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Autore: Fabian_Dominc_DeJenisse    12/11/2024    1 recensioni
Il secondo di una serie intitolata tre racconti brevi.
Mia sorella ormai si era addormentata. A guardarla pareva un angioletto. Questa ragazza nel fiore degli anni, tutta proiettata verso l'obiettivo della laurea, mi stava ospitando a casa sua. Aveva rinunciato persino a dividere con altre studentesse le spese dell'appartamento preso in affitto nella grande città. Ecco ora si doveva sorbire questo fratellone alquanto più grande di lei che si trovava da solo in un periodo di ristrettezze.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tre racconti brevi'
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L'avevo detto io che che dovevo smetterla di fare quegli spuntini a mezzanotte. Mi lasciano sempre un sapore "stolito" in bocca. Per dimenticarmi di tutto il resto, compresa la canzone che avevo appena udito alla radio e seguito canticchiandola a mezza voce, m’ero affacciato sul balcone preso da un improvviso desiderio di vedere la luna.

O dimmi tu, in cielo, che fai o graziosa Luna, dimmi, che fai?

Ricordi leopardiani di quando ero ragazzino ed andavo al liceo. Un tempo erano sensazioni molto piacevoli queste reminiscenze. Adesso no, tutto mi passa sulla pelle, quasi senza lasciare traccia.

Mia sorella ormai si era addormentata. A guardarla pare un angioletto. Questa ragazza nel fiore degli anni, tutta proiettata verso l'obiettivo della laurea, mi sta ospitando a casa sua. Per me ha dovuto rinunziare persino a dividere con altre studentesse le spese dell'appartamento preso in affitto nella grande città. Ecco ora si deve sorbire questo fratellone alquanto più grande di lei che si è trovato da solo in un periodo di ristrettezze.

Il mio contratto con la sinfonica è scaduto. Un tempo suonare nella sinfonica significava solo avere il futuro assicurato. Non perché si guadagnino un sacco di soldi, certo, ma almeno di che vivere più che dignitosamente. Una volta fatta esperienza a livello locale, se poi sei bravo, puoi tentare la via della carriera in orchestra all’estero e spiccare il volo. Essendo io un clarinettista, ero votato fin dal principio a suonare in un'orchestra o in un ensemble. Si dice che i solisti debbano faticare il doppio per trovare la loro visibilità, se non una piena affermazione. Gli strumentisti di fila invece sono un po' dispersi nella massa, ma tra questi ci sono lo stesso delle grandi professionalità e io stesso, senza falsa modestia, posso dire di cavarmela abbastanza bene. Si pensa che non facciano mai nulla di particolarmente difficile (il che è falso, ci sono parti dove i compositori ti fanno faticare anche con dei semplici arpeggi) e vivono con la tranquillità dell'incarico fisso, senza troppi pensiero. E invece no, perché, strano a dirsi, il precariato è arrivato anche nelle sinfoniche, specie da quando, con un bel decreto legge, le hanno fatte diventare fondazioni. Aver compiuto questa trasformazione è stato il grande capolavoro della politica a danno della cultura.

Scaduto il mio contratto mi hanno detto “arrivederci e grazie”. Riduciamo gli organici. Se saremo costretti passeremo dalla musica sinfonica alla musica da camera. Non avremo problemi di cartellone perché di repertorio ce n'è, eccome. Potremmo anche programmare l’esecuzione di autori minori. Per carità, pur sempre artisti che hanno scritto pagine più che dignitose. La gente ha fame di cose mai viste e mai udite; anche nel campo della musica classica, si sono stancati di sentire sempre solo la quinta e la nona di Beethoven o l'incompiuta di Schubert. Ciò che è noto è rassicurante, ma adesso nel pubblico c’è una rinnovata voglia di novità.

Ora mi tocca arrangiarmi con qualche lezione privata.

