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Autore: Fabian_Dominc_DeJenisse    12/11/2024    0 recensioni
Il secondo di una serie intitolata tre racconti brevi.
Mia sorella ormai si era addormentata. A guardarla pareva un angioletto. Questa ragazza nel fiore degli anni, tutta proiettata verso l'obiettivo della laurea, mi stava ospitando a casa sua. Aveva rinunciato persino a dividere con altre studentesse le spese dell'appartamento preso in affitto nella grande città. Ecco ora si doveva sorbire questo fratellone alquanto più grande di lei che si trovava da solo in un periodo di ristrettezze.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tre racconti brevi'
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L'avevo detto che io che dovevo smetterla di fare quegli spuntini a mezzanotte. Mi lasciano sempre un sapore "stolito" in bocca. Per dimenticarmi di tutto il resto, compresa la canzone che avevo messo su a mezza voce, mi ero affacciato sul balcone nel tentativo di vedere la luna.

O dimmi tu, in cielo, che fai o graziosa Luna, dimmi, che fai?

Reminiscenze leopardiane di quando ero ragazzino ed andavo al liceo. Un tempo erano sensazioni molto piacevoli queste reminiscenze. Adesso no, tutto mi passava sulla pelle quasi senza lasciare traccia.

Mia sorella ormai si era addormentata. A guardarla pareva un angioletto. Questa ragazza nel fiore degli anni, tutta proiettata verso l'obiettivo della laurea, mi stava ospitando a casa sua. Aveva rinunciato persino a dividere con altre studentesse le spese dell'appartamento preso in affitto nella grande città. Ecco ora si doveva sorbire questo fratellone alquanto più grande di lei che si trovava da solo in un periodo di ristrettezze.

Il mio contratto con la sinfonica era scaduto. Un tempo suonare nella sinfonica significava solo avere il futuro assicurato. Non un sacco di soldi certo, ma di che vivere più che dignitosamente. Una volta fatta esperienza a livello locale, se poi eri bravo, potevi tentare la via dell'estero e spiccare il volo. Essendo io un clarinettista, ero votato a suonare in un'orchestra o in un ensemble. Si dice che i solisti debbano faticare il doppio per trovare la loro visibilità, se non una piena affermazione. Gli strumentisti di fila invece sono un po' dispersi nella massa, ma ci sono lo stesso delle grandi professionalità. Si pensa che non facciano mai nulla di particolarmente difficile (il che è falso) e vivono la tranquillità dell'incarico fisso. E invece no. Perché, strano a dirsi, il precariato è arrivato anche nelle sinfoniche, specie da quando sono diventate fondazioni. Aver compiuto questa trasformazione è stato il grande capolavoro della politica a danno della cultura.

Scaduto il mio contratto mi avevano detto “arrivederci e grazie”. Riduciamo gli organici. Se saremo costretti passeremo dalla musica sinfonica alla musica da camera. Non avremo problemi di cartellone perché di repertorio ce n'è, eccome. Potremmo portare perfino in cartellone certi autori minori, che però hanno scritto pagine più che dignitose. La gente ha fame di novità, anche nel campo della musica classica, si sono stancati di sentire sempre la quinta e la nona di Beethoven o l'incompiuta di Schubert. Ciò che è noto è rassicurante, ma adesso nel pubblico c’è una rinnovata voglia di novità.

Ora mi arrangiavo con qualche lezione privata. I ragazzini che vengono da me forse ancora non hanno chiaro cosa un clarinetto può fare e cosa no. Ci sono quelli "ottimisti", pensano che in due settimane o poco più potranno suonare il celebre concerto di Mozart, senza colpo ferire e quelli che invece, ad ogni mia richiesta di un passaggio ardito, mi guardano increduli come a dire "Come, no?! Ma davvero pretende questo da me?"

