Buona lettura. <3 E grazie mille a Orny Winchester, che a suo tempo mi ha inconsapevolmente suggerito di portare avanti la sottotrama dell'incendio in cui morì la madre di Val, che d'ora in avanti avrà una certa rilevanza.
[VOLTI SENZA NOME]
[Gennaio 1982]
Il rumore della pioggia battente non dava un attimo di tregua. Erik aveva sentito tante persone affermare che il maltempo le metteva di cattivo umore, ma non apparteneva a quella categoria. Così come non si preoccupava mai troppo del caldo e del freddo, non dava nemmeno un grosso peso al fatto che piovesse o che fosse sereno.
Si apprestava a uscire di casa, quindi prese con sé un ombrello, sorridendo al pensiero di quanti avrebbero desistito. Non poteva desistere, perché una giornata come quella poteva essere trascorsa soltanto leggendo annunci di lavoro e, per farlo, doveva prima procurarsi un giornale appena uscito.
Si allacciò la giacca e aprì la porta, trovandosi a tu per tu con Lorelei Logan. Non aveva idea né di cosa ci facesse sul pianerottolo, né del perché non avesse palesato la propria presenza.
«Il campanello funziona, o almeno funzionava fino a ieri» la informò, posando l'ombrello a terra. «In caso contrario, avresti potuto bussare alla porta.»
Logan si limitò a replicare: «Ti stavo aspettando.»
«Posso immaginarlo» ribatté Erik, «Ma avresti potuto aspettare molto tempo, se non fossi uscito.»
«Con questo tempo non ne ero sicura, in effetti» ammise Logan, «Ma penso di averti inquadrato bene, ormai. Tu sei uno che se ne frega del tempo.»
«Ma se non devo andare da nessuna parte, allora non vado fuori con questa pioggia per il solo gusto di farlo o per apparire anticonformista. Come sapevi che sarei uscito?»
«Ho tirato a indovinare.»
«Tu, invece, cosa ci fai qui?»
«Sono passata a salutare il mio ragazzo.»
Erik fece una deduzione molto semplice e immediata: «Che non sarebbe felice di sapere che poi sei passata a salutare anche me.»
Logan puntualizzò: «È proprio Val che mi manda.»
«Ne dubito» obiettò Erik. «L'ultima volta in cui ci siamo visti, non sembrava molto contento della mia presenza. Non vedo che motivo avrebbe per mandarti da me. Peraltro non è molto lontano, se vuole parlarmi sa dove trovarmi.»
«Val non vuole parlare con te, almeno finché non gli avrai chiesto scusa per quello che hai detto» mise in chiaro Logan. «Sei stato un grandissimo stronzo.»
«Perché, di punto in bianco, provi interesse per tutto ciò e prendi la cosa così tanto a cuore?» volle sapere Erik. «Di solito sei sempre persa nel tuo mondo personale, senza dare l'impressione di fregartene di quello che ti circonda. Cos'hai in mente?»
Logan sospirò.
«Devi sempre pensare che abbia dei secondi fini?»
Erik puntualizzò: «Ormai ti conosco, mi è difficile che tu faccia qualcosa senza avere pianificato bene le conseguenze. Senza offesa, non sei la persona più sincera e spontanea che io abbia mai conosciuto.»
«Anche tu hai le tue ombre.»
«Non lo metto in dubbio.»
«Fammi entrare. Fa freddo, qui sul pianerottolo.»
«Il che, tradotto, significa che non ritieni opportuno parlarne qui, dove qualcuno potrebbe sentirci.»
«Nessuno può sentirci» obiettò Logan. «Ci siamo solo noi, oltre che Val in officina al piano di sotto.»
«Appunto» replicò Erik. «Potrebbe venire su per caso e sentire quello che hai da dirmi. Dato che dubito sia stato lui a mandarti qui...»
Logan lo interruppe: «Fammi entrare.»
Erik non si oppose. Andarono a sedersi al tavolo della cucina, dato che l'appartamento era piccolo e non esistevano soluzioni più confortevoli.
Si aspettava che Logan parlasse, ma questa restava in silenzio. Decise quindi di insistere: «Cosa vuoi da me? Perché sei qui? Non sarebbe tutto infinitamente più semplice, se tu parlassi chiaro? Dato che mi stai facendo perdere tempo...»
«Perdere tempo» ribatté Logan. «Perché, avevi davvero qualcosa da fare?»
«Comprare il giornale. Leggere annunci di lavoro. Trovarmi un'occupazione. Sai, io non vivo né di scommesse né della speranza di sposare una persona ricca, diversamente da te.»
«Ho anche un lavoro normale, a casa dei Pearl. E poi, non puoi giudicarmi, non mi conosci davvero.»
«Ti conosco meglio di quanto tu creda.»
«La vita è più difficile di quanto tu possa immaginare, Erik. Non sono nata né in una famiglia altolocata, né in una considerata rispettabile. Sono sempre stata guardata con sospetto e ho imparato a comportarmi di conseguenza.»
«Quindi» dedusse Erik, «Il tuo obiettivo è davvero continuare a vivere ai limiti della legalità, oppure sposarti con un uomo ricco.»
«Non ci sono molte alternative, a parte quella di continuare a ricevere insulti dalla signora Pearl» replicò Logan. «Siccome mi paga, crede di potermi vomitare addosso tutto il disprezzo che ha dentro. È una persona terribile. Anche suo marito è sgradevole, ma quantomeno pensa alle apparenze anche quando è dentro casa. La signora non è così: davanti all'altra gente si dà un certo contegno, ma quando nessuno può sentirla dà sfogo al lato peggiore di sé.»
«Dovresti comprare una copia del giornale anche tu» le suggerì Erik. «Faresti meglio a cercarti un altro lavoro.»
«Come se fosse facile, per me, trovare un lavoro e potermelo tenere stretto. Quando ho avuto delle occasioni, ci ha pensato mio fratello a farle saltare, in un modo o nell'altro. Mi ha proposto di andare a lavorare con lui, nel negozio che ha aperto di recente, ma non ci sono proprio portata. Finirei per fare scappare i clienti, non starei certo tranquilla ad ascoltare tutti i loro stupidi deliri.»
«Però ascolti i deliri della signora Pearl.»
