16
Il giorno del funerale, per Donna e Thomas fu un terribile flashback di ciò che era successo a nonna Mo poco più di un anno prima. Anche Eliza era tornata di corsa a Murray Hill per stare vicino ai figli e all’ex marito in quel momento difficile. La piccola chiesa era piena di parenti e amici di famiglia, alcuni dei quali sconosciuti persino per Donna. Prima della funzione, il parroco passò in rassegna i presenti, per andare a salutare tutte le persone che conosceva. Donna ricordava che quel prete era famoso per non farsi mai gli affari propri, e raccontare a tutti quanti, durante le omelie, gli ultimi pettegolezzi di cui era venuto a conoscenza.
«I fratelli ci sono tutti?» chiese il parroco. «O ne manca qualcuno?»
Donna sapeva che si riferiva ovviamente a zio Bruce. In quel momento, la ragazza si chiese se qualcuno gli avesse riferito cos’era successo a nonna Valerie. Pensò che molto probabilmente era stato informato da zia Lucy.
«Sì, l’ultimo è qui!» disse una voce femminile, confusa tra la folla. «È andato a parcheggiare!»
«Bene, allora possiamo cominciare,» disse il parroco, tornando in sacrestia.
La folla che si era radunata all’esterno della piccola chiesa entrò, seguita dalla bara. Il feretro venne posto davanti all’altare, venne coperto da cuscini di fiori, e davanti, rivolta verso l’assemblea, fu sistemata una foto di nonna Valerie. Non era una delle foto più recenti, ma non era nemmeno la più bella. Thomas ricordò che nemmeno a nonna Mo piaceva tanto essere fotografata, ma almeno per la sua lapide zio Dom era riuscito a trovare una foto bella e recente. La foto di nonna Valerie, invece, sembrava terribilmente scolorita e rovinata, e la nonna appariva ritratta con una brutta espressione infastidita.
Donna cercò di mantenersi quanto più composta possibile. Si guardò intorno per vedere le reazioni dei suoi parenti. In genere, quelli più seri erano quelli che, per una ragione o per l’altra, erano più emotivamente distanti dalla nonna: conoscenti che la incrociavano per le strade del quartiere quando ancora poteva uscire di casa, parenti lontani, o anche suo padre, che difficilmente mostrava le proprie emozioni. Donna non aveva mai visto zia Bobby così distrutta, ma del resto se lo aspettava, dato che aveva vissuto tutta la vita insieme alla nonna. Zia Edith sedeva al primo banco, con un’espressione seria ma anche sottilmente fiera, orgogliosa di aver portato a compimento anche quella missione.
Al termine della funzione, zia Edith salì sul pulpito per fare un annuncio a tutti i presenti.
«A nome di mia madre, vi ringrazio per la vostra presenza oggi,» cominciò. «Vorrei parlarvi brevemente dell’iniziativa che è stata presa per onorare la sua memoria. Come sapete, Valerie amava molto i documentari, in particolare quelli sull’Africa. Certo, mi ha rimproverata tante volte, ogni volta che le dicevo che ero appena tornata da un viaggio in Africa — non glielo andavo di certo a dire prima di partire —, ma lei è stata sempre affascinata dalla vita difficile che conducono quei popoli. Ricordo che la impressionava sempre vedere quelle donne africane costrette a portare quei pesanti vasi pieni d’acqua in equilibrio sulla testa per chilometri e chilometri, prima per raggiungere il pozzo e poi per tornare alle loro case. Ed ecco perché abbiamo deciso di raccogliere fondi per costruire un pozzo in Burkina Faso che riporti il suo nome. L’idea è stata di Lucy, ma io l’ho approvata. Ho contattato personalmente un’associazione che si occuperà di spedire il denaro raccolto e costruire il pozzo, e io posso assicurarvi che si tratta di persone affidabili, perché ho già collaborato con loro anni fa, quando feci costruire un altro pozzo, a nome mio e di mio marito Eric. Penso che quest’iniziativa avrebbe fatto molto piacere a mia madre, perciò vi invito a donare quanto potete, se volete, per agevolare la difficile vita di chi è un po’ meno fortunato di noi. Grazie mille per l’attenzione.»
Mentre zia Edith tornava al suo posto, la folla applaudì.
