Entro nel pub liberandomi dell’ultima boccata di sigaretta ben oltre l’ingresso. Ne ho un fottuto bisogno perché questo posto puzza di marcio. Odio doverci venire, ma per trovare informazioni utili non ho scelta. Ogni topo di fogna che si rispetti lo frequenta, ed è fra questa bassa manovalanza, fatta di piccoli spacciatori e ladruncoli da strapazzo, che il più delle volte, anche per pochi spiccioli, posso ottenere la giusta dritta.
Non ho mai capito perché le grandi menti criminali se ne sbattano di parlare in loro presenza di faccende più o meno importanti. Può darsi che sia perché al dipartimento hanno le spalle coperte da qualche poliziotto corrotto, ma non mi stupirei se, invece, si trattasse di quelli dei piani alti; oppure credono sul serio che gli imbecilli di cui si circondano gli siano fedeli.
Ma non è questo di cui devo occuparmi. L’altro ieri, una pecorella è venuta da me perché il marito non torna a casa da una settimana. Ha fatto regolare denuncia, ma nel frattempo nel suo quartiere si sono verificate altre sparizioni, non contando quelle già avvenute, e la polizia non ha messo a disposizione uno straccio di agente, fosse anche la donna delle pulizie, per indagare sul caso.
Si vocifera che ci sia in giro un killer, uno scuoiatore seriale, e con le mie poche ricerche ecco dove il mio naso mi ha portato, dentro un posto da cui farei meglio a stare alla larga.
“Ehi, cane”, mi appella quel porco del barista. “Se non ordini puoi anche andartene.”
Anche se ho sempre voluto saltargli al collo e strozzarlo con le mie zampe, non ho tempo di finire al fresco stasera. Là dentro è anche peggio di questo pub. “Dammi una birra.”
Quella faina dello sguattero me la apre e la lascia scivolare sul legno appiccicoso. Mi volto a guardare la tv, c’è una partita di football di seconda categoria che nessuno si sta filando, a destra dei tori si stanno divertendo a biliardo, mentre a qualche tavolo di distanza c’è chi si sfida a carte. Niente di illegale.
Scruto meglio tra la nebbia prodotta dai sigari, quelli sì che sono proibiti, e vedo due gattine, abiti succinti, trucco marcato, che si scambiano pareri su di me. Poi mi fanno cenno di avvicinarmi. Non sono il mio tipo, ma devo capire se possono essere utili in altro.
“Buonasera, signorine. Posso offrire un giro di…”
“Martini”, dicono in coro.
Li ordino, facendo finta di essere interessato, so già che mestiere fanno, non ho bisogno di chiedere. “Siete nuove di queste parti?”
“Forse”, ridacchia quella tricolore. “Che cosa ti porta qui?”
“Avevo appuntamento con un amico, ma non si è presentato. Devo esserne scontento?”
“Che maleducato”, ribatte l’altra, occhi gialli e manto nero. “Puoi trascorrere un po’ di tempo con noi. Ti va?”
“Quanto?”
“Per entrambe sono cento bigliettoni.”
Il prezzo è alto per pagare una stanza e lasciarle dormire finché non fa giorno. Inoltre, sto cominciando a dubitare che possano fare qualcosa per me.
“Che ne dite di andare di sopra?”
Le due si guardano e brindano, trangugiando l’alcol in una botta sola, poi la tricolore mi si avvicina all’orecchio. “Ho già la chiave della stanza numero cinque. Vogliamo metà prima e metà alla fine. Chiaro?”
Annuisco. Si alzano.
“Mi aiuteresti con la giacca, lupacchiotto?”, mi domanda l’amica.
Faccio per obbedire, ma resto un detective e l’occhio mi cade sull’etichetta: 100% lana.
“Bellezze, chi devo ringraziare per quello che mi aspetta?”, dico. Loro capiscono.
“Non è ovvio? Alpacone.”
Il gangster numero uno della città, il burattinaio dell’intera malavita. Che cazzo stava pianificando? Mettere a repentaglio la propria carriera criminale commettendo delle leggerezze simili, disseminando indizi così spudorati. Non era da lui…
Sorrido. Adesso comincia il gioco. “Andiamo, micette.”