In verità ero uscito al tempo giusto per la luna, una bella e limpida luna al primo quarto, ma in questo momento non era che una immagine davanti ai miei occhi. La prosaicità di quel saporaccio in bocca, mi aveva spinto ad una redenzione di tipo romantico. Ma io ormai non sono più un adolescente (anche se vorrei esserlo tanto tornare ad esserlo in questo momento...) ed il disincanto mi porta solo alla conclusione che la bella luna altro non è che un sasso polveroso che orbita pericolosamente sulle nostre teste da millenni e millenni e che in un impeto di insofferenza verso il mondo, potrebbe improvvisamente decidere di cadere giù dal cielo e toglierci tutti i pensieri.

Oramai sono passati cinque anni da quando Simona ed io abbiamo divorziato. Attenzione non ho detto che ci siamo separati. Ho detto proprio che abbiamo divorziato. Metto l'accento su questa cosa perché quando dicevo la parola "separato", notavo sempre l'insorgere di strane espressioni sulla faccia della gente. Sopratutto sui volti delle donne. Poi mi hanno spiegato che separato evoca una specie di terra di nessuno, una persona che magari potrebbe essere interessante, ma che ha troppi legami con un passato ancora prossimo ed invadente (magari non è vero, ma la pensano così senza appello) per poter pensare di instaurarci un rapporto. In verità da quando è stata emessa la sentenza del giudice e mi ritrovo di nuovo ad avere uno "status" tutto nuovo di zecca – mi mancherebbe solo il recupero della verginità – non è che le cose siano cambiate.

A volte mi chiedo come sia successo. Non che quando eravamo solo fidanzati, con Simona fossero sempre tutte rose e fiori. I nostri momenti di crisi, di stanchezza, le liti, li abbiamo pur vissuti. Ma mai come dopo il matrimonio mi sono chiesto se davvero conoscevo la donna che avevo voluto rendere mia moglie. Simona mi era sempre apparsa come una donna perennemente in preda all'entusiasmo ed alla meraviglia. La cosa mi piaceva e pure tanto. Era sempre piena di iniziative. Lei sapeva che io ero un carattere profondamente differente dal suo. Ero più vagone che locomotiva, ma questa differenza sembrava non infastidirla. Anzi sentiva il bisogno che qualcuno mettesse amorevolmente un freno alla sua esuberanza. Qualche anno dopo sembrava trasformata in una persona completamente differente. Era spenta. Pareva come svuotata. E certe volte avevo l'impressione che non mi sopportasse più. Il cambiamento era stato radicale. Simona era invariabilmente in prima fila quando io suonavo. Anche se non si trattava di un concerto importante.

A volte se ne stava seduta cullandosi al suono degli arpeggi nel registro di "chalumeau" che facevo per mettere in moto i polmoni e riscaldare adeguatamente la glottide prima di lanciarmi nei virtuosismi della “Rapsodia in blue”. A Simona piacevano tanto anche le musiche di Benny Goodman che mi portavo sempre appresso in CD anche quando viaggiavo in macchina con lei per le trasferte. Non avevamo figli e questo le consentiva di seguirmi abbastanza spesso. Insomma eravamo una giovane coppia felice che angora gode dei pregi dell'altro.

Poi qualcosa si è rotto.

"Ne hai ancora per molto con questo clarinetto? Ho un mal di testa da impazzire."

il che avveniva un giorno si e l'altro pure. Quando poi cercava di irritarmi a tutti i costi, manco avesse voluto attribuirmi la colpa del suo malessere la frase diventava:

"Ne hai ancora per molto con quel piffero?"

Lo faceva apposta. Sapeva che detestavo più di ogni altra cosa sentir chiamare piffero il mio strumento. Così quando voleva farmi arrabbiare inveiva contro il clarinetto come se fosse una suocera.

