15
Thomas era fuori dall’aula, insieme ai suoi colleghi, e aspettava di essere chiamato per entrare a dare l’esame. Era un esame abbastanza semplice, che riguardava soltanto la prima metà del corso, eppure lui aveva studiato duramente per essere preparato al meglio. Prese il cellulare per impostare il silenzioso, e vide che gli era arrivato un messaggio di Eve, talmente breve che era interamente contenuto nella notifica. Per qualche secondo, ogni cosa scomparve attorno a lui, che non riusciva a togliere gli occhi da quelle semplici parole. Fu Sophie a riportarlo alla realtà.
«Tutto bene?» gli disse.
Thomas annuì, impostando velocemente il silenzioso e rimettendo il cellulare nello zaino. Entrò nell’aula insieme a Sophie, quando vennero chiamati, e si sedettero in corrispondenza dei fogli dell’esame che erano stati lasciati sui banchi. Non appena il tempo a disposizione iniziò, Thomas fece un respiro profondo. Cercò di concentrarsi il più possibile sull’esame, e non farsi distrarre da quel messaggio.
Il nuovo lavoro sembrava andare a gonfie vele. A differenza dei lavori precedenti, Donna non era ancora stata licenziata, e sembrava andare d’accordo con i nuovi colleghi. Non era ancora stata in grado di tenersi un lavoro così a lungo da quando era tornata a New York quasi un anno prima, perciò aveva deciso di invitare Jason a casa sua per festeggiare.
Il ragazzo aveva portato delle pizze, mentre lei aveva tirato fuori una bottiglia di birra dalla credenza. Avevano pranzato insieme, parlando di quanti progressi avesse fatto Donna in quasi un anno. La ragazza si guardò intorno, e notò con soddisfazione che l’appartamento non era mai stato così pulito e ordinato come in quegli ultimi mesi. Inoltre, la relazione con Jason era la più stabile che avesse mai avuto, e si meravigliò nel constatare che, in parte, era anche grazie a lui che lei era stata in grado di dare una svolta decisiva alla sua vita.
Mentre i due sparecchiavano e mettevano in ordine la sala da pranzo, Donna recuperò il cellulare, che aveva ignorato fino a quel momento, e guardò le notifiche. In mezzo a tutte quelle inutili dei vari social network, vide la notifica di un messaggio da parte di Eve: non ebbe bisogno di aprire la conversazione per leggerlo interamente, dato che era terribilmente breve e lapidario. Si sentì mancare per un momento, ma Jason la raggiunse prontamente per soccorrerla. La ragazza sbatté le palpebre varie volte per assicurarsi di aver letto bene, o che quel messaggio non fosse stato frutto della sua immaginazione. Senza dire una parola, Jason la aiutò a sedersi, dopodiché prese il computer e le comprò immediatamente un biglietto per il treno.
Thomas e Donna arrivarono a Trenton soltanto a pochi minuti di distanza. Non appena si incontrarono, all’uscita della stazione, non dissero una parola. Si abbracciarono silenziosamente, immaginando benissimo cosa fosse successo all’altro il giorno precedente. Non appena uscirono, videro che Eric e Eve erano andati a prenderli con la macchina. Non dissero niente nemmeno loro: Eve li abbracciò entrambi, mentre Eric rimase un po’ in disparte, stoico. Eve cercò di rendere il viaggio a Murray Hill più piacevole, tentando di fare conversazione, ma la tensione era palpabile.
Quando arrivarono a Villa Valerie, i ragazzi entrarono in casa con passo incerto, guardando con timore il piano superiore. Le finestre avevano tutte le persiane chiuse, come al solito, e Thomas e Donna non poterono fare a meno di chiedersi come fosse la situazione all’interno.
«Dopo scenderà zia Edith a dirvi quando potrete salire,» disse Eve.
I ragazzi andarono immediatamente a posare le loro borse nelle rispettive stanze. Il familiare rumore di passi al piano superiore faceva sembrare come se la situazione non fosse affatto cambiata, ma i due sapevano bene che d’ora in poi niente sarebbe rimasto come prima.
Ognuno rimase in silenzio, in camera propria, a chiedersi cosa sarebbe successo nei pochi giorni successivi. Il silenzio venne poi interrotto dal brusco arrivo di zia Edith al piano inferiore.