I ragazzini che vengono da me forse ancora non hanno chiaro cosa un clarinetto può fare e cosa no. Ci sono quelli "ottimisti" che pensano che nel giro di due settimane o poco più potranno suonare il celebre concerto di Mozart, senza colpo ferire, e quelli che invece, ad ogni mia richiesta d’un passaggio appena un po’ più ardito del solito, mi guardano con una faccia, come a dire "Come, no?! Ma davvero pretende questo da me?"

E ora eccomi qui, su questo balconcino dopo una giornata riempita di queste lezioni così faticose e poco soddisfacenti.

In verità sarei uscito al momento giusto per vedere una bella e limpida luna al primo quarto, crescente, ma in questo momento mi rendo conto che essa non è che una banalissima immagine davanti ai miei occhi. Una piccola luna come se ne sono viste tante. La prosaicità di quel saporaccio in bocca, mi aveva spinto a tentare, se non una “redenzione”, almeno una distrazione di tipo romantico. Ma io non sono più un adolescente ormai – anche se vorrei esserlo tanto tornare ad esserlo in questo momento… – e il disincanto mi porta solo alla conclusione che la bella luna che tutti i poeti e tutti gli amanti cantano altro non è che un sasso polveroso che orbita pericolosamente sulle nostre teste da millenni e millenni e che in un impeto d’insofferenza verso il mondo, potrebbe improvvisamente decidere di cadere giù dal cielo e toglierci tutti i pensieri.

Sono passati già cinque anni da quando Simona ed io abbiamo divorziato. Mi pare ieri.

Attenzione, non ho detto che ci siamo separati. Ho detto proprio che abbiamo divorziato. Metto l'accento su questa cosa perché, quando dicevo la parola "separato", notavo sempre la comparsa di strane espressioni sulla faccia della gente. Sopratutto sui volti delle donne. Poi mi hanno spiegato che “separato” evoca una specie di terra di nessuno, una landa desolata e abbandonata, chissà perché mai, una persona che magari potrebbe essere pure interessante, ma che ha troppi legami con un passato ancora prossimo e invadente. Magari non è vero, ma, a quanto pare la pensano così in molti, sopratutto molte, e senza appello. Troppa scomodità per pensare di instaurarci un rapporto con uno che è solo separato. In verità da quando è stata emessa la sentenza del giudice e mi ritrovo di nuovo ad avere uno "status" tutto nuovo di zecca – e mi mancherebbe solo il recupero della verginità – non è che le cose siano cambiate così tanto.

A volte mi chiedo come sia successo. Non che quando eravamo solo fidanzati, con Simona fossero sempre tutte rose e fiori. I nostri momenti di crisi, di stanchezza, le liti che talora ne conseguivano, li abbiamo pur vissuti. Ma mai come dopo il matrimonio mi sono chiesto se davvero conoscevo la donna che avevo voluto rendere mia moglie. Simona mi era sempre apparsa come una donna perennemente in preda all'entusiasmo e alla meraviglia e questo suo lato mi piaceva tanto. Era sempre piena di iniziative. Lei sapeva che io ero un carattere profondamente differente dal suo. Si potrebbe dire che ero più vagone che locomotiva, ma questa differenza sembrava non infastidirla. Anzi sentiva il bisogno che qualcuno mettesse amorevolmente un freno alla sua esuberanza. Qualche anno dopo si era trasformata in una persona completamente diversa.

Era come spenta. Pareva svuotata. E certe volte avevo l'impressione che non mi sopportasse più. Il cambiamento era stato radicale. In pratica non mi ascoltava più. Simona era stata sempre invariabilmente in prima fila quando suonavo. Anche se non si trattava di un concerto importante.

A volte se ne stava seduta cullandosi al suono degli arpeggi nel registro di "chalumeau" che facevo per mettere in moto i polmoni e riscaldare adeguatamente la glottide prima di lanciarmi nei virtuosismi della “Rapsodia in blue”. A lei piacevano tanto anche le musiche di Benny Goodman che mi portavo sempre appresso in CD quando viaggiavamo insieme in macchina per le trasferte. Non avevamo figli e questo le consentiva di seguirmi abbastanza spesso. Insomma eravamo una giovane coppia felice che angora gode dei pregi dell'altro.

