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Autore: _Alcor    26/09/2024    4 recensioni
Gli emersi – invasori dimensionali che appaiono all’improvviso e senza apparente regolarità – hanno già devastato una delle province del paese e minacciano ogni giorno di causare nuove morti.
In risposta, l’umanità ha creato le armature d’assalto CHIMERA, l’unica speranza di combattere ad armi pari contro individui che sembrano poter piegare la natura al loro volere con un movimento della mano.
Eppure ci sono forze che vogliono che il testing delle armature venga interrotto e sembrano disposte a tutto: aggressioni, minacce e attentati…
Perché?
{Terzo capitolo della serie Chimere | ispirato all'esperimento di Milgram&Kamen Rider}
Genere: Angst, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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XIX. Tae Maeda

[Commento a un post su un noto social network]

Fa ridere perché non saprei dire se è una foto della città o di Marton





Il piazzale dell’auditorium si è riempito di dipendenti Kaiser con tute protettive gialle e maschere per filtrare l’aria. È una scena degna dei primi giorni dopo il disastro di Marton, quando ai sopravvissuti del dragone spuntavano scaglie nere e venivano colti da raptus violenti.

Mi fermo davanti alle porte d’entrata e accarezzo il collo, percepisco il tocco dei polpastrelli come se le placche dell’armatura facessero parte della mia pelle. Sono stata contaminata anch’io?

Logan, con un fazzoletto premuto contro il viso pesto di sangue, viene cacciato dentro un’auto civetta da alcuni agenti. Sbattono lo sportello e partono.

Polizia e operativi staranno rivoltando la città per trovare la Parata del fumo. Questa volta posso contare che Logan sarà costretto a portarli dritto a loro.

I paramedici spingono la barella di Glenn fuori dall’entrata dell’auditorium. Mi faccio da parte per lasciarli passare. È ricoperto da un sottile strato di brina, il petto si alza e abbassa anche se la maschera non ha buchi per respirare. Sta bene.

Uno dei due uomini mi fa un cenno verso il furgoncino in mezzo al piazzale. «Vieni con noi, ti facciamo un check up rapido-rapido e indolore.»

Il fatto che abbia dovuto specificarlo è preoccupante. Li seguo, lo sferragliare delle ruote sull’asfalto ci accompagna fino al retro del mezzo. Il suo compagno spalanca i portelloni, l’interno ha tre sedili e diversi mobiletti attaccati a un soffio dal tettuccio.

Caricano la barella fino in fondo.

Salgo dietro di loro. Il mezzo si abbassa sotto il peso dell’armatura.

Il paramedico sospetto emette un gemito sorpreso. «Per le sospensioni di questa vecchietta, sarebbe comodo se ti togliessi tutti i paramenti.»

«Guarda, vorrei. Non si staccano.»

«Beh, addio sospensioni. Tanto non le pago io.» Mi oltrepassa, chiude gli sportelli e si volta verso il collega. «Possiamo partire!»

Con un ruggito, il motore del furgoncino si accende e sfreccia avanti. Afferro uno dei sedili per non cadere, mi siedo.

Sospetto affianca il collega. «Serve una mano?»

«Nah, solita routine.» Il secondo tira fuori da uno dei mobiletti un coltellino dalla lama verdastra e una siringa piena di liquido trasparente. Si sistema accanto a Glenn e gli stringe il braccio, incide l’esoscheletro con la lama. Gratta via riccioli neri fino a scoprire la pelle arrossata sottostante. «Con questa non rischiamo che decida di cambiare idea e di cuocerci vivi.»

Lo punge con la siringa, preme lo stantuffo fino in fondo.

L’esoscheletro viene attraversato da una vibrazione, il liquido nero si allunga e intrappola l’ago della siringa. Poco a poco, risale il cilindro.

«E no, non te lo mangi!» Tira indietro, fili neri si tendono verso l’alto per cercare di acchiappargli il braccio.