«Ci siete?» gridò, appena varcata la porta.
Thomas, Donna e Eve si affacciarono dalle rispettive stanze. Furono sorpresi di vedere la zia indossare un maglione, dei pantaloni e degli scarponcini, invece del solito pigiama a cui erano abituati negli ultimi tempi.
«Ah, benissimo, siete arrivati!» disse zia Edith ai nipoti. «Tutto bene il viaggio?»
Donna e Thomas annuirono. Nel frattempo, anche Eric si era affacciato in corridoio, nella speranza che la sorella gli riportasse notizie utili.
«Ho chiamato quelli delle pompe funebri, è tutto a posto per il funerale, i fiori e l’inumazione,» disse zia Edith al fratello.
Eric annuì, senza dire una parola.
«Loro l’hanno già vista la nonna?» riprese zia Edith.
«No, sono appena arrivati,» rispose Eve.
«Ah, allora salite, dai.»
Thomas e Donna salirono al piano superiore seguendo la zia. Non appena varcarono la soglia, furono sorpresi nel constatare che la temperatura dell’appartamento era simile a quella del piano inferiore: ultimamente, dato che la nonna aveva sempre freddo, tutti i condizionatori e le varie stufette elettriche erano sempre accesi per riscaldarla il più possibile. Entrando in soggiorno, non furono sorpresi di non vedere la nonna seduta sulla sua solita sedia di plastica, dato che durante gli ultimi tempi dormiva quasi per tutto il giorno; furono però sorpresi di vedere zia Lucy e zia Bobby, impegnate con vari documenti sparpagliati sul grande tavolo circolare.
«Bentornati, ragazzi!» disse zia Lucy.
Non appena li vide, zia Bobby andò ad abbracciarli. I due notarono immediatamente che zia Bobby era la più sconvolta: aveva i capelli corti più spettinati del solito, e le occhiaie si erano fatte più scure. Quando parlava con le sorelle, era come se non fosse veramente lì, ma stesse pensando a qualcos’altro.
«Meno male che siete potuti venire il prima possibile,» disse zia Bobby.
«Venite, vi faccio vedere nonna,» disse zia Lucy.
La zia condusse i nipoti nella stanza della nonna, dall’altro lato della casa. I due avevano percorso quel corridoio un sacco di volte, ma ora sembrava infinito, quasi come se non volessero arrivarne alla fine. Zia Lucy aprì la porta ed entrò per prima, facendo strada ai nipoti.
La stanza era quasi completamente al buio, fatta eccezione per la lampada sul comodino della nonna. Quella lampada rimaneva sempre accesa mentre la nonna dormiva, e Donna era ben abituata alla sua luce e al suo riverbero nel corridoio buio, ogni volta che rimaneva alzata qualche minuto in più per assicurarsi che la nonna non avesse bisogno di nient’altro prima di andare a dormire. Rispetto al resto della casa, però, quella stanza era più fredda: né Donna, né Thomas seppero dire se fosse per il condizionatore acceso o per l’assenza della persona che più associavano con quella stanza. Sul letto, infine, c’era una grande bara di legno, in cui era adagiato il corpo esile di nonna Valerie, coperto da un velo di tulle bianco. Gli occhi di Donna si riempirono di lacrime, e istintivamente cercò la mano del fratello. Thomas strinse la mano della sorella per darle conforto: non era mai stato legato alla sua nonna americana come lo era stata Donna, perciò non poteva immaginare come si sentisse in quel momento, ma la vista della nonna fu straziante anche per lui.
«È morta nel sonno,» disse zia Lucy. «Così non ha sofferto.»
Donna sapeva benissimo che un evento del genere sarebbe potuto succedere da un momento all’altro, ma non credeva che sarebbe potuto succedere così presto. Ricordò che l’ultima volta che l’aveva vista la nonna parlava quasi perfettamente, e non c’era nessun indicatore del fatto che la situazione sarebbe potuta precipitare così rapidamente.
«Com’è piccola,» disse Thomas.
«Non è mai stata una donna molto alta,» spiegò zia Lucy, aggiustando il velo sopra la bara. «Certo, le è rimasta quest’espressione un po’ infastidita… Penso che ce la meritiamo, dopo come l’abbiamo trattata per tutto questo tempo…»
La zia riuscì a far ridere brevemente i nipoti, spezzando la tensione anche solo per un attimo. Dopo aver finito di armeggiare con il velo, condusse i ragazzi nuovamente in corridoio, dove furono raggiunti da zia Edith.