Poi qualcosa si è rotto.

"Ne hai ancora per molto con questo clarinetto? Ho un mal di testa da impazzire."

La voce sua si faceva insolitamente roca quando, con la mano su una fronte, mi lanciava uno sguardo insofferente, interrompendomi all’improvviso nel pieno di una sessione di studio, il che avveniva un giorno si e l'altro pure. Quando poi cercava di irritarmi a tutti i costi, manco avesse voluto attribuirmi la colpa del suo malessere, la frase che mi rivolgeva poteva suonare:

"Ne hai ancora per molto con quel piffero?"

Lo faceva apposta. Sapeva che detestavo e detesto più di ogni altra cosa sentir chiamare piffero il mio strumento. Così quando voleva farmi arrabbiare inveiva contro il clarinetto come se fosse una suocera.

Alla fine dovetti ammettere che Simona aveva eretto un muro contro di me. Mi aveva abbandonato nello spirito ancora prima che nel corpo. Non c’erano quasi più rapporti sessuali tra noi e quei pochi che avevamo ormai non erano nemmeno tanto più esaltanti. Sembravano avvicinarci, ma qualcosa era cambiato. Non duravano più come prima e pur essendo contenti di poter godere ancora di quelle occasioni, arrivare alla fine era una specie di sollievo, come un pensiero tolto, almeno fino al prossimo... E poi doveva trovarsi davvero in uno stato di grazia perché accettasse di concedersi, ma quello che mi fece davvero male fu il tradimento del suo spirito. Dicono che tutte le coppie prima o poi ci passano. Non si arriva al tradimento materiale vero e proprio, ma i sentimenti cambiano e la cosa è molto più subdola e alla fin fine più spiacevole di un paio di corna che uno si potrebbe trovare in fronte. Il fatto è che la maggior parte delle persone non arriva preparata a questi eventi. Ma mi chiedo c'è davvero un modo per "prepararsi"? Sto ancora qui a chiedermi cosa significhi essere preparato a qualcosa.

Quasi per caso scoprii che Simona aveva aperto un blog. parlava di me, sia pure senza fare il mio nome, del suo malessere delle sue frustrazioni. Ero occultato sotto il velo di un personaggio fittizio che ella definiva “l’Oscuro”. Mi fece impressione una simile definizione. Perché oscuro? Davvero riteneva di non conoscermi abbastanza? Eppure ero convinto che fossimo cresciuti insieme. Venni così a sapere che il suo scoramento derivava dal non aver avuto la vita che voleva.

E chi ce l'ha, chi l'ha mai avuta, Simona mia, mi chiedevo mentre leggevo. Ma mi fece male sapere che mi veniva attribuita la colpa di tutto questo. La mia colpa era quella di essere tutto preso dalle incombenze quotidiane? Tra le altre cose leggevo questo passo:

"Da principio avevo detto all’oscuro che adesso si potrebbe anche rilassare. Avevamo messo su casa e comprato tutto il mobilio di cui avevamo bisogno. Non eravamo più una giovane coppia, che deve combattere per mettere su tutto mattoncino per mattoncino. Poi però, lo devo ammettere, ha iniziato a rilassarsi fin troppo e ora invece vorrei che facesse anche qualcosa d'altro che il semplice lasciarsi vivere..."

e più sotto leggevo ancora:

"Ero convinta che fosse un grande artista, che avrebbe fatto grandi cose e si sarebbe fatto conoscere dal mondo. Oggi scopro che non è nulla di più che un banale clarinettista come ce ne sono tanti e, per di più, con una mentalità ancora assai provinciale."

Provinciale? Che significa? - mi chiedevo corrucciando tutti i muscoli del viso fino a sentire arrivare i crampi per lo sforzo.