Sospetto li scaccia come mosche. «Ovviamente i casi più simpatici ci capitano.»

«Sempre meglio della donna che ha trasformato tutti quei formaggi in pietre nere.»

«Io sarei stato curioso di assaggiarli. Secondo me erano gusto galassia.»

«Tu vuoi morire giovane.» Coltello lancia la siringa in un bidone e passa il coltello verde al collega. «Io voglio arrivare ai dieci anni di servizio e cambiare lavoro.»

«Prima di ritrovarmi a fare un lavoro d’ufficio torno a Marton a farmi contaminare. Mi manca quel posto.» Sospetto scrolla le spalle e mi si avvicina con la lama bella in vista. «A proposito di quello, ora tocca a te.»

«In movimento?» La voce mi esce stridula anche attraverso l’armatura. Un solo sobbalzo e finirei malissimo.

«Questo affare non può tagliarti, ma è ricoperto della roba che usano gli operativi per tagliare gli emersi come burro.» Passa il dito sopra la lama, posso immaginarlo sorridere al di là della maschera antigas. «Dovrebbe bastare per vedere che cacchio ti è successo alla gola e stimare se c’è bisogno di qualche amputazione.»

«Scusa!?»

«Hm. Effettivamente la gola non la puoi amputare. Abbi pazienza, di solito ho a che fare con gente con un piede nella fossa.»

«Mi stia lontano.»

«O mi dai retta, o l’unica stanza della Kaiser che vedrai è la cella di contenimento~»

Stringo i denti e mi costringo a stare ferma. Sospetto picchietta la lama sul collo, una sensazione di gelo si dipana lungo le vene e concentra nell’innesto. Lo Sval si stacca dal mio petto e sparisce in polvere di luce.

Le placche esagonali mi si staccano da dosso e scrosciano per terra come centinaia di monetine. È stato così facile, perché con Glenn non è successo lo stesso?

L’uomo mi poggia una mano sul collo e accarezza della peluria. Caccia un uh là là. Non è buono. Non dovrei avere roba del genere addosso!

Il collega tira fuori da un altro mobiletto un termometro a infrarossi e glielo lancia.

«Thank you, mio buon compagno!» Sospetto punta la pistola di plastica alla mia fronte. «È un rilevatore di contaminazione, i valori normali e sicuri per chi come te lavora a contatto con emersi si aggirano intorno ai venti-venticinque cnm.»

Preme il grilletto, si concentra sullo schermo. Scoppia a ridere. «Nove! Nove cnm! Sei più sana di noi.»





Le porte grigie che danno sulla sala operatoria dell’ala medica sono chiuse da ore. Nessuna notizia di Glenn. Accarezzo il piccolo grumo di piume argentee che mi cinge la pelle come un girocollo, le dita mi si intorpidiscono come se le avessi infilate nel freezer.

Sono tecnicamente sana, malgrado questo affare. È troppo sperare che sia lo stesso anche per Glenn?

Dall’altro lato della cornetta, si sente papà riprendere in mano il cellulare. «Non posso raggiungerti immediatamente, ma domani tua madre dovrebbe arrivare.»

Splendido. «Grazie.»

Stacco il cellulare dall’orecchio e controllo lo schermo. Quattro del mattino, ha senso dire che non possono venire oggi. L’occhio mi cade sulla pagina della chiamata in corso. È quasi un’ora che sono al telefono con papà.

Dovrei lasciarlo andare a dormire.

«Lo sai che tua madre è preoccupata per te.»

«È che… questo è il solo modo con cui mi posso rendere utile.» Cammino avanti e indietro, finirò per scavare dei solchi sulle piastrelle. «Ho talento per questa cosa, posso fare la differenza.»

«Tae… Il tuo valore non sta lì. È molto più ammirabile uno che si fa indietro quando vede gli errori di ciò che sta seguendo, più che uno che va avanti ciecamente.»

