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Autore: Princess of the Rose    28/09/2024    0 recensioni
"So annato a morì pe de li monti. Li ho visti tutta la vita li monti, nun so niente de che sti monti delle terre ridenti. Che poi manco ridevano."
"Chi doveva ridere?"
"Li monti de le terre ridenti, pecché se dovevano chiamà cusì se no?"
"Credevi che ci fossero dei monti ridenti?" chiede, divertita.
"Pecché no? Parlavano tutti se sti monti ridenti, de ste terre ridento! Vengo da nu paese piccolo piccolo, non ho visto nulla de lu munnu, la prima volta che so uscito è stato pe anna in guera e mo manco ci potrò torna a casa,"
Genere: Angst, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipante all'iniziativa Rolodex Challenge di Lande di fandom
Prompt:
Treno | Rosso | Luogo del combattimento | WW1 | "Vale la pena restare?"

 


Il treno è imponente, nero, circondato da scure nuvole di vapore, e annuncia il suo arrivo con dei lunghi fischi. La banchina è piena di soldati, fieri nelle loro divise militari nonostante il peso degli zaini; entrano nel treno senza accalcarsi, in file ordinate. Nessun scende.

Leonardo aspetta a salire, si gode la vista di quell'imponente macchina movente parzialmente nascosta dalla nebbia. È la seconda volta che ne vede una. La prima non la scorderà mai: era appena giunto a Roma dal suo piccolo villaggio nella Sabina, uno dei tanti contadini chiamati alle armi per andare a combattere nelle Terre ridenti (1), e subito il comando lo aveva mandato a prendere il treno che lo avrebbe portato alla sua destinazione; quando lo aveva visto avvicinarsi si era spaventato, il forte suono del fischio lo aveva momentaneamente convinto che si trovasse davanti un grande mostro pronto a divorarlo. In pochi giorni era giunto in Nord Italia, si era poi spostato con le camionette per raggiungere la sua vera destinazione, un paese chiamato Caporetto che non dovrebbe essere di molto distante dalle Terre ridenti.  Lì subito gli avevano messo in mano un fucile e lo avevano diretto verso le montagne assieme al resto dei suoi commilitoni, pronto alla battaglia. E ora è lì, ad aspettare il proprio turno per salire sul treno del ritorno, non più il giovane e ingenuo contadinotto sabino che era partito perché troppo povero per corrompere gli alti ranghi e troppo codardo per mutilarsi da solo come aveva fatto il suo amico Giuseppe, che si era tranciato tre dita quando la lettere del richiamo alle armi era giunta a casa sua.

Leonardo si siede su una panchina. La fila per entrare nel vagone che gli sta davanti sembra interminabile. I soldati camminano a piccoli passi, si guardano attorno confusi e un poco spaventati, ma nessuno si dirige verso le altre entrate che sono comunque anch'esse piene zeppe di persone. Leonardo riconosce qualche volto: c'è l'Anselmo suo conterraneo con cui ha fatto amicizia sul treno di andata; c'è Beniamino, un ragazzo siciliano che gli ha dato parte delle sue razioni quando ha pianto perché gli mancava casa; c'è Antonio il torinese - per distinguerlo dall'Antonio il romano - che gli ha insegnato a sparare; e poi ci sono Romano, Corrado, Ulrico, Salvatore, l'altro Salvatore, i tre Ciro, Marco e Marcone, e altri volti familiari ma a cui non sa dare un nome, tutti accalcati all'entrata del vagone. Non lo chiamano a Leonardo, sembrano appena rendersi conto della presenza degli altri, più concentrati a salire sul treno.

Leonardo si controlla le tasche della divisa alla ricerca di una sigaretta, vizio acquisito nel viaggio di andata verso i luoghi dei combattimenti, ma non ne trova una. Sbuffa e si poggia allo schienale della panchina, continuando a osservare quella calca umana verso cui sente l'impulso di unirsi; qualcosa, però, gli dice di non andare, di aspettare, di essere l'ultimo a salire.