«Giusta osservazione, Erik. Diciamo che può valerne la pena. Chissà, magari un giorno sposerò uno dei suoi parenti e sarò sistemata per tutta la vita.» Logan ridacchiò. «Oppure, se quella donna malefica si levasse di torno, potrei addirittura sposarmi con il signor Pearl.»
«Questa mi sembra un'esagerazione» ribatté Erik. «Non credo che avresti davvero il coraggio di sposartelo.»
«E...?» lo esortò Logan.
«E... cosa?»
«Non hai altro da aggiungere?»
«No, e non ho proprio idea di cosa dire» ammise Erik. «Che cosa ti aspettavi?»
«Qualcosa tipo: "anche la mia famiglia è ricca, potresti sposare me, per te sarei disposto a diventare un bravo ragazzo, proprio come ero prima di conoscerti» rispose Logan. «Posso ritenermi fortunata: sono riuscita a portarti sulla cattiva strada e una simile idea non ti sfiora nemmeno.»
«Non sei il tipo di ragazza che presenterei alla mia famiglia» precisò Erik. «Inoltre, se non sbaglio, è stato il tuo ragazzo a mandarti su da me. Cosa penserebbe se sapesse che stai vaneggiando a proposito di un nostro ipotetico matrimonio? O peggio ancora, cosa direbbe se sapesse che ti vuoi sposare con un vecchio?»
«Il signor Pearl non è così decrepito come lo descrivi.»
«Lo sarà, una volta che sua moglie sarà morta, sempre ammesso che non muoia prima lui.»
«Cosa molto probabile, visto che il suo stile di vita è ben lontano dall'essere sano. Peccato, un potenziale marito già eliminato.»
Erik fissò Logan con freddezza.
«Non sei venuta per parlarmi di questo, immagino. Cosa vuoi dirmi?»
«Voglio dirti che sei un grandissimo stronzo e che hai fatto un casino colossale» rispose Logan. «Dato che hai fatto solo danni, potresti almeno tenere la bocca chiusa invece di dire cazzate. Tu non sai niente.»
«Non so niente a che proposito?»
«Della famiglia di Val.»
«Perché, tu sai qualcosa?»
«Non sono io che ho pronunciato le parole: "ma perché non muori bruciato vivo come tua madre?" Sembra che io non ascolti niente, ma sento tutto e immagazzino dettagli che in futuro potrebbero rivelarsi utili.»
Erik ammise: «Lo so, ho sbagliato, non avrei dovuto dire una cosa simile. Dato che sei la sua portavoce, ti chiederei cortesemente di porgergli le mie scuse. Non...»
Logan lo interruppe: «Sua madre è rimasta intrappolata dentro uno spogliatoio insieme a delle altre donne. La loro giornata di lavoro era già finita, erano andate a farsi la doccia prima di andare a casa. Non sono state soccorse perché nessuno pensava che fossero ancora là dentro. Lo spogliatoio era attiguo all'archivio da cui sembrano essere partite le fiamme.»
«Dall'archivio?»
«Così pare.»
«Come è successo?»
«La dinamica non è mai stata chiarita del tutto. Si è data la colpa a un mozzicone di sigaretta - pessima abitudine il fumo, uccide anche indirettamente, se un giorno sposassi il signor Pearl glielo farei presente - anche se non c'è mai stato un colpevole. Lo sai come funziona. Però sappiamo anche come funziona il mondo: in un archivio ci sono documenti che potrebbero essere compromettenti... e qual è il modo migliore per sbarazzarsene? Dare l'archivio alle fiamme, in modo da cancellare le prove.»
Erik non si aspettava una simile osservazione. Chiese a Logan: «È una tua teoria del complotto o è quello che è successo davvero?»
«La versione ufficiale è il mozzicone di sigaretta, come se la gente non conoscesse l'uso del posacenere» rispose Logan. «Siccome quella vicenda mi ha colpito, ho fatto qualche ricerca in proposito, parlando con persone che lavoravano al filatoio. Qualcuno mi ha detto che girava voce che il titolare avesse in mente di sbarazzarsi di carte che attestavano degli illeciti. Sembra anche che abbia pagato il silenzio di un'operaia che l'aveva visto, quel pomeriggio, mentre tutti credevano che fosse assente.»
«Quella donna ha un'identità, oppure è un personaggio di fantasia?»
«Capisco cosa vuoi dire. Anch'io mi sono fatta la stessa domanda. Mi è stato detto: "non faccio nomi, ma ti assicuro che c'è una donna che conosce la verità e ha deciso di stare zitta".»
Erik cercò di trattenersi, ma le parole gli uscirono da sole: «Tu cosa faresti al posto suo?»
Logan gli scoccò un'occhiata di fuoco.
«Cosa vuoi dire?»
«Saresti disposta a sposarti con un signore anziano, per soldi» le spiegò Erik. «Cosa faresti se ti venisse fatta una simile proposta?»
«Oh, capisco» replicò Logan, gelida. «Mi vedi come un'arrivista disposta a tutto. Ti sbagli di grosso. Non potrei mai tacere su qualcosa del genere, qualunque sia la cifra. Sono morte delle donne totalmente innocenti, che non avevano a che fare con le truffe del titolare e che, con tutta probabilità, erano anche sottopagate. Se avessi visto qualcosa, avrei rovinato il responsabile. Forse non sono quel tipo di persona rispettabile che porteresti a conoscere la tua famiglia, ma ho una coscienza anch'io. Non tutti i morti sono uguali. Chi è stato in qualche modo responsabile della propria morte può anche essere sfruttato per arricchirsi, ma chi non c'entrava niente no, su questo non ho dubbi.»
«Hai scoperto altro?»
«No, e mi è stato suggerito di non fare troppe domande.»
Erik osservò: «Non ti ci vedo, a fare quello che ti dicono.»
Logan convenne: «Hai ragione, anche se, devo ammetterlo, non avevo molto altro da andare a chiedere. In compenso, ho scoperto che il padre di Val si è risposato proprio con un'ex collega della sua defunta moglie. Non so se lavorasse ancora al filatoio al tempo dell'incidente o se se ne fosse andata prima, dato che non abita più in questa zona. Non so se...» Si interruppe. «Scusa, ti ho fatto perdere un sacco di tempo, raccontandoti cose che non ti interessano.»
