero.
 
“Scusa, ho esagerato… ma fondamentalmente è quello che penso. Adesso prova a dormire, ti sveglierò io tra qualche ora.”
 
“Resterai qui al mio fianco per tutto il tempo?”
 
“Che cosa?” chiese alzando la voce, spiazzato.
 
“Per favore, Jim…”
 
“E va bene,” gli concesse, emettendo un lungo sospiro.
 
 
 
   
 
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