«È un bene che non l’abbiate vista durante gli ultimi giorni,» disse zia Edith. «Era magrissima, non mangiava più niente… Abbiamo dovuto metterle la flebo per farle arrivare un po’ di nutrimento!»
«La flebo?» chiese Donna.
«È stata una decisione difficile, ma poi abbiamo capito che era la cosa migliore da fare,» disse zia Lucy.
«Aveva la flebo per mangiare e la flebo per le medicine,» disse zia Edith. «All’inizio era parecchio agitata perché le dava fastidio quella cosa attaccata al braccio, ma poi si è tranquillizzata.»
«Meno male,» disse Thomas.
«Siamo andati avanti così solo per altri tre giorni, purtroppo,» riprese zia Edith. «Ho anche convinto quel cammello di Crouch a darle un tranquillante più forte!»
«Che cosa?» chiese Donna.
«Sì, lui all’inizio si era opposto perché diceva che la dose era eccessiva, quindi gliene ha prescritto uno più blando,» rispose la zia. «Quando le abbiamo messo la flebo, però, io l’ho convinto che in realtà le aveva prescritto il tranquillante più forte.»
Sia Donna che Thomas erano rimasti completamente senza parole. La notizia della morte della nonna era arrivata come un fulmine a ciel sereno perché nessuno li aveva informati di ciò che stava succedendo durante quegli ultimi giorni. Erano stati tenuti all’oscuro di tutto, delle ultime decisioni riguardanti le cure della nonna alle macchinazioni di zia Edith.
«I ragazzi possono scendere adesso,» intervenne zia Bobby.
«Sì, infatti,» disse zia Edith. «Casomai ci vediamo dopo.»
Thomas era fuori dall’aula, insieme ai suoi colleghi, e aspettava di essere chiamato per entrare a dare l’esame. Era un esame abbastanza semplice, che riguardava soltanto la prima metà del corso, eppure lui aveva studiato duramente per essere preparato al meglio. Prese il cellulare per impostare il silenzioso, e vide che gli era arrivato un messaggio di Eve, talmente breve che era interamente contenuto nella notifica. Per qualche secondo, ogni cosa scomparve attorno a lui, che non riusciva a togliere gli occhi da quelle semplici parole. Fu Sophie a riportarlo alla realtà.
«Tutto bene?» gli disse.
Thomas annuì, impostando velocemente il silenzioso e rimettendo il cellulare nello zaino. Entrò nell’aula insieme a Sophie, quando vennero chiamati, e si sedettero in corrispondenza dei fogli dell’esame che erano stati lasciati sui banchi. Non appena il tempo a disposizione iniziò, Thomas fece un respiro profondo. Cercò di concentrarsi il più possibile sull’esame, e non farsi distrarre da quel messaggio.
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Il nuovo lavoro sembrava andare a gonfie vele. A differenza dei lavori precedenti, Donna non era ancora stata licenziata, e sembrava andare d’accordo con i nuovi colleghi. Non era ancora stata in grado di tenersi un lavoro così a lungo da quando era tornata a New York quasi un anno prima, perciò aveva deciso di invitare Jason a casa sua per festeggiare.
Il ragazzo aveva portato delle pizze, mentre lei aveva tirato fuori una bottiglia di birra dalla credenza. Avevano pranzato insieme, parlando di quanti progressi avesse fatto Donna in quasi un anno. La ragazza si guardò intorno, e notò con soddisfazione che l’appartamento non era mai stato così pulito e ordinato come in quegli ultimi mesi. Inoltre, la relazione con Jason era la più stabile che avesse mai avuto, e si meravigliò nel constatare che, in parte, era anche grazie a lui che lei era stata in grado di dare una svolta decisiva alla sua vita.