Alla fine scoprii che Simona aveva eretto un muro contro di me. Mi aveva abbandonato nello spirito ancora prima che nel corpo. Non avevamo quasi più rapporti sessuali Quei pochi che avevamo ormai non erano nemmeno tanto più esaltanti. Sembravano avvicinarci, ma qualcosa era cambiato. Non duravano nemmeno più come prima e pur essendo contenti di avere ancora quelle occasioni, arrivare alla fine era una specie di sollievo, come un pensiero tolto, almeno fino al prossimo... Doveva trovarsi davvero in uno stato di grazia perché ciò avvenisse, ma quello che mi fece davvero male fu il tradimento del suo spirito. Dicono che tutte le coppie prima o poi ci passano. Non si arriva al tradimento materiale vero e proprio, ma i sentimenti cambiano. Il fatto è che la maggior parte delle persone non arriva preparata a questi eventi. Forse non c'è un modo per "prepararsi".

Sto ancora qui a chiedermi cosa significhi essere preparato a qualcosa. Quasi per caso scoprii che Simona aveva aperto un blog. parlava di me, sia pure senza fare il mio nome, del suo malessere delle sue frustrazioni. Ero occultato sotto il velo di un personaggio apparentemente fittizio che ella definiva come “l’Oscuro”, ma fittizio, per l'appunto, non era, perché mi somigliava veramente non poco, perfino su quell’aspetto fisico appena accennato. Venni così a sapere che il suo scoramento derivava dal non aver avuto la vita che voleva. E chi ce l'ha, chi l'ha mai avuta, Simona mia, mi chiedevo mentre leggevo. Ma mi fece male sapere che mi veniva attribuita la colpa di tutto questo. La mia colpa era quella di essere tutto preso dalle incombenze quotidiane? Tra le altre cose, leggevo questo passo:

"Matteo, adesso si potrebbe rilassare. Abbiamo messo su casa e comprato tutto il mobilio di cui abbiamo bisogno. Non siamo più una giovane coppia, che deve combattere per mettere su tutto mattoncino per mattoncino. Però Matteo insiste ed io vorrei che facesse anche qualcos'altro che il semplice lasciarsi vivere..."

e più sotto leggevo ancora:

"Ero convinta che Matteo fosse un grande artista, che avrebbe fatto grandi cose e si sarebbe fatto conoscere dal mondo. Oggi scopro che non è nulla di più che un banale clarinettista come ce ne sono tanti e, per di più, con una mentalità ancora assai provinciale"

Provinciale? Che significa? - mi chiedevo corrucciando tutti i tratti del viso fino a farmi venire i crampi in faccia per lo sforzo.

"Il peggior difetto di Matteo è quello di non avere ambizioni. Io so che è molto abile, ha tanto mestiere maturato nel corso degli anni, ma gli è mancato il coraggio di fare il salto di qualità. Ha avuto timore delle responsabilità che potevano derivargliene ed ha preferito vegetare con il suo strumento. L'altro giorno se è pure uscito con un impeto di nostalgia. Ha detto che gli sarebbe piaciuto tornare a Montelusa e campare tranquillamente come direttore della banda comunale. Ma vi rendete conto? Dopo essere stato per anni in orchestra, trova davvero appetibile menare su e giù la bacchetta davanti alla banda del suo paesello?"

Paesello? Provinciale? Agitatore di bacchetta? Si, è vero, l'avevo buttata lì quella cosa, ma era stato il pensiero di un momento, non avevo fatto nulla per dare un seguito. Ma è Simona quella che sta scrivendo o no? Se non ci fossero stati i resoconti dettagliati di alcune cose accadute mi sarebbe venuto il dubbio che si stesse parlando di qualcun altro. Era dunque questo ciò che mia moglie pensava di me? La cosa grave era che non mi aveva mai manifestato nulla di simile. Aveva eretto contro di me un muro di silenzio. Quello che io chiamavo "il nostro muro di Berlino personale", ma qui, nel suo blog invece era un fiume in piena.