La bara fu portata di nuovo all’esterno, e alcuni dei presenti si avvicinarono alla famiglia Warren per porgere le loro condoglianze. Thomas non conosceva quasi nessuno dei presenti, ma Donna fece del suo meglio per fargli capire chi fosse tutta quella gente. Ad un tratto, una donna dai capelli biondi e ricci si avvicinò ai due.
«Ragazzi, ci dispiace tantissimo, ma papà non è potuto venire,» disse.
Thomas la guardò meglio, e la riconobbe come una delle persone presenti nelle foto della cucina di zia Paula.
«Mona,» disse Thomas.
«Prima ho fatto finta che ci fosse solo per far stare zitto il prete,» disse Mona. «Non so se ha funzionato, ma almeno ci ho provato.»
«Quindi zio sa tutto,» disse Donna.
«Sì, ci ha informato zia Lucy,» confermò Mona. «È un peccato che io non sia potuta passare in questi ultimi giorni.»
«Non ti preoccupare,» la rassicurò Donna. «Nonna lo sa che le volevi bene. E sa che in fondo le voleva bene anche zio Bruce.»
Il tragitto verso il cimitero fu immerso nel più totale silenzio. Tutti seguirono il carro funebre fino all’interno della struttura, poi prese il comando zia Lucy per condurre il corteo verso la tomba di famiglia, mentre la bara veniva portata all’ufficio all’entrata per essere preparata all’inumazione. Una volta parcheggiate le varie macchine, i pochi famigliari presenti si riunirono davanti alla tomba che stava per essere riempita. Zio Xander, con Svetlana al seguito, si guardava intorno meravigliato, come se non fosse mai stato in quel luogo prima, mentre zia Bobby seguiva in silenzio zia Lucy, senza alzare lo sguardo da terra.
Sembrava una tomba a terra un po’ più grande delle altre, ma in realtà era molto più profonda, perché aveva diversi livelli in cui via via sarebbero state poste le bare dei membri della famiglia Warren. Per ora era occupata solamente da nonno Joe, che era stato spostato lì quando la tomba era stata costruita, e dall’urna contenente le ceneri di zio Johnny, il marito di zia Lucy. La sua bara ancora non c’era, ma sulla parete verticale era già stato apposto il nome della nonna, con accanto le date di nascita e di morte.
«Ha compiuto quasi cent’anni esatti,» disse Thomas.
«In realtà, molto probabilmente li ha compiuti davvero,» disse zia Lucy. «Non ha mai saputo quando è nata perché sua madre non gliel’ha mai detto. Voleva che il compleanno di sua figlia fosse sempre un giorno di festa, perciò l’ha registrata al sei di gennaio. Ma in realtà lei è nata verso fine dicembre dell’anno precedente. Conoscendo quanto fosse precisa, forse ha deciso di morire una volta compiuti i cent’anni.»
«Era proprio forte,» disse Donna.
Thomas si guardò intorno, esaminando i presenti. «Dov’è zia Edith?»
«È tornata a Seaford,» disse zia Lucy. «Paul doveva stare a pranzo dalla madre.»
«Che insensibile,» disse Eliza.
«Come se non bastasse quella scenata che ha fatto al funerale,» disse Eve. «Era proprio necessario ripetere così tante volte che era stata un’idea che lei aveva approvato e verificato?»
«La solita Edith…» disse zia Lucy.
Nel giro di qualche minuto, la bara venne portata alla tomba. Due uomini la calarono all’interno e la posero sul ripiano più in alto, dal lato opposto rispetto alla bara di nonno Joe. Una volta terminato il lavoro, riposero sull’apertura del terreno la grande lastra di marmo che riportava il cognome Warren, e andarono via.
Il giorno successivo, zia Edith tornò a Villa Valerie per portare via le sue cose da casa della nonna. Anche Thomas e Donna stavano facendo le valigie, e udirono la solita valigia della zia fare un rumore tremendo mentre lei la trascinava giù per le scale, sbattendo contro ogni singolo scalino. Una volta giunta davanti al portone, la zia bussò alla porta dell’appartamento inferiore per salutare i parenti. Senza aspettare una risposta, entrò e si diresse al salone, dove era sicura di trovare suo fratello Eric. Thomas, Donna, Eliza e Eve la raggiunsero.
«Bene, la mia missione è compiuta!» disse la zia. «Ho preso le ultime cose: me ne torno a Seaford.»
