Sarah era una brava bambina, timorata e obbediente, che viveva con la nonna in una piccola casetta in quel paese di fresca fondazione che di nome faceva “pace”: Salem.
Una sera d’inverno, senza dare la benché minima spiegazioni, la nonna proibì alla nipote di continuare a frequentare la casa dei Parris. La piccola non capiva che cosa potessero aver combinato Elizabeth e Abigail, le sue migliori amiche, per aver fatto tanto infuriare la nonnina, tuttavia non osò domandare, poiché una volta, per averci provato, era stata messa in riga a suon di bastonate.
Da quel giorno, però, le restrizioni non fecero che aumentare e dal non poter vedere le cugine Parris, Sarah passò al non poter uscire affatto. Esclusa la messa, la nonna la costrinse a non parlare più con nessuno, tantomeno a fissare la gente negli occhi, a non sorridere, saltare, o ballare, e se non fosse stato che ancora le riusciva difficile contare, avrebbe dovuto rispettare un certo numero di passi quotidiani per ogni attività strettamente necessaria, compreso l’alzarsi dal letto la mattina.
Brava com’era, per diverso tempo accontentò la nonna, finché una notte bussarono alla porta: era il pastore Parris in compagnia di uno sconosciuto, che si presentò esibendo il titolo di dottore.
La nonna cercò di cacciare la piccola in camera, ma i due uomini insistettero affinché rimanesse, dato che dovevano parlare proprio con lei. Accomodatisi, svelarono di aver fatto una spaventosa scoperta e cioè che nell’umile dimora del pastore doveva esser stato apposto da una strega, o da un suo servitore, un potente sortilegio. Questo perché, da qualche tempo, Abigail ed Elizabeth, rispettivamente nipote e figlia del pastore, avevano manifestato strani comportamenti.
Il dottore precisò che, dopo averle visitate con attenzione, era giunto alla conclusione che non fossero affette da alcuna patologia curabile con la moderna medicina, per cui dovevano per forza essere possedute. Sarah era una loro amica, magari aveva visto o sentito qualcosa che potesse aiutarli a riportare la luce nell’animo delle cugine.
Ma Sarah rimase zitta, non guardò nessuno negli occhi e anzi, fece di meglio, non si mosse. Gli ospiti, trascorse diverse ore, decisero di andarsene, non prima di aver borbottato che anche Sarah doveva aver subito l’influenza del diavolo, poiché per tutto il tempo che si erano trattenuti era rimasta immobile.
Quando furono lontani, Sarah sorrise, immaginando che per la sua buona condotta avrebbe ricevuto un elogio dalla nonna; invece, quest’ultima la guardò inviperita e la picchiò, maledicendosi per aver deciso di tenerla con sé dopo la scomparsa dei genitori. Dall’indomani anche la messa le venne preclusa e nessuno vide la bambina per molti giorni, gli stessi in cui nel villaggio altre giovinette presentarono sintomi dovuti, senza alcun dubbio, alla possessione.
Il pastore e il medico, in quel clima surreale, presi dalle indagini tornarono a controllare anche Sarah e scoprendola quasi in fin di vita la portarono in Chiesa a bere l’acqua santa, spingendola a dire la verità di fronte all’altare, tanto il Signore già la conosceva.
Lasciata sola, in effetti, lei sentì divampare il bisogno di confessarsi e, piangendo, pregò affinché la nonna smettesse di confonderla e le lasciasse usare di nuovo la voce per parlare, le gambe per muoversi e i denti per mangiare. I suoi salvatori, nascosti poco lontano, nell’udire la confidenza capirono ogni cosa e andarono subito a prendere la nonna al fiume, dove stava lavando i panni.
L’anziana protestò, giurò persino sulla Bibbia di non avere colpe, ma i fatti erano lampanti e non troppi giorni a seguire, insieme a un altro pugno di persone, fu provvidenzialmente condannata alla forca.
Da quel momento Sarah, ospitata in casa del pastore, Elizabeth, Abigail e le altre bambine del villaggio tornarono normali, ma la caccia alle streghe non si arrestò.
Un pomeriggio le suddette, riunitesi per giocare, si spinsero al di là del solito campo e videro appendere per il collo la moglie del falegname, la cui colpa era d’aver consegnato delle scope ad alcune conoscenti che poi si erano rifiutate di pagare, essendo quell’altra una megera. A nulla erano valse le parole del marito, né le ricevute delle commesse firmate dalle interessate.
A Sarah un po’ dispiacque per la donna, così come per la nonnina, ma che cosa poteva farci?
Il gentile capretto in loro compagnia l’aveva rassicurata ogni volta che era andato a trovarla e così fece in quel momento: tutto si sarebbe sistemato e quelle persone, a fare il male, stavano solo pagando per i propri peccati. Ma lei e le Parris, di peccati non ne avevano commessi, erano innocenti quanto gli angeli. Cos’era mai, in confronto al seviziare un bambino, l’aver acceso un fuoco ed evocato un gatto danzante l’ultima notte di ottobre?