Cosa la spingeva a confessarsi con il mondo intero e a non dire nulla a me? I commenti ad ogni suo post erano numerosi. Uno più qualunquista dell'altro.

Si sa che la gente gode sempre in queste situazioni. Ciascun commentatore viveva il suo momento di gloria beandosi di vivere in quella atmosfera da basso talk show telematico di bassa lega. I commenti delle donne era i più numerosi. Le davano grandi pacche sulle spalle cercando di consolare questa povera donna vittima di un marito gretto ed insensibile... Ciò che mi veniva rimproverato era di non aver saputo tenere conto delle sue necessità. Queste necessità parevano in fondo di consistere nella possibilità di poter dire “mio marito è primo clarinetto alla Sinfonica” davanti a certe inutili e moleste “signorone”. Ma peccato che, giuste o sbagliate che fossero, tali esigenze non mi erano mai state espresse.

Perso che sarebbe logico nutrire ambizioni in grande, ma anche non averne oltre il consentito quando sei ben conscio dei tuoi limiti. Se ti spingi troppo oltre, rischi di diventare ridicolo. Per un artista il senso ridicolo è perfino più insopportabile della disonestà. E non è nemmeno vero che se ti impegni riesci sempre. Ci saranno pure quelle circostanze della sorte – e certe volte anche certi maneggi degli uomini – per i quali, per quanto tu possa essere bravo, c’è sempre qualcuno da collocare prima di te. Anche per solo merito di anzianità.

Qualche donna ogni tanto andava a rispolverare le vestigia di un femminismo di maniera consistente nel dare tutta la colpa agli uomini quando un rapporto non va bene. La colpa poteva anche essere quella di non capire da piccolissimi segnali che, a loro dire avrebbero dovuto esprimere l’inespresso. Ma in ogni caso, come osavo dunque io tarpare le ali a questa squisita creatura?

Più leggevo, più tutto mi pareva grottesco.

Qualche commentatore uomo, invece, la blandiva dandole ragione con parole melliflue, cariche di complimenti che avrebbero voluto essere un assaggio di seduzione. Qualcuno già si fregava in modo evidente le mani pensando di poter sfruttare la situazione ed immaginando di poter mettere le sue luride manacce su mia moglie! Che morti di figa… manco sapevano che faccia avesse poi mia moglie.

Cose da pazzi.

Avrei capito se mia moglie avesse affidato le confidenze ad un diario privato, cartaceo. E invece aveva dato in pasto a quel pubblico fondamentalmente ozioso la nostra vita. Questa era la cosa che mi fece irritare più di tutto il resto.

Avemmo una lunga discussione che per me fu penosa. Simona se ne stette lì con gli occhi bassi ad ascoltarmi, senza parlare o rispondendo a monosillabi, atteggiandosi al ruolo di vittima sacrificale predestinata. Secondo me in fondo se lo aspettava, ma siccome ciò che aveva fatto per lei era un diritto, non aveva voglia di parlarne e se ne stava lì lasciandomi sfogare senza dire nulla, ostentando la stessa indifferenza e lo stesso malcelato fastidio che mi riservava ormai sistematicamente quando suonavo. Che fossero parole o note, sempre aria era, avrà pensato.

Alla fine tutto fu chiaro. Quando le chiesi di arrivare alla sostanza del discorso fu breve e raggelante.

"Matteo, io non ti amo più. Davvero non l’hai capito?".

Credo di essermi bloccato nella posizione in cui ero in quell’esatto momento. Ci fu un momento interminabile di silenzio. Poi mi dissi che non era il caso di continuare a restare sotto lo stesso tetto. Feci fagotto e me ne andai. In seguito cercai di vederla e di parlarle ancora. Cercai di recuperare. Non potevo chiudere tutto, così, senza tentare l'impossibile. Per un periodo parve che ci fosse nell'aria una riconciliazione. Ma era solo un'impressione mia forse perché non c'era che il contatto fisico strettamente necessario. Mi resi conto che quando una donna si abitua a stare senza di te, l'hai perduta per sempre.