"Il suo peggior difetto è quello di non avere ambizioni. Io so che è abile, ha tanto mestiere maturato nel corso degli anni, ma gli è mancato il coraggio di fare il salto di qualità. Ha avuto timore delle responsabilità che potevano derivargliene e ha preferito vegetare con il suo strumento. L'altro giorno se n’è uscito con un impeto di nostalgia. Ha detto che gli sarebbe piaciuto tornare a Montelusa e campare tranquillamente, come direttore della banda comunale. Ma vi rendete conto? Dopo essere stato per anni in orchestra, come fa a trovare davvero appetibile menare su e giù la bacchetta davanti alla banda del suo paesello natio?"

Paesello? E da quanto Montelusa sarebbe un paesello? Io provinciale? Agitatore di bacchetta? Si, è vero, avevo buttato lì quella cosa della banda, ma era stato il pensiero d’un momento, né avevo fatto qualcosa per dargli un seguito. Mi chiedevo: “Ma è Simona quella che sta scrivendo o no?” Se non ci fossero stati i resoconti dettagliati di alcune cose davvero accadute, mi sarebbe venuto il dubbio che non fosse davvero lei o che si stesse parlando di qualcun altro. Invece era lei e parlava davvero di me con quel tono. Era dunque questo ciò che mia moglie pensava di me? La cosa grave era che non mi aveva mai manifestato nulla di simile. Aveva eretto contro di me un muro di silenzio rotto appena da quelle invocazioni a smettere di suonare. Me ne ero accorto, eccome. Lo chiamavo "il nostro muro di Berlino personale". Invece nel suo blog invece era un fiume in piena diceva tutto e con dovizia di particolari.

Cosa la spingeva a confessarsi col mondo intero e a non dire nulla a me?

I commenti ad ogni suo post erano numerosi. Uno più qualunquista dell'altro.

Si sa che la gente ci gode sempre a leggere e a parlare di queste situazioni. Ciascun commentatore viveva il suo momento di gloria beandosi di vivere in quella atmosfera da talk show telematico di bassa lega. I commenti delle donne era i più numerosi. Le davano grandi pacche sulle spalle cercando di consolare questa povera donna vittima d’un marito gretto ed insensibile… Così dicevano. Ciò che mi veniva rimproverato era il non aver saputo tenere conto delle sue necessità. Queste necessità parevano in fondo consistere nel poter dire “mio marito è primo clarinetto alla Sinfonica” davanti a certe inutili e moleste “signorone” in qualche salotto della città.

Peccato che, giuste o sbagliate che fossero, queste sue esigenze non mi erano mai state espresse.

Perso che sarebbe logico nutrire ambizioni in grande, ma ancor di più sarebbe saggio non averne oltre il consentito, quando sei ben conscio dei tuoi limiti. Se ti spingi troppo oltre, rischi di diventare ridicolo. Per un artista il senso ridicolo è peggiore perfino della disonestà. E non è nemmeno vero che se t’impegni riesci sempre. I limiti son limiti signori miei. Alcuni si possono superare altri no. Io ci ho pure tentato a sviluppare la respirazione circolare, ma ogni mio sforzo non è servito a nulla. E quanto alle progressioni di carriera, ci saranno pure quelle circostanze della sorte – e certe volte anche certi maneggi degli uomini – per i quali, per quanto tu possa essere bravo, c’è sempre qualcuno da collocare prima di te. Anche per solo merito di anzianità. Qui in Italia poi, pare che l’anzianità sia tutto, che venga prima di qualsiasi altra cosa.

La meritocrazia dicono. Ma quando mai! E quando mai la musica è stata meritocratica? Andate a vedere tra chi fa musica chi guadagna di più… Non mi fate parlare che mi viene il magone!

Qualche donna ogni tanto andava a rispolverare le vestigia di un femminismo di maniera consistente nel dare tutta la colpa agli uomini quando un rapporto non va bene. La colpa mia poteva anche essere quella di non capire certi piccolissimi segnali che, a loro dire, avrebbero dovuto esprimere l’inespresso. Qualcuna arrivava addirittura a scrivere Come osa questa mezza calzetta tarpare le ali a questa squisita creatura?

E più leggevo, più tutto mi pareva surreale e grottesco.