Erik replicò: «Mi interessa, invece.»
Logan non ritornò sull'argomento.
«Sono venuta qui per parlare di Val. O meglio, sono venuta qui per conto di Val. Quello che è successo è sgradevole per tutti noi, ma potremmo metterci una pietra sopra una volta per tutte.»
«È proprio quello che vorrei. Mi dispiace per tutto quello che è capitato e sono consapevole che sia stata solo colpa mia. Vorrei pagare il mio debito. Non pretendo che tutto torni come prima, lo so che non sarà possibile, ma vorrei fare quello che posso per rimediare.»
Logan si alzò in piedi.
«Non si può rimediare a tutto.»
«Allora perché sei qui?» chiese Erik. «Vieni o non vieni per conto di Val?»
«Vengo per conto suo» confermò Logan, «Ma non te la caverai così facilmente. Non è così che funziona, con Val. Anzi, con lui potrebbe anche funzionare così, ma non certo con me. Hai fatto un danno e devi pagare il prezzo delle tue azioni. Vediamo fino a che punto sei disposto a spingerti. Io sono pronta, Val anche. Non resta altro da fare che vedere se sei pronto tu.»
Logan spiegò quali fossero le sue intenzioni, che spacciava come solo ed esclusivamente di Val. Tutto il resto perse d'importanza. Erik non pensò più al secondo matrimonio del signor Sharp. Era convinto che non lo riguardasse. Si sbagliava.
***
[Marzo 1993]
La vita riprese, molto lentamente, a scorrere nei binari della normalità. I muri e le finestre di quella che era stata la casa dei Pearl non vennero nuovamente imbrattati e, per quanto Erik fosse desideroso di installare delle telecamere di sorveglianza, Rosalee continuò a opporsi, seppure precisando di non avere più nulla da nascondere. Erik giunse alla conclusione che avesse paura della verità, qualunque essa fosse, e non si oppose. Del resto, l'episodio non si era ripetuto, e ormai erano trascorse alcune settimane.
Al posto di Jessamine Styles arrivò una ragazza più giovane. Non parlava molto, ma del resto non vi erano ragioni per cui Erik desiderasse parlarle. Una volta le chiese della Styles, senza ottenere grossi risultati, mentre in un'altra occasione le domandò se sapesse qualcosa della signora Moore.
La ragazza rimase interdetta, per poi specificare che non ricordava il cognome di tutte le colleghe. Erik, che non rammentava quale fosse il nome di battesimo della signora, gliela descrisse in modo vago: «È in età, con i capelli grigi tagliati corti. Ha avuto un attacco di cuore il mese scorso. Mi piacerebbe sapere come sta.»
Quelle parole non furono illuminanti. L'addetta alle pulizie, infatti, rispose: «Ci sono tre donne con i capelli grigi corti, ma nessuna di loro ha avuto un attacco di cuore. Lavorano ancora tutte e nessuna di loro ha avuto gravi problemi di salute.»
«Sa per caso i loro nomi?» azzardò Erik.
«Una di loro si chiama Barbara Williams, di lei mi ricordo anche il cognome» rispose la ragazza. «Le altre... con una non ci ho mai parlato, dovrebbe chiamarsi Gabrielle. Poi c'è Olivia.»
«Olivia Moore» mormorò Erik. «Potrebbe essere lei.»
«Se ha avuto un attacco di cuore, non è sicuramente lei. Non è mai stata meglio di così, l'ho vista proprio ieri. Penso che lavorasse da queste parti, nei mesi scorsi, ma che abbia chiesto di cambiare zona. Non so perché, ho immaginato che si fosse trasferita da qualche altra parte e che non le venisse tanto comodo, nonostante abbia la macchina. Di quello ne sono assolutamente certa, ha una vecchia auto grigia metallizzata, non ricordo il nome del modello, ma è uguale a quella che aveva mio nonno quando ero bambina.»
Era il discorso più lungo che Erik le avesse sentito pronunciare, ma non gli fu di grande utilità, con tutto il rispetto per la macchina grigia del nonno. Decise che quel giorno, a pranzo, avrebbe chiesto a Rosalee se la signora Moore si chiamava Olivia. Si immaginava una conferma e che avrebbero dovuto indagare sulle ragioni per cui fossero stati avvisati di un suo serio problema di salute, se questo non so era mai verificato.
Rosalee smentì categoricamente: «Non si chiama Olivia, si chiama Louise. Evidentemente la nostra nuova donna delle pulizie non la conosce. Ti ha detto che ha menzionato una collega con cui non ha mai parlato, potrebbero essercene delle altre. Se ci pensi, non è detto che abbiano molte occasioni di incontrarsi.»
Erik obiettò: «Faranno qualche cena tra colleghe, di tanto in tanto.»
«Magari Hailey non ci va» suggerì Rosalee. «È molto giovane, è poco più che ventenne, forse non frequenta donne che hanno quasi il triplo dei suoi anni. Oppure è Louise Moore che non usciva con le colleghe. Del resto è sempre stata molto riservata, non me la immagino in mezzo alla gente.»
Il discorso di Rosalee aveva senso, tanto valeva non pensarci più. Decise che non avrebbe più chiesto nulla in proposito a Hailey, e d'altronde non ne ebbe più alcuna occasione: anche quella ragazza, proprio come Jessamine, non tornò più. In compenso fece il proprio ritorno nientemeno che la signora Moore, che svelò in prima persona l'arcano.
Fu Erik a chiederle spiegazioni, che non tardarono ad arrivare: «Davvero ha pensato per tutto questo tempo che fossi in ospedale? Non mi spiego come possa esserle giunta una simile notizia.»
«Non me lo spiego nemmeno io» ammise Erik. «Il giorno in cui non è venuta io e Rosalee abbiamo ricevuto una telefonata dall'agenzia. Ci hanno detto quello che le ho spiegato.»
Louise Moore scosse la testa.
«Oh, no, niente affatto. Avevo molte ferie arretrate e mi sono presa un periodo di riposo. È vero, non ero al massimo della forma fisica, ma avevo semplicemente preso uno strappo alla schiena e ho preferito non fare grossi sforzi. Sapevo che Jessamine era stata incaricata di prendere al mio posto, ma a quanto pare qualcuno deve avere pasticciato con i turni, se non l'hanno mandata subito.»