L’avvocato mio inoltre andava dicendo che mi ero messo dalla parte del torto per “aver abbandonato il tetto coniugale”. Cosa che in realtà avevo fatto solo per due giorni, prima di tornare a casa, almeno per cercare di parlare con lei. Manifestare la mia profonda delusione e credo perfino di manifestare un minimo di amor proprio verso me stesso, veniva usato ora contro di me per darmi la mazzata finale del torto.

Alla fine mi arresi. In tutto questo fu lei a chiedermi di iniziare le pratiche per la separazione prima e per il divorzio poi.

Una separazione non è mai indolore. A parte le incombenze di udienze, avvocati e di tribunali dove la tua vita viene sezionata dove i legulei si arrampicano sugli specchi in modo impietoso per cercare il pelo nell'uovo, per fare diventare colpe imperdonabili ed inenarrabili cose che in tempi normali passerebbero nel più assoluto silenzio, la parte peggiore viene fuori, viene quando ci si trova a fare i conti sé stessi e ci si pone domande destinate molte volte a restare senza risposta.

Ma anche con gli amici le cose non vanno meglio. In quel caso capisci chi veramente è amico e chi invece no. Oggi esprimere un parere sembra diventato estremamente semplice. Un passatempo oziosa da consumare davanti al classico Martini con l’oliva verde. Ad un certo punto quando iniziano a partecipare tutti al dibattito, vieni relegato in un angolo dove il tuo diritto di parola viene ridimensionato e la tua visione delle cose diventa ai loro occhi marginale, anche se è della tua vita che si sta parlando e se gli fai presente che come stavano le cose lo sai solo tu perché c’eri tu dentro. Ma tutti giocano a fare gli psicologi ed a tirare fuori i significati reconditi dei tuoi atti, inclusi quelli che non hai commesso, ma che loro introducono, a mo’ di farcitura delle discussioni, perché ci stanno perfino bene dentro quella loro narrazione. L'abbondanza di opinioni fa sentire autorizzata la maggior parte della gente a dire la sua senza meditare e senza riflettere troppo.

Una volta una sorta di ritegno, se non il senso della discrezione, spingeva l'amico a non inoltrarsi troppo nelle sabbie mobili dei parei e nei giudizi. C'era la consapevolezza che tra la cosa vissuta e la cosa raccontata a volte ci sono abissi imponderabili. Ma oggi non è così.

I pareri predominanti erano due. Se mia moglie aveva preferito la confessione pubblica è perché stava cercando un consenso esterno. E questo consenso, per ozio o per interesse non ha tardato ad arrivare. Ma il fatto è che quando una donna inizia a guardasi intorno, invariabilmente l'uomo che ha accanto ha sbagliato in qualcosa e non si è adeguatamente concesso come compagno! Una tizia (una volta la chiamavo amica) mi disse proprio a muso duro:

Ti è mai venuto in mente, dico così per dire, che tua moglie abbia cercato nel virtuale quello che le mancava nella vita reale e che si sia ritagliata un angolo suo dove andarsi a rifugiare per fuggire dalle incomprensioni? infatti non ti ha tradito... Non ti ha tradito con il corpo ma... Se sapeste quello che le donne non dicono…

E allora dimmelo tu!

A parte la citazione (un po' miserella per la verità) dalla canzone, sembrava che ci godesse a instillare in me il dubbio che Simona mi avesse inflitto una forma di tradimento ancora più subdolo di quello fisico.

Sul fatto che trovassi grave che i fatti nostri fossero stati messi in pubblica piazza, gli amici maschi invece mi chiedevano se per caso io mi potessi dichiarare talmente senza peccato da scagliare la prima pietra.

Sei sempre stato incrollabilmente fedele oppure qualche volta non avrai mica fantasticato sulla tua vicina di leggio, lì alla sinfonica? Avanti, dai...