Qualche commentatore uomo, invece, la blandiva dandole ragione con parole melliflue, cariche di complimenti che avrebbero voluto essere un piccolo anticipo della loro arte seduttiva. Qualcuno già si fregava in modo evidente le mani pensando di poter sfruttare la situazione ed immaginando di poter mettere le sue luride manacce su mia moglie!

Che stronzi! E che morti di figa… Manco sapevano che faccia avesse poi mia moglie.

Cose da pazzi.

Avrei potuto ammettere che Simona avesse affidato le confidenze ad un diario privato, cartaceo. Invece aveva dato la nostra vita in pasto a quel pubblico fondamentalmente ozioso. Questa era la cosa che mi faceva irritare più di tutto il resto.

Alla fine volli affrontarla.

Avemmo una lunga discussione che per me fu penosa. Simona se ne stette ferma, con gli occhi bassi ad ascoltarmi, senza parlare o limitandosi a rispondermi a monosillabi, atteggiandosi al ruolo di vittima sacrificale predestinata. Non se se quelle sue presunte amiche l’avessero convinta di essere davvero la vittima che dicevano. Secondo me in fondo se lo aspettava che prima o poi l’avrei scoperta, ma siccome evidentemente per lei mettere in piazza tutto e lagnarsene era un diritto, non aveva voglia di controbattere più di tanto e quindi se ne stava lì lasciandomi sfogare senza dir nulla, ostentando la stessa indifferenza e lo stesso malcelato fastidio che mi riservava ormai sistematicamente quando suonavo. Che fossero parole o note, sempre aria molesta era.

Alla fine tutto fu chiaro. Quando le chiesi di esprimersi, arrivando dritta alla sostanza del discorso, Simona fu breve e raggelante.

"Matteo, io non ti amo più. Davvero non l’hai capito?".

Credo di essermi bloccato nella posizione in cui mi trovavo in quell’esatto momento. Ci fu un interminabile momento di silenzio. Poi mi dissi che non era il caso di continuare a restare sotto lo stesso tetto. Feci fagotto e me ne andai. In seguito cercai di vederla e di parlarle ancora. Cercai di recuperare. Non potevo chiudere tutto, così, senza tentare l'impossibile. Per un periodo parve che ci fosse nell'aria una riconciliazione. Ma era solo un'impressione mia forse perché tra noi non c'era che il contatto fisico strettamente necessario. Mi resi conto che quando una donna si abitua a stare senza di te, l'hai perduta per sempre.

L’avvocato mio, inoltre, andava dicendo che mi ero messo dalla parte del torto per “aver abbandonato il tetto coniugale”. Che cosa ridicola. Mi ero allontanato solo per due giorni, prima di tornare a casa, almeno per cercare di parlare con lei, manifestare la mia profonda delusione e credo perfino di mantenere un minimo d’amor proprio verso me stesso. E ora tutto veniva usato contro di me per darmi la mazzata finale del torto.

Alla fine mi arresi. In tutto questo fu lei a chiedermi di iniziare le pratiche per la separazione prima e per il divorzio poi.

Una separazione non è mai indolore. A parte le varie incombenze legali di udienze, avvocati e tribunali dove la tua vita viene vivisezionata, dove i legulei si arrampicano sugli specchi in modo impietoso per cercare il pelo nell'uovo, per fare diventare colpe imperdonabili ed inenarrabili cose che in tempi normali passerebbero nel più assoluto silenzio, la parte peggiore viene fuori dalle aule, in perfetta solitudine, quando ci si trova a fare i conti sé stessi e ci si pongono domande destinate molte volte a restare senza risposta.

Ma anche con gli amici le cose non sono andate meglio. In quel caso capisci chi veramente ti è solidale e chi invece no. Oggi esprimere un parere sembra diventato maledettamente semplice. Un passatempo ozioso da consumare davanti al classico Martini con l’olivetta. Ad un certo punto, quando iniziano a partecipare tutti al dibattito, finisce che proprio tu che sei oggetto della discussione vieni relegato in un angolo dove il tuo diritto di parola viene ridimensionato e la tua visione delle cose diventa, ai loro occhi, marginale, anche se è della tua vita che si sta parlando e se gli fai presente che come stavano davvero le cose lo sai solo tu che c’eri tu dentro.