"Il treno partirà presto."

A parlare è una donna: è minuta e pallidissima, pare quasi sguazzare dentro il suo abito rosso di buona fattura, i capelli corvini sono raccolti dietro la nuca in uno chignon sorretto da un fiocco nero. I suoi occhi, grigi e grandi in modo sproporzionato al resto del viso affilato, lo scrutano con curiosità. Al collo tiene un piccolo fischietto anch'esso rosso.

Leonardo non si alza e si leva il cappello, come suo padre gli ha insegnato che si fa di fronte a una signora di alto rango. Sente che non ce ne è bisogno, che la donna non lo rimprovererà per quel gesto scortese. Gli sembra quasi familiare, ma non saprebbe dire dove l'ha già vista. Si sposta comunque per permetterle di sedersi al suo fianco.

"Il treno partirà presto," ripete lei, rimanendo in piedi.

"Nu me va de accalcamme co li altri," dice, "Mejo fa entra prima un pocu de persone."

"Non hai paura di perderlo?"

Leonardo ci riflette su: "No, nun proprio."

La donna inclina il capo, sembra intrigata da quella risposta. Afferra la gonna del suo vestito e si siede accanto a lui: "Non vuoi tornare a casa?"

"'sto treno nun porta a casa," dice, rimanendo perplesso dalla propria risposta.

"Oh? E dove porta allora?"

"Io... Io nun lu so, ma nun porta a casa."

"Come fa a dirlo?"

"Ce stanno li austriaci."

"Prego?"

Leonardo indica un gruppo di soldati dalla divisa diversa da quella della fanteria italiana: "Quelli là, nun so austriaci?"

La donna segue il suo dito con lo sguardo e annuisce.

"Perché de li austriaci dovrebbero anna in Italia?" chiede più a se stesso che alla donna, e nel mentre coglie altri particolari: uomini dai tratti diversi da quelli dei suoi commilitoni, dai capelli e pelli più chiare, divise che non sa riconoscere, e nessuno che sembra sorpreso di ritrovarsi quello che dovrebbe essere un soldato nemico a così poca distanza. Tutti sembrano più presi dall'entrare sui vagoni per far caso a chi sta loro accanto.

"Le sorprende che ci siano austriaci qui?"

Dovrebbe, ma qualcosa gli dice che no, non c'è niente di cui sorprendersi del fatto che i soldati di due popoli nemici stiano l'uno accanto all'altro senza attaccarsi. La propria calma lo insospettisce. Guarda la donna e all'improvviso sa dove l'ha vista.

"Io te cunoscu."

"Oh?" la donna sorride, "Davvero?"

Leonardo spalanca gli occhi: "Te eri accanto alla mi pora nonna quanno è morta."+

"La signora Armanda, si. Eri molto piccolo, per questo hai potuto vedermi."

Leonardo si alza in piedi, si guarda attorno febbrile. Nessuno si è accorto della presenza della donna, tutti sono ancora concentrati sul salire sul treno. Guarda in basso: la divisa che indossa è pulita e profumata, non c'è traccia di buchi o sangue su di essa. Si tocca la parte sinistra del costato, che inizia a pungere leggermente, e infine ricorda.

"So morto," dice, cadendo sulla panchina, non troppo sconvolto.

La donna annuisce.

"M'ha ammazzato nu austriaco."

"Si, durante la ritirata da Caporetto," dice lei, giocherellando con un bottone scuro dell'abito.

"M'ha ammazzato come na bestia, senza pietà," Leonardo di arruffa i capelli, si strofina il viso e guarda con nuovi occhi la massa sulla banchina, "Qua semo tutti morti."

La donna poggia il capo su una mano, incuriosita: "Non sembri molto sorpreso."

"'n che senso?"

"Non sei il primo che si rende conto di essere morto in questa fase, ma sei uno dei pochi che non inizia a supplicarmi di riportarlo in vita una volta capito chi sono," dice mentre accavalla le gambe.

