Era inizio settembre quando mi trovai al porto a salutare, forse per sempre, l'uomo di cui mi era innamorata.
L'avevo avvertito di non partire e che sarebbe stato saggio rimanere, ma la sua sete di vittoria era molto forte.
Prima di prendere il largo, gli donai una lettera e un bracciale d'argento. Lui mi guardò sorpreso e stette per parlare, però inaspettatamente non ci riuscì. Nessun suono dalla sua bella voce e preso dall'agitazione, rovistò tra le pieghe della sua tunica e sulle poche cose che si era portato con se per la battaglia. Per confortarlo gli dissi: “Trasillo, non mi devi niente”.
“Avrei voluto” rispose con malinconia. Si alzò elegantemente dai suoi bagagli e si avvicinò pericolosamente al mio orecchio.
“Perché mi hai scritto questa lettera?”.
“A volte per me è più facile scriverti che dirti quello che provo a voce.”
“Preferivo saperlo direttamente da te, però comprendo il tuo stato d’animo. Appena posso la leggerò. Promesso”, disse.
I suoi uomini lo chiamarono al suo dovere di trierarca e mi salutò accarezzandomi il viso dolcemente. Subito dopo, senza sguardi indiscreti, assaporai il suo bacio, ma non riuscì a placare la mia emotività. Mi cadette qualche lacrima e lui cercò di asciugarmele come poteva.
Nella mia mente riecheggiavano queste sue ultime parole, dette troppo frettolosamente e perse tra il vento: “Aspettami, Sofia. Il destino mi riporterà da te”.
Contemplai l'orizzonte del mare mentre la nave si allontanava sempre di più, diventando un miraggio.
Ero una straniera del futuro, intrappolata e smarrita in un'altra realtà.
Mi rammentai quando mi trovarono inerme sopra all'altare, dentro nel tempio di Atena, circondata da antichi greci confusi, i quali erano in procinto a fare una cerimonia religiosa. Per fortuna un signore dal nome Demostene mi accolse con generosità e divenne il mio protettore.
Pochi giorni dopo, in un bel pomeriggio autunnale, incontrai per la prima volta un affascinante ateniese. Ero seduta su uno scalino di un edificio antico e misterioso, immersa in una lettura piacevole. All’improvviso distolsi la vista dai miei fogli di pergamena e vidi i suoi occhi nocciola. Rimanemmo a indugiarci per po’ di tempo, poi fece un piccolo sorriso e disse: “Davanti alla Bouleuterion non ci si ferma a leggere”.
“Scusa. Non lo sapevo.”
“Ti consiglio di alzarti. Alcuni signori non hanno gradito la tua presenza”.
Non seppi se costui era cordiale o scocciato, però non volli problemi e scappai verso una meta meno frequentata da politici.
Camminai con passo veloce e il mio cuore lo sentivo battere forte. Ben presto mi sentì afferrare il braccio e scoprì che era lui.
“Non sei di qui”, disse affermativamente.
“No. Sono da pochi giorni ad Atene.”
“Perché girovagate per l’agorà non accompagnata?”
“Volevo godermi l’atmosfera di questa città in solitudine.”
“La tua famiglia?”
“Mi sembra un interrogatorio”, gli risposi agitata.
Lasciò la presa e io ripresi il mio tragitto senza degnarlo di uno sguardo. Mi seguì finché riprese a rivolgermi la parola.
“Sei straniera.”
“Si. Mi sta ospitando Demostene del demo di Cidateneo. Lo conosci?”.
I suoi occhi si illuminarono, si fermò e mi rispose: “Non lo vedo da quando ha subito una grave perdita.”
“I suoi figli sono morti in guerra.”
“Te lo ha riferito?”
“Si. Me lo ha confidato” dissi. Successivamente aggiunsi: “Con chi ho l’onore di conversare?”.
“Trasillo. E tu sei?”
“Sofia.”
“Ho la sensazione che tu eri già a conoscenza dove si tiene la Boulè.”
“Può essere.”
“Per quanto tempo starai qui?”
“Vedremo.”
“Sei misteriosa.”
“Di che cosa ti occupi nella tua vita quotidiana ateniese?”
“Sono un politico e militare.”
“A quale guerra hai partecipato?”
“L’ultima è stata nell’Ellesponto a Cizico.”
Capì immediatamente che ero finita nell’epoca della guerra del Peloponneso e avendo letto Tucidide e Senofonte, seppi subito le sorti di questa meravigliosa e drammatica epopea.