«Come si spiega la chiamata che abbiamo ricevuto dall'agenzia?»
«Non me la spiego. È sicuro che fosse una chiamata dell'agenzia?»
«Potevo fidarmi solo della loro parola» puntualizzò Erik. «Non vedevo ragioni per cui qualcuno avrebbe dovuto chiamare spacciandosi per l'agenzia. Adesso, però, non saprei nemmeno spiegarmi perché l'agenzia avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di falso sulle sue condizioni di salute.»
«Ma perché avrebbe dovuto farlo una persona qualsiasi, come scherzo?» obiettò la signora Moore. «Non ne vedo il senso.»
Erik non replicò. Non aveva risposte, ma del resto erano molti i fatti senza alcuna ragione logica che capitati negli ultimi tempi. Decise di chiederle di Jessamine: «Conosce la signorina Styles?»
«Sì, tutti ne parlano molto bene» rispose la signora Moore. «Ho suggerito io che mandassero proprio lei, in mia assenza.»
«E Hailey, invece? Mi scusi, ma mi sfugge il cognome.»
«Quella ragazza giovane? No, l'ho vista al massimo un paio di volte.»
«Quindi è plausibile che non si ricordi di lei?»
«Assolutamente sì.»
«Frequenta qualche collega, nel tempo libero?»
La Moore negò.
«No, e la maggior parte di loro non le vedo mai, a parte se, per qualche motivo, dobbiamo andare alla sede dell'agenzia nel corso della giornata. Alcune di loro sono solo nomi senza un volto, mentre altre sono volti senza un nome.»
«Jessamine Styles mi ha raccontato di essere riuscita a farsi assumere grazie a sua zia, che lavorava già là» riferì Erik. «Per caso sa dirmi il suo nome?»
Louise Moore parve riflettere per qualche momento, prima di affermare: «Non ne ho la minima idea. Jessamine sembra piuttosto giovane, ma mi pare che abbia un figlio già grande, quindi non può essere una ragazzina. Avrà quarant'anni, o poco ci manca. Sua zia immagino possa avere più o meno la mia età. Ci sono alcune donne sulla sessantina, ma non so chi di loro sia imparentata con la Styles. Come le ho già detto, nomi senza volto e volti senza nome, non avevo proprio idea che Jessamine fosse la nipote di un'altra dipendente.»
Quel racconto permise a Erik di schiarirsi le idee, anche se, di fatto, non contribuì ad avere a disposizione nuovi elementi a proposito di Jessamine Styles e delle sue misteriose parentele. Certo, avrebbe potuto andare a cercarla e insistere, oppure addirittura chiedere al signor Schell notizie sull'ex moglie, ma sapeva di non potere agire senza alcuna giustificazione. Di solito nessuno si presentava dal nulla per pretendere spiegazioni che non aveva alcun diritto di reclamare a proposito della vita privata altrui.
Tutto ciò che poté fare fu mettere Rosalee al corrente dei nuovi sviluppi. Sua moglie fu colpita in particolare dalla finta telefonata dell'agenzia.
«Potrebbe avere qualche collegamento con tutto quello che ci è successo, non credi?»
Erik annuì.
«Sì, potrebbe, anche se c'è qualcosa che non mi convince.»
«Che cosa?»
«Il "nuovo imbrattatore", se così lo vogliamo chiamare, ha fatto scritte a proposito di Val. Non c'è dubbio che volesse spaventarci, e sapeva quali carte giocarsi. Perché telefonare e farci credere che la signora che veniva a fare le pulizie a casa nostra, con la quale non avevamo alcun altro tipo di rapporto, avesse gravi problemi di salute? E soprattutto, come poteva sapere che avesse deciso di prendersi un periodo di pausa? Mi rifiuto di credere che ci sia qualcuno che tiene traccia di ogni singolo passo che muoviamo, arrivando addirittura a pedinare la signora Moore.»
Rosalee ammise: «Sarebbe molto preoccupante, se fosse così.»
Erik avrebbe voluto ribattere che la situazione era già abbastanza preoccupante, ma preferì evitare. Come già era accaduto in passato, preferiva illudersi che tutto sarebbe andato bene, da lì in poi.
Fu un grosso errore. Era passato quasi un mese dall'episodio della porta d'ingresso e della portafinestra, quando furono di nuovo travolti da quella realtà che avevano preferito mettere da parte. Nel frattempo le indagini sui due delitti sembravano essere giunte a un punto morto. Perfino i pettegolezzi su Raphael Dove e Abigail Links sembravano essersi placati, seppure diverse voci parlanti narrassero di averli visti insieme. Qualcuno arrivava già a osservare che quel poveretto aveva perso la moglie in modo estremamente tragico e che non doveva essere giudicato troppo severamente, se cercava consolazioni altrove.
Quando accadde il misfatto, fu molto simile a quello precedente, ma con dettagli ancora più inquietanti. C'era un "Rosalee vattene subito!!!!!!" con una serie di punti esclamativi sul vetro della solita portafinestra, ma non vi era più il rosso sangue. Intorno, piuttosto, erano state dipinte, in maniera molto stilizzata, delle inquietanti fiamme arancioni.
«Cosa significa?» esclamò Rosalee, quando vide quello scempio. «Perché Val vuole che me ne vada?»
«Val non vuole che tu te ne vada» le assicurò Erik, comprendendo facilmente quel pensiero irrazionale. Vi era passato anche lui stesso, solo qualche mese prima, e, per quanto non si fosse mai lasciato andare a spiegazioni sovrannaturali, capiva le brutte sensazioni della moglie. «Vedrai, questa storia avrà fine, così come ha avuto inizio.»
Rosalee scosse la testa.
«No, non finirà, nemmeno se dovessi davvero andare via.»
Aveva pronunciato ancora parole simili, in passato, ma erano stati i tempi in cui era tra i responsabili degli atti vandalici. Non si trattava più di una studiata messinscena, il suo terrore si percepiva bene ed Erik avrebbe voluto soltanto che potesse avere un po' di pace.
Quel desiderio non si tradusse in realtà. Passarono il fine settimana imminente dai Clark, ma Erik era certo che Rosalee avesse un chiodo fisso in testa: cosa sarebbe successo alla loro casa, in loro assenza? Condivideva a pieno quella preoccupazione, anche se si sforzava di apparire rilassato, non solo con la moglie, ma anche con i familiari di lei.