Leonardo riflette per qualche istante, poi scuote la testa: "No, se devo esse sincero nun so molto sorpreso."

"Oh?"

"Lo sapevo che nun sarei tornato a casa," sospira, "L'ho capito quanno me salvai da 'a decima perché lu sergente s'è sbagliatu a conta. Se me volevo salva dovevo fa come lu poro Beppe e famme taja le dita, ma nun c'ho avuto il coraggio."

"Non direi che dovresti biasimarti perché non ti sei fatto mutilare," dice la donna, carezzandogli una spalla con una mano ossuta.

Leonardo si volta verso di lei: "So annato a morì pe de li monti. Li ho visti tutta la vita li monti, nun so niente de che sti monti delle terre ridenti. Che poi manco ridevano."

"Chi doveva ridere?"

"Li monti de le terre ridenti, pecché se dovevano chiamà cusì se no?"

"Credevi che ci fossero dei monti ridenti?" chiede, divertita.

"Pecché no? Parlavano tutti se sti monti ridenti, de ste terre rident! Vengo da nu paese piccolo piccolo, non ho visto nulla de lu munnu, la prima volta che so uscito è stato pe anna in guera e mo manco ci potrò torna a casa," Leonardo sospira, amareggiato. Pensa a sua mamma e al suo papà, a quanto la notizia della sua scomparsa li addolorerà. Non è naturale che i genitori sopravvivano ai figli. Si chiede se anche suo fratello Vincenzo sarà chiamato alle armi tra qualche anno, se la guerra non avrà termine. E la sua sorellina, la piccola Maria, chissà se si ricorderà di lui quando crescerà.

La donna gli sorride, comprensiva: "Se può consolarti, la tua tragedia è condivisa con tutti i ragazzi che vedi qui."

"Onestamente, nun me consola, signora mia. Vedo solo tanti fijoli che nun torneranno dalla loro mamma, nun me può consola."

Lei non replica; si alza in piedi, così vicina che il rosso abito gli sfiora una gamba.

"Non me supplicherai di tornare in vita quindi?" dice mentre prende da una tasca della gonna un pacchetto di sigarette, porgendogliene una.

"Varrebbe qualcosa?" chiede, prendendo la piccola stecca, che si accende da sola non appena la poggia sulle labbra.

"No, non si torna indietro una volta che si è giunti qui," la donna indica con un gesto del capo il treno, "La folla è diminuita, ti conviene salire."

"Che succede se nun vado?" chiede, curioso.

La donna lo guarda a lungo prima di rispondere: "Questo treno porta all'eterna pace. Non ce ne sarà un altro che potrai prendere."

"Quindi?"

"Rimarrai qui, intrappolato per sempre tra il mondo dei vivi e quello dei morti, e non troverai mai la vera pace," dice la donna per poi portarsi anche lei alle labbra una sigaretta, dà un lungo tiro prima di aggiungere, "Non posso costringerti a salire, deve essere una tua scelta."

"Ma andrò all'inferno?"

"Perché l'inferno?"

"Ho ammazzato in guera, e non sempre so stato nu buon cristiano."

"Quello non sta a me giudicarlo, io ho solo il compito di accompagnarvi, dovrai scoprirlo da solo," la donna dà un altro tiro, "Oppure puoi rimanere qui e vagare per l'eternità sulla terra."

"Vale la pena?"

"Cosa?"

"Vale la pena restare?"

"Sulla terra? Sarò onesta con te: molti lo considerano un compromesso accettabile, rimanere sotto forma di spirito. Ma presto si rendono conto che il gioco non vale la candela, che vagare per l'eternità vuol dire vedere morire una a una le persone a te care finché non rimarrà nessuno che si ricorderà il tuo nome. A quel punto cadete nella follia, preda dell'invidia per i vivi che inizierete a tormentare."

Leonardo guarda il treno: non c'è quasi più nessuno sulla banchina, i vagoni sembrano quasi scoppiare per quanto sono pieni. Qualcosa gli dice di aspettare ancora, e decide di temporeggiare.