Mi mordo il labbro. «Non sto andando avanti ciecamente, non hai tutto il contesto. Non posso dartelo.»

«Sei sotto NDA, ho capito. Ma sai che non credo a tutto quello che è apparso online in questi giorni su di te.» Si sente il gemito metallico di una lattina che viene aperta. «Però chiediti cosa ci guadagnano le persone quando tentano di convincerti qualcosa. Chieditelo del tuo capo, di quegli emersi.»

«L’ultima volta che ho messo in discussione degli ordini, sono morte persone.»

«Un giorno ti troverai ad obbedire a qualcosa di cui non sarai per niente orgogliosa, e a quel punto dovrai convivere tu con le conseguenze di quell’ordine. Non chi te l’ha dato.»

È normale che la pensi così, non si è mai trovato in difficoltà. «Va bene… Ecco, vado a dormire pa’.»

«Notte tesoro.»

Pigio il tasto rosso. La chiamata rimane aperta. Schiocco la lingua, deve essersi impallato il telefono di nuovo. Da quando Rayet è uscito di testa, sembra che anche il cellulare abbia deciso di tirare le cuoia.

Lo caccio in tasca. La porta della sala operatoria è ancora chiusa.

Mi volto, trovo Serena e Allen seduti su una panchina di metallo a ridosso del muro. Pianto la mano sul collo per coprire le piume e faccio due passi indietro. «Sono innocua, valori di contaminazione più bassi del normale.»

Serena agita una mano dall’altro verso il basso per zittirmi. «Lo sappiamo, non ti lascerebbero girare altrimenti. Ma ehi! Ti ho portato un regalo.» Indica Allen. Ha gli occhi segnati dalla stanchezza e un paio di lividi in via di guarigione sulle braccia scoperte. «Ta-daan, Bussola! Ho fatto un po’ pressione per farlo rilasciare immediatamente.»

Lo vedo. Dovrei essere felice.

Dovrei.

«Stai–»

«Stai–»

Siamo partiti contemporaneamente. Allen mi fa cenno di parlare per prima.

«Stai bene?»

«Ho recuperato il sonno degli ultimi tre mesi, non posso lamentarmi.»

Eppure sembri distrutto. «Ne sono felice.»

«Già.»

Serena lancia uno sguardo a entrambi. «Ragazzi, se vi odiate potevate dirmelo. Evitavo di farvi incontrare così in fretta.»

«Onesto, ho paura di quanto della mia conversazione avete sentito.»

Bussola gonfia il petto e alza le spalle. «Tuo padre ha una voce tonante, quindi un po’ tutto.»

Stringo gli occhi, sofferente. Non mi fa impazzire l’idea di loro che mi hanno sentito venire rimproverata come una bambina.

Si alza e mi batte un pugno sulla spalla. «Scherzavo e… mi dispiace, non esserci stato in questi giorni.»

«Ci mancava solo che evadessi pure tu.»

Serena accavalla le gambe. «Quindi è vero quello che ho sentito? Logan era con la Parata?»

«A quanto pare. A quest’ora lo staranno interrogando per trovare il covo dei suoi compagni.»

«Interrogando di nuovo.» Allen serra le labbra, gli occhi al pavimento. Si passa i palmi sulle braccia costellate di lividi. «E se non ha detto nulla la prima volta, dubito lo farà ora. Sono convincenti. Soprattutto quella matta di Koller.»

Rabbrividisco. «Pensate che avrò modo di parlargli in questi giorni?»

Scrollano le spalle. Mi sarei aspettata un no secco, ma è difficile dirlo. È il primo caso di criminale che collabora con emersi per atti terroristici, potrebbero esserci magagne burocratiche solo per decidere sotto la giurisdizione di chi ricade.

Ed ha ucciso anche Jaiden.

Mi premo la mano sulle labbra. No, ha detto solo che le ha fatto del male, può significare qualsiasi cosa. Non l’avrà ficcata dentro quell’albero come qualcosa di sporco da nascondere.