Mentre i due sparecchiavano e mettevano in ordine la sala da pranzo, Donna recuperò il cellulare, che aveva ignorato fino a quel momento, e guardò le notifiche. In mezzo a tutte quelle inutili dei vari social network, vide la notifica di un messaggio da parte di Eve: non ebbe bisogno di aprire la conversazione per leggerlo interamente, dato che era terribilmente breve e lapidario. Si sentì mancare per un momento, ma Jason la raggiunse prontamente per soccorrerla. La ragazza sbatté le palpebre varie volte per assicurarsi di aver letto bene, o che quel messaggio non fosse stato frutto della sua immaginazione. Senza dire una parola, Jason la aiutò a sedersi, dopodiché prese il computer e le comprò immediatamente un biglietto per il treno.
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Thomas e Donna arrivarono a Trenton soltanto a pochi minuti di distanza. Non appena si incontrarono, all’uscita della stazione, non dissero una parola. Si abbracciarono silenziosamente, immaginando benissimo cosa fosse successo all’altro il giorno precedente. Non appena uscirono, videro che Eric e Eve erano andati a prenderli con la macchina. Non dissero niente nemmeno loro: Eve li abbracciò entrambi, mentre Eric rimase un po’ in disparte, stoico. Eve cercò di rendere il viaggio a Murray Hill più piacevole, tentando di fare conversazione, ma la tensione era palpabile.
Quando arrivarono a Villa Valerie, i ragazzi entrarono in casa con passo incerto, guardando con timore il piano superiore. Le finestre avevano tutte le persiane chiuse, come al solito, e Thomas e Donna non poterono fare a meno di chiedersi come fosse la situazione all’interno.
«Dopo scenderà zia Edith a dirvi quando potrete salire,» disse Eve.
I ragazzi andarono immediatamente a posare le loro borse nelle rispettive stanze. Il familiare rumore di passi al piano superiore faceva sembrare come se la situazione non fosse affatto cambiata, ma i due sapevano bene che d’ora in poi niente sarebbe rimasto come prima.
Ognuno rimase in silenzio, in camera propria, a chiedersi cosa sarebbe successo nei pochi giorni successivi. Il silenzio venne poi interrotto dal brusco arrivo di zia Edith al piano inferiore.
«Ci siete?» gridò, appena varcata la porta.
Thomas, Donna e Eve si affacciarono dalle rispettive stanze. Furono sorpresi di vedere la zia indossare un maglione, dei pantaloni e degli scarponcini, invece del solito pigiama a cui erano abituati negli ultimi tempi.
«Ah, benissimo, siete arrivati!» disse zia Edith ai nipoti. «Tutto bene il viaggio?»
Donna e Thomas annuirono. Nel frattempo, anche Eric si era affacciato in corridoio, nella speranza che la sorella gli riportasse notizie utili.
«Ho chiamato quelli delle pompe funebri, è tutto a posto per il funerale, i fiori e l’inumazione,» disse zia Edith al fratello.
Eric annuì, senza dire una parola.
«Loro l’hanno già vista la nonna?» riprese zia Edith.
«No, sono appena arrivati,» rispose Eve.
«Ah, allora salite, dai.»
Thomas e Donna salirono al piano superiore seguendo la zia. Non appena varcarono la soglia, furono sorpresi nel constatare che la temperatura dell’appartamento era simile a quella del piano inferiore: ultimamente, dato che la nonna aveva sempre freddo, tutti i condizionatori e le varie stufette elettriche erano sempre accesi per riscaldarla il più possibile. Entrando in soggiorno, non furono sorpresi di non vedere la nonna seduta sulla sua solita sedia di plastica, dato che durante gli ultimi tempi dormiva quasi per tutto il giorno; furono però sorpresi di vedere zia Lucy e zia Bobby, impegnate con vari documenti sparpagliati sul grande tavolo circolare.
«Bentornati, ragazzi!» disse zia Lucy.
Non appena li vide, zia Bobby andò ad abbracciarli. I due notarono immediatamente che zia Bobby era la più sconvolta: aveva i capelli corti più spettinati del solito, e le occhiaie si erano fatte più scure. Quando parlava con le sorelle, era come se non fosse veramente lì, ma stesse pensando a qualcos’altro.
«Meno male che siete potuti venire il prima possibile,» disse zia Bobby.
«Venite, vi faccio vedere nonna,» disse zia Lucy.
La zia condusse i nipoti nella stanza della nonna, dall’altro lato della casa. I due avevano percorso quel corridoio un sacco di volte, ma ora sembrava infinito, quasi come se non volessero arrivarne alla fine. Zia Lucy aprì la porta ed entrò per prima, facendo strada ai nipoti.