"È sempre cusì pieno lu treno?"

"No, solo quando è tempo di guerra."

"Avrà molto lavoro da fare de sti tempi."

La donna sorride: "Nulla che non possa gestire."

"Beh, almeno sarà l'ultima vorta."

"Che vuoi dire?"

"Essa è la guera che pone fine a tutte le guere, lo diceva sempre lu colonellu," Leonardo dà l'ultimo tiro alla sigaretta e la butta a terra prima di schiacciarla con un piede.

"Pensi non ci saranno altre guerre dopo questa?"

Leonardo la guarda sconvolto: "Che vor dì? Tutta sta sofferenze de certo ce la ricorderemo no?"

"Mi sorprendi, abbastanza intelligente da comprendere che sei morto ma troppo ingenuo per non capire la natura umana."

"La natura umana?"

"Non sei il primo che muore in una guerra convinto che non ce ne saranno altre a venire. Vi siete tutti sbagliati. L'uomo non dimentica mai la propria sofferenza ma fin troppo spesso si scorda di quella degli altri, convinto di essere l'unico a provare certe cose. Ecco perché gli errori si ripetono in continuazione."

Leonardo deglutisce a fatica: "M-Ma stavolta è diverso."

"Non è mai diverso."

"M-Ma allora che semo morti a fa?"

La donna lo guarda con compassione mista a pietà: "Non c'è mai un motivo per morire."

"Ma la patria, e l'Italia, e le terre ridenti-"

"Sono valsi la tua morte, o quella dei tuoi compagni?"

Leonardo non sa rispondere. Dal vagone uno dei suoi commilitoni, Beniamino, sembra essersi accorto della situazione perché gli sta facendo cenno di salire sul treno.

"Sei un ragazzo intelligente, non credi davvero alle cose ti hanno detto per andare in guerra vero?"

"Io..."

"Immaginavo," la donna gli sorride, poi gli indica il treno, "È tempo di salire, andiamo."

Leonardo muove un passo, poi un altro e si arresta.

"C'è qualche problema?"

"Nun lo riesco ad accettà," dice, stringendo i pugni, gli occhi che iniziano a pizzicare, "Nun riesco ad accettà che so morto come na bestia, che ho ammazzato pe niente."

"Leonardo..."

"Nun l'accetto che la mia vita sarebbe cambiata se me fossi tajato du dita," inizia a singhiozzare, "Io dovevo fa il pastore come mi padre, quando tornavo volevo chiede la mano de Mariuccia. Invece ho fatto la fine de nu porcu."

La donna gli si avvicina, gli carezza un braccio: "Per quello che vale, mi dispiace, per te e per tutti gli altri."

Leonardo sospira e scosta via la mano dell'altra: "Non posso andare a di addio a mi madre almeno?"

La donna scuote il capo. Leonardo si lascia sfuggire un altro singhiozzo e si strofina gli occhi con virulenza: "Me perdoni, nun dovrei piagne."

"Perché?"

"Nun è da omini."

"Sei morto, il giudizio altrui non è più un tuo problema," dice la donna, sollevandogli il viso e asciugandogli una lacrima col pollice, "Adesso è tempo di andare."

Leonardo ancora non si muove. La donna lo guarda preoccupata: "Vuoi davvero rimanere qui?"

"Nun lo so."

"Il treno partirà presto, è la tua unica occasione."

"Ma la vedrò mi nonna almeno?"

"Non posso rispondere a questa domanda."

"Dove sta anna sto treno?"

"Verso la pace eterna."

"E che vor dì?"

"Lo scoprirai solo salendo."

Leonardo si porta le mani tra i capelli e scoppia in un pianto sommesso: "'n vojo, 'n vojo, vojo mi madre."

"Lo so," la donna gli carezza i capelli in un gesto materno, "Lo so."

"Fammela vede, solo per 'n momento."

"Non posso."

Leonardo si aggrappa all'abito della donna: "Ce deve esse quarcosa che poi fa! Te prego!"