Insomma da un lato e dall'altro, fatte salve le differenze di vedute, c'era questa idea dell'amore incrollabile, della fedeltà assoluta che non doveva nemmeno scalfire minimamente la coscienza a livello del pensiero peregrino o del semplice sogno. Ma era una idea oziosa, era tutto un pur parler che doveva fare da riempitivo della noia loro. A tutto mio discapito e magari, se tanto dava tanto, a potenziale danno della mia reputazione.

Mi trovai immerso in una specie di melma iper-moralistica che mi fece pentire amaramente di aver cercato un po’ di vicinanza dagli amici parlando delle mie traversie. Battevano e ribattevano su questa cosa del mio possibile tradimento anche solo col pensiero quando persino la chiesa non richiede che siano confessati i peccati eventualmente fatti in sogno, perché non sono veri peccati. Dei sogni almeno non siamo responsabili siamo assolti a priori. Per la chiesa, certo, ma non per gli amici (o presunti tali). Perché poi si chiedesse proprio a me di dimostrare che potevo scagliare la prima pietra, non è dato di sapere. Forse sarà che la gente ama alla follia parlare delle corna e se ne le trova se le inventa. Nella loro comune vulgata non potevano esistere altri motivi per i quali un matrimonio potesse finire.

In tutto questo non ci vedevo nessuna forma di empatia. Ciascuno se ne tornava a casa e la cosa moriva lì. Passato il tempo della discussione e del passatempo che ci toccava di diventare a beneficio del divertimento altrui, noi tornavamo a non esistere più come prima. Per un certo punto di vista era anche giusto. Non che mi aspettassi che i casi miei permeassero la vita degli altri, anche se amici di vecchia data, ma l'impressione mia prevalente era che parlassero di me in mia presenza come se io non fossi lì o come se fossi un estraneo.

Così ho ancora capito che molte persone che chiamavo amiche in realtà erano solo delle vecchie conoscenze e nulla più. Oggi mi ritrovo da solo. Un po' isolato dal resto del mondo ed ospite di una sorella paziente con una vita tutta da ricostruire. Non ho avuto voglia di richiamare quelli che consideravo amici. E loro non hanno avuto molta voglia di richiamare me, infatti da allora non sento più nessuno e nessuno mi ha cercato, anche solo per sapere come andata a finire.

Non hanno chiamato Nemmeno Simona, per la verità, dopo averla tanto appoggiata, tanto coccolata e tanto trattata da vittima o addirittura da martire. E' stata lei a cercarli e ogni tanto si vedono, parlano ancora della faccenda e la invitano a guardare avanti, a farsi una vita nuova. Pare che nessuno di loro abbia mai chiesto a lei o perfino a sé stesso se Simona considerasse la questione davvero del tutto insanabile. Insomma lei ha certamente goduto di un grado di “accettazione sociale” che, invece, a me, per qualche motivo ignoto, non è stata concessa.

Nel complesso tutti se ne sono tirati fuori dopo aver dato fiato alle trombe. Non gliene fregava nulla. Hanno risposto con la prima cosa che veniva loro in mente solo perché interrogati. Qualcuno anche se non interrogato. Forse non c'era vero interesse per le nostre persone nemmeno prima. Nulla più di una vuota cortesia che ha gettato la maschera.

A volte mi guardo indietro per cercare di tracciare un confine definito tra la mia vita e quello di Simona. Mi accorgo che questo confine esiste, ma quanto al pensarlo come definito non se ne parla.

Mi interrogo anche tantissimo su me stesso. Mi chiedo se ho avuto davvero la vita che desideravo.