La stanza era quasi completamente al buio, fatta eccezione per la lampada sul comodino della nonna. Quella lampada rimaneva sempre accesa mentre la nonna dormiva, e Donna era ben abituata alla sua luce e al suo riverbero nel corridoio buio, ogni volta che rimaneva alzata qualche minuto in più per assicurarsi che la nonna non avesse bisogno di nient’altro prima di andare a dormire. Rispetto al resto della casa, però, quella stanza era più fredda: né Donna, né Thomas seppero dire se fosse per il condizionatore acceso o per l’assenza della persona che più associavano con quella stanza. Sul letto, infine, c’era una grande bara di legno, in cui era adagiato il corpo esile di nonna Valerie, coperto da un velo di tulle bianco. Gli occhi di Donna si riempirono di lacrime, e istintivamente cercò la mano del fratello. Thomas strinse la mano della sorella per darle conforto: non era mai stato legato alla sua nonna americana come lo era stata Donna, perciò non poteva immaginare come si sentisse in quel momento, ma la vista della nonna fu straziante anche per lui.
«È morta nel sonno,» disse zia Lucy. «Così non ha sofferto.»
Donna sapeva benissimo che un evento del genere sarebbe potuto succedere da un momento all’altro, ma non credeva che sarebbe potuto succedere così presto. Ricordò che l’ultima volta che l’aveva vista la nonna parlava quasi perfettamente, e non c’era nessun indicatore del fatto che la situazione sarebbe potuta precipitare così rapidamente.
«Com’è piccola,» disse Thomas.
«Non è mai stata una donna molto alta,» spiegò zia Lucy, aggiustando il velo sopra la bara. «Certo, le è rimasta quest’espressione un po’ infastidita… Penso che ce la meritiamo, dopo come l’abbiamo trattata per tutto questo tempo…»
La zia riuscì a far ridere brevemente i nipoti, spezzando la tensione anche solo per un attimo. Dopo aver finito di armeggiare con il velo, condusse i ragazzi nuovamente in corridoio, dove furono raggiunti da zia Edith.
«È un bene che non l’abbiate vista durante gli ultimi giorni,» disse zia Edith. «Era magrissima, non mangiava più niente… Abbiamo dovuto metterle la flebo per farle arrivare un po’ di nutrimento!»
«La flebo?» chiese Donna.
«È stata una decisione difficile, ma poi abbiamo capito che era la cosa migliore da fare,» disse zia Lucy.
«Aveva la flebo per mangiare e la flebo per le medicine,» disse zia Edith. «All’inizio era parecchio agitata perché le dava fastidio quella cosa attaccata al braccio, ma poi si è tranquillizzata.»
«Meno male,» disse Thomas.
«Siamo andati avanti così solo per altri tre giorni, purtroppo,» riprese zia Edith. «Ho anche convinto quel cammello di Crouch a darle un tranquillante più forte!»
«Che cosa?» chiese Donna.
«Sì, lui all’inizio si era opposto perché diceva che la dose era eccessiva, quindi gliene ha prescritto uno più blando,» rispose la zia. «Quando le abbiamo messo la flebo, però, io l’ho convinto che in realtà le aveva prescritto il tranquillante più forte.»
Sia Donna che Thomas erano rimasti completamente senza parole. La notizia della morte della nonna era arrivata come un fulmine a ciel sereno perché nessuno li aveva informati di ciò che stava succedendo durante quegli ultimi giorni. Erano stati tenuti all’oscuro di tutto, delle ultime decisioni riguardanti le cure della nonna alle macchinazioni di zia Edith.
«I ragazzi possono scendere adesso,» intervenne zia Bobby.
«Sì, infatti,» disse zia Edith. «Casomai ci vediamo dopo.»
L'angolo dell'autrice:
Già
dall'inizio si capiva come sarebbe andata a finire questa storia, ma
questo capitolo doveva arrivare come un fulmine a ciel sereno, proprio
come è arrivata a me la notizia nella vita reale.
Improvvisamente si ritorna all'ambiente claustrofobico di Villa
Valerie, nel freddo dell'inverno.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questa storia, lasciandomi un commento, una recensione o un messaggio privato. E non dimenticate di venirmi a trovare su Facebook, Threads e Instagram.
A presto!
⁓Arkytior
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