Lei scuote la testa, si china fino ad essere al suo livello e gli prende le mani: "Alla fine mi pregate tutti."

Dal vagone Leonardo sente il proprio nome venire chiamato dai suoi commilitoni. Lo suppicano di salire, perché il treno partirà presto.

"Puoi rimanere qui e vivere sulla terra per l'eternità o trovare la pace eterna, la scelta è tua."

"Io vojo solo mi madre e mi padre."

La donna gli dà un bacio sulla fronte e lo aiuta a rimettersi in piedi: "Lo volete tutti."

"Li rivedrò?"

"Non posso risponderti."

"Ma c'è qualcosa che me po di?"

Lei ride, poi gli indica il treno: "Andiamo, è tempo di andare."

"Nun vojo salì ma nun vojo manco stare qua. Vojo solo tornare a casa."

"Mi dispiace."

"Davero?"

"Non credermi senza cuore," dice la donna, guarda verso il treno e poi di nuovo a lui, "Mi piaci Leonardo, sei un ragazzo intelligente e sensibile."

"La maestra ha sempre detto che so nu caprone."

Ride: "Voglio raggiungere un compromesso con te."

"Nu compromesso?"

La donna fa un veloce cenno al treno, che fischia in risposta. I commilitoni si agitano e si dirigono verso la porta del vagone, che si chiude di colpo prima che loro possano uscire.

"Devi ascoltarmi attentamente perché è raro che io conceda questo privilegio," dice, per poi indicare il resto dei soldati che, resisi conto della situazione, iniziano anche loro ad agitarsi, sbattendo i pugni sui finestrini.

"Guardali bene, Leonardo Scarsella," la donna indica il treno, "Guarda bene quei volti, imprimili nella tua memoria, perché il costo per la seconda possibilità che ti viene data è di non dimenticarti mai di loro, amici o nemici che siano."

I soldati cercano di sfondare i vetri del treno, senza successo. Alle orecchie di Leonardo arrivano le loro maledizioni, le suppliche di aiutarli.

"Per il resto della tua vita la tua condanna sarà non dimenticare mai quei volti," proclama la donna, per poi voltarsi verso di lui con un sorriso gentile, e porgergli un mano.

"S-Solo questo?"

Lei ride di nuovo: "La tua ingenuità continua a sorprendermi."

Leonardo deglutisce, guarda con sospetto la mano della donna, poi si gira verso i suoi commilitoni. Rabbrividisce all'ira che vede nei loro occhi.

"Peccé a me?"

"Mi sei simpatico," risponde la donna mentre con l'altra mano prende il fischietto che ha appeso al collo, "Hai poco tempo per decidere, Leonardo. O sali, o rimani qui, o accetti la mia proposta."

Le urla dei soldati si fanno sempre più forti, si sono uniti anche gli stranieri, sbattono con violenza sui vetri, cercano di forzare le porte, strillano che anche loro vogliono tornare a casa, avere una seconda possibilità.

Leonardo incrocia lo sguardo di Beniamino, vede le sue labbra formare il nome della moglie Antonella e del loro figlio, Andrea.

Possibile che la donna gli stia dando una possibilità in più solamente perché ha ottenuto la sua simpatia? È giusto che lui ne approfitti?

"Leonardo, è tempo," la voce della donna lo riporta alla realtà; d'istinto, afferra la sua mano.

La donna sorride, ma un guizzo di delusione ne attraversa lo sguardo.

Le maledizioni dei suoi compagni sono presto sovrastate dal fischio del treno in partenza. Il vapore si unisce alla nebbia, e presto non è più in grado di vedere niente.

L'ultima cosa che sente è la voce della donna.

"Ci rivedremo, Leonardo."




A fatica riapre gli occhi: vede un soffitto scuro e tremolante, e poco dopo il volto di una donna.

"Non ci posso credere," dice lei per poi sparire dal suo campo visivo, "Dottor Martone, è davvero vivo!"