Eric annuì, senza dire una parola.
La zia si voltò verso i propri nipoti.
«Allora, si sente la mancanza di nonna?» chiese.
Donna spalancò gli occhi, stupita da quella totale mancanza di sensibilità.
«Sarà difficile abituarcisi…» disse Thomas.
«Eh, adesso, piano piano, torneremo alle nostre vite normali,» riprese la zia. «Io ho un sacco di affari da portare avanti a Seaford, devo finire di scrivere il libro, correggere non so quanti articoli, rispondere a un sacco di e-mail…»
Anche Thomas dovette ammettere che per la zia fu come essersi liberata di un grosso peso che le impediva di fare ciò che le interessava davvero.
«Tu parti domattina, Eliza?» chiese zia Edith.
«Esatto,» rispose Eliza. «Torno a stare con papà.»
«Eh, poverino anche lui…» disse zia Edith, con un tono palesemente finto. «Dev’essere difficile per lui, specie in questo periodo…»
«Andiamo via domani anche noi,» disse Donna.
«Ah, sì,» disse zia Edith. «Hai trovato lavoro?»
«Sì,» rispose sinteticamente la ragazza.
«Spero non sia in un altro night club…» disse la zia.
«No, è in una palestra,» si difese Donna. «E sta andando anche parecchio bene.»
«Ah…» la zia, visibilmente sorpresa, parve non trovare argomenti per controbattere. «E il tuo amico drogato? Starà in un centro di riabilitazione, spero.»
«No, Jason ha trovato lavoro come assistente in uno studio fotografico,» replicò fieramente la ragazza.
«Ah…» zia Edith sembrava abbastanza delusa da quella risposta. «E tu, come vanno gli esami alla Seaford University?» chiese poi, rivolta a Thomas.
«Benissimo,» rispose Thomas. «Sempre il massimo dei voti.»
«Bravissimo!» disse zia Edith. «Vedrai che ti laureerai con un anno d’anticipo, alla fine, proprio come ho fatto io! E con Alexa, come va?»
Anche la sola menzione di quel nome fece venire i brividi a Thomas. Ormai era acqua passata, ma l’impatto che aveva avuto su di lui era troppo forte.
«Non la sento più da mesi,» rispose Thomas.
«Hai fatto bene,» disse la zia. «Era diventata troppo assillante anche per me. Mi tempestava continuamente di domande, ma io non avevo tempo per risponderle, così le ho inviato il mio ultimo libro gratis perché lo leggesse e mi lasciasse in pace, ma lei continuava a chiedermi di riassumerle il libro perché era troppo lungo da leggere… E poi non ci stava tanto di testa: mi ha raccontato che erano mesi che prendeva in giro un tizio e gli scriveva con un nome falso…»
«Sì, ha raccontato la stessa cosa anche a me,» disse Thomas.
«Certo che era strana forte… Quando mi ha chiesto l’amicizia su Facebook, lo sapevo benissimo che voleva passare attraverso me per arrivare a te…»
«Aspetta, cosa?»
Thomas non riusciva a credere alle sue orecchie. Davvero la zia gli stava dicendo che lo aveva incastrato di proposito in una relazione malata?
«Sì, ho pensato che fosse strana, ma io ne conosco miliardi di persone strane…» disse zia Edith. «In fondo, ho solo voluto farti conoscere una ragazza con cui avresti potuto instaurare una relazione. Stai sempre sulle tue e non esci molto: dovrai pure conoscere una ragazza, in qualche modo…»
Thomas era rimasto senza parole. Donna gli aveva rivelato ciò che la zia pensava di lui, ma sentirselo dire da lei in persona era tutta un’altra cosa.
Zia Edith guardò l’orologio. «Va bene, io adesso vado perché sennò si fa tardi,» disse. «Non c’è bisogno che aprite il cancello: ho ancora le chiavi. Buona giornata! Ci sentiamo!»
Quando la zia ebbe varcato il cancello, Thomas, Donna e Eliza tornarono nelle proprie stanze per terminare le valigie. Donna andò nella stanza del fratello per controllare come stesse.
«Tutto bene?» gli disse.
Thomas annuì.
«Certo che è proprio stronza,» disse Donna. «Ha la delicatezza di un carro armato, è totalmente priva di emozioni, e non si rende conto che dovrebbe smetterla di controllare la vita degli altri. Quello che ti ha fatto con Alexa è imperdonabile: come ha potuto anche pensare una cosa del genere?»