E invece tutti giocano a fare gli psicologi e a tirare fuori i significati reconditi dei tuoi atti, inclusi quelli che non hai commesso, ma che loro s’inventano e cacciano dentro, a mo’ di farcitura delle discussioni, perché sì, ci stanno perfino bene dentro quella loro narrazione. L'abbondanza di opinioni, del resto, fa sentire autorizzata la maggior parte della gente a dire la sua senza meditare e senza riflettere troppo.

Una volta, una sorta di ritegno, se non il senso della discrezione, spingeva l'amico a non inoltrarsi troppo nelle sabbie mobili dei parei e nei giudizi non richiesti. C'era la consapevolezza che tra la cosa vissuta e quello che si può raccontare a volte ci sono abissi imponderabili. Ma oggi non è così.

Il parere predominante era che se mia moglie aveva preferito la confessione pubblica era perché parlare con me sarebbe stato inutile. Tanto valeva cercare un confronto esterno per evitare di morire dentro (mamma mia che melodramma) e con quello cercava il consenso che io volevo negare. E questo consenso, per ozio o per interesse non ha tardato ad arrivare. Ma – sempre a detta loro – il fatto è che quando una donna inizia a guardasi intorno, invariabilmente l'uomo che ha accanto ha sbagliato in qualcosa e non si è adeguatamente concesso come compagno! Una tizia (una volta la chiamavo amica) mi disse, proprio a muso duro:

Ti è mai venuto in mente, dico così per dire, che tua moglie abbia cercato nel virtuale quello che le mancava nella vita reale e che si sia ritagliata un angolo suo dove andarsi a rifugiare per fuggire dalle incomprensioni? infatti non ti ha tradito... Non ti ha tradito con il corpo ma... Se sapeste quello che le donne non dicono…

E allora dimmelo tu, sapientona!

A parte la citazione (un po' miserella per la verità) dalla canzone famosa, sembrava che ci godesse a instillare in me il dubbio che Simona mi avesse inflitto una forma di tradimento ancora più subdolo di quello fisico.

Sul fatto che trovassi grave che i fatti nostri fossero stati messi in pubblica piazza, gli amici maschi invece mi chiedevano se per caso io mi potessi dichiarare talmente senza peccato da scagliare la prima pietra.

Sei sempre stato incrollabilmente fedele oppure qualche volta non avrai mica fantasticato sulla tua vicina di leggio, lì alla sinfonica? Avanti, dai...

No! No, no e poi ancora no! Ma che c’entra poi?

Insomma. da un lato e dall'altro, fatte salve le differenze di vedute, era tutto un ozioso pour parler che doveva fare da riempitivo della noia loro. A tutto mio discapito, ovviamente, e magari, se tanto dava tanto, a potenziale danno della mia reputazione.

Mi trovai immerso in una specie di melma iper-moralistica che mi fece pentire amaramente di aver cercato un po’ di vicinanza dagli amici parlando delle mie traversie. Battevano e ribattevano su questa ipotesi del mio possibile tradimento, anche solo col pensiero, quando persino la Chiesa non richiede che siano confessati i peccati eventualmente fatti in sogno, perché non sono veri peccati. Dei sogni almeno non siamo responsabili siamo assolti a priori. Per la chiesa, certo, ma non per gli amici (o presunti tali). E comunque io ero troppo sgomento dal vedere come mia moglie di andava allontanando da me per poter anche solo pensare di guardare un’altra donna. Cose da pazzi.

Perché poi si chiedesse proprio a me di dimostrare che potevo permettermi di scagliare la prima pietra, non è dato di sapere. Forse sarà che la gente ama alla follia parlare delle corna e quindi se ne le trova in una storia se le inventa. Nella loro comune vulgata non potevano esistere altri motivi per i quali un matrimonio potesse finire. E manco a dirlo se ci potevano essere delle corna di mezzo, andava da sé che ero stato io a farle a lei. Il contrario non veniva considerato possibile.