Il signor Clark, ovviamente, approfittò della situazione per fargli delle domande, dopo avere utilizzato lo stesso stratagemma già adottato la vigilia di Capodanno.
Quando furono all'esterno, Erik lo esortò: «Dato che non è sicuramente qui per fumare, altrimenti non avrebbe richiesto la mia presenza, mi dica quello che deve dirmi.»
Il signor Clark non esitò: «Se tu e Rosalee avete bisogno d'aiuto, posso contattare Lockhart.»
Erik azzardò: «Stavolta non è in vacanza?»
«Non potevo fare altrimenti» replicò il signor Clark. «Quando mi hai detto del cappotto bianco con i ricami rossi, non ho più avuto dubbi. Non so cos'avesse in testa Rosalee, ma è mia figlia e dovevo coprirla. Ha avuto un passato non facile e il suo presente non mi sembra molto migliore.»
«Si riferisce a quello che è successo a Kate Dove?»
«Sì. È forse successo qualcos'altro?»
Erik si affrettò a negare.
«No, niente che possa turbare Rosalee tanto quanto la morte della sua amica, almeno.»
«Non è una risposta.»
«Ce la possiamo cavare, davvero.»
Il signor Clark puntualizzò: «Vedo Rosalee ancora molto tesa.»
«È naturale che lo sia, dopo quello che è capitato alla sua amica» replicò Erik.
Suo suocero di arrese: «Va bene. Comprendo la tua decisione di non raccontarmi gli ultimi sviluppi, del resto anch'io mi comporterei allo stesso modo. Vorrei soltanto che, se ci ripensassi, mi facessi sapere. Lockhart sarà sicuramente molto lieto di aiutarvi.»
Erik cercò di rassicurarlo: «La situazione non è così drammatica. Per il momento non ci serve aiuto.»
Il signor Clark non fece altre domande, né allora né per il resto del tempo che trascorsero da lui e dalla sua signora.
Erik e Rosalee rientrarono a Old Oak la sera della domenica. Le brutte sensazioni nascoste a fatica nel corso degli ultimi due giorni si trasformarono in realtà quando giunsero alla porta d'ingresso. Non c'erano né fiamme né schizzi di sangue dipinti sul compensato, ma solo una scritta tracciata in nero: "finalmente te ne sei andata, non tornare più".
Rosalee rimase immobile, a fissare con gli occhi spalancati quelle parole. A parte ciò, sembrava molto calma, come se avesse accettato un destino ineluttabile.
«Non vuole farmi del male» mormorò. «Vuole solo che vada via.»
Erik si girò di scatto.
«Cosa te lo fa pensare?»
Rosalee rispose: «Mi scrive che devo andarmene, perché ho risvegliato Val. Forse è la soluzione migliore.»
Erik replicò: «Non hai risvegliato nessuno. Val è morto e non tornerà indietro.»
Rosalee fu straordinariamente lucida, mentre specificava: «So benissimo che non è Val a tormentarmi, ma ho comunque "risvegliato" qualcuno. Adesso vuole che me ne vada, che la smetta di stare qui e di farmi domande.»
Erik infilò la chiave nella toppa, per aprire la porta. Mentre entravano in casa, le domandò: «Che cosa significa? Perché qualcuno dovrebbe desiderare che tu te ne vada?»
«Perché so troppe cose, ecco perché» disse Rosalee. «Non ho idea di cosa sia che non dovrei sapere, ma ero amica di Kate e, per certi versi, anche di Lorelei. Mi sta dicendo che devo andare via, oppure farò la loro stessa fine.»
«Pensiero interessante e, in effetti, potrebbe avere molto senso» osservò Erik, «Ma non riesco a spiegarmi perché, se ha già ucciso due persone a cuore leggero, a te voglia riservare un trattamento di favore.»
«Non ne ho idea.»
«Se l'omicidio di Lorelei ha a che vedere con Val, tu dovresti essere una persona qualunque, per chi l'ha uccisa. E le fiamme portano a Val.»
«Per la madre morta dell'incendio al filatoio?»
«Già.»
Rosalee suggerì: «Dovremmo informarci su quell'incidente.»
A distanza di oltre un decennio, le parole di Lorelei rimbombarono in testa a Erik.
«Hai ragione. Mi sta venendo un'idea.»
***
Fare ricerche su un fatto di cronaca risalente a molto tempo prima non fu per niente facile per Erik. Passarono giorni - che per fortuna furono di tregua, senza brutte sorprese - e quasi ogni sera, quando metteva Rosalee al corrente dei risultati, era costretto a informarla gli ennesimi fallimenti.
«Niente da fare nemmeno oggi. Penso che sarebbe molto pratico se ci fosse un database in cui andare a cercare tutto quello che serve semplicemente inserendo delle parole chiave.»
«Una cosa del genere esiste, credo» rispose Rosalee. «Si chiama "motore di ricerca".»
«Sarebbe?»
«Un modo per cercare informazioni tramite un computer e una rete internet. Dubito, però, che ci sia alcunché a proposito di quello che cerchiamo.»
«Rete internet» ripeté Erik. «Non ci capisco niente di queste cose, sono troppo futurisiche. Magari in un futuro lontano la gente scriverà due parole e troverà informazioni su tutto, ma non possiamo aspettare vent'anni... e nemmeno dieci, se la tecnologia dovesse fare progressi e, per qualche motivo, la gente dovesse arrivare in massa alla conclusione che abbia senso avere internet nelle proprie case. Faremmo molto prima, in tal caso, ad aspettare il ritorno di Mark Schell.»
L'idea iniziale era stata quella di consultarsi con lui, ma un cartello avvisava che l'officina sarebbe stata chiusa per due settimane. Quando Erik aveva chiesto alla gente del posto se ci fosse qualche motivo preciso per cui Schell era assente, aveva scoperto che si era recato in visita a una parente che viveva lontano da Old Oak. Anche il nipote che lavorava insieme a lui non c'era, aveva aggiunto una donna che abitava in quella strada, ma per Erik ciò non aveva alcuna rilevanza.
