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Autore: Biblioteca    19/09/2024    0 recensioni
Una ragazza torna a Milano e scopre che una sua vecchia conoscenza è venuta a mancare.
Scritto perchè mi è capitato un doloroso lutto mesi fa che mi ha bloccata per lungo tempo e solo ora sento che sto riprendendo il ritmo nella scrittura.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Ho saputo che Marco era morto per caso.
La sua dipartita era stata violenta, ma non abbastanza per un telegiornale, un giornale o qualsiasi organo di informazione.
Su internet, Marco non aveva più un grande seguito. E comunque mi aveva bloccata tempo prima. E quel blocco virtuale aveva portato a un non-contatto reale.
Però, quando incontrai il nostro amico comune Giulio durante un viaggio a Milano, dove avevo appena preso l’ennesima sfanculata a livello lavorativo, lui mi disse della sua morte.
Aveva anche partecipato al funerale.
Poca gente, mi disse. Marco si era chiuso molto negli ultimi anni. Anche la comunità LGBT+ del suo quartiere gli era diventata ostile.
Aveva smesso di uscire, di andare in palestra, di scrivere sul suo blog. Aveva chiuso diversi account dei social (salvo l’unico dove mi aveva bloccata) ed era praticamente sparito da qualunque interazione online.
Lavorava e basta.
Si alzava la mattina, faceva la doccia, andava in ufficio, tornava a casa dopo otto ore e dormiva.
Aveva partecipato ad alcuni aperitivi meneghini, ma tali inviti erano calati dopo alcune situazioni che Giulio definì “deprimenti e imbarazzanti”, senza approfondire il concetto e senza descrizioni particolari.
Non mi spiegò cosa aveva fatto Marco di imbarazzante; quanto al “deprimente”, quello potevo immaginarlo benissimo da sola.
Il bello è che me lo disse proprio durante un aperitivo, quando, come sempre, bastò uno spritz per farlo diventare ubriaco. Mi raccontò che durante la doccia mattutina, Marco era scivolato e si era rotto l’osso del collo. E la vicina aveva sentito il rumore della caduta e l’acqua che continuava a scorrere, aveva fatto due più due e aveva chiamato i soccorsi.
Marco era morto rompendosi il collo nella doccia, nel monolocale dove viveva solo perché Eric lo aveva lasciato l’anno prima ed era stato trovato subito solo perché la vicina (che a quanto pare odiava) aveva avuto un’intuizione. Altrimenti chissà, sarebbe potuto restare lì per ore mentre l’acqua iniziava ad allagare il posto.
Allora sì che la storia sarebbe stata appetitosa e che i media ne avrebbero parlato.
Giulio chiese un altro spritz e scoppiò a piangere dopo averlo mandato giù senza neanche usare la cannuccia.
Io invece non piangevo.
Perché in realtà avevo sempre visto quel destino negli occhi di Marco.
 
Marco e io c’eravamo conosciuti in un incontro dedicato a Guerre Stellari, nato con lo scopo di criticare pesantemente i nuovi sequel, invitando le persone a boicottarli.
E già allora aveva un’aura di ostilità nei confronti di tutti, come se lui fosse l’uomo con tutte le risposte sul mondo, oltre che sul fandom.
Era severo con tutti, ma la sua memoria leggendaria gli aveva dato una forma di “autorità”, non solo nel fandom di Guerre Stellari, ma su qualsiasi argomento in cui era esperto.
A parte il fandom di Guerre Stellari, non amava usare il web. Aveva avuto per molti anni un account su Twitter dove amava blastare le persone, ma lo aveva chiuso all’improvviso un anno dopo il mio blocco.
Eric era diventato il suo compagno più o meno nel periodo in cui avevamo iniziato a frequentarci. E Marco non lo trattava bene.
Chiunque entrava nella sfera d’influenza di Marco pensava di avere a che fare con una persona brontolona, ma in fondo buona e molto intelligente, che utilizzava il cinismo e l’aggressività e il sarcasmo come maschere per difendersi. Una volta passato qualche tempo, ci si rendeva conto di avere a che fare con qualcuno sì intelligente, ma che in fondo non aveva altro; i traumi della sua vita (comunque passata nell’alta borghesia milanese, quindi non proprio tra i rifiuti a cercare cibo) lo avevano mutilato di qualunque capacità di empatia verso gli altri come verso se stesso; aveva una parola orrenda per tutti, per qualunque cosa. Anche per Eric.
Anche io e Eric eravamo amici, una volta.
Poi Eric iniziò a uscire solo con Marco, che in qualche modo riusciva sempre a far notare qualcosa di sbagliato nelle conoscenze personali che avevi al di fuori di lui.
Non nego che ho rivalutato molti rapporti mentre stavo con lui. Ma alla fine l’unica persona con cui ho litigato è stato proprio Marco e conseguentemente Eric.
“Sei troppo aggressivo. Se continui così la gente non ti ascolterà più.”
Ecco. Questo è stato il messaggio che mi ha fatto bloccare.
Rispondevo alle sue lamentele a un mancato invito da parte del club di Guerre Stellari a parlare di “Mandalorian”.
No, non l’hanno invitato nemmeno agli incontri successivi. E tre mesi dopo quel blocco, Eric lo ha lasciato.
 