Spero.

Serena si mette le mani sui fianchi. «Vorrei combinarti un incontro ma sono già a rischio di azione disciplinare per come ho gestito la questione auditorium. Ho le mani legate.»

Allen mi stringe l’altra mano. «Perché vuoi incontrarlo?»

«Ha detto di avermi protetto ed ho l’impressione che stia scaricando le sue colpe su di me, non mi piace. Si comporta come se non avesse messo lui Glenn e Rayet in questo casino.»

Sospira, mi stringe il polso e trascina con sé. «Allora saliamo alle stanze dei degenti. Ho sentito di quello che gli hanno fatto alla faccia, quasi sicuramente sarà lì sotto osservazione. L’unico problema saranno le guardie.»

Ho i polsi nudi, la mancanza del peso dei bracciali si fa sentire. Non posso nemmeno spiccare il volo e passare dalla finestra.

Sono una persona normale.

Allen mi strattona, mi rivolge un sorriso incoraggiante che gli illumina gli occhi. «Ci siamo Sere e io ad aiutarti, in qualche modo in tre la spunteremo.»

I passi della ragazza ci seguono. «Quale parte di rischio il lavoro non vi è chiara?»





Serena si sporge dal fianco del distributore di caffé, punta la montagna di muscoli in uniforme degli operatori piazzata davanti alla camera numero nove. Piedi fissi a terra, braccia dietro la schiena in una posa militare.

Riconoscono i capelli biondi striati d'argento del capitano Roland.

«Abbiamo un problema.» Serena tira fuori un elastico azzurro dalla tasca e lega i capelli in un codino basso come quello di Rayet. Si scrocchia le dita. «Occupa tutta la porta.»

Soffoco una smorfia. «Mi sentirei in colpa a dare fastidio proprio a lui.»

«Beh, possiamo tornare indietro.»

Se lo facciamo, non avrò probabilmente altre occasioni di parlare con Logan. Devo tirargli almeno un pugno sul naso prima di andare a dormire.

Il capitano ci lancia uno sguardo interrogativo, mi sforzo di non distogliere gli occhi. «No, continuiamo pure.»

Allen infila una monetina dentro il distributore, spinge la combinazione di tasti per un caffelatte. «Riflettiamo con chi abbiamo a che fare. Papà Roland non si può corrompere, la volta che delle reclute ci hanno provato hanno fatto sessione intensificata per settimane.» Si schiarisce la voce. «Hai bisogno di tonificare anche la tua motivazione è diventato un meme per un periodo.»

Non ci sta nemmeno provando a parlare a bassa voce.

La macchinetta fa cadere un bicchierino di plastica sui morsetti neri. Ci sputacchia dentro le prime gocce di un liquido marrone chiaro.

Serena annuisce. «Stessa cosa è successo quando hanno provato a “sedurlo”. Hai bisogno di tonificare la tua motivazione! Credo che sia stata una del reparto sviluppo.»

«”Una?” Sei sicura?»

«No, le leggende si sovrappongono…»

Non riesco a stare dietro a questa gente. «Quindi, che facciamo?»

Serena acchiappa il bicchiere. «Glielo chiediamo gentilmente. Qualsiasi altra idea darebbe problemi al reparto e non mi interessa rovinare il turno di notte di una povera infermiera dopo l’albero colossale che hanno parcheggiato qui davanti.»

«Too soon,» la rimprovera Allen con un pugno contro la spalla. «Ma concordo con lei, mettergli un lassativo nel caffè sarebbe solo prendersela con una delle poche persone che qui stanno simpatiche a tutti. Motivo per cui sei la base della nostra idea.»

Posso fidarmi di loro?

Certo che posso.

Avanziamo in formazione triangolare. Su una sedia accanto alla porta chiusa c’è un vassoio con una sola tazzina di caffè vuota e una bottiglietta d’acqua, devono avergliela lasciata le infermiere.