Proprio quella stessa donna, a sorpresa, intervenne in suo soccorso. Quando decise di uscire allo scoperto e spiegare che stava cercando informazioni sull'incendio al filatoio, gli rivelò di avere conservato alcuni articoli di giornale sul fatto, dato che una delle operaie morte era una sua amica. Non voleva separarsi dagli articoli, ma gli concesse di prenderne in prestito alcuni per farne delle fotocopie.
Fu possibile soltanto per le pagine stampate con inchiostro più nitido, ma una di queste, da sola, sarebbe stata sufficiente.
Proprio all'indomani della conversazione sui motori di ricerca, quando Rosalee tornò a casa dal lavoro, le corse incontro con una grande notizia.
«Immagino che tu non sia venuto fino alla porta per chiedermi se oggi è venuta al negozio qualche cliente difficile da gestire» dedusse sua moglie. «Ci ho visto giusto?»
«Esatto, e nemmeno mi interessa, senza togliere nulla al tuo lavoro» ribatté Erik. «Ho i nomi.» Sventolandole davanti agli occhi una fotocopia, cercò di sorridere nonostante la tensione, prima di mettere il figlio in una posizione che rendesse possibile la lettura. «Senti qui, perché la cosa ha dell'incredibile: "le vittime sono Amanda Abbot, di anni ventidue, Patricia Kerry, di anni ventinove, Julie Schell, di anni quarantanove, e Natalie Dove, di anni cinquantotto".»
«Wow!» esclamò Rosalee. «Hai fatto un ottimo lavoro.»
«Già» convenne Erik, «E a parte Amanda Abbot, l'amica della signora che mi ha procurato il giornale, le altre portavano lo stesso cognome di persone che conosciamo. È una strana coincidenza, non credi?»
Rosalee annuì.
«Un po' troppo strana per essere una coincidenza.»
Erik realizzò: «Pensa che, se Schell non fosse stato fuori paese e avessi potuto parlare dell'incendio con lui, probabilmente non l'avremmo mai scoperto.»
«Una scoperta del genere, di per sé, non porta a nulla. Hai idea di come potremmo metterla a frutto?»
«Chiama Raphael Dove. Non ci dirà nulla sulle altre donne, ma almeno chiarirà se quella Natalie fosse parente sua. Invitalo a venire a cena da noi, una di queste sere. Non dargli l'impressione di volerlo sottoporre a un interrogatorio.»
Rosalee domandò: «Con Kerry, invece, come pensi di fare? Non c'è modo di tirargli fuori dalla bocca una verità. O almeno, non c'è per te. Io lo spavento, con me parla più facilmente.»
Erik convenne: «Hugo mi nasconderebbe senz'altro qualcosa, se ha a che vedere con quella Patricia Kerry di ventinove anni. Oggi ne avrebbe cinquanta, quindi non può essere sua madre. Però è abbastanza conosciuto. Ci ho preso gusto a fare domande. Non penso che desterei molti sospetti, se chiedessi in giro se il giardiniere che tanti conoscono era imparentato con una delle vittime.»
Aveva ragione, fu facile investigare su quel punto: Patricia Kerry era una cugina di primo grado di Hugo. Lavorava al filatoio da sette anni, non era sposata e non aveva figli.
Non restava che attendere la cena con Raphael Dove e l'arrivo del momento propizio per tirare fuori l'argomento. Rosalee si raccomandò mille volte con Erik di non essere troppo precipitoso, ricordandogli che Raphael era un amico e doveva essere trattato come tale. Per contro, fu lei stessa a toccare questioni scottanti, come la sua passata relazione extraconiugale con Lorelei Logan vedova Pearl, che ai tempi del misfatto ancora non era vedova.
Dove fu molto bravo a deviare in parte l'argomento, concentrandosi sul periodo in cui quella tresca era ormai finita e Lorelei era, alla luce del sole, fidanzata con il suo collega Harrison.
«Quando parlava di Lorelei, mi sembrava che raccontasse di una persona diversa da quella che avevo conosciuto io» riferì. «Secondo lui, era una persona molto malinconia, tanto da apparire tormentata. Gli aveva confidato di avere commesso dei gravi errori, in passato, ma di non sapere come rimediare.»
Erik e Rosalee si scambiarono un cenno d'intesa. Forse Lorelei si era pentita del sabotaggio che aveva causato la morte di Val? Eppure il suo comportamento non suggeriva nulla di tutto ciò, dato che in altre situazioni aveva attribuito tutte le colpe dell'accaduto a Erik.
«Errori del passato?» ripeté Rosalee. «Il tuo collega ti ha parlato di cosa di trattasse? Cos'aveva fatto Lorelei?»
«Non ha voluto parlarne nemmeno con lui, ma gli aveva confidato che le sarebbe piaciuto potere aiutare i discendenti di non so chi, se avessero avuto bisogno di lei» rispose Raphael. «Penso che parlasse di somme non proprio piccole dato che, secondo Harrison, anche per via di quell'intenzione aveva rifiutato la proposta di suo fratello, o qualunque cosa fosse per lei quel Dobson del negozio.»
«Quale proposta?» volle sapere Rosalee.
«Mettersi in società e ampliare il negozio, magari aprendone addirittura un altro» spiegò Raphael. «Pare che già da tempo Dobson desiderasse coinvolgerla nella propria attività, magari affidandole in parte la gestione.»
Rosalee osservò: «Paul non me ne ha mai parlato.»
Raphael suggerì: «Forse lo considerava un fallimento. Ai tempi in cui frequentavo Lorelei, mi aveva detto che suo fratello aveva un negozio, nel quale le aveva proposto di lavorare, in passato, ma aveva sempre rifiutato.»
Erik intervenne: «Per quale motivo?»
«Credo che non le piacesse relazionarsi con la clientela» rispose Raphael. «Mi aveva raccontato che, prima di sposarsi con Pearl, aveva lavorato molti anni come governante, perché così poteva limitare il contatto con persone fastidiose ai soli membri delle famiglie per cui faceva i servizi.» Quanto Lorelei aveva riferito a Raphael era molto in linea con quanto, a suo tempo, aveva detto di sé a Erik. Dove, tuttavia, riuscì ad aggiungere qualche dettaglio: «Rimpiangeva di non avere preso il diploma, da ragazza, dato che all'epoca era attratta dal reddito di lavori poco pagati e aveva lasciato la scuola. Le ho chiesto se avesse mai pensato di rimettersi a studiare, ma diceva che era troppo tardi e che non se ne sarebbe fatta più niente di finire le scuole superiori.»