«La cosa peggiore è che è stata anche capace di dirmelo in faccia,» disse Thomas.
«Ormai si è fatta un’idea sbagliata di ciò che sei, e sarà dura fargliela cambiare.»
«A te non dà fastidio?»
«Ci sono più abituata di te, Tommy. Tu comincia a estinguere il tuo debito con lei, inizia ad ignorarla, e vedrai che prima o poi allenterà la sua presa su di te, quando capirà che non le sei più utile. È così che funziona lei.»
«Quanto tempo ci vorrà?»
«Non lo so. Potrebbero passare mesi, anni, decenni. Quello che importa è che io sono con te e starò dalla tua parte, qualsiasi cosa accada, qualsiasi scelta tu faccia.»
«Grazie, Donna.»
Per dare coraggio al fratello, Donna iniziò a cantare la loro canzone, quella ninna nanna che aveva improvvisato tanti anni prima per farlo smettere di piangere, e che tutt’ora riusciva a renderlo felice e a ricordargli che sua sorella gli sarebbe sempre stata accanto, per tutta la sua vita:
«Don’t listen to them
‘Cause what do they know
We need each other, to have, to hold
They’ll see in time, I know
When destiny calls you, you must be strong
I may not be with you
But you got to hold on
They’ll see in time, I know
We’ll show them together
‘Cause you’ll be in my heart
Yes, you’ll be in my heart
From this day on
Now and forever more
You’ll be in my heart
No matter what they say
You’ll be here in my heart
Always».
Il giorno del funerale, per Donna e Thomas fu un terribile flashback di ciò che era successo a nonna Mo poco più di un anno prima. Anche Eliza era tornata di corsa a Murray Hill per stare vicino ai figli e all’ex marito in quel momento difficile. La piccola chiesa era piena di parenti e amici di famiglia, alcuni dei quali sconosciuti persino per Donna. Prima della funzione, il parroco passò in rassegna i presenti, per andare a salutare tutte le persone che conosceva. Donna ricordava che quel prete era famoso per non farsi mai gli affari propri, e raccontare a tutti quanti, durante le omelie, gli ultimi pettegolezzi di cui era venuto a conoscenza.
«I fratelli ci sono tutti?» chiese il parroco. «O ne manca qualcuno?»
Donna sapeva che si riferiva ovviamente a zio Bruce. In quel momento, la ragazza si chiese se qualcuno gli avesse riferito cos’era successo a nonna Valerie. Pensò che molto probabilmente era stato informato da zia Lucy.
«Sì, l’ultimo è qui!» disse una voce femminile, confusa tra la folla. «È andato a parcheggiare!»
«Bene, allora possiamo cominciare,» disse il parroco, tornando in sacrestia.
La folla che si era radunata all’esterno della piccola chiesa entrò, seguita dalla bara. Il feretro venne posto davanti all’altare, venne coperto da cuscini di fiori, e davanti, rivolta verso l’assemblea, fu sistemata una foto di nonna Valerie. Non era una delle foto più recenti, ma non era nemmeno la più bella. Thomas ricordò che nemmeno a nonna Mo piaceva tanto essere fotografata, ma almeno per la sua lapide zio Dom era riuscito a trovare una foto bella e recente. La foto di nonna Valerie, invece, sembrava terribilmente scolorita e rovinata, e la nonna appariva ritratta con una brutta espressione infastidita.
Donna cercò di mantenersi quanto più composta possibile. Si guardò intorno per vedere le reazioni dei suoi parenti. In genere, quelli più seri erano quelli che, per una ragione o per l’altra, erano più emotivamente distanti dalla nonna: conoscenti che la incrociavano per le strade del quartiere quando ancora poteva uscire di casa, parenti lontani, o anche suo padre, che difficilmente mostrava le proprie emozioni. Donna non aveva mai visto zia Bobby così distrutta, ma del resto se lo aspettava, dato che aveva vissuto tutta la vita insieme alla nonna. Zia Edith sedeva al primo banco, con un’espressione seria ma anche sottilmente fiera, orgogliosa di aver portato a compimento anche quella missione.
Al termine della funzione, zia Edith salì sul pulpito per fare un annuncio a tutti i presenti.