Continuammo a passeggiare mentre discutevamo sui nostri pensieri differenti sul conflitto. Io ero pacifista e lui sostenitore dell’impero ateniese. Inconsciamente lo portai nel cortile della mia nuova casa.
“Perché hai voluto conoscermi?”.
“Leggevi con ardore che mi hai impressionato e sentivo il desiderio di scoprire qualcosa su di te. Tuttavia sei più tu di me che io di te”.
Sorrisi. Non seppi come comportarmi e sentì le mie mani sudare.
“Sono curioso. Che cosa c’era scritto in quei fogli da renderti così coinvolta?”
“Poesie d’amore.”
“Chi te le ha dedicate?”
“Sono mie.”
“Sofia!” Disse un anziano signore apprensivo. Demostene era appena uscito, accompagnato dal suo servo fidato.
“Adesso devo rientrare.”
“Arrivederci Sofia” disse sfiorandomi con delicatezza la mano.
Da quella volta ci incontravamo molto spesso, casualmente, per i vicoli e per le strade trafficate del mercato. Lui non venne mai a salutarmi, era sempre in compagnia di uomini importanti e io ero troppo timida per farmi avanti.
In seguito decisi di andare sotto il portico di Peisianatte, luogo nel quale lui non frequentava mai, e mi sedetti su un masso liscio di pietra. Mi sentì ispirata, creativa e disegnai un paesaggio illusorio, magico. A un certo punto udì una voce familiare dietro alle mie spalle. Mi prese alla sprovvista.
“Sei brava.”
“Grazie” sussurrai. Girai la testa verso Trasillo, il quale mi aveva fatto un complimento, e sentivo le guance molto calde. Si mise con eleganza vicino a me e ci guardammo negli occhi.
“Sei tutta rossa in viso” affermò divertito. Poi disse: “Perché ogni volta che esco ti incontro sempre?”.
“Non devi dartene peso. Sei tu che mi noti tra la folla”, dissi.
“Effettivamente io ti trovo intrigante, Sofia”.
Le stagioni cambiarono e imparammo a conoscerci più profondamente. Accade che una mattinata di primavera il cielo azzurro, caratterizzato da un tiepido sole, si annebbiò e i rumori dei tuoni ci fecero scattare un allarme. Infatti si mise a piovere copiosamente.
Mi prese il mio braccio e corremmo velocemente al tempio di Efesto. I nostri vestiti erano bagnati, umidi e io avevo dei brividi di freddo. Lui se ne accorse e mi abbracciò per scaldarmi. Mi invalse un calore dolce, sensuale e rimanemmo in quella posizione confortevole. Dopodiché mi portò dentro e tra le colonne vidi una sala decorata con un focolare acceso. Rimasi colpita dalla solennità e magia del posto.
Mi perdetti tra i dettagli dell’architettura e delle decorazioni, però allo stesso tempo mi sentì molto eccitata e intuì il motivo.
“Perché mi stai fissando così intensamente?”
Non rispose. Era silenzioso e si voltò a guardare la statua di Efesto. Mi chiesi a quali pensieri lo turbassero e gli andai vicino cercando il suo viso. Nel momento in cui incrociai il suo sguardo, scoprì che ero ammaliata da Trasillo: i suoi occhi espressivi, la sua bocca, il suo collo e i suoi capelli folti. Eppure tutto il tempo trascorso insieme avevo celato la mia attrazione sessuale.
“Sei bellissima. Ho il desiderio di baciarti” disse in modo sincero, inatteso.
Di scatto mi appoggiò con delicatezza alla colonna più vicina e posò le sue labbra sulle mie. Mi baciò e mi lasciai andare, godendomi il momento. Sentì il suo profumo pungente, inebriante avvolgermi completamente. Continuammo a scambiarci reciprocamente le nostre effusioni e le sue mani vogliose iniziarono a toccarmi con passione e a navigare sotto la mia veste blu.
“Non voglio che giochi con i miei sentimenti”, dissi.
“Perché dovrei? Ti stai agitando per niente”, rispose con voce bassa.
“Non mi hai detto nulla se sei sposato o hai dei figli?”
“Non ero sicuro che tu provavi qualcosa per me”, disse.
Si fermò a malincuore e si allontanò per un breve istante. Tornò nuovamente bagnato dalla pioggia e mi parlò chiaramente: “Ho sempre messo al primo piano la mia ambizione politica. Da ragazzo ero promesso sposo a una figlia che apparteneva alla famiglia dei Filaidi, di cui ho rotto i legami. Confesso di aver avuto un po’ di relazioni, ma non so di avere dei figli e se li ho hanno taciuto. Sei più tranquilla ora?”.