«In effetti non aveva tutti i torti» ribatté Rosalee. «La vedova Pearl non aveva certo bisogno di trovarsi un lavoro ben retribuito e, in generale, nemmeno di trovarsi un qualsiasi lavoro. I soldi di suo marito le sarebbero bastati per vivere agiatamente fino alla fine.»
«Fine arrivata molto prima del previsto» osservò Erik. «Che idea ti sei fatto sul delitto?»
Raphael trasalì.
«Io non... non ho davvero avuto modo di farmi un'idea. Non so che cosa nascondesse, ma qualcosa doveva pure nascondere.»
«Perché?» azzardò Erik. «Solo chi ha qualcosa da nascondere può essere ucciso? Allora tua moglie...»
Rosalee gli scoccò un'occhiata di fuoco. Raphael, invece, non parve infastidito da quelle parole, che si affrettò a chiarire: «Non dico che Lorelei nascondesse qualcosa perché è stata assasinata, quanto piuttosto che l'avesse dimostrato con le confidenze che aveva fatto a Harrison.»
«E che Harrison» osservò Erik, «Ha riferito a te. Capitava spesso che ti raccontasse i fatti propri?»
«In realtà è sempre stato piuttosto riservato» ammise Raphael, «Ma era molto felice di avere conosciuto Lorelei e di avere iniziato una relazione con lei. Si lasciava prendere spesso dall'entusiasmo, specie considerato che, dopo la fine del suo matrimonio, non aveva mai pensato seriamente che potesse esserci un'altra donna nella sua vita.»
Erik stava pensando a qualcosa da dire - un'altra domanda per quel poveretto, colpevole soltanto di avere accettato un invito a cena - ma Rosalee non gliene lasciò il tempo.
«Scusaci per tutte queste domande, Raphael» disse. «Devi pensare che siamo due impiccioni.»
«Ma no, figurati» ribatté Raphael. «Anzi, vi ringrazio per non avermi giudicato male dopo quello che avete scoperto su di me.»
«A tutti può capitare di sposare la persona sbagliata» rispose Rosalee. «Non so se tu fossi l'uomo sbagliato per Kate o se Kate fosse la donna sbagliata per te. Io non sono nessuno per esprimere un giudizio su di voi. Mi dispiace per quello che le hai fatto, ma adesso non importa più. Kate è morta senza saperlo, non ha molto senso parlarne.»
«Cambiamo discorso?» suggerì Erik, prima di lasciarsi andare a un lungo monologo su internet e i motori di ricerca.
Non sapeva molto su quell'argomento e, in realtà, non importava molto a nessuno, ma si concessero qualche minuto a ipotizzare scenari futuristici o post-apocalittici.
«Se è vero che internet permette di comunicare con chiunque in tutto il mondo» suggerì Raphael, «Allora chissà, magari un giorno avremmo a disposizione degli apparecchi portatili con i quali sarà possibile comunicare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo a prezzi abbordabili. Magari verranno inventate anche apposite piattaforme per divulgare i propri pensieri a chiunque capiti per caso a leggerli.»
«Sarebbe terrificante» ribatté Rosalee. «Ve lo immaginate, cosa succederebbe se chiunque sentisse di potere esprimere il proprio parere a proposito di qualsiasi cosa, senza avere la minima informazione in proposito? Voglio dire, per molti funziona così da sempre, ma i mezzi tecnologici che stiamo ipotizzando potrebbero anche rendere importanti queste persone.»
Erik non era sicuro di avere compreso che cosa stesse immaginando Rosalee, ma sfruttò quelle parole a proprio vantaggio: «Provando a fare un esempio realistico, ricordate quando avvenne l'incendio al filatoio e morirono quattro lavoratrici? Con quei mezzi, ci sarebbe chi potrebbe permettersi di dire che la colpa è stata di quelle donne, perché se si fossero cercate un posto di lavoro migliore non sarebbero morte in quel drammatico incidente. Non sono sicuro che simili strumenti di comunicazione possano davvero essere un progresso per la nostra società.»
Raphael, che si era versato da bere non appena Erik aveva preso la parola, rimase con il bicchiere sospeso a mezz'aria.
«Il filatoio» mormorò. «Ci lavorava mia nonna. Era il suo ultimo mese di lavoro, poi sarebbe andata in pensione.»
«Oh» esclamò Erik. «Scusami, non ne avevo la minima idea.»
Raphael posò il bicchiere sul tavolo.
«Non preoccuparti. Non mi vergogno di venire da una famiglia di umili origini. Chi dovrebbe provare vergogna è piuttosto chi discende da chi ha permesso che mia nonna e le altre tre donne morissero, anche se, a onore del vero, il figlio del titolare ha ben altro di cui vergognarsi, vista la fine che ha fatto e...» Raphael si interruppe. «Lasciamo stare, non parliamo di quel rifiuto umano e di quante volte il padre gli abbia parato il culo, prima che la combinasse troppo grossa.»
«Una delle donne morte nell'incendio» lo informò Erik, «Era la madre di Valentin Schell. Lo sapevi?»
«Sapevo fosse morta una donna che portava lo stesso cognome, ma non mi sono mai preoccupato della sua possibile parentela con Val» ammise Raphael. «Non lo conoscevo, non immaginavo che avesse legami indiretti con il filatoio.»
Erik azzardò: «Ricordi anche una donna che si chiamava Kerry?»
«Non conoscevo le colleghe di mia nonna» mise in chiaro Raphael, «Anche se ho delle loro foto. Me le ha date mio padre anni fa, mi ha pregato di conservarle, ma non che vuole tenerle perché gli mettono tristezza. Ce le ho in una scatola che non apro da secoli. Se vuoi vederle, ti basta passare da me.»
Erik non era certo che ci fosse qualche motivo per farlo, ma preferì non rifiutare la proposta sul nascere. La stessa Rosalee lo convinse che valeva la pena di dare un'occhiata.
Il negozio di Paul Dobson rimaneva chiuso due pomeriggi alla settimana e l'indomani Rosalee avrebbe lavorato solo al mattino. Si diressero quindi a casa Dove verso le diciotto, senza avvisare Raphael, che venne ad aprire la porta con il piccolo Jack in braccio.