Avevo capito prima degli altri che Marco non indossava maschere. Era mutilo, tutto qui. Forse non era neanche colpa sua.
Certe persone la vita le distrugge prima della vecchiaia e non lo accettano, non riescono a diventare una versione migliore, o anche solo diversa, diventano semplicemente cattivi.
Io avevo la forza di rispondergli, perché così facevo con tutti gli amici che avevo. Parlavo.
Dicevo quello che non mi tornava. E parlando avevo capito che non mi considerava un’amica. Aveva di me un’opinione molto scarsa e non nascondeva tale opinione quando mi vedeva. Probabilmente se avessi ucciso sua madre con qualche omicidio creativo mi avrebbe stimata di più.
 
I genitori di Marco, mi spiegò Giulio, erano morti in un incidente stradale, non prima però di assicurarsi che lui avesse il meno possibile.
Questo mi sorprese, non mi aspettavo certo che quei coniugi sempre ospitali e gentili nascondessero in realtà una profonda omofobia. Ma forse non era stato quello il motivo.
Un giorno, eravamo a casa di Marco e sua madre aveva portato delle paste. Eric era vegano e le paste erano di crema, quindi non poteva mangiarle.
Marco allora passò circa cinque minuti a umiliare sua madre davanti a tutti. Era molto intelligente e sapeva come usare le parole per insultarla e ferirla senza dire nulla di falso o troppo volgare.
E fece un ottimo lavoro perché gli occhi della donna si riempirono di lacrime che tenne finchè non uscì dalla stanza, portandosi dietro il piatto con le paste, chiedendo scusa a Eric.
Da allora non sono più andata a casa sua.
 
Marco sentiva un “diritto di aggressività” sia perché era stato bullizzato da piccolo per la sua omosessualità, sia perché aveva visto morire la sorella gemella affogata.
Ne parlava spesso di questi traumi, in modo molto dettagliato, quasi gli piacesse far conoscere a tutti le sue disgrazie, dicendo che gli capitava spesso di riviverle ancora.
Non ho dubbi che soffrisse di una sindrome post-traumatica, ma sembrava davvero impegnarsi a costringere gli altri a vivere la stessa cosa.
Se poi qualcuno cercava di aprirsi con lui sui suoi di traumi, perché sia chiaro tutti ne hanno almeno uno, prima si dimostrava comprensivo, poi però iniziava a far notare alla persona tutte le cose positive che facevano parte della sua vita, con un tono tale da far capire che non c’era un intento consolatorio.
Lo avevano preso nella “hotline” di soccorso per gli omosessuali e i trans per alcuni mesi e lo avevano mandato via dopo appena un mese.
Aveva partecipato ad alcuni sportelli di supporto, però non era mai stato richiamato.
Prima di Eric aveva avuto solo rapporti occasionali e diceva sempre che era stata colpa degli altri se non si erano evoluti oltre. Nessuno gli credeva.
 
“Perché lo frequentavi ancora, Giulio?”
“Anch’io lavoro in quell’ufficio e poi mi faceva tanta pena…. Lui non era come te…”
“Prego?”
“Tu eri felice… eri felice e quando non eri felice lo facevi capire senza far sentire in colpa nessuno…. Lui era sempre infelice, sempre scontento. Sempre. E non lo sapeva.”
Sono venuta a sapere così che la mia assenza dal gruppo è pesata. Ero tra le poche persone che riusciva a controbilanciare il suo carattere e a rendere le uscite piacevoli. Ma nessuno di loro mi ha chiamato comunque per dirmelo.
 
Avevo lasciato Milano alcuni mesi dopo il blocco, poco prima della pandemia, consapevole che non volevo tornarci, che non volevo più vivere in quella città che si stava dannando e avevo avuto ragione.
Durante il lockdown avevo immaginato le possibili morti dei miei ex amici meneghini in quello scenario così anomalo e per Marco avevo immaginato proprio quella circostanza: un incidente nella doccia.
Non so neanche perché, ma come diceva Giulio, Marco sembrava così scontento e infelice che ero sicura che la Morte gli fosse vicina, come io l’ho sentita vicina tante volte, quando era il mio turno di essere depressa, quando qualcosa mi faceva stare male.
 