«A nome di mia madre, vi ringrazio per la vostra presenza oggi,» cominciò. «Vorrei parlarvi brevemente dell’iniziativa che è stata presa per onorare la sua memoria. Come sapete, Valerie amava molto i documentari, in particolare quelli sull’Africa. Certo, mi ha rimproverata tante volte, ogni volta che le dicevo che ero appena tornata da un viaggio in Africa — non glielo andavo di certo a dire prima di partire —, ma lei è stata sempre affascinata dalla vita difficile che conducono quei popoli. Ricordo che la impressionava sempre vedere quelle donne africane costrette a portare quei pesanti vasi pieni d’acqua in equilibrio sulla testa per chilometri e chilometri, prima per raggiungere il pozzo e poi per tornare alle loro case. Ed ecco perché abbiamo deciso di raccogliere fondi per costruire un pozzo in Burkina Faso che riporti il suo nome. L’idea è stata di Lucy, ma io l’ho approvata. Ho contattato personalmente un’associazione che si occuperà di spedire il denaro raccolto e costruire il pozzo, e io posso assicurarvi che si tratta di persone affidabili, perché ho già collaborato con loro anni fa, quando feci costruire un altro pozzo, a nome mio e di mio marito Eric. Penso che quest’iniziativa avrebbe fatto molto piacere a mia madre, perciò vi invito a donare quanto potete, se volete, per agevolare la difficile vita di chi è un po’ meno fortunato di noi. Grazie mille per l’attenzione.»
Mentre zia Edith tornava al suo posto, la folla applaudì.
La bara fu portata di nuovo all’esterno, e alcuni dei presenti si avvicinarono alla famiglia Warren per porgere le loro condoglianze. Thomas non conosceva quasi nessuno dei presenti, ma Donna fece del suo meglio per fargli capire chi fosse tutta quella gente. Ad un tratto, una donna dai capelli biondi e ricci si avvicinò ai due.
«Ragazzi, ci dispiace tantissimo, ma papà non è potuto venire,» disse.
Thomas la guardò meglio, e la riconobbe come una delle persone presenti nelle foto della cucina di zia Paula.
«Mona,» disse Thomas.
«Prima ho fatto finta che ci fosse solo per far stare zitto il prete,» disse Mona. «Non so se ha funzionato, ma almeno ci ho provato.»
«Quindi zio sa tutto,» disse Donna.
«Sì, ci ha informato zia Lucy,» confermò Mona. «È un peccato che io non sia potuta passare in questi ultimi giorni.»
«Non ti preoccupare,» la rassicurò Donna. «Nonna lo sa che le volevi bene. E sa che in fondo le voleva bene anche zio Bruce.»
***
Il tragitto verso il cimitero fu immerso nel più totale silenzio. Tutti seguirono il carro funebre fino all’interno della struttura, poi prese il comando zia Lucy per condurre il corteo verso la tomba di famiglia, mentre la bara veniva portata all’ufficio all’entrata per essere preparata all’inumazione. Una volta parcheggiate le varie macchine, i pochi famigliari presenti si riunirono davanti alla tomba che stava per essere riempita. Zio Xander, con Svetlana al seguito, si guardava intorno meravigliato, come se non fosse mai stato in quel luogo prima, mentre zia Bobby seguiva in silenzio zia Lucy, senza alzare lo sguardo da terra.
Sembrava una tomba a terra un po’ più grande delle altre, ma in realtà era molto più profonda, perché aveva diversi livelli in cui via via sarebbero state poste le bare dei membri della famiglia Warren. Per ora era occupata solamente da nonno Joe, che era stato spostato lì quando la tomba era stata costruita, e dall’urna contenente le ceneri di zio Johnny, il marito di zia Lucy. La sua bara ancora non c’era, ma sulla parete verticale era già stato apposto il nome della nonna, con accanto le date di nascita e di morte.
«Ha compiuto quasi cent’anni esatti,» disse Thomas.
«In realtà, molto probabilmente li ha compiuti davvero,» disse zia Lucy. «Non ha mai saputo quando è nata perché sua madre non gliel’ha mai detto. Voleva che il compleanno di sua figlia fosse sempre un giorno di festa, perciò l’ha registrata al sei di gennaio. Ma in realtà lei è nata verso fine dicembre dell’anno precedente. Conoscendo quanto fosse precisa, forse ha deciso di morire una volta compiuti i cent’anni.»