«È cresciuto tantissimo!» esclamò Rosalee, allungando una mano per pizzicare una guancia al bambino. «Disturbiamo?»
«Stavo guardando i cartoni animati insieme a mio figlio» rispose Raphael, «Quindi dovresti chiederlo a lui.»
«Non c'è problema, i cartoni animati può guardarli con me.»
Rosalee si fece consegnare Jack e si diresse con decisione verso il soggiorno. Erik e Raphael li seguirono ed entrarono nella stanza giusto in tempo per vedere Rosalee che faceva accomodare il bambino sulla poltrona di fronte al televisore, non prima di avere accennato a una borsa che si trovava su un mobile.
«Non l'hai ancora messa via?»
Raphael scosse la testa.
«No, ma puoi prenderla tu, a Kate farebbe piacere.» Si rivolse a Erik, abbassando la voce. «L'ha comprata mia moglie, poco prima di morire.» Tornò ad alzare il tono. «Ho tirato fuori proprio ieri sera la scatola con le fotografie. Sono state scattate a una cena organizzata dalle donne del filatoio, se ben ricordo.»
Era una scatola di piccole dimensioni, che si trovava accanto alla borsa. Prendendola in mano, Raphael si spostò verso il tavolo situato a un angolo della sala. Si sedettero entrambi, poi Dove la aprì e iniziò a tirare fuori le foto. Ce n'erano in tutto una decina, di cui oltre la metà lievemente mosse oppure poco illuminate. In una, tuttavia, un gruppo di quindici donne di varie età posava al centro della scena, immortalato con chiarezza.
Raphael ne indicò una: «Questa era mia nonna Natalie. Quella dietro di lei, invece, credo fosse la signora Schell. La signorina Kerry è l'ultima in fondo, mentre Amanda...» Esitò. «Era una di quelle giovani, ma non...»
Erik bloccò il tentativo di identificazione di Raphael.
«Chi è questa?» Il cuore gli rimbalzava in gola, mentre indicava una donna sulla quarantina, con i capelli neri tagliati piuttosto corti. Aveva l'aria molto familiare. «Rosalee, vieni a vedere!»
«Questa lavorava nello stesso reparto di mia nonna» rispose Raphael. «Era stata sposata con un alcolizzato che la picchiava, da cui aveva divorziato. Aveva ripreso il proprio cognome da nubile, che mi sembra fosse Styles.»
Rosalee, che si era già alzata in piedi, nell'udire quel nome si avvicinò di scatto al tavolo.
«La famosa zia di Jessamine?»
Erik alzò lo sguardo.
«La signora Moore.»
«Che cosa?!» esclamò Rosalee. «Sei serio? Stai dicendo che la nostra donna delle pulizie potrebbe essersi risposata con Mark Schell?»
«Non mi spingo a fare queste supposizioni, ma che questa donna sia la signora Moore lo sono eccome! Era tale e quale a ora, solo che non aveva ancora i capelli grigi.»
Allungò la fotografia a Rosalee, affinché la potesse vedere da vicino. Così facendo, scoprì un'altra foto in cui la nonna di Raphael era ritratta in primo piano, accanto a due giovani. Raphael ne indicò una: «Questa è Amanda.»
Gli occhi di Erik, però, erano tutti per l'altra.
«Questa non c'era, nella foto che ho appena dato a Rosalee.»
Raphael azzardò: «Magari era stata proprio lei a scattarla.»
Erik non aveva tempo per quelle inutili congetture: «Guardala.»
Era poco più che una ragazzina, poteva avere diciassette o diciotto anni, al massimo diciannove. Aveva lunghi capelli lisci e castani, che forse potevano trarre in inganno chi l'aveva conosciuta molti anni dopo, ossigenata e con la permanente.
Rosalee, nel frattempo, esaminando l'altro scatto confermò: «Questa donna è la signora Moore, non ci sono dubbi.»
Erik replicò: «Questa, invece, è Lorelei Logan.»
Raphael spalancò gli occhi.
«Che cazzo dici, Erik?»
Allungo un'occhiata a Jack, come per accertarsi che non avesse udito il termine volgare. Il bambino sembrava preso dalle immagini trasmesse sul teleschermo, sul quale un animale poco identificabile e dai colori non presenti in natura scappava da un predatore.
«Ti assicuro che è lei.» Una serie di pensieri attraversarono la mente di Raphael. Avrebbe voluto dire tante cose, ma gliene uscì solo una. «Tutto torna.»
Rosalee lo fissò con aria interrogativa.
«Cosa vuoi dire?»
«Logan mi ha raccontato una storia strana sul filatoio, molti anni fa» le spiegò Erik, «Ovvero che una delle operaie quel giorno aveva visto il titolare, da alcuni sospettato di avere innescato volutamente l'incendio, che invece sosteneva di non essere presente quel giorno. Ha detto che forse quella tizia era stata pagata per tacere e che lei non l'avrebbe mai fatto.»
«Pensi che, invece, fosse proprio lei?»
«Penso che abbia visto qualcosa, ma che semplicemente nessuno le abbia creduto. Era solo una ragazzina, non doveva essere ritenuta tanto affidabile. Questo spiegherebbe perché, nel corso della sua vita, abbia cercato di avvicinare diversi uomini collegati alle vittime. Voleva...»
Raphael lo interruppe: «Aspetta, mi stai dicendo che Lorelei è diventata la mia amante perché mia nonna è morta in quell'incendio?»
Erik gli ricordò: «Secondo Harrison, Lorelei aveva dei forti sensi di colpa per qualcosa che aveva fatto e voleva aiutare le persone che aveva danneggiato. Da questo punto di vista sarebbe plausibile che di sia legata a te per informarsi delle tue condizioni economiche. Appurato che non avevi bisogno di aiuto, è passata oltre.»
«Questo spiegherebbe» osservò Rosalee, «anche perché si sia sottomessa alle richieste economiche di Hugo Kerry. Forse non aveva paura di lui, ma voleva ripagarlo per la morte di sua cugina. Non aveva potuto fare niente a quei tempi, quindi cercava di fare qualcosa, anche se a scoppio ritardato.»