Vorrei poter dire a Marco che era proprio perché, come lui, stavo male la maggior parte del tempo che cercavo di godermi le cose quando succedevano.
Ma credo che non mi avrebbe comunque capito.
Lui doveva impegnarsi a dipingere il mondo di nero per tutti.
Io cercavo i colori anche nel bianco, che in realtà è il loro annullamento.
Eravamo troppo diversi, non era un’amicizia che poteva durare, non è mai stata un’amicizia e ora che è morto posso mettermi l’anima in pace che c’è uno stronzo in meno nel mondo, cosa che penso abbiano fatto tutti, anche Giulio che lo ha ammesso piangendo che la prima cosa che ha pensato è che almeno c’era meno sofferenza nel mondo adesso, per gli altri e per lui, e che si è sentito uno stronzo per averlo fatto, perché in fondo nessuno di noi ha capito Marco, nessuno lo ha curato, i suoi genitori gli hanno sputato addosso nella morte, sua sorella si è gonfiata d’acqua davanti ai suoi occhi e lui la vedeva ogni giorno… ogni notte…
 
Portai Giulio a casa e lo lasciai ai genitori. Gli affitti sono troppo alti, anche se lavora non può vivere da solo.
La mamma di Giulio si ricordava di me e mi offrì del caffè caldo, perché alla fine ero brilla e piena di lacrime anch’io.
Chiesi di Marco e confermò molte cose: sì, era molto isolato e lei era andata al funerale semideserto e lo avevano sepolto in un cimitero della periferia.
Mi feci lasciare il nome ed è per questo che ora sono qui davanti alla sua tomba.
Ho saputo della morte di Marco per caso e per caso sono qui a farti visita, probabilmente stai già borbottando “ecco la puttana”, perché so che mi hai chiamata così alle spalle più di una volta. Ti ho preso come esempio da non seguire, non voglio essere come te. Non voglio vedere chiunque come nemico solo perché la vita ha deciso di farmi male, più male di altri, ma meno di altri ancora.
Non sarò io a traumatizzare nessuno, come hai provato a fare tu con me, con Eric e con altri.
Non hai neanche un fiore, nemmeno tuo fratello minore ti viene a trovare, vale davvero la pena ridursi così? Non possiamo scegliere come morire, ma solo come vivere. E sì, mi diresti subito che c’è il suicidio ma anche lì, ti direi che non è una scelta fatta mai a cuor leggero e che non sempre va a buon fine, che lo so per esperienza, ma no, non condividerei con te questa parte della mia vita neanche ora che sei morto.
Dove mi trovo adesso sto bene, magari non sono sempre felice, quello è impossibile, ma ho raggiunto una specie di pace e sinceramente, se ci fossi stato ancora tu nella mia vita me l’avresti rovinata.
Voglio godermi quello che di buono, almeno provarci, non è detto che ci riesca ma vale la pena fare un tentativo. Tu avevi così tanto che potevi godere e nemmeno ci hai provato… Mi fa molta rabbia questo perché anche se quello che hai vissuto è stato terribile avevi tutti i mezzi per provare a vivere meglio: avevi i soldi, i genitori che ci hanno provato a volerti bene, un ragazzo che ti ha dato una possibilità, della gente che pendeva dalle tue labbra ed era pronta ad esserti amica... a chi come me non ha il tuo carisma, queste cose a volte non arrivano affatto…
 
Non so cosa mi trasmette la tua morte.
Sono dispiaciuta perché avrebbe potuto essere altro e hai impedito che lo fosse. Ma non abbastanza per pensare che sia stata una tragedia. Una parte di me se lo figurava proprio di vederti morire solo nella tua casetta. Niente amici, niente fidanzato, niente paste di mamma.
Non volevi nessuno attorno e così è stato.
Non sono felice che sei morto, ma ogni giorno per te era un giorno di tortura quindi forse anche se fossi rimasto vivo sarei stata infelice per te.
Mi dispiace che gli altri non ti portino i fiori, ma cosa ti aspettavi? Hai detto a Lina, mentre piangeva la mamma, che tu tua sorella neanche l’hai potuta rivedere nella bara. Devi ringraziare che Lina stava tanto male sennò eri morto quel giorno.
Mi ricordo solo una cosa bella di te: quella volta che hai visto un tale che vendeva dei fiori e ti sei incantato a guardare un’ape che prendeva il polline.
Mi hai detto, per la prima volta senza quel tono cinico tipico tuo, che da piccolo le api le adoravi e che volevi diventare apicoltore e poi hai detto: “Meno male che non è successo, altrimenti chi lo sente Eric.”
E per la prima volta hai parlato di qualcosa che ti piaceva ovvero le api. Quindi tieni. Ti ho portato un vaso di azalee, che spero resistano, spero arrivino tante api a farti compagnia.
Magari ora sei un’ape, magari un’operaia che deve prendersi cura della comunità mentre la comunità si prende cura di lei, come delle larve e della regina…
Torno a casa adesso Marco. Mi dispiace che sei morto, ma come avresti detto tu “sono cose che capitano”.

 
  
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