«Era proprio forte,» disse Donna.
Thomas si guardò intorno, esaminando i presenti. «Dov’è zia Edith?»
«È tornata a Seaford,» disse zia Lucy. «Paul doveva stare a pranzo dalla madre.»
«Che insensibile,» disse Eliza.
«Come se non bastasse quella scenata che ha fatto al funerale,» disse Eve. «Era proprio necessario ripetere così tante volte che era stata un’idea che lei aveva approvato e verificato?»
«La solita Edith…» disse zia Lucy.
Nel giro di qualche minuto, la bara venne portata alla tomba. Due uomini la calarono all’interno e la posero sul ripiano più in alto, dal lato opposto rispetto alla bara di nonno Joe. Una volta terminato il lavoro, riposero sull’apertura del terreno la grande lastra di marmo che riportava il cognome Warren, e andarono via.
***
Il giorno successivo, zia Edith tornò a Villa Valerie per portare via le sue cose da casa della nonna. Anche Thomas e Donna stavano facendo le valigie, e udirono la solita valigia della zia fare un rumore tremendo mentre lei la trascinava giù per le scale, sbattendo contro ogni singolo scalino. Una volta giunta davanti al portone, la zia bussò alla porta dell’appartamento inferiore per salutare i parenti. Senza aspettare una risposta, entrò e si diresse al salone, dove era sicura di trovare suo fratello Eric. Thomas, Donna, Eliza e Eve la raggiunsero.
«Bene, la mia missione è compiuta!» disse la zia. «Ho preso le ultime cose: me ne torno a Seaford.»
Eric annuì, senza dire una parola.
La zia si voltò verso i propri nipoti.
«Allora, si sente la mancanza di nonna?» chiese.
Donna spalancò gli occhi, stupita da quella totale mancanza di sensibilità.
«Sarà difficile abituarcisi…» disse Thomas.
«Eh, adesso, piano piano, torneremo alle nostre vite normali,» riprese la zia. «Io ho un sacco di affari da portare avanti a Seaford, devo finire di scrivere il libro, correggere non so quanti articoli, rispondere a un sacco di e-mail…»
Anche Thomas dovette ammettere che per la zia fu come essersi liberata di un grosso peso che le impediva di fare ciò che le interessava davvero.
«Tu parti domattina, Eliza?» chiese zia Edith.
«Esatto,» rispose Eliza. «Torno a stare con papà.»
«Eh, poverino anche lui…» disse zia Edith, con un tono palesemente finto. «Dev’essere difficile per lui, specie in questo periodo…»
«Andiamo via domani anche noi,» disse Donna.
«Ah, sì,» disse zia Edith. «Hai trovato lavoro?»
«Sì,» rispose sinteticamente la ragazza.
«Spero non sia in un altro night club…» disse la zia.
«No, è in una palestra,» si difese Donna. «E sta andando anche parecchio bene.»
«Ah…» la zia, visibilmente sorpresa, parve non trovare argomenti per controbattere. «E il tuo amico drogato? Starà in un centro di riabilitazione, spero.»
«No, Jason ha trovato lavoro come assistente in uno studio fotografico,» replicò fieramente la ragazza.
«Ah…» zia Edith sembrava abbastanza delusa da quella risposta. «E tu, come vanno gli esami alla Seaford University?» chiese poi, rivolta a Thomas.
«Benissimo,» rispose Thomas. «Sempre il massimo dei voti.»
«Bravissimo!» disse zia Edith. «Vedrai che ti laureerai con un anno d’anticipo, alla fine, proprio come ho fatto io! E con Alexa, come va?»
Anche la sola menzione di quel nome fece venire i brividi a Thomas. Ormai era acqua passata, ma l’impatto che aveva avuto su di lui era troppo forte.
«Non la sento più da mesi,» rispose Thomas.
«Hai fatto bene,» disse la zia. «Era diventata troppo assillante anche per me. Mi tempestava continuamente di domande, ma io non avevo tempo per risponderle, così le ho inviato il mio ultimo libro gratis perché lo leggesse e mi lasciasse in pace, ma lei continuava a chiedermi di riassumerle il libro perché era troppo lungo da leggere… E poi non ci stava tanto di testa: mi ha raccontato che erano mesi che prendeva in giro un tizio e gli scriveva con un nome falso…»
«Sì, ha raccontato la stessa cosa anche a me,» disse Thomas.