In tutto questo, io non ci vedevo nessuna forma di empatia. Non verso di me, questo era sicuro, ma in ultima analisi, nemmeno nei confronti di Simona. Ciascuno se ne tornava a casa e la cosa moriva lì. Passato il tempo della discussione, quando smettevamo di andare a beneficio del divertimento altrui, noi non eravamo più nulla e di noi nulla veramente restava.

Magari forse era anche giusto. Non che mi aspettassi che i casi miei permeassero la vita degli altri, anche se da amici di vecchia data mi sarei potuto aspettare di meglio, mentre l'impressione mia prevalente era che parlassero di me, in mia presenza, come se io non fossi lì o come se fossi un estraneo.

Così ho ancora capito che molte persone che chiamavo amiche in realtà erano solo delle conoscenze, ormai vecchie e logore e null’altro.

Oggi mi ritrovo da solo. Un po' isolato dal resto del mondo ed ospite di una sorella paziente, con una vita tutta da ricostruire. Non ho avuto voglia di richiamare quelli che consideravo amici. Li ho lasciati andare. E loro, alla fine, hanno lasciato andare me, infatti da allora non sento più nessuno e nessuno mi ha cercato, nemmeno solo per sapere com’è andata a finire.

In verità, pare che non abbiano chiamato nemmeno Simona, dopo averla tanto appoggiata, tanto coccolata e tanto trattata da vittima o addirittura da martire. E' stata lei a cercarli e ogni tanto si vedono, parlano ancora della faccenda e quelli la invitano a guardare avanti, a farsi una vita nuova. Pare che nessuno di loro abbia mai chiesto a lei o perfino a sé stesso se Simona considerasse la questione davvero completamente insanabile. Insomma lei ha certamente goduto di un grado di “accettazione sociale” che, invece, a me, per qualche ignoto motivo, non è stata concessa.

Nel complesso tutti se ne sono tirati fuori dopo aver dato fiato alle trombe. Non glie n'è mai fregato nulla. Hanno risposto con la prima cosa che veniva loro in mente solo perché interrogati. Qualcuno anche se non interpellato. E io mi trovo a pensare che forse non c'era vero interesse per le nostre persone nemmeno prima. Nulla più di una vuota cortesia che, non volendolo, ha finito per gettare la maschera.

A volte mi guardo indietro per cercare di tracciare un confine definito tra la mia vita e quello di Simona. Mi accorgo che questo confine esiste, ma quanto al pensarlo come definito non se ne parla.

Mi interrogo anche tantissimo su me stesso. Mi chiedo se ho avuto davvero la vita che desideravo. La domanda è retorica. La risposta la conosco, fin troppo…

Mi chiedo se per caso ho perso qualche buona occasione e se Simona in fondo non avesse tutti i torti. So che potevo fare di più anche se, realisticamente e sinceramente parlando, non tantissimo di più. E' passato del tempo ormai e certe volte mi trovo a dover ammettere d’aver avuto paura a fare un salto di qualità. Potevo, ma per certi versi e per altrettanti motivi non ho voluto. E del resto non ne avrei avuto nemmeno chi sa quali grandi vantaggi. Avrei solo soddisfatto le aspettative di Simona e di qualcun altro. Ma le mie? Lo sforzo sarebbe valso il modesto avanzamento che avrei avuto?

Altre volte purtroppo ci si è messo i destino beffardo a tarparmi le ali. Io sono certo di aver condiviso queste destino con tantissimi altri. E' una vita assai malinconica quella che ci attende da quando fin da giovanissimi, ancora pieni di sogni, facciamo un sacco di progetti e di belle promesse mostrando poi a noi stessi che non siamo in grado di mantenerle. Talora per codardia, tal altra per mancanza di capacità o semplicemente per impossibilità. In fondo andrebbe già bene quando cerchiamo di essere degni dei nostri stessi sogni. Ma più spesso, quando non riusciamo a realizzarli, agli occhi degli altri siamo solo dei falliti e la cosa strana e che essi manifestano una rabbia e un’insofferenza per questo fallimento che dovrebbe essere più nostra che loro. Appioppare uno stigma sociale è fin troppo facile.