Mi chiedo se per caso ho perso qualche buona occasione e se Simona in fondo non avesse tutti i torti. So che potevo fare di più anche se, realisticamente, non tantissimo di più. E' passato del tempo ormai e certe volte mi rendo conto di aver avuto paura a fare un salto di qualità. Potevo, ma per certe cose non ho voluto. E del resto non ne avrei avuto nemmeno chi sa quali grandi vantaggi. Avrei solo soddisfatto le aspettative di Simona e di qualcun altro. Ma le mie? Lo sforzo sarebbe valso il modesto avanzamento che avrei avuto?

Altre volte purtroppo ci si è messo i destino beffardo a tarparmi le ali. Io sono certo di aver condiviso queste destino con tantissimi altri. E' una vita assai malinconica quella che ci attende da quando fin da giovanissimi facciamo un sacco di progetti e di belle promesse mostrando poi a noi stessi che non siamo in grado di mantenerle. Talora per codardia, tal altra per mancanza di capacità o semplicemente per impossibilità. In fondo andrebbe già bene quando cerchiamo di essere degni dei nostri stessi sogni. Ma spesso quando non riusciamo a realizzarli, agli occhi degli altri siamo dei falliti e manifestano una rabbia ed un’insofferenza a questo fallimento che dovrebbe essere più nostra che loro. Ma, come ho detto, quello che interessa e far calare quello stigma sociale...

La codardia può esserci a buon diritto rimproverata, ma la mancanza di buona sorte no. E meno che mai ci dovrebbe essere rimproverata la sfortuna palese. Il fatto è che il termine “sfigato” che ha sostituito perdente è diventato uno degli insulti più grandi è significativo. Oggi se sei sfortunato, sei uno sfigato, un minchione. Tutti pronti a ricordare agli altri che ciascuno è il fabbro della sua sorte, ma tutti pronti nella stessa misura a concedersi delle attenuanti quando le cose loro non vanno per il verso giusto. Attenuanti che agli altri non saranno concesse nella stessa misura.

Alla domanda se ho avuto la vita che volevo devo rispondere di no. Carriera musicale a parte, sicuramente non mi attendevo un matrimonio finito con un divorzio.

Mia sorella non mi ha giudicato. Non è una donna superficiale, ma per adesso è ancora troppo impegnata a costruire. E' prematuro, per lei fare bilanci. Quelli devono venire per forza di cose dopo. Al di la dell'affetto tenerissimo che ci lega, io so che lei non mi condanna. Non ha detto una parola in merito. I miei genitori ne hanno sprecate di parole. Ed ovviamente hanno dato tutta la colpa a Simona,

Cosa voleva? - dicevano - se aveva delle ambizioni perché non se le coltivava in proprio?

Io non sono nemmeno stato a sentirli più di tanto. Il balletto delle reciproche recriminazioni sarebbe già finito ed, alla fine della sua replica, non ha portato a nulla. Ammesso che avessero trovato un fondo di verità cosa sarebbe cambiato? Avremmo solo aggiunto discussioni su discussioni ed io, francamente, delle discussioni ormai sono stufo marcio.

Mia sorella invece mi ha accolto in casa sua senza stare a sindacare su nulla. Cerco di darle il minimo di fastidio possibile. Faccio i salti mortali per cercare di esercitarmi quando lei è fuori. Mi rendo conto che il clarinetto può essere dolce, ma anche stridulo a tratti e può risultare invadente. A volte i vicini si lamentano con lei. Non si riesce a trovare un orario in cui non si dia fastidio a nessuno. In fondo pure a lei, il clarinetto non è mai piaciuto più di tanto.

Almeno non vedrò cambiamenti di gusto in mia sorella. E' già tutto palese.

E' chiaro che il mio esercizio è limitato allo stretto indispensabile. Del resto per adesso mi restano solo le lezioni private. Mi tocca digerire l'eccesso di entusiasmo ingenuo o di scetticismo senza vie di mezzo dei miei giovani allievi.

Quanto a me ancora non sono riuscito a riorganizzare la mia vita. Del resto non sono nemmeno sicuro che riuscirò mai più a suonare in orchestra.

   
 
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