«Certo che era strana forte… Quando mi ha chiesto l’amicizia su Facebook, lo sapevo benissimo che voleva passare attraverso me per arrivare a te…»
«Aspetta, cosa?»
Thomas non riusciva a credere alle sue orecchie. Davvero la zia gli stava dicendo che lo aveva incastrato di proposito in una relazione malata?
«Sì, ho pensato che fosse strana, ma io ne conosco miliardi di persone strane…» disse zia Edith. «In fondo, ho solo voluto farti conoscere una ragazza con cui avresti potuto instaurare una relazione. Stai sempre sulle tue e non esci molto: dovrai pure conoscere una ragazza, in qualche modo…»
Thomas era rimasto senza parole. Donna gli aveva rivelato ciò che la zia pensava di lui, ma sentirselo dire da lei in persona era tutta un’altra cosa.
Zia Edith guardò l’orologio. «Va bene, io adesso vado perché sennò si fa tardi,» disse. «Non c’è bisogno che aprite il cancello: ho ancora le chiavi. Buona giornata! Ci sentiamo!»
Quando la zia ebbe varcato il cancello, Thomas, Donna e Eliza tornarono nelle proprie stanze per terminare le valigie. Donna andò nella stanza del fratello per controllare come stesse.
«Tutto bene?» gli disse.
Thomas annuì.
«Certo che è proprio stronza,» disse Donna. «Ha la delicatezza di un carro armato, è totalmente priva di emozioni, e non si rende conto che dovrebbe smetterla di controllare la vita degli altri. Quello che ti ha fatto con Alexa è imperdonabile: come ha potuto anche pensare una cosa del genere?»
«La cosa peggiore è che è stata anche capace di dirmelo in faccia,» disse Thomas.
«Ormai si è fatta un’idea sbagliata di ciò che sei, e sarà dura fargliela cambiare.»
«A te non dà fastidio?»
«Ci sono più abituata di te, Tommy. Tu comincia a estinguere il tuo debito con lei, inizia ad ignorarla, e vedrai che prima o poi allenterà la sua presa su di te, quando capirà che non le sei più utile. È così che funziona lei.»
«Quanto tempo ci vorrà?»
«Non lo so. Potrebbero passare mesi, anni, decenni. Quello che importa è che io sono con te e starò dalla tua parte, qualsiasi cosa accada, qualsiasi scelta tu faccia.»
«Grazie, Donna.»
Per dare coraggio al fratello, Donna iniziò a cantare la loro canzone, quella ninna nanna che aveva improvvisato tanti anni prima per farlo smettere di piangere, e che tutt’ora riusciva a renderlo felice e a ricordargli che sua sorella gli sarebbe sempre stata accanto, per tutta la sua vita:
«Don’t listen to them
‘Cause what do they know
We need each other, to have, to hold
They’ll see in time, I know
When destiny calls you, you must be strong
I may not be with you
But you got to hold on
They’ll see in time, I know
We’ll show them together
‘Cause you’ll be in my heart
Yes, you’ll be in my heart
From this day on
Now and forever more
You’ll be in my heart
No matter what they say
You’ll be here in my heart
Always».
L'angolo dell'autrice:
A
volte la realtà supera la fantasia. Ecco perché
per
questo capitolo finale non ho praticamente dovuto inventare niente,
è così che il funerale è andato
davvero. La brutta
foto, i parenti assenti, la zia egocentrica che continuava a fare di
testa sua e a esaltare i suoi meriti. Questa storia è anche
la
prima che scrivo in cui il "villain" non viene sconfitto o punito in
alcun modo. Ho anche pensato di dare una sorta di rivalsa a Thomas e
Donna, magari con una scena in cui mettevano a tacere la zia
raccontando la loro versione dei fatti, ma visto il carattere di zia
Edith probabilmente la cosa sarebbe andata per le lunghe e lei avrebbe
rigirato la frittata a suo favore. Ho preferito chiudere la storia con
un momento di amore fraterno che resiste nonostante le
avversità.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questa storia, lasciandomi un commento, una recensione o un messaggio privato. E non dimenticate di venirmi a trovare su Facebook, Threads e Instagram.
A presto!
⁓Arkytior
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