Visage paranoïaque
Cinto non si è nemmeno accorto di aver parlato ad alta voce nel cuore della notte né, tanto meno, si aspetta di essere ascoltato. Quando Guidu, che gli dava la schiena, si volta e gli si avvinghia — un braccio attorno alle spalle e una gamba alla vita —, ha infatti un sobbalzo e istintivamente si chiude una mano sul cuore come per contenerlo. Un tremore corre dall’attaccatura dei capelli fino alle punte dei piedi.
«Fa così freddo» ripete, chiudendosi a riccio.
Il compagno, nonostante gli occhi appannati di sonno, riconosce sul suo viso tirato un motivo già visto e per questo ancora più penoso. Attento a non tradire la propria apprensione, lo convince a mettersi seduto e a seguire il ritmo del proprio respiro: sarebbe inutile, se non controproducente, assillarlo con mille richieste sul suo stato. Poi, lentamente, inizia a sciorinargli i titoli più improbabili che gli vengono in mente delle opere di Salvador Dalì. Cinto detesta l’artista e così Guidu spera di poterlo distrarre da quella spirale di sofferenza.
«Se riesci, ripetimeli. Piano».
Cinto incamera più aria possibile e la vertigine sembra toccare un nuovo apice. Solo le mani del suo amore lo fermano dal cadere e lo stringono, vere.
«Burocrate medio atmosferocefalo munge un'arpa cranica. Morbida costruzione con fagioli bolliti: premonizione di guerra civile. Dalí nudo in contemplazione davanti a cinque corpi regolari metamorfizzati in corpuscoli, nei quali appare improvvisamente Leda di Leonardo cromosomatizzata nel viso di Gala. Gli altri… Gli altri non li ricordo più».
Non osa muovere un muscolo per paura di essere divorato dal baratro che si è aperto sotto al loro letto. Guidu gli sorride e non gli appare diverso da un equilibrista sospeso su una fune: fiero, saldo e troppo, troppo sfrontato di fronte a una così grande incertezza.
«Se muoio stanotte—»
«Non morirai neanche stanotte, Cinto».
La voce è suonata più secca di quanto non volesse e si affretta a rettificare.
«Non senza tentare di tutto per salvarti».
Le loro dita si stringono e il ragazzo, di riflesso, increspa debolmente le labbra. Rimane un’espressione stravolta, ma dalla sua bocca sembra passare un primo piccolissimo spiraglio di luce.
«Mira e Ludovico — chiede — stanno ancora dormendo?».
L’orecchio teso cattura il russare tipico dellǝ ragazzǝ poco più in là e le narici tremanti cercano l’olezzo di tabacco scadente. È ancora strano dormire in quest’assetto e condividere l’intimità della camera con altri, ma non spiacevole. Anzi, l’idea che Guidu non sia solo a fronteggiare qualsiasi cosa sia ciò che lo sta logorando rincuora in parte Cinto e scaccia, per un momento, l’ansia di essere un peso troppo grande da sostenere.
«Lo sai, Mira non lǝ sveglia un cannone — è la risposta — e Ludovico è solo stronzo. Pure se è sveglio, finge».
Nel modo più brusco e sprezzante che gli riesce, l’uomo apostrofato si appropria di tutte le coperte e, dopo una gran tosse, scatarra contro il pavimento. Sul comodino un monticello di cicche e pacchetti di sigarette semivuoti minaccia di crollare.
«Proviamo a tornare a dormire, amore? Domani mattina, a mente lucida, possiamo rifletterci meglio».
È così dolce e caldo l’invito che Cinto si sente sciogliere e vi si abbandona. Anche se la notte incombe ancora su di lui come una minaccia e come un gatto gli si è raggomitolata sul petto, il sole non può davvero essere troppo lontano dal compiere tutto il suo giro.
«Burocrate medio atmosferocefalo munge un'arpa cranica. Morbida costruzione con fagioli bolliti: premonizione di guerra civile. Dalí nudo in contemplazione davanti a cinque corpi regolari metamorfizzati in corpuscoli, nei quali appare improvvisamente Leda di Leonardo cromosomatizzata nel viso di Gala. E poi… E poi…»
Un latrato sofferente lacera il buio.
«Non possiamo andare avanti così».
Guidu schiocca la lingua con sdegno, ma non ribatte. Finisce di girare la sigaretta e la offre all’uomo che gli si è avvicinato e lasciato andare con tutto il suo corpo sulla balaustra del balcone, prima di preparane una seconda per sé. I cerchi attorno ai suoi occhi si sono fatti profondissimi e contro i vasi in fiore il candore del suo volto sfuma in un giallo malaticcio.
«Sono notti — ringhia Ludovico — che non dormi. Non ti puoi permettere di andare a fondo con lui».
Mentre il ragazzo si volta a indagarne l’espressione accigliata, non può fare a meno di chiedersi dove si nasconda, in questi momenti, il suo cuore. Soprattutto gli è difficile attribuire queste parole alle stesse mani che poco prima lo hanno aiutato a trasportare Cinto fino alla Guardia Medica, come un Cristo deposto dalla croce.
«Cosa dovrei fare?» chiede, serio.
La domanda cade nel vuoto, bruciando al tramonto. Entrambi conoscono la risposta ma nessuno osa darle né corpo né nome.
«Mira è arrivatǝ? Non voglio che Cinto resti solo a lungo».
Ludovico sogghigna amaramente. Guidu, come sempre, ha già scelto e loro non potranno fare altro che seguirlo da un capo all’altro della fune.
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NDA: questa storia è una delle tre one-shot autoconclusive che avevo pensato per accompagnare un progetto più ambizioso, purtroppo naufragato. Il Writober 2024 mi è venuto incontro, il prompt a cui risponde appartiene alla PumpNIGHT list ed è il numero 27: febbre.