È come mettere un cartello sulla schiena di un altro. Atto in sé discutibile, ma ciò di cui si parla, alla fine, non è l’atto, ma della scritta del cartello, magari insinuando che chi ne è vittima, forse un po’ se lo merita.

La codardia può esserci a buon diritto rimproverata, ma la mancanza di buona sorte no. E meno che mai ci dovrebbe essere rimproverata la palese sfortuna. Il fatto è che il termine “sfigato” che ha sostituito perdente è diventato uno degli insulti più grandi è significativo. Oggi, se sei sfortunato, sei uno sfigato, un minchione. Tutti pronti a ricordare agli altri che ciascuno è il fabbro della sua sorte, ma poi sono tutti pronti, nella stessa misura, a concedersi delle attenuanti quando le cose loro non vanno per il verso giusto. Attenuanti che agli altri non saranno concesse. Manco a parlarne.

Alla domanda se ho avuto la vita che volevo devo rispondere di no. Carriera musicale a parte, sicuramente non mi attendevo un matrimonio finito con un divorzio.

Mia sorella non mi ha giudicato. Non è una donna superficiale, ma per adesso è ancora troppo impegnata a costruire la sua vita. E' prematuro, per lei, fare bilanci. Quelli devono venire per forza di cose dopo. Al di la dell'affetto tenerissimo che ci lega, io so che lei non mi condanna. Non ha detto una parola in merito. I miei genitori invece ne hanno sprecate di parole. Ed ovviamente hanno dato tutta la colpa a Simona.

Cosa voleva? - dicevano - se aveva delle ambizioni perché non se le coltivava in proprio?

È strano, ma quest’unica forma di appoggio che ho ricevuto, non mi ha portato alcuna soddisfazione. So che loro sono di parte. Non hanno fatto un ragionamento. Hanno assolto me e condannato lei, senza condizioni e senza considerazioni.

Io non sono nemmeno stato a sentirli più di tanto. Il balletto delle reciproche recriminazioni sarebbe già finito e, alla fine non ha portato a nulla a nessuno. E ammesso che qualcuno fosse riuscito a trovare un fondo di verità da qualche parte, cosa sarebbe cambiato? Avremmo solo aggiunto discussioni su discussioni ed io, francamente, delle discussioni ormai sono stufo marcio.

Mia sorella invece mi ha accolto in casa sua senza stare a sindacare su nulla. Cerco di darle il minimo di fastidio possibile. Faccio i salti mortali per cercare di esercitarmi quando lei è fuori o quando non deve studiare. Mi rendo conto che il clarinetto può essere dolce, ma anche stridulo, e a tratti e può risultare invadente.

So che spesso i vicini si lamentano con lei. Non si riesce a trovare un orario in cui non si dia fastidio a nessuno. In fondo, anche se non me lo ha mai detto, pure a lei il clarinetto non è mai piaciuto più di tanto.

Almeno non vedrò cambiamenti di gusto in mia sorella. È già tutto palesato, sia pure col massimo garbo possibile.

E' chiaro che il mio esercizio è limitato allo stretto indispensabile. Del resto per adesso mi restano solo le lezioni private. Mi tocca digerire l'eccesso di entusiasmo ingenuo o di scetticismo senza vie di mezzo dei miei giovani allievi. Cerco, per quanto possibile, di indirizzarli sulla retta via, anche se mi chiedo se a questo mondo un po’ di sana obiettività sia ancora rimasta.

Quanto a me ancora non ce l’ho ancora fatta a riorganizzare la mia vita. Del resto non sono nemmeno sicuro che riuscirò mai più a suonare in orchestra.

   
 
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