Cercò il mio sostegno alzandomi il mento e volle che lo guardassi.
“Ho sofferto tanto in amore e sono spaventata che tu possa svanire negli abissi”, confessai.
Mi accarezzò i capelli e posò la sua testa nell’incavo del mio collo. Il suo respiro era scandito come i battiti di ali.
“Sofia ti amo”, disse.
Una grande mano si appoggiò con delicatezza alla mia spalla e ritornai alla realtà dei fatti.
“Cosa ci fai qui?”
“Volevo farti compagnia”.
Ci sedemmo al porto con le gambe a penzoloni e rimanemmo insieme con i nostri cuori infranti a darci conforto.
“Hai preferito convivere con un vecchio come me invece di tornare alle tue origini.”
“Sono sicura che dentro di te sei ancora un giovanotto.”
“Fa bene sentirselo dire ogni tanto” disse sorridendo.
“Cara Sofia, ho scritto il mio testamento e vorrei che mi promettesti di non leggerlo. Inoltre ti ho scritto tutte le istruzioni per il mio funerale. Lo so che sarà difficile, però io ti ho voluta bene come se fossi stata mia figlia e ti ringrazio di avermi data un’altra possibilità come padre.”
“E io di avermi accolta”.
Mi scorrevano delle lacrime salate sul mio piccolo viso e Demostene me le asciugò con le sue dita ruvide.
“Torniamo a casa”.
Quella sera cenai molto bene, era tutto squisito e la musica mi isolava dal dolore che stetti provando nel mio animo. Le flautiste suonavano armoniosamente insieme al citarista. Ero estasiata, ma in una notte di luna splendente morì il mio custode. Senza dolore, dormendo e sognando di ricongiungersi con i suoi figli.
L’alba di un nuovo giorno arrivò. Aveva appena smesso di piovere e feci riunire tutti i domestici per comunicagli che da oggi erano liberi di vivere la propria vita come meglio credevano. In breve tempo, dopo un’iniziale confusione, si misero in moto e presero tutto il necessario con velocità. La casa si era svuotata all’istante. Non c’era nessuno, solo la mia ombra.
Uscì dal cortile titubante e salutai per sempre il passato di quel periodo. Ogni passo che feci acquistai la grinta e la fiducia. Non mi accorsi il panico della popolazione e le loro urla di sconforto e terrore. C’era solo un problema: come tornare alle miei origini. Mi prese uno stato d’ansia e mi sentì disorientata. Cercai di calmarmi pensando la soluzione. In ritardo mi venne in mente di tornare nel luogo di cui è iniziato questo scherzo del destino. L’altare del tempio di Atena.
Ripresi con convinzione e ritmo il passo. Stetti per salire le scale, ma bruscamente una mano mi afferrò con forza e persi l’equilibrio andandogli addosso.
“Scusa” disse.
Vidi un fantasma, il quale aveva il viso affaticato e gli occhi spenti di luce. Credetti veramente che fosse un morto. Aveva delle fasciature sul braccio e su una gamba.
Il mio sguardo ricadde sul mio bracciale d’argento intatto che indossava. Non era possibile, riflettei. Mi sono sforzata a dimenticarlo e doveva essere nell'aldilà. Avevo un moto di rabbia repressa. Mi aiutò a sedermi e fece lo stesso.
“Ti ho cercata dovunque. Credevo di averti persa”, disse agitato. Aprì la mia bocca per parlare, però mi tacque con un gesto e tirò fuori la mia lettera sporca, bagnata e rovinata.
“Ho avuto dei sentimenti contrastanti. Capisco che sei stata ferita in passato e la mia partenza ti ha creato altra sofferenza”. Fece una pausa e proseguì: “Per me era molto importante questa battaglia. Avrei raggiunto il mio obiettivo di carriera, però non è stato così. È stata brutale, molto lunga e dolorosa. Siamo stati sconfitti e devo ringraziare il comandate Conone per avermi tirato in salvo, perché a quest’ora sarei in mano spartana”, disse.
“Cosa pensi di fare?” dissi con un filo di voce.
“Arriveranno momenti difficili e saremo sotto assedio, ma il mio destino sei tu. Ti ho sempre pensata, desiderata. Io ti amo.”
“Ti amo anch’io Trasillo”.
Mi diede dei baci sulla fronte, sulle guance, vicino alle orecchie e in conclusione, sulla bocca tanto agognata tra il delirio dei cittadini.