Serena si mette la mano sul petto. «Vogliamo parlare con Logan.»

«Forse è meglio che riposiate per un po’.» Il capitano Roland scuote la testa. «Logan è in custodia e non uscirà di qui. Lo ritroverete anche più tardi.»

«Non ci sposteremo. O ci lasci passare, o finiremo per complicare anche il lavoro di chi si trova qui.»

La minaccia avrebbe funzionato di più se lui non fosse due metri di muscoli e noi tre stecchini innocui. Senza chimera non posso fare molto.

Il capitano si volta verso di me, mi lancia uno sguardo al collo. «Vista la situazione potresti allarmare le persone, cerca di capire, Tae.»

Faccio un passo avanti. «Non voglio rimanere con il dubbio su… su perché ha fatto ‘sto casino.»

«È scosso, forse nemmeno lui sa che cosa stia facendo. Ha bisogno del tempo di riordinare le idee.»

Serena schiocca la lingua, fa un paio di passi verso la sinistra dell’uomo. «Certo, non aveva idea che stava facendo i maggiori attacchi di terrorismo negli ultimi tempi.»

Allen si sposta verso destra. «Non penso fosse pianificato che Glenn si facesse le unghie sulla sua faccia.»

«Motivo per cui dovreste lasciarlo riposare.» La voce di Roland è inflessibile.

Serena e Allen si allungano per afferrare la maniglia dai due lati opposti della porta. Lui gonfia il petto e mantiene la formazione, i due scemi si fanno più piccoli. Non gliene faccio una colpa, mi sentirei intimorita persino io a farmi guardare dall’alto in basso.

Un frullo di ali appare ai bordi della mia visuale. Lo Sval si infila nella porta spalancata della stanza numero sette, lo seguo. Passa oltre il lettino del degente addormentato, oltre la finestra tenuta insieme dalla pellicola di energia applicata dall’uomo rana.

Roland brontola, la sua voce è distante. «Dovrò sigillare anche la finestra.»

«Ma lei non può volare ora!»

L’aria si solidifica sotto i miei piedi, poco a poco rimango sospesa a mezz’aria.

«Okay, può volare.»

«Blocco la porta.»

È naturale che una persona con le ali possa farlo, come ho fatto a non pensarci prima? Anche se prova a bloccarmi l’entrata, mi basta trascinarmi Logan sull’albero e tirarlo giù solo quando mi avrà dato risposte.

Certo!

Un urlo femminile echeggia nel corridoio. L’aria che mi sostiene va in pezzi, atterro sul pavimento e butto la mano al muro per non sbilanciarmi. Allen sbuca dalla porta e mi stringe in un abbraccio, la presa è talmente forte da fare male. «Non andare, non hai bisogno di vedere.»

Gli pianto la mano contro la spalla e me lo scollo di dosso. «Di che stai parlando?»

Esita. Cerca le parole. «Logan…»

«Logan cosa?»

«Non è più tra noi.»

Torno indietro di corsa. Adocchio Serena con le mani sugli occhi e la schiena rivolta alla stanza numero nove. Il capitano Roland blocca la porta spalancata con la propria stazza e parla all’auricolare.

«Comando, chiedo disposizioni.»

Mi infilo tra lui e il muro, il braccio dell’uomo corre alla maniglia.

Ci sono dei piedi staccati dal terreno, una sagoma inerte penzola.

La porta sbatte prima che io metta a fuoco.





[.note a margine]

Stavo correggendo il testo con il mio collega per assicurarmi di azzeccare la caratterizzazione di Roland, quando ha deciso di tenere in sottofondo la musica di Sayori. Quella musica.

E visto che per ora Logan ci saluta dalla trama, tiro fuori la reference che mi ero fatta per non dimenticarmi il feeling di questo ragazzo.

Un giorno imparerò come mettere descrizioni dei personaggi durante la storia in sé.

  
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