Leonardo sente la gola secca e un rumore assordante che copre in parte la voce della donna. Non riesce a muoversi e sente un dolore acuto al costato.

Poco dopo un uomo baffuto si china su di lui, evidentemente sollevato.

"Sia ringraziato il cielo, è un vero miracolo," dice, per poi voltarsi, "Vada a prendere un poco di acqua, di corsa."

"D-Dove sugnu?" chiede Leonardo, la voce roca.

"Sul treno per Milano giovanotto," dice l'uomo mentre lo aiuta a mettersi seduto contro il cuscino, "Sei vivo per miracolo, quel crucco ti ha colpito da molto vicino."

Leonardo si sfiora il costato ferito con una mano completamente fasciata.

"Una bomba ti ha protato via tre dita," dice il dottore, dispaciuto, "Ma guarda il lato positivo, non ti richiameranno al fronte per un bel po'."

Leonardo vorrebbe ridere ma fa troppo male. Alla fine tre dita le ha perse comunque.

"Ecco l'acqua."

"Grazie Guglielmina. Ecco prendi ne hai bisogno per rirpenderti," dice il dottore mentre gli porta il bicchiere alle labbra, inclinandolo leggermente per farlo bere. Leonardo deglutisce con foga, sospirando al sollievo per la sua povera gola.

"Q-Quindi sto anna a Milano?"

"All'ospedale militare, ci dovrai stare per un po' ragazzo," l'uomo gli stringe piano una spalla, "Sei stato incredibilmente fortunato."

Leonardo fa per rispondere ma un forte colpo lo ammutolisce all'istante; terrorizzato, si guarda freneticamente attorno: "C-C'è una bomba sul treno!?"

"No, no ragazzo, calmati," il dottore lo blocca tenendolo per le spalle, e Leonardo inizia ad agitarsi nel tentativo di liberarsi, colpisce al petto l'altro con deboli pugni, ignorando il dolore al costato fattosi più acuto.

"R-Riparo, devo trova' un riparo!"

"Guglilmina, il calmante!"

"È-È finito dottor Martone!"

Il dottore si lascia sfuggire una bestemmia, e usa tutto il proprio corpo per tenere Leonardo fermo: "Trova qualcosa per legarlo, ne abbiamo un altro qua."

Leonardo continua ad agitarsi e urlare, l'unica cosa a cui riesce a pensare è che deve mettersi al sicuro dalle bombe, mettere al sicuro i suoi compa-

Lo sguardo cade sul proprio riflesso nel vetro del finestrino: dietro il dottore Beniamino lo osserva con gli occhi spalancati e lacrime che scendono sulle guance scavate. Non muove la bocca, eppure la sua voce gli giunge chiara: "Perché sei vivo, Leonardo?! Perché tu si e io no?!"

Leonardo urla, strepita e scalcia ancora più forte fino a riuscire a liberarsi dalla stretta del dottore e accucciarsi all'angolo tra il muro e la branda, tremante come una foglia.

"Un altro giovane rovinato," sospira il dottore mentre l'infermiera torna con le cinture e una siringa, "Dannata guerra."

"Me dispiace," mormora Leonardo, la testa tra le mani, "Me dispiace Beniami', me dispiace Anse', me dispiace che so vivo, me dispiace."

L'ultima cosa che vede prima che il dottore lo leghi e gli inietti il contenuto della siringa è un qualcosa di rosso muoversi velocemente dietro l'infermiera.

 

1. Le 'terre ridenti' altro non sono che le Terre irridenti, i territori corrispondenit più o meno alle odierne province di Trento e Trieste all'epoca sotto il dominio austriaco. Molti dei soldati italiani, in larga parte provenienti dalle fasce povere della popolazioni, non erano in grado di capire o comprnedere la parole "irredente", per questo spesso nelle lettere che scrivevano a casa comapriva invece la scritta "ridente" al suo posto. Per motli, quindi, erano le terre e i monti "ridenti" quelli che dovevano essere